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Pesata una stella con la bilancia di Einstein

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Ecco come la gravità della nana bianca (la “white dwarf” al centro) ha deformato lo spazio, imprimendo così una traiettoria curva alla luce della stella alle sue spalle. Risultato: invece di vederla nella sua posizione reale, Hubble la osserva un po’ spostata. Ed è proprio misurando questo scostamento che gli astronomi sono riusciti a calcolare la massa della nana bianca. Crediti: Nasa, Esa e A. Feild (Stsci)
La vista può ingannare. In questa immagine ripresa dal Telescopio Spaziale Hubble, la nana bianca Stein 2051B e la piccola stella sullo sfondo sembrano essere vicine. In realtà sono estremamente lontane l’una dall’altra:Stein 2051B si trova a 17 anni luce dalla Terra, mentre la seconda “stellina” a ben 5000 anni luce!  Credits: NASA, ESA, and K. Sahu (STScI)
Ecco come la gravità della nana bianca (la “white dwarf” al centro) ha deformato lo spazio, imprimendo così una traiettoria curva alla luce della stella alle sue spalle. Risultato: invece di vederla nella sua posizione reale, Hubble la osserva un po’ spostata. Ed è proprio misurando questo scostamento che gli astronomi sono riusciti a calcolare la massa della nana bianca. Crediti: Nasa, Esa e A. Feild (Stsci)

È una nana bianca la stella che passerà alla storia per essere stata la prima “pesata” grazie ad Albert Einstein. Una piccola nana bianca dal nome dimenticabile – Stein 2051 B – ma dagli effetti gravitazionali sufficienti a spostare l’ago della “bilancia” quanto basta per essere misurata dall’occhio senza eguali del telescopio spaziale Hubble. Di Hubble e del cocciuto team di astrofisici che ha condotto l’osservazione – anzi, le osservazioni: ben otto, fra l’ottobre 2013 e l’ottobre 2015 – arrivando a registrare il valore riportato oggi su Science: la massa della nana bianca è pari a circa il 68 per cento di quella del Sole.

La “bilancia” usata per questa misura senza precedenti è in realtà un fenomeno naturale: quello noto come lente gravitazionaleMicrolente, in questo caso: l’effetto di lensing, infatti, di solito si osserva quando la lente è un’intera galassia, o meglio ancora un ammasso di galassie. Questa volta, invece, a fare da lente è stata una semplice stella. Anzi: la stella: la nostra nana bianca Stein 2051 B. Quella “pesata”. Già, perché è proprio misurandone l’effetto di lensing sulla luce proveniente da un’altra stella, posta quasi alle sue spalle, che il team di astrofisici guidato da Kailash Sahu dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora, negli Stati Uniti, è riuscito a risalire a ritroso alla massa della nana bianca.

Misura senza precedenti, dicevamo, ma in realtà un precedente c’è. Un precedente entrato a pieno diritto nei manuali di storia della scienza. Un precedente che risale al 29 maggio 1919. Quel giorno un’eclissi totale di Sole fornì per la prima volta la prova inequivocabile che l’incredibile descrizione della realtà pubblicata tre anni e mezzo prima da Albert Einstein – la teoria della relatività generale – era quella in grado di fornirci le previsioni più corrette su come funziona l’universo.

Albert Einstein, Science 84 (1936), p. 506. Crediti: AAAS

Però, in quel caso, a deflettere il percorso della luce con il “peso” della deformazione impressa sullo spaziotempo non era una stella qualsiasi: era il Sole. Sarebbe mai stato possibile sfruttare il fenomeno per “pesare” una stella? Lo stesso Einstein se lo domandava nel 1936 su Science, ma era a dir poco scettico al riguardo: essendo le stelle così lontane fra loro, scriveva, “non c’è speranza di poter osservare il fenomeno direttamente”. Non solo: la deviazione sarebbe stata comunque troppo piccola rispetto al potere risolutivo degli strumenti disponibili. E se soltanto oggi si è riusciti in questa misura, a quasi un secolo di distanza dall’eclissi del 1919, è segno che lo scetticismo di Einstein era quanto mai giustificato.

«È una misura estremamente difficile, sia perché la deviazione gravitazionale è molto piccola, sia perché la stella deviata è 400 volte più debole di quella che causa la deviazione», conferma a Media Inaf uno dei coautori dello studio, Andrea Bellini. «È come cercare di osservare una lucciola che passa davanti a una (debole) lampadina a 100 km di distanza, e devia di un mm dalla sua strada nell’arco di due anni… Solo con gli strumenti più recenti di Hubble, come la Wide Field Camera 3 installata nel 2009, è stato possibile effettuare questa osservazione. Per vedere un evento del genere, bisogna che due stelle passino molto vicine l’una all’altra – entro una frazione di secondo d’arco. Questo evento è stato previsto molti anni prima che accadesse, e ora ne traiamo i frutti».

Andrea Bellini, support scientist allo Space Telescope Science Institute (stsci) di Baltimora

Nato a Legnago, laurea e dottorato all’università di Padova, Bellini è uno dei tre astrofisici italiani in forze allo Space Telescope Science Institute che hanno preso parte allo studio. Oltre alla sua, troviamo le firme di Stefano Casertano – nato a Napoli, laurea a Pisa e perfezionamento alla Normale, allo Stsci dal 1994 – e di Annalisa Calamida – nata a Roma, laurea e dottorato a Tor Vergata, dal 2012 anche lei a Baltimora.

E proprio con Calamida cerchiamo di capire se questa misura, oltre a rappresentare un virtuosismo da record dal punto di vista osservativo, è anche una misura interessante in sé, per il suo valore scientifico. «Conoscere la massa di una nana bianca è importante perché circa un quarto della massa stellare presente nell’universo si trova attualmente in queste stelle e quasi tutte le stelle moriranno come nane bianche», spiega Calamida. «Questa misura è quindi molto importante per avere una stima della massa stellare presente nell’universo. Inoltre, le stelle perdono gran parte della loro massa iniziale durante la loro evoluzione prima della fase di nana bianca. Una misura diretta della massa delle nane bianche può aiutare gli astronomi a quantificare la massa che è stata persa e l’età della stella. E, quindi, a comprendere i meccanismi di evoluzione chimica della nostra e di altre galassie».

«Una misura diretta della massa di una nana bianca è anche fondamentale per provare l’esistenza di materia in condizioni degeneri nell’universo», aggiunge Calamida, «e quindi confermare le predizioni teoriche sul suo stato e comportamento. In particolare, la misura accurata della massa di Stein 2051B ci ha permesso non solo di provare che questa stella segue le predizioni teoriche sulla relazione fra la massa e il raggio di una nana bianca (più la nana bianca è massiccia, più il raggio è piccolo) ma anche di stimare la sua età, compresa fra circa 2 e 4 miliardi di anni. Questa stima è in accordo con i modelli teorici di evoluzione stellare e con l’età attuale dell’universo, a differenza delle vecchie stime che facevano di questa nana bianca una stella più antica dell’universo stesso».

Annalisa Calamida, support scientist allo Stsci per lo strumento Wide Field Camera 3 dello Hubble Space Telescope, e Stefano Casertano, observatory scientist allo Stsci

Insomma, è stata una misura impervia, ma i risultati ottenuti dicono che ne valeva abbondantemente la pena. E adesso? Ora che hanno la conferma che è possibile usare il microlensinggravitazionale per stabilire la massa delle stelle, hanno intenzione di far salire altri soggetti sulla bilancia di Einstein? «Sì, stiamo seguendo altre stelle, tutte con Hubble», anticipa a Media Inaf Casertano. «Tra esse c’è Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole. Ancora più interessante è un programma d’osservazioni con cui potremo scoprire, e pesare, buchi neri tutt’ora sconosciuti proprio dalla deviazione gravitazionale di stelle (luminose) alle quali passano davanti. Abbiamo osservato un campo stellare vicino al centro della Via Lattea per tre anni, e adesso stiamo analizzando i dati ottenuti. Ma è ancora presto per sapere se avremo successo».

Per saperne di più:


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Circolo Culturale Astrofili Trieste

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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco- Trieste. Inizio ore 18:30.
12.06: “Satelliti artificiali e sonde spaziali” di Giovanni Chelleri.

Per informazioni e contatti:
info@astrofilitrieste.it
www.astrofilitrieste.it

ALMA trova gli ingredienti della vita attorno a un giovanissimo Sole

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ALMA has observed stars like the Sun at a very early stage in their formation and found traces of methyl isocyanate — a chemical building block of life. This is the first ever detection of this prebiotic molecule towards a solar-type protostar, the sort from which our Solar System evolved. The discovery could help astronomers understand how life arose on Earth. This artist's impression gives a very close-up view of what these molecules look like. Credit: ESO/L. Calçada
caption= “Alma ha osservato stelle simili al Sole nei primi stadi della loro formazione trovando tracce di metilisocianato, uno dei mattoni alla base della vita, così come la conosciamo. Nell’immagine possiamo vedere la spettacolare regione di formazione stellare dove il metilisocianato è stato individuato, nel riquadro uno schema della struttura della molecola. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2/L. Calçada

Due team di astronomi hanno sfruttato la potenza dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), in Cile, per identificare per la prima volta molecole organiche prebiotiche complesse in un sistema stellare multiplo, IRAS 16293-2422.
Un team è guidato da Rafael Martín-Doménech del Centro de Astrobiología di Madrid, Spain, e da Víctor M. Rivilla, dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri di Firenze; il secondo team da Niels Ligterink del Leiden Observatory (Olanda) e Audrey Coutens dell’University College London (UK).

«Questo sistema stellare continua a darci soddisfazioni! Dopo la scoperta di molecole di zucchero, abbiamo ora trovato metilisocianato, o isocianato di metile, una famiglia di molecole organiche coinvolta nella sintesi di peptidi e amminoacidi, i quali, in forma di proteine, sono le basi biologiche della vita così come la conosciamo», spiegano Niels Ligterink e Audrey Coutens. Una molecola organica complessa, in astronomia, consiste di 6 o più atomi dove almeno uno di questi sia un atomo di carbonio. Il metilisocianato infatti contiene carbonio, idrogeno, azoto e ossigeno nella configurazione chimica CH3NCO.

Le caratteristiche peculiari di Alma hanno permesso a entrambi i team di osservare le molecole a numerose differenti lunghezza d’onda in tutto lo spettro radio, permettendogli di individuare le loro impronte chimiche uniche nelle calde e dense regioni interne del guscio di polveri e gas che circonda le giovani stelle nei loro primi stadi evolutivi. Ogni team ha potuto quindi isolare la firma delle molecole organiche complesse di metilisocianato, che modellizato a computer migliorerà la nostra conoscenza dell’origine di queste molecole.

Nella cartina la zona in cui si trova la regione di formazione stellare Rho Ophiuchi. In rosso la posizione di IRAS 16293-2422, la giovane stella binaria di massa simile al Sole. Credit: ESO, IAU and Sky & Telescope

IRAS 16293-2422 è un sistema multiplo di stelle molto giovani, si trova a circa 400 anni luce da noi in una grande regione di formazione stellare chiamata Rho Ophiuchi, nella costellazione dell’Ofiuco. Lo studio ha inoltre mostrato come il gas di metilisocianato avvolga ognuna di queste giovani stelle.

La Terra e gli altri pianeti del nostro Sistema solare si sono formati dal materiale rilasciato dalla formazione del Sole. Studiare quindi protostelle di tipo solare è come aprire una finestra sul nostro passato per permettere agli astronomi di osservare condizioni simili a quelle che hanno portato alla nascita del nostro Sistema solare oltre 4,5 miliardi di anni fa.

«Siamo particolarmente emozionati per il risultato ottenuto», commentano Rafael Martín-Doménech e Víctor M. Rivilla, «perché queste stelle sono davvero simili al Sole all’inizio della sua vita, e nelle stesse condizioni, che hanno così ben funzionato per formare pianeti di taglia terrestre. Aver trovato molecole prebiotiche con questo studio è come aver trovato un nuovo pezzo del puzzle che ci permetterà di capire come la vita è nata nel nostro pianeta».

Niels Ligterink aggiunge: «oltre ad aver trovato queste molecole vogliamo anche capire come si sono formate. Gli esperimenti in laboratorio mostrano che il metilisocianato può essere prodotto su particelle di ghiaccio in condizioni di temperature molto basse, simili a quelle che si trovano nello spazio interstellare. Questo implica che tali molecole, e quindi le basi per il legame peptidico, devono essere altrettanto presenti vicino alla maggior parte delle giovani stelle di tipo solare».

I due studi, entrambi pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society:
“First Detection of Methyl Isocyanate (CH3NCO) in a solar-type Protostar” by R. Martín-Doménech et al.
“The ALMA-PILS survey: Detection of CH3NCO toward the low-mass protostar IRAS 16293-2422 and laboratory constraints on its formation”, by N. F. W. Ligterink et al.


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Due giorni con Luna e Saturno, tra Ofiuco e lo Scorpione

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La cartina mostra la disposizione degli astri alle 22:30, ora in cui sarà possibile riprenderli immersi negli elementi del paesaggio. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Oltre a presentarsi nelle migliori condizioni di osservabilità dell’anno, Saturno (mag. 0) darà spettacolo il 9 giugno creando con la Luna quasi piena (fase = 99,8%) una interessante congiunzione: i due astri, proiettati tra le stelle di Ofiuco, saranno separati da una distanza di circa 3°, in un bel duetto da osservare e fotografare nel contesto del paesaggio circostante.

Il giorno precedente, l’8 giugno, la Luna in avvicinamento si troverà a circa 9° dalla bella Antares (mag. +1). Anche se in una congiunzione più ampia, comunque un’occasione per scattare un’interessante fotografia a largo campo dei tre astri.

A completare le due serate ci si potrà dedicare all’osservazione della Luna, il giorno 8 in massima librazione, che ci mostrerà  nell’arco delle due serate, le formazioni  solitamente nascoste del suo lembo meridionale. ➜ La Luna di maggio. Alla scoperta del Mare Humorum

 

 


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e ben 54 pagine di consigli per l’osservazione del cielo di giugno su Coelum Astronomia 211

Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!

 

15 giugno: Saturno in Opposizione

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Alcuni tipici dettagli da osservare e riprendere su Saturno. Dalla divisione di Cassini alle disomogeneità negli anelli dovute ad altre divisioni troppo strette per essere risolte, ai piccoli ma brillanti WOS, cicloni che solcano regolarmente l’atmosfera del gigante gassoso. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Giugno è sicuramente il periodo ottimale per osservare Saturno: lo troveremo nella tredicesima costellazione dello zodiaco, quel pezzettino di cielo quasi sempre dimenticato che appartiene alla costellazione di Ofiuco.

Il Signore degli Anelli splenderà di magnitudine 0 e sarà facile da rintracciare anche a occhio nudo.

Effemeridi giornaliere di Saturno nel Cielo di Giugno

A ogni opposizione Saturno si presenta sempre un po’ diverso rispetto all’apparizione precedente. Il cambiamento più radicale riguarda l’inclinazione del suo asse rispetto alla Terra, che varia di continuo. Ci sono degli anni in cui l’inclinazione è quasi nulla e allora vedremo gli anelli di taglio e del globo ci saranno preclusi entrambi i poli. In alcuni anni, invece, l’inclinazione raggiungerà il valore massimo e allora avremo gli anelli apertissimi e una delle zone polari ben visibile. Con questa opposizione ci avviciniamo all’inclinazione massima del polo nord del pianeta, che verrà raggiunta tra un anno. Queste sono quindi le stagioni in cui ammirare al meglio la bellezza e l’eleganza degli anelli.

Continua a leggere l’Effetto di Opposizione

E tutti i consigli per l’osservazione e la ripresa, comunque validi, dello speciale dedicato all’opposizione dello scorso anno, che riportava anche due particolari sfide:

Una sfida osservativa: quanti satelliti riuscite a vedere?

Una sfida fotografica: riprendere il disco di Titano


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Un nuovo piccolo asteroide in passaggio ravvicinato… e il monitoraggio continua.

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L’asteroide 2017 KQ27, dalle dimensioni simili all’oggetto che ha colpito Chelyabinsk nel febbraio 2013, sarà oggi di stretto passaggio dalla Terra. La roccia spaziale mancherà (si, non ci sono pericoli!) il nostro pianeta a una distanza di circa 384.000 chilometri, più o meno una Distanza Lunare (DL), ovvero la distanza media della Luna.

Scoperto alla fine di maggio, il nuovo NEO (near Earth object) scoperto ha una magnitudine assoluta di +25,7 e un diametro compreso tra i 14 e i 45 metri. Il punto più vicino alla Terra lo raggiungerà alle 17:00 (TMEC ora italiana) di oggi, 6 giugno, con una velocità di 10,7 km/s.

Quasi sicuramente passerà e non lo rivedremo più… nessun altro futuro approccio alla Terra è infatti previsto dagli astronomi. L’asteroide è destinato a volare verso Giove, che terrà però a una distanza relativamente larga di 1,8 unità astronomiche (UA, circa 270 milioni di chilometri), il 26 settembre del 2072!

Gli annunci di piccoli asteroidi di passaggio sono sempre più frequenti, non ovviamente perché ce ne siano di più… ma perché si dà sempre più importanza, come è giusto, al monitoraggio degli asteroidi potenzialmente pericolosi, e di conseguenza al calcolo e alla previsione delle loro orbite per valutarne un possibile impatto con la Terra. In caso di asteroidi che ricorsivamente possono incrociare (o avvicinare) l’orbita della Terra, ogni passaggio porta dati importanti in più per affinare la conoscenza dell’orbita e la precisione delle previsioni.

A dimostrazione del fatto che la sorveglianza c’è, oltre a 2017 KQ27, è stato individuato un altro asteroide che mancherà oggi il nostro pianeta: l’oggetto, 2017 KR27, è di circa 70 metri di diametro, molto più grande quindi di 2017 KQ27, ma vola dalla Terra a una distanza ampiamente sicura di 7 DL. Fino ad oggi sono stati rilevati 1.803 asteroidi potenzialmente pericolosi (PHA  rocce spaziali dal diametro superiore ai 100 metri che possono avvicinarsi alla Terra entro le 19,5 DL) e nessuno dei PHA noti è in corso di collisione con il nostro pianeta.

Ma è solo della scorsa settimana l’avvistamento di un bolide, in Italia nel Nord Est, troppo piccolo per essere individuato in anticipo, che se fosse stato solo un po’ più grande qualche danno, anche se non particolarmente grave, avrebbe potuto farlo. Quello che si auspica ora è un maggior coordinamento tra le varie realtà che, in caso di previsto impatto, o improvviso impatto vero e proprio, devono attivarsi per ridurre il più possibile il danno. Per approfondire il tema, su Coelum Astronomia di giugno trovate: due articoli di approfondimento, la Terra Braccata e Per non fare la fine dei dinosauri, per capire di cosa si tratta, quale rischio corriamo davvero, come funziona il monitoraggio e quali sono le strategie di mitigazione; un’intervista a Maura Tombelli, la Signora degli Asterodi e il ruolo degli astrofili; e la presentazione di Asteroid Day Italia 2017 firmata da Gianluca Masi.


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Marte: cratere Gale, un antico lago per la biodiversità marziana

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Un'immagine generata al computer di come doveva apparire il "lago Gale". Crediti NASA/JPL-CALTECH/ESA/DLR/FU BERLIN/MSSS
Questa roccia stratificata è stata ripresa dalla Mastcam a bordo del rover Curiosity della NASA, e mostra una sedimentazione tipica di un lago vicino alla foce di un fiume che lo alimenta. Le acque poco profonde e quelle più profonde hanno lasciano tracce di sedimentazione diversa sul fango che ricopre il letto del lago. Credito: NASA / JPL-Caltech / MSSS

Si parla tanto dell’importanza della biodiversità sulla Terra, ma anche Marte, in caso di esistenza di vita microbica ancora tutta da confermare, potrebbe aver avuto la sua… un nuovo studio descrive il grande e antico lago, presente nel cratere Gale nel lontano passato di Marte, come un insieme di ambienti nettamente diversi ma ugualmente adatti a supportare diverse forme di vita microbica.

Già in precedenza, grazie ai campioni raccolti da Curiosity il grande rover della NASA, una serie di studi hanno confermato l’esistenza di un lago, tra i 3,2 e i 3,8 miliardi di anni nel passato, all’interno del cratere Gale. Il nuovo studio, pubblicato su Science e guidato da Joel Hurowitz dell’Università di Stony Brook (New York), raccoglie quei dati e ne identifica le condizioni e diversità chimiche confermandone la natura sedimentaria. Rocce stratificate, dovute alla presenza di acqua, mostrano infatti nette differenze sia chimiche che fisiche a seconda che la sedimentazione sia avvenuta in acque poco profonde o acque più profonde.

Un’immagine generata al computer di come doveva apparire il “lago Gale” tra i 3 e i 4 miliardi di anni fa. Crediti NASA/JPL-CALTECH/ESA/DLR/FU BERLIN/MSSS

«Stiamo scoprendo che in alcune parti del lago, in alcuni precisi momenti, l’acqua trasportava più ossigeno» spiega Roger Wiens, del Los Alamos National Laboratory e co-autore dello studio, «cosa importante perché determina che tipo di minerali vengono depositati nei sedimenti, ma anche perché l’ossigeno è un componente importante per la possibile presenza di vita. Dobbiamo però ricordare che, al tempo del “lago Gale”, nel nostro pianeta la vita non si era ancora adattata all’uso dell’ossigeno – possiamo dire che la fotosintesi non era ancora stata “inventata”». Piuttosto, lo stato di ossidazione di certi elementi, come il manganese o il ferro, potrebbe essere stato altrettanto importante per lo sviluppo della vita su Marte – sempre che sia mai esistita – e gli stati di ossidazione dipendondono direttamente dall’ossigeno disciolto nell’acqua.

Nel disegno qui sopra alcuni dei processi, e degli indizi, che indicano la presenza di un lago durato a lungo nel tempo, abbastanza da avere vari livelli di stratificazione costituiti da materiali diversi, più o meno ossidati, e creando ambienti diversi da zona a zona.  Dalle analisi è risultato  come le acque più basse,  in prossimità dei luoghi in cui l’acqua fluiva nel lago, abbiano dato origine a sedimenti più densi e grossolani e fossero più ricche di ossidanti delle acque profonde, in cui i sedimenti più antichi sono costituiti da particelle via via più sottili.  (Credit: NASA/JPL-Caltech/Stony Brook University)

«Nello stesso lago coesistevano ambienti molto diversi» spiega invece Hurowitz, «questo tipo di stratificazioni sono molto frequenti nei laghi terrestri, e adesso le abbiamo ritrovate su Marte. Un ambiente così diversificato può quindi aver fornito più opportunità di sopravvivenza a più tipi diversi di vita microbica».

Se Marte abbia mai ospitato o ospiti forme di vita ancora non lo sappiamo, ma la ricerca della vita extraterrestre comincia proprio dalla ricostruzione dell’ambiente per stabilire se era adatto a supportarla, ed è quello che sta facendo Curiosity su Marte: esplorare gli ambienti abitabili dell’antica superficie di Marte.

In più di 1.700 sol (giorni marziani), Curiosity ha percorso più di 16 km, dal fondo del cratere Gale fino al Monte Sharp, vicino al centro del cratere. Il  Los Alamos National Laboratory, da cui proviene parte del team che ha firmato lo studio,  è anche il laboratorio che ha sviluppato la ChemCam (lo strumento che può individuare una roccia a distanza di 7 metri e vaporizzarne una piccola quantità per analizzare lo spettro della luce emessa usando la micro-imaging camera inclusa) in collaborazione con l’agenzia spaziale francese. E grazie anche ai dati raccolti da questo strumento gli scienziati saranno in grado di ricostruire un modello più completo della storia geologica di Marte.

Nel 2020, se tutto procederà come nei piani, toccherà alla seconda parte di ExoMars (missione russo-europea), con il suo rover, ad analizzare il sottosuolo marziano – sia per cercare negli strati più antichi sia per analizzare zone al riparo dai raggi cosmici che sterilizzano la superficie del pianeta – cercando tracce di vita microbica passata o presente.

• Per sapere tutto sulla missione ExoMars e le altre missioni già attive su Marte, leggi anche: Speciale Marte Coelum 205


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Circolo Culturale Astrofili Trieste

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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco- Trieste. Inizio ore 18:30.
05.06: “Le stelle al carbonio” di Stefano Schirinzi.

Per informazioni e contatti:
info@astrofilitrieste.it
www.astrofilitrieste.it

“A day with Damian Peach”

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A day with Damian Peach
Workshop di ripresa planetaria in alta risoluzione.
Sabato 24 giugno 2017 – dalle ore 10 alle ore 17
Aemilia Hotel – via Zaccherini Alvisi, 16 – 40138 Bologna (BO)

Per la prima volta in Italia, Damian Peach incontrerà fans, astrofili e appassionati di astrofotografia per condividere le tecniche di acquisizione e post-produzione che lo hanno portato a creare immagini astronomiche straordinarie apprezzate a livello mondiale. Il workshop, organizzato da Pierluigi Giacobazzi, verrà ospitato nella “Sala Marconi” del prestigioso Aemilia Hotel di Bologna. Punto strategico della bellissima città emiliana, a due passi dalla stazione ferroviaria, dotato di ampio parcheggio interno e facilmente raggiungibile dall’aeroporto internazionale “Guglielmo Marconi”. L’appuntamento prevede una prima sessione mattutina in cui Damian illustrerà le modalità con cui acquisisce le immagini spaziali, a cui seguirà una sessione pomeridiana incentrata sulle tecniche di editing in alta risoluzione. Per agevolare l’ospite internazionale e tutti i partecipanti, è stato predisposto un servizio di traduzione simultanea dall’inglese all’italiano.

Costo e modalità di iscrizione
Il costo complessivo del workshop è di 195,00 euro. E’ previsto uno sconto del 10% per chi si iscrive entro il 24 maggio 2017 e ai partecipanti di workshop o corsi precedenti, svolti da Pierluigi Giacobazzi. Le modalità di pagamento sono il bonifico bancario e PayPal.
Link di iscrizione: http://www.pierluigigiacobazzi.com/a_day_with_damian_peach/
Per informazioni: www.pierluigigiacobazzi.com – info@pierluigigiacobazzi.com

AstronomiAmo

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LocandinaCoelum

LocandinaCoelum3 giugno: serata osservativa a Trivigliano (FR)
13 giugno: Diretta dalla IOWA University con il dott. Marengo
15 giugno: Corso di astrofotografia online
22 giugno: Diretta dal CfA con il dott. Rorai
24 giugno: Serata osservativa a Fumone (FR)
29 giugno: Asteroid Day

Tutti i dettagli su www.astronomiamo.it

Astroinizative UAI

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
telescopioremoto.uai.it

CAMPAGNE NAZIONALI UAI
3 giugno – Il Cielo a portata di mano. Giornata Nazionale Osservatori Aperti La giornata italiana nazionale degli Osservatori accessibili, collegata al progetto nazionale “Stelle per Tutti”, per valorizzare e promuovere la rete di quasi 100 strutture pubbliche, gestite dagli astrofili: una risorsa per la diffusione della cultura scientifica in Italia.

Le prime immagini del bolide che ha illuminato il Nord Italia

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Eccola la meteora che ha illuminato il cielo del Nord Est tra il Veneto e l’Emilia Romagna, ripresa dalla stazione video IMTN di Ferrara gestita da Ferruccio Zanotti.
Questa la prima testimonianza fotografica del bolide del 30 maggio sera, ripreso quasi per un pelo, dalla telecamera di videosorveglianza IMTN di Cuneo, gestita da Paolo Demaria. Forse meno spettacolare di tante immagini di repertorio che si vedono in rete, ma sicuramente più utile per approfondire il fenomeno.

Nella notte tra il 30 e il 31 maggio, un luminoso bolide ha attraversato i cieli del Centro Nord Italia, alle 23:09 circa.

Numerose sono le testimonianze di chi ha potuto assistere a questo spettacolare e improvviso evento. Dai primi commenti che si sono rincorsi sui social, e in seguito dalle prime notizie fornite dai media locali e nazionali, la meteora ha raggiunto una luminosità tale da illuminare a giorno le zone più vicine alla traiettoria del corpo celeste che si è comunque mostrato estremamente luminoso, brillando di una luce verde intensa, anche da chi l’ha osservata da più lontano. Nel sito dell’IMO (International Meteor Organization) sono registrate segnalazioni anche dalla Croazia e dall’Austria.

Un’altra immagine del bolide ripresa sempre all’interno dell’IMTN, da Casteggio Sud Est (SE è l’orientamento fisso della camera, in provincia di Pavia) gestita da Maurizio Morini. Crediti: IMTN.

Sempre secondo le prime segnalazioni, la meteora avrebbe attraversato il cielo tra il Veneto e l’Emilia Romagna, in particolare nella zona tra Modena, Ferrara e Rovigo, esplodendo ancora ad alta quota, con relativa scia di detriti e un forte boato udito da molti testimoni, nella zona interessata.

Al momento non si hanno invece riprese fotografiche se non le prime immagini delle telecamere del Network di sorveglianza italiano IMTN (Italian Meteor and TLE Network).

Le tre immagini che vedete in questa pagina, sono le prime testimonianze dirette del passaggio del bolide e provengono dalle postazioni dell’Associazione Astrofili Bisalta di Cuneo (gestita da Paolo Demaria), N Lazio di Diego Valeri e Casteggio SE (PV) di Maurizio Morini. Purtroppo in rete è facile imbattersi in immagini molto belle e suggestive che però sono solo immagini di repertorio.

Per questo motivo, in attesa di aggiornamenti, invitiamo chi ha osservato e/o fotografato il fenomeno a commentare questa notizia e a registrare la sua segnalazione sul sito dell’IMO e al Forum dell’IMTN.

…e ovviamente aspettiamo le vostre immagini su Photocoelum!

Le segnalazioni fin’ora riportate al sito dell’IMO, dove si possono trovare alcune segnalazioni e, come vedete qui sopra, una cartina con la zona e la direzione in cui è stato avvistato il bolide, sono ancora poche per arrivare a una vera trinagolazione, ma è già chiara la zona del Nord Italia in cui ha attraversato il cielo. Crediti: IMO

Il bolide di ieri notte è fortunatamente stato solo un emozionante spettacolo, ma il rischio di una nuova Chelyabinsk non è così remoto. Il 30 giugno, anniversario del più drammatico evento di Tunguska, si celebra l’Asteroid Day, proprio per ricordare che il rischio, per quanto basso, c’è ed è necessario mantenere alta l’attenzione di tutti al problema, sollecitando chi ha responsabilità scientifiche e di governo a occuparsene sempre più approfonditamente.

Sempre per questo motivo, il numero 212 di Coelum Astronomia di giugno (disponibile online dal 24 maggio) è dedicato all’argomento con uno speciale per capire di cosa si tratta, quali rischio corriamo davvero e quali sono le strategie per affrontarlo: due lunghi articoli di approfondimento, un’intervista a Maura Tombelli, la Signora degli Asterodi, e la presentazione di Asteroid Day Italia 2017 firmata da Gianluca Masi.

Coelum Astronomia, dal gennaio 2016, è completamente gratuita e disponibile per la lettura in formato digitale, interattivo e multimediale, o per il download in formato pdf
Qui sopra la spettacolare immagine del bolide che ha illuminato i cieli di Ferrara il 3 settembre del 2013. La foto  rende probabilmente  l’idea di quanto osservato da tanti testimoni nel Centro e Nord Italia ieri notte.  E’ stato ripreso dalla camera a colori TLE Tracker della stazione IMTN di Ferrara. Purtroppo per una foto come questa dovremo aspettare qualche giorno, ma potrebbe essere proprio la camera di Ferrara ad averla ripresa. Crediti: IMTN

Aggiornamenti

Stanno finalmente arrivando i primi filmati, in attesa di quelli dell’IMTN realtivi alle immagini che vi abbiamo mostrato, segnaliamo il video della stazione ITVE02 situata presso il Liceo Scientifico P.Paleocapa di Rovigo della rete PRISMA per la sorveglianza sistematica di meteore e atmosfera dell’INAF e dall’Osservatorio di Asiago Cima Ekar del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova che potete vedere qui sotto.

Il 2 giugno sono usciti anche foto, video e i primi risultati  sulla traiettoria della Sezione Meteore della UAI. Spettacolare in particolare il video ripreso dalla stazione
video MET38
di Venezia Lido (VE).

Ma in rete sono girate anche tante foto false… la mancanza di foto amatoriali infatti (al di la’ di quelle estratte dalle videocamere di sorveglianza) ha fatto passare per vere, per errore o mancato controllo delle fonti, foto di repertorio. Ce ne parlano Roberto Labanti su Query on Line (il portale della rivista del CICAP) e David Puente sul suo blog.


Asteroidi pericolosi e Rischio da Impatto

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Segnali maser d’acqua in tre sistemi extrasolari

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Illustrazione di fantasia del sistema Epsilon Eridani, con il pianeta Epsilon Eridani b (a dx) di massa simile a Giove e due cinture d’asteoridi o comete. Crediti: NASA/SOFIA/Lynette Cook.

Segnali radio legati a una particolare emissione elettromagnetica dovuta alla presenza di molecole d’acqua sono stati individuati in tre sistemi stellari vicini, noti per ospitare esopianeti. La scoperta, frutto di una lunga e accurata indagine condotta da Cristiano Cosmovici, ricercatore all’Inaf Iaps di Roma, e Sergei Pogrebenko del Jive, in Olanda, è stata recentemente pubblicata sulla rivista International Journal of Astrobiology.

Da quando fu scoperto il primo pianeta extrasolare,  nel 1995, circa 3000 esopianeti sono stati individuati da Terra e dallo spazio grazie alle nuove tecnologie del Doppler radiale e del transito. Il primo metodo riguarda la misura spettroscopica  delle oscillazioni della stella provocate dall’azione gravitazionale di uno o più pianeti giganti ruotanti intorno a essa, il secondo sfrutta il passaggio del pianeta di fronte alla stella che provoca un debolissimo assorbimento della luce stellare.

Nel luglio del 1994 un avvenimento eccezionale permise alla comunità astronomica mondiale di osservare in diretta ciò che accade quando una cometa colpisce un pianeta provocando, oltre che una catastrofe cosmica, un cambiamento radicale nella composizione chimica dell’atmosfera planetaria. Si trattava della cometa Shoemaker/Levy-9 che in seguito al passaggio nelle vicinanze di Giove si frantumò in 21 componenti che piombarono nell’emisfero meridionale del pianeta, liberando una terrificante quantità di energia.

«In quell’occasione pensammo di sfruttare l’unica possibilità che il fenomeno, ripetibile forse fra centomila anni, ci offriva, per servirci del radiotelescopio di Medicina, vicino Bologna, alla ricerca dell’acqua che non è presente nell’atmosfera di Giove; quindi se avessimo visto la linea di emissione a 22 GHz (1,35 cm) essa sarebbe stata certamente liberata dal nucleo cometario durante l’impatto» ricorda Cosmovici. «Nel giro di soli 6 mesi fu costruito, sotto la guida di Stelio Montebugnoli, un rivoluzionario spettrometro Fourier che, accoppiato al radiotelescopio, permise di rivelare il 19 luglio 1994 la presenza di una nube di 2 miliardi di tonnellate di acqua originata dal frammento e visibile fino a settembre».

L’analisi dei dati portò a una scoperta eccezionale: la linea di emissione a 22 GHz presentava l’effetto maser (Microvawe Amplification by Stimulated Emission of Radiation). La linea maser è ben conosciuta in astrofisica, essendo una componente principale nello spettro delle nubi interstellari galattiche ed extragalattiche, ma non era mai stata osservata nel nostro Sistema solare. Essendo una linea di fortissima intensità, può essere usata per cercare l’acqua laddove i segnali sono talmente deboli da non essere rivelabili in condizioni di equilibrio termico.

«Abbiamo pertanto ipotizzato che in particolari condizioni fisiche l’emissione maser possa essere rivelata nelle atmosfere planetarie, e che la linea dell’acqua possa essere usata quale potente mezzo diagnostico per la ricerca di sistemi esoplanetari laddove il bombardamento di comete sia attuale oggi come lo è stato 4 miliardi di anni fa, quando il nostro pianeta fu invaso da sciami di comete portatrici di acqua e di molecole organiche che sono alla base dell’evoluzione biologica» prosegue Cosmovici. «In base a queste considerazioni, nel 1999 abbiamo dato il via al progetto Itasel (Italian Search for Extraterrestrial Life), finanziato dall’Asi, e abbiamo scelto 35 obiettivi entro circa 160 anni luce dal  Sole».

In 13 anni di osservazioni ottenute con un nuovo spettrometro (Spectra-2) basato su tecnologia Fpga e su un raffinato software (Astra), tre sistemi esoplanetari hanno dato risultati con valori significativi di questo segnale maser: Epsilon Eridani a 10,8 anni luce, famosa per essere stata il primo candidato del progetto Setinel 1959, è circondata da una cintura di comete e soggetta quindi a continui bombardamenti come lo è stata la Terra 4 miliardi di anni fa; Lalande 21185 è la più vicina a noi, con 8,3 anni luce, e sembra sia circondata da 3 pianeti giganti; Gliese 581, a 20.4 anni luce dal Sole, circondata da 3-5 pianeti, una delle più quotate per essere abitabile e poter ospitare la vita.

«L’importanza della nostra scoperta consiste nel fatto che abbiamo dimostrato la possibilità di rivelare da Terra l’acqua in sistemi esoplanetari servendoci di potenti radiotelescopi dotati di sofisticati spettrometri. Per la rivelazione delle linee spettrali dell’acqua nell’infrarosso, invece, è necessario l’uso di telescopi spaziali quali Spitzer e Hubble» conclude Cosmovici.

Per saperne di più:

Leggi l’articolo “Water maser emission from exoplanetary systems” di C. B. Cosmovici e S. Pogrebenko pubblicato su International Journal of Astrobiology

Leggi anche:

Il ruolo dell’E-ELT, l’Europea Extremely Large Telescope nello studio dei pianeti extrasolari su Coelum Astronomia n. 204.

Radioastronomia: dai primi passi in Italia al radiotelescopio di Medicina, nel racconto del grande Mario Rigutti, alla Cina di oggi che svela il gigantesco radiotelescopio #FAST da 500 metri, su Coelum Astronomia n. 209


Asteroidi pericolosi e Rischio da Impatto

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Due giorni in compagnia di Luna, Giove e le stelle della Vergine.

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Alle 23 circa, del 3 giugno, la distanza tra Giove e la Luna sarà di 2 gradi e mezzo, con Porrima vicinissima al nostro satellite naturale, e per questo persa nel chiarore lunare. Poco più di 11° separeranno invece Giove da Spica (mag. +0,95), posta più a ovest. Il 4 giugno sarà invece Spica a formare un triangolo  quasi rettangolo con Giove e Luna: troveremo Spica a circa 5 gradi e mezzo a sud della Luna,  e Giove a circa 10° più a  ovest, sempre dalla Luna. All’ora indicata saranno alti  una quarantina di gradi  dall’orizzonte, sarà necessario attendere qualche ora per fotografarli immersi negli elementi del paesaggio, come indicato nel testo qui sotto. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

La Luna (fase 73%), Giove (mag. –2,2) e la stella Porrima (mag. +2,7) saranno i protagonisti di una bella congiunzione verso le ore 23 del 3 giugno, congiunzione che si potrà seguire fino al tramonto dei tre astri, tre ore e mezza circa più tardi. Il terzetto si troverà piuttosto alto sull’orizzonte sudovest già in prima serata e la loro altezza diminuirà via via con il passare delle ore.

La congiunzione si arricchirà di ulteriore fascino se consideriamo che la Luna occulterà Porrima, per cui sarà sicuramente possibile osservare la riemersione della stella dal lembo lunare. Più difficoltoso sarà invece vedere l’ingresso che avverrà quando il cielo sarà ancora molto chiaro.

Riportiamo comunque per completezza gli orari relativi all’ingresso e all’uscita della stella per le città di Milano, Roma e Palermo (vedi tabella qui a lato). Per la ripresa dell’emersione ci si potrà comunque rifare ai suggerimenti di Giorgia Hofer, nel caso dell’occultazione di  Aldebaran.

Quando la Luna e Giove raggiungeranno la minima distanza reciproca, alle 03:20 circa, saranno già tramontati, per cui sarà possibile osservare il terzetto e riprenderlo in fotografie checoinvolgano anche gli elementi del paesaggio solo fin verso le 02:00, con i tre astri alti circa 10° sull’orizzonte ovest.

Spica sarà invece protagonista, con la Luna, di una bella congiunzione il giorno seguente, il 4 giugno. Giove, Luna (fase 81%) e Spica formeranno infatti un triangolo facilmente riconoscibile alto in cielo (l’inizio della notte astronomica lo coglierà proprio al culmine al meridiano sud), che potrà però essere immortalato in fotografie di paesaggio solo a notte inoltrata, verso le 02:00 del giorno 5, quando scenderà fino ai 10° di altezza sull’orizzonte ovest.

Il 4 giugno sarà possibile assistere anche al passaggio della Stazione Spaziale Internazionale, visibile da tutta Italia, Nord in primis:

Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

A completare le due serate ci si potrà dedicare all’osservazione della Luna, con i consigli di Francesco Badalotti: ➜ La Luna di maggio. Alla scoperta del Mare Humorum

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovate nel Cielo di Giugno

 


<figure class=”wp-block-image size-full is-style-default”><a href=”https://www.coelum.com/iscrizione-alla-newsletter-di-coelum-astronomia”><img src=”https://www.coelum.com/wp-content/uploads/2021/12/Banner-NewsLetter.jpg” alt=”” class=”wp-image-108408″/></a></figure>

La Luna di giugno. Una guida all’osservazione e un approfondimento sul Mare Humorum

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Le fasi della Luna in giugno, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Le fasi della Luna in giugno, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

La prima proposta per il mese di giugno riguarda il settore centro settentrionale della Luna, nel caso specifico la catena dei monti Caucasus con la regione comprendente un altro bel terzetto costituito dai crateri Aristoteles (diametro 90 km), Eudoxus (diametro 70 km) e Alexander (diametro 85 km). Per  questa prima osservazione viene indicata la sera del giorno 1 giugno dalle ore 22 in avanti, quando il nostro satellite si troverà nel cielo di sudovest in fase di 7 giorni a un’altezza iniziale di +41° visibile fino alle primissime ore della notte successiva quando tramonterà poco prima delle ore 2. È mportante notare che intorno alla mezzanotte fra il 6 e il 7 giugno l’avanzare del terminatore verso ovest farà uscire dall’oscurità una vasta porzione elle Alpi lunari consentendo l’osservazione anche dell’eccezionale struttura della Valle Alpina col sottile solco sul fondo in tutta la sua lunghezza.

Per la seconda e principale proposta la scelta è caduta sul mare Humorum, bacino da impatto con una superficie di 110.000 km quadrati e con numerose e interessanti strutture presenti nelle immediate vicinanze, situato nel settore sudoccidentale del nostro satellite. In questo caso l’osservazione è stata suddivisa nelle due serate consecutive del 5 e 6 giugno quando la regione lunare interessata verrà a trovarsi in prossimità del terminatore lunare.

Leggi la Guida all’Osservazione del mare Humorum

Come già visto per altre strutture lunari nei precedenti articoli, anche in questo caso, oltre alle già citate serate del 5 e 6 giugno, in cui la presenza del terminatore in prossimità del mare Humorum potrà agevolare la percezione di determinati dettagli in favorevoli condizioni di illuminazione solare, l’osservazione di questa eccezionale struttura, anche in corrispondenza di altre fasi lunari, ci farà apprezzare una moltitudine di dettagli, ponendo in evidenza sfumature sempre differenti nelle fasi in cui la linea che separa il giorno dalla notte lunare transita su Humorum e sulle zone adiacenti.

Analogamente potrà risultare interessante l’osservazione della regione del mare Humorum anche in fasi prossime alla Luna Piena, quando il generale appiattimento dei dettagli renderà percepibili le differenze di albedo oltre a una inconsueta percezione di molti crateri.

La terza e ultima proposta per il  mese in corso consisterà nell’osservazione dell’estremo lembo meridionale del nostro satellite, proprio in prossimità della regione polare sud, quando la era dell’8 giugno questa coinciderà con la massima librazione.

Continua a leggere la Luna di Giugno su Coelum Astronomia 212, in versione digitale e gratuita, da pagina 150.

Il punto di massima librazione si sposterà progressivamente lungo il lembo meridionale della Luna interessando gran parte della regione polare sud. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi anche nel Cielo di Giugno

Leggi anche:

La Luna mi va a pennello.
Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n.

Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di gennaio 2017.

 


 

Apollo 11 Lunar Sample Return Bag all’asta!

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La missione Apollo 11 è stata la prima missione a portare l'uomo sulla Luna e dalla quale sono stati riportati a Terra campioni di rocce lunari. La borsa che andrà all'asta questa estate, nel giorno dell'aniversario dello sbarco , è proprio la borsa che Neil Armstrong ha utilizzato per portare a Terra i primi campioni. In questa storica foto però è ripreso Buzz Aldrin nella sua tuta spaziale, di Neil ne esiste solo una mentre rientra nel modulo lunare, perché lui era il fotografo, ed è destino del fotografo non apparire mai nelle foto, ma... i più attenti vedranno che in realtà in questa foto c'è anche Neil... riflesso nel casco di Buzz! Crediti: NASA
La casa d'aste Sotheby, a New York, metterà a disposizione la borsa utilizzata da Neil Armostrong per raccogliere i primi campioni lunari riportati a Terra, e la descrive come il "più importante arteffatto spaziale mai apparso in un'asta". Crediti: Sotheby's

Il 20 luglio 2017, giorno dell’anniversario dell’atterraggio sulla Luna da parte della missione Apollo 11, la casa d’aste di New York Sotheby’s offrirà la borsa utilizzata da Neil Armstrong per portare sulla Terra il primo campione lunare mai raccolto.

L’oggetto, unico nel suo genere, dovrebbe raggiungere la fantascientifica cifra $ 2-4 milioni di dollari!

Nella piccola sacca sono ancora presenti tracce di polvere di luna, l’oggetto darà al fortunato, e direi danaroso, collezionista l’opportunità non solo possedere una parte del primo materiale lunare mai raccolto, ma anche la possibilità di avere una reliquia dell’umanità.

Una delle rocce raccolte, e riportate a Terra, durante la missione Apollo 11 da Neil Armostrong. Crediti: CollectSpace

Durante la missione Apollo 11, Neil Armstrong raccolse quasi 500 grammi di materiale da 1 cm e 12 frammenti di roccia più grandi di 1 cm da cinque posizioni diverse sulla superficie lunare della regione nota come il Mare della Tranquillità.

A causa della natura sconosciuta del materiale lunare, questa borsa di decontaminazione è stata utilizzata per ridurre al minimo i danni potenziali che i campioni avrebbero causato al pianeta Terra.

Quasi tutte le attrezzature della storica missione sono ospitate presso il Museo Nazionale Smithsonian a Washington, tuttavia, una recente sentenza del tribunale del Kansas, ha permesso che questo fosse l’unico manufatto in mani private, “essendo stato acquistato in buona fede durante un’asta”.

La vera storia di questa borsa, infatti, è rimasta sconosciuta per decenni. Poi, nel 2014 per un errore di catalogazione, non riportando la reale provenienza e valore, è stato possibile metterla in vendita per ben tre volte in una piccola casa d’asta per conto del Servizio Marshall USA, senza però ricevere un’offerta. Nuovamente rimessa all’asta nel 2015, l’attuale proprietario ha vinto la contrattazione con un’offerta di soli 995 dollari!
Interessato alla storia del suo acquisto, il fortunato vincitore ha inviato la sacca al Johnson Space Center della NASA, nella speranza di ottenere ulteriori informazioni.

Nel volume “Apollo 11 Stowage” è stata trovata la corrispondenza e il numero stampato all’interno della borsa. Il prezioso oggetto fa parte della “Long Term Contingency Decontamination Box” dal sito di atterraggio di Apollo 11. La NASA a quel punto, trattandosi di un artefatto delle missioni spaziali che non dovrebbe essere di proprietà privata, ne decise la confisca. Confisca annullata proprio dalla una sentenza del tribunale del Kansas, che ha riconsegnato la borsa nelle mani del proprietario.

L’attuale proprietario ha dichiarato che parte dei proventi dell’asta andranno a organizzazioni di beneficenza, tra cui la Immune Deficiency Foundation e la Bay Cliff Health Camp Children’s Therapy and Wellness Center e prevede di creare una borsa di studio per gli studenti che studiano presso la sua Alma Mater, l’Università del Michigan, North.


Asteroidi pericolosi e Rischio da Impatto

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Accademia delle Stelle

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Corso di Archeoastronomia: tutti i lunedì per conoscere la storia, il significato e il ruolo dell’astronomia nell’evoluzione della nostra cultura.

Corso base di Astronomia: tutti i giovedì per scoprire com’era fatto l’Universo e conoscere gli oggetti che lo popolano.

I corsi sono tenuti da un astrofisico ed hanno il patrocinio della UAI. È possibile iscriversi a tutte le lezioni o prenotarsi a singoli incontri.
Per informazioni: eventi@accademiadellestelle.org
Riduzioni per i lettori di Coelum Astronomia.

Venerdì 2 – domenica 4 giugno: Torna “Il Cielo di Roma” 2° edizione 2017. Partecipiamo al Cielo di Roma con stand, postazioni osservative permanenti diurne e serali, due conferenze ed un laboratorio didattico.

Domenica 18 giugno: conferenza Le frontiere dell’astrofisica stellare di Marco Castellani (INAF).

INFO: https://www.accademiadellestelle.org/primavera-astronomica/

Circolo Culturale Astrofili Trieste: Einstein aveva ragione: introduzione alle onde gravitazionali

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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco-Trieste. Inizio ore 18:30.

29.05: “Einstein aveva ragione: introduzione alle onde gravitazionali” di Antonio Pasqua.

Per informazioni e contatti: info@astrofilitrieste.it
www.astrofilitrieste.it

Scorci d’estate su Saturno

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Questa coppia di animazioni è stata realizzata rispettivamente il 25 giugno 2013 (a sinistra) e il 25 aprile 2017 (a destra) utilizzando la camera grandangolare a bordo di Cassini. I filtri spettrali utilizzati sono il rosso, il verde e il blu, combinati per creare un’immagine a colori naturali. Nel 2013 la sonda si trovava a circa 700 mila km da Saturno, e la risoluzione dell’immagine è di 80 km per pixel, mentre per l’immagine del 2017 la distanza minima raggiunta è di 230 mila km dall’atmosfera, che comporta una risoluzione di 14 km per pixel. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Space Science Institute/Hampton University

Inizia l’estate su Saturno, e la sonda Cassini della Nasa è nella posizione migliore per osservarla. Cade oggi il solstizio di Saturno, ovvero il primo giorno d’estate nell’emisfero nord del pianeta, una ricorrenza che si ripete circa ogni 15 anni terrestri. Per festeggiarlo, Cassini ci invia alcune delle immagini più spettacolari del polo nord del pianeta, con la sua tempesta esagonale.

Questa coppia di animazioni è stata realizzata rispettivamente il 25 giugno 2013 (a sinistra) e il 25 aprile 2017 (a destra) utilizzando la camera grandangolare a bordo di Cassini. I filtri spettrali utilizzati sono il rosso, il verde e il blu, combinati per creare un’immagine a colori naturali. Nel 2013 la sonda si trovava a circa 700 mila km da Saturno, e la risoluzione dell’immagine è di 80 km per pixel, mentre per l’immagine del 2017 la distanza minima raggiunta è di 230 mila km dall’atmosfera, che comporta una risoluzione di 14 km per pixel. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Space Science Institute/Hampton University

Mancano una manciata di settimane al 15 settembre, giorno in cui è previsto lo storico tuffo di Cassini nell’atmosfera del pianeta con gli anelli. Per prepararsi all’evento, la sonda sta percorrendo una serie di orbite strettissime, durante le quali sfreccia periodicamente nello spazio vuoto tra Saturno e i suoi anelli.

Arrivata a destinazione nel 2004, dopo sette anni di viaggio interplanetario, la sonda Cassini ha visto la propria missione estendersi dai primi 4 anni nominali fino agli attuali 13. Nel corso degli anni ha collezionato scoperte sensazionali e immagini mozzafiato. Gli scatti raccolti mostrano cambiamenti stagionali degli strati superiori dell’atmosfera di Saturno.

Nell’immagine qui sopra è possibile ammirare il polo nord del pianeta in colori naturali, mettendo a confronto il suo aspetto a giugno 2013 con quello che ha visto Cassini nell’aprile 2017. In entrambi gli scatti l’esagono centrale domina la scena, ma le due immagini mettono in luce colori diversi, a indicare i cambiamenti stagionali subiti da quella regione.

Nel 2013 l’interno dell’esagono appare azzurro, mentre all’inizio del 2017 è ricoperto da una foschia gialla, e solo la regione centrale del vortice mantiene un intenso colore blu. L’arrivo di una più intensa radiazione ultravioletta proveniente dal Sole ha innescato la formazione della foschia così come la osserviamo.

Sono varie le ipotesi prese in considerazione dagli scienziati per spiegare come mai la zona centrale dell’esagono rimanga blu. Una di queste è che la regione del vortice sia l’ultima ad essere esposta alla luce solare, e che quindi le particelle al suo interno non abbiano ancora avuto tempo di cambiare colore. Una seconda ipotesi prende in considerazione l’idea che il vortice polare abbia una circolazione interna simile a quella degli uragani terrestri, e che quindi la direzione del flusso sia dagli strati più alti a quelli più bassi dell’atmosfera.

Leggi anche

Cassini, le prime straordinarie immagini del “Grand Finale”. La sonda si è tuffata nel gap tra il bordo interno degli anelli e l’atmosfera di Saturno, leggi il report delle prime scoperte su Coelum Astronomia n.212 di giugno.

Ombre corte per Saturno in questi giorni è iniziata l’estate nell’emisfero nord del pianeta, e la sua ombra proiettata sugli anelli ce lo conferma, proprio come una grande meridiana solare.


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Il Cielo di Giugno 2017

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 giugno > 01:00; 15 giugno > 00:00; 30 giugno > 23:00
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 giugno > 01:00; 15 giugno > 00:00; 30 giugno > 23:00

EFFEMERIDI
(mar. – ott. 2017)

Luna

Sole e Pianeti

Più in alto, sempre a sud, si passerà dall’Ofiuco all’Ercole, con quest’ultimo situato quasi allo zenit. Il Leone si starà invece avviando al tramonto, mentre verso est comincerà ad alzarsi il “Triangolo estivo” formato da Vega, Deneb e Altair (le stelle più brillanti di Lira, Cigno e Aquila), insieme ai ricchissimi campi stellari che compongono la Via Lattea. Sull’orizzonte nordest, più tardi durante la notte, farà capolino la Galassia di Andromeda (M31), che raggiungerà una buona altezza sull’orizzonte già prima dell’alba, precedendo il sorgere delle Pleiadi. Per ciò che riguarda i pianeti, gli unici osservabili a quell’ora saranno Saturno, nell’Ofiuco, ancora basso sull’orizzonte, e Giove, molto brillante nella costellazione della Vergine, alto verso sudovest.

Scopri le costellazioni del cielo di giugno con la UAI

Continua l’apparente moto di risalita del Sole, che il giorno 21 raggiungerà il punto di massima declinazione nord dell’eclittica (pari a +23° 27′); in quel momento si verificherà il solstizio estivo, che nell’emisfero boreale sancirà l’inizio dell’estate astronomica. Ovviamente ciò comporterà un deciso aumento delle ore di luce a scapito della notte astronomica, che mediamente durante il mese non supererà le 4,5 ore. Cos’è il Solstizio estivo e quando cade?

E ancora, su Coelum Astronomia di giugno 2017…

➜ Il Cielo di Maggio:  pianeti, congiunzioni e i principali eventi del cielo da non perdere!

Storia, leggende, stelle e oggetti deepsky della costellazione della Lira: Vega superstar! (seconda parte)

La Luna di maggio. Un approfondito e interessante articolo alla scoperta del Mare Humorum

Il Club dei 100 asteroidi: gli asteroidi in opposizione a giugno, che aspettate a unirvi al Club?!

Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

ASTROFOTOGRAFIA: Fotografiamo le comete a grande campo

Le comete del mese: La Johnson passa al perielio!

La Supernova… dietro MESSIER 63!

e il Calendario degli eventi giorno per giorno


54 pagine di consigli per l’osservazione del cielo di giugno su Coelum Astronomia 211

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Il Solstizio Estivo

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L’illustrazione visualizza le differenti altezze che il Sole raggiunge in meridiano nel corso dell’anno, rispettivamente durante il solstizio estivo, gli equinozi e il solstizio invernale.

Il termine “Solstizio” sta a significare in latino “sole stazionario”, un chiaro riferimento all’apparente immobilità del Sole dopo un periodo (dal solstizio invernale a quello estivo) che lo ha visto invece aumentare la declinazione (e quindi l’altezza sull’orizzonte al momento del transito in meridiano) di ben 47 gradi..

Dall’esame delle date e dei tempi dei solstizi (vedi la tabella a sinistra) si può verificare che il fenomeno avviene quasi sempre il giorno 21, e ritarda poi di circa sei ore ogni anno (5 ore, 48 minuti e 46 secondi per la precisione).

In genere ogni quattro anni torna poi al 20 giugno, in conseguenza degli anni bisestili introdotti proprio per evitare un progressivo sfasamento delle stagioni con il calendario.

Per “vedere” con i propri occhi lo spostamento nel cielo del Sole, a una data ora, nell’arco di un anno, si può tentare di “costruire” un analemma solare. Un’immagine composta da più riprese del Sole, come questa qui sotto di Giuseppe Petricca, che su Coelum 197 vi spiega come fare.

Vedi tutte le immagini di Giuseppe Petricca su Photo-Coelum


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Nuove idee per l’espansione dell’Universo, va ripensato il ruolo dell’energia oscura?

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Il quadro teorico della fisica è sempre una storia avvincente da divulgare e sostanzialmente ogni giorno viene aggiunto un tassello: la ricerca pubblicata su Physical Review D da parte di Qingdi Wang, Zhen Zhu, e William G. Unruh dell’Università della British Columbia, ha fornito un quadro nettamente diverso dell’Universo e della sua espansione.

Nello spazio in cui viviamo infatti, zoommando il nostro Universo si dovrebbe assistere, secondo i ricercatori, a una fluttuazione quantistica oscillante e selvaggia da parte di ogni singolo punto, che si espande e contrae. I due effetti tenderebbero a un annichilamento che però, in scala macroscopica, avrebbe l’effetto di spingere l’Universo a espandersi, lentamente e con una velocità di accelerazione.
Gli astronomi si sono posti, sperimentalmente, il problema di questa accelerazione fin dal 1998: la spiegazione migliore è stata che lo spazio non può essere vuoto, ma deve essere permeato da un’energia oscura che “spinge via” letteralmente la materia, accelerando così l’espansione dell’Universo.

Abbiamo intervistato William G. Unruh, che ci spiega invece in modo molto semplice questa nuova e radicale ipotesi: «A noi lo spazio sembra essere praticamente statico, con cambiamenti in una scala di tempo dell’ordine di miliardi di anni». Il modello proposto invece: «sostiene che lo spazio cambi in una scala di tempo di un miliardesimo, di miliardesimo, di miliardesimo… di miliardesimo di secondo! Se non ancora più velocemente. Con un Universo che si espande e si contrae, in modo diverso da punto a punto, in questa scala di tempi». In questo modo, alla nostra scala spazio-tempo vediamo solo una media di questo ribollire selvaggio, che ce lo fa sembrare molto più tranquillo e i cui cambiamenti ci appaiono molto, molto più lenti.
Il lavoro pubblicato è una proposta per affrontare in modo nuovo un problema storico come quello della costante cosmologica e della sua incompatibilità con la “lenta” ma accelerata espansione osservata nell’universo.

La proposta del gruppo richiama il concetto di schiuma quantica di Wheeler: «Wheeler, nelle sue intuizioni di come dovrebbero essere lo spazio e il tempo in una scala così piccola, si avvicinò all’idea che la struttura delle distanze spazio-temporali dovesse essere incredibilmente caotica (higgledy-piggledy usando un suo termine)».

Lo spazio e il tempo dunque sembrano fluttuare, ma rimane difficile sentire il loro ondeggiare, dato che tutto questo avviene a una scala miliardi e miliardi di volte più piccola, anche rispetto alle dimensioni di un elettrone. A noi non resta che perderci in questo modello teorico che con un’idea brillante ci fa ondeggiare, quasi al ritmo delle onde, avvicinandoci alla stagione estiva e al cosmo.


Asteroidi pericolosi e Rischio da Impatto

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Addio a Giovanni Bignami

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Addio a Giovanni Bignami… ci piace immaginarlo ora tra quelle stelle che ha passato una vita a studiare e a far conoscere al grande pubblico di tutto il mondo.
Si è spento oggi, 25 maggio, a Madrid per un malore all’età di 73 anni.

La notizia, apparsa in rete questa mattina come un fulmine a ciel sereno e ben presto diffusa su tutti i canali social, è stata confermata dalla moglie Patrizia Caraveo, attuale direttrice dell’INAF Iasf di Milano, e Nichi D’Amico, presidente dell’INAF, Istituto Nazionale di Astrofisica.

«Si tratta di una grave e inaspettata perdita per la Comunità», commenta Nichi D’Amico, «un personaggio e un amico autorevole, un instancabile artefice di tanti successi dell’astrofisica italiana».

Giovanni Bignami, astrofisico e divulgatore di fama mondiale, attualmente era presidente del consiglio di amministrazione del progetto SKA. In precedenza aveva ricoperto il ruolo di presidente dell’ASI, dell’INAF e del COSPAR, il Comitato mondiale per la Ricerca Spaziale. Autore di numerosi libri, si è dedicato alla divulgazione scientifica, che lo ha fatto conoscere al grande pubblico grazie anche alla sua presenza in Superquark, la nota trasmissione RAI condotta da Piero Angela, dove, con parole semplici e alla portata di tutti, raccontava le meraviglie del nostro Cosmo.

Noto anche per le sue lunghe ricerche su Geminga, la prima stella di neutroni senza emissione radio a cui ha dato il nome, gli era stato dedicato l’asteroide 6852 Nannibignami scoperto nel 1985.

Sempre gentile e disponibile, esprimendo il nostro cordoglio alla famiglia, lo ricordiamo attraverso la lunga chiacchierata avuta in occasione della scoperta di Proxima b, il pianeta extrasolare più vicino alla Terra mai scoperto. Potete leggere gratuitamente l’intervista su Coelum Astronomia 204.


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Astronomiamo

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LocandinaCoelum
04/05: “incontri di astronomia” con l’astrofisico Luigi Mancini
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18/05: LIFT-OFF – le missioni planetarie sui pianeti interni
25/05: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
Dettagli: www.astronomiamo.it

Una notte per Giove – Maccarese (RM)

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sabato 3 giugno alle ore 20.30 alla Casa della Partecipazione a Maccarese in Via del Buttero, 10.

Una serata astronomica interamente dedicata al gigante Giove. In apertura una conferenza porterà i visitatori in un affascinante viaggio nelle meraviglie più nascoste del gigante del Sistema Solare, mostrandone dettagli impressionanti e spettacolari fenomeni.

Si parlerà anche della Missione Juno che sta rivelando ulteriori preziose informazioni su questo grande pianeta. A seguire con i telescopi del Gruppo Astrofili Palidoro sarà possibile ammirare con i propri occhi Giove e anche la Luna.

Dunque un’occasione da non perdere per grandi e piccini! L’ingresso è libero.

INFO: Tel. 3475010985 – info@astrofilipalidoro.it

Evento facebook


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C’è una nuova luna là nella fascia di Kuiper

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La luna scoperta attorno a 2007 OR10, indicata dalle frecce, nelle due immagini ottenute con la Wide Field Camera 3 di Hubble nel 2009 e nel 2010. Crediti: Nasa, Esa, C. Kiss (Konkoly Observatory), e J. Stansberry (Stsci)
La luna scoperta attorno a 2007 OR10, indicata dalle frecce, nelle due immagini ottenute con la Wide Field Camera 3 di Hubble nel 2009 e nel 2010. Crediti: Nasa, Esa, C. Kiss (Konkoly Observatory), e J. Stansberry (Stsci)

A insospettirli è stata la lentezza. Il grosso oggetto transnettuniano (225088) 2007 OR10 – ma si può dare un nome così al terzo più grande pianeta nano conosciuto? – impiega 45 ore per ruotare su se stesso. Troppe per un abitante della fascia di Kuiper: là da quelle parti – la distanza di 2007 OR10 dal Sole oscilla tra i 5 e i 15 miliardi di km – i giorni di solito corrono molto più in fretta. Più o meno come qui sulla Terra. «I periodi di rotazione caratteristici degli oggetti della fascia di Kuiper sono inferiori alle 24 ore», spiega il primo autore dello studio, Csaba Kiss, del Konkoly Observatory di Budapest. «Pensando che la lentezza potesse essere dovuta all’attrazione gravitazionale di una luna, ci siamo messi a guardare nell’archivio delle immagini di Hubble».

E ci hanno visto giusto. In due immagini raccolte, rispettivamente, il 6 novembre 2009 e il 18 settembre 2010, così deboli da essere sfuggite ai controlli effettuati all’epoca, ecco le tracce inequivocabili di un secondo corpo gravitazionalmente legato a 2007 OR10.

Per stimare le dimensioni dei due corpi celesti le sole immagini della Wide Field Camera 3 di Hubble non erano però adeguate. Kiss e colleghi sono stati costretti a fare ricorso a un altro telescopio spaziale, quello dell’Esa Herschel, le cui immagini nel lontano infrarosso hanno permesso di stabilire che 2007 OR10 ha un diametro superiore a 1500 km, mentre quello della luna dovrebbe essere compreso tra i 240 e i 400 km (237 stando alle sole misure di albedo).

I risultati, non del tutto inediti (la notizia era già circolata lo scorso anno) ma certo preziosi per ricostruire la dinamica delle collisioni in quella regione remotissima del Sistema solare, saranno pubblicati su The Astrophysical Journal Letters.

Per saperne di più:


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Accademia delle Stelle

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Maggio 2017I corsi hanno il patrocinio della UAI e si tengono presso la Sala Conferenze di San Gregorio Barbarigo a Roma EUR (di fronte alla metro Laurentina) il lunedì (Archeoastronomia) e il giovedì (Corso base) dalle 21 alle 22.30.
Sono previsti sconti per i soci UAI e i lettori di Coelum (chiedere Coupon).

Per informazioni: http://www.accademiadellestelle.com/corsi

Space Girls, Space Women

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Space Girls

Space GirlsDoppia mostra fotografica tra Milano e Roma su chi sogna il proprio futuro nello spazio e chi oggi contribuisce alla realizzazione dei programmi spaziali. A cura dell’Agenzia spaziale italiana e del Museo
nazionale scienza e tecnologia Leonardo da Vinci. In esposizione gli scatti realizzati in tutto il mondo, da Nairobi a Mosca, da Bangalore a Monaco, dal deserto di Atacama ai sobborghi di Smirne. Un team di sole fotografe ha ritratto 3 diverse generazioni di scienziate, ricercatrici, studentesse e appassionate in diversi contesti socio-economici. L’esibizione milanese sarà accompagnata da un pari allestimento a Roma nella sede Asi, una grande opera architettonica dalle forme spettacolari aperta alla contaminazione con le arti figurative, cinematografiche ed espositive che comprenderanno anche la prossima apertura di un museo permanente sullo spazio.

Leggi la presentazione Media INAF

La mostra milanese è inserita nel programma del Milano Photofestival 2017 e nel programma dell’iniziativa STEM in the City con il patrocinio del Comune di Milano. La visita è compresa nel biglietto d’ingresso al Museo.
www.museoscienza.orgwww.spacewomen.org

Una supernova luminosa in NGC 6946 a 100 anni dalla prima scoperta

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realizzata da Paolo Campaner con un riflettore 400mm F/5,5 Tempo di posa somma 15x75sec.
L'immagine di NGC 6946 con indicata la SN2017eaw, realizzata da Paolo Campaner con un riflettore 400mm F/5,5 Tempo di posa somma 15x75sec.

Sono passati esattamente 100 anni dalla prima supernova scoperta in NGC 6946, la SN1917A, e in questa stupenda galassia a spirale vista di faccia è stata individuata la decima supernova!

Mai nessuna galassia ha visto esplodere al suo interno un numero così elevato di supernovae conosciute. Questa nuova scoperta è stata realizzata nella notte del 14 maggio dall’astrofilo americano Patrick Wiggins (alla sua terza scoperta) con la supernova che splendeva di mag. +12,8.

NGC6946 di archivio realizzata da Marco Burali Osservatorio MTM con Takahashi RC 300 f7.8 + CCD FLI 1001E per Luminanza tempi di posa 300 minuti e per H-alfa 6nm 300 minuti, per il colore Takahashi TOA 150 f 5.8 + CCD G2 4000 filtri RGB 100+100+100 minuti. Aggiunto segnale supernova ottenuto con 30 minuti di posa con Takahashi TOA 150 f 5.8 + CCD G2 4000.

NGC6946, che si trova sul confine fra le costellazioni del Cefeo e del Cigno, a circa 20 milioni di anni luce da noi, è conosciuta anche con il nome di galassia “fuochi d’artificio”, sia perché nelle foto a colori sembra di essere davanti a uno stupendo gioco pirotecnico, ma anche grazie a questo elevato numero di esplosioni di supernovae verificatesi al suo interno. Non fa parte del catalogo di Messier, ma per vicinanza e bellezza estetica non ha niente da invidiare alle galassie che ne fanno parte.

Delle precedenti supernovae, oltre alla già citata SN1917A, che fra l’altro è stata scoperta da un certo Sig. George Ritchey, inventore del telescopio Ritchey-Chretien, abbiamo avuto la SN1939C, scoperta da un pioniere della ricerca professionale di supernovae, Fritz Zwicky che fu anche il primo a coniare il termine “supernova”. Poi sono venute la SN1948B, la SN1968D e la SN1969P, scoperta dall’astronomo italiano Leonida Rosino che è stato direttore dell’Osservatorio di Asiago (dopo la sua morte nel 1997, la Stazione Osservativa di Asiago Cima Ekar è stata intitolata alla sua memoria). Ancora la SN1980K, la supernova più luminosa esplosa in NGC 6946, di tipo IIL, che raggiunse la notevole magnitudine di +11,4. Seguirono la SN2002hh e la SN2004et, scoperta dall’astrofilo forlivese di origini toscane Stefano Moretti e la SN2008S.

Delle dieci supernovae nessuna sembra essere stata di tipo Ia (le più luminose). Usiamo il condizionale perché per tre di loro non è stato possibile ottenere lo spettro di conferma, ma la SN1917A, la SN1939C e la SN1969P a cui manca lo spettro, non hanno superato come luminosità la mag.+13. Come noto, invece, le supernovae di tipo Ia raggiungo tutte la stessa luminosità assoluta pari alla magnitudine –19,3; motivo per cui sono utilizzate per calcolare con precisione la distanza delle galassie che le ospitano. NGC6946 ha un modulo di distanza pari a 29 quindi una supernova di tipo Ia dovrebbe raggiungere la mag. +9,7 (29-19,3=9,7), ma nessuna delle dieci supernovae esplose in NGC6946 lo ha fatto.

Tornando alla SN2017eaw, così il nome assegnato all’attuale supernova, nella notte seguente la scoperta tre Osservatori professionali hanno ottenuto lo spettro di conferma. I primi sono stati i cinesi del Lulin Observatory in Taiwan con il telescopio di un metro di diametro, che sono riusciti nell’impresa anche se ostacolati da condizioni meteo sfavorevoli. A distanza di poche ore è arrivato il secondo spettro ripreso sempre da astronomi cinesi del Xinglong Station Observatory con il telescopio da 2,16 metri. Il terzo spettro è stato invece ripreso dall’Osservatorio Roque de los Muchacos a La Palma nelle isole Canarie con il moderno telescopio NOT Nordic Optical Telescope da 2,56 metri.

Un'altra ripresa di SN2017eaw realizzata da Adriano Valvasori in remoto dal New Messico con telescopio Dall-Kirkham 431mm F.4,5 e CCD FLI-PL6303E Tempi di posa 20x60sec. Anche in questo caso, l'immagine con la supernova e è stata poi sommata a un’immagine d’archivio a colori.

Grazie a questi spettri è stato possibile classificare la supernova di tipo II giovane che quasi sicuramente evolverà in una supernova di tipo IIP, nello spettro elaborato sono visibili le righe di idrogeno (H-alpha – 6563A, H-beta – 4861A), tipico di questo genere di supernovae. Al momento della scoperta si trovava quindi a circa una settimana prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano a una velocità di circa 14300 km/s.

Con galassie così vicine è spesso possibile individuare la stella progenitore della supernova. Purtroppo non è riuscito a individuarlo, nell’ottico, il telescopio spaziale Hubble ma ci è riuscito nell’infrarosso il telescopio spaziale Spitzer: il progenitore è una supergigante rossa con dimensioni iniziali pari a circa 13 masse solari. È stato quindi chiamato in campo il telescopio spaziale a raggi X Swift che ha osservato per due volte la supernova evidenziando un’emissione a raggi X in incremento fra la prima e la seconda osservazione. Emissioni che non sono state trovate nelle immagini d’archivio prese fra il 2001 e il 2012 dal telescopio Chandra (anch’esso nei raggi X).

Vista la notevole luminosità di questo transiente, si tratta infatti della supernova più luminosa del 2017 esplosa nell’emisfero settentrionale, è possibile effettuare riprese dello spettro anche con strumenti amatoriali. È sufficiente utilizzare un reticolo di diffrazione a trasmissione da 100 linee/mm (star analyzer) e un semplice programma di elaborazione (vedi articolo pubblicato online).

Anche se NGC6946 non fa parte del catalogo di Messier, questa è sicuramente una ghiotta occasione per immortalare una luminosa supernova, facile da individuare perché lontana dal nucleo, posta in una stupenda e fotogenica galassia a spirale.

➜ Leggi la rubrica dedicata alle ultime supernovae scoperte su Coelum astronomia 211 di maggio

➜ Per saperne di più sulle esplosive supernovae, cosa sono, come nascono e come si scoprono (soprattutto a livello amatoriale, con le esperienze dei protagonisti) leggi lo speciale su COELUM Astronomia di febbraio 2017


Kelt-11b, un pianeta leggero come il polistirolo

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Elaborazione artistica dell’esopianeta Kelt-11b, dalla densità particolare: sembra polistirolo. L’oggetto orbita attorno a una brillante stella. Crediti: Walter Robinson/Lehigh University
Elaborazione artistica dell’esopianeta Kelt-11b, dalla densità particolare: sembra polistirolo. L’oggetto orbita attorno a una brillante stella. Crediti: Walter Robinson/Lehigh University

Si trova a 320 anni luce dalla Terra e la sua densità è a dir poco particolare: sembra quella del polistirolo. Parliamo dell’esopianeta Kelt-11bscoperto nel 2016 attorno a una stella subgigante da alcuni ricercatori della Lehigh University. Ha un’atmosfera da record (la colonna di gas arriva fino a 2763 chilometri d’altezza dalla superficie), ed essendo relativamente vicino (si fa per dire!) al Sistema solare il pianeta è un ottimo candidato per cominciare a studiare le atmosfere degli oggetti extrasolari in cerca di tracce di vita. Kelt-11b è stato scoperto da Joshua Pepper con il telescopio Kilodegree Extremely Little Telescope (Kelt) tramite il metodo del transito. Kelt è composto da due telescopi robotici, North e South (rispettivamente in Arizona e in Sudafrica) che scandagliano il cielo notturno analizzando oltre 5 milioni di stelle.

Abbiamo detto “polistirolo”, ma cosa vuol dire? Gli esperti hanno notato che questo esopianeta sembra un “pallone gonfiato”, e non è un insulto… è la realtà: si tratta di uno dei pianeti più gonfi, più voluminosi e meno densi finora conosciuti. Il suo diametro è di circa il 40 per cento più grande rispetto a quello di Giove, ma ha solo un quinto della sua massa. La stella attorno a cui orbita l’esopianeta è estremamente luminosa, e ciò permette una misurazione precisa delle proprietà atmosferiche. Tali osservazioni aiuteranno gli astronomi a sviluppare in futuro strumenti per osservare i diversi tipi di gas presenti nelle atmosfere fuori il nostro sistema planetario.

La stella KELT-11 durante il transito. Crediti: Pepper et al., 2016.

Come Giove o Saturno, Kelt-11b è un grande pianeta gassoso che conclude un’orbita ogni 4,7 giorni (quindi è molto vicino alla sua stella madre). Il destino di questo pianeta di polistirolo, così estremo ed esotico, è segnato: Kelt-11 (cioè la stella in questione) ha iniziato la sua trasformazione in gigante rossa utilizzando parte del suo “carburante nucleare” e ciò porterà – nei prossimi 100 milioni di anni – alla scomparsa del pianeta, che verrà letteralmente inghiottito dalla stella senza possibilità di salvezza.

Alla scoperta del pianeta hanno contribuito numerosi scienziati provenienti da diversi enti sparsi per il mondo, ma anche una quarantina di citizen scientists, cioè scienziati amatoriali che hanno avuto accesso ai dati di Kelt-11. Futuri studi e osservazioni sul pianeta potrebbero fornire ulteriori informazioni sul meccanismo che provoca questo rigonfiamento in oggetti simili a Kelt-11b. La grande atmosfera del pianeta offre l’opportunità per sviluppare innovative tecniche di analisi delle sostanze chimiche che formano le atmosfere degli esopianeti per valutarne l’eventuale abitabilità.

Per saperne di più:


Ombre corte per Saturno

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Saturno, l'orologio solare più grande del nostro Sistema Solare. L'immagine è stata ripresa il 3 febbraio di quest'anno, da una distanza di circa 1,2 milioni di chilometri, e ha una risoluzione (nel formato originale) di 73 chilometri per pixel. Credit: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

È andato a buon fine anche il tuffo numero quattro delle 22 orbite previste del “Grand Finale” della sonda Cassini. Anche questa volta il segnale è arrivato, confermando che la sonda è passata indenne nel gap tra l’atmosfera di Saturno e il bordo interno degli anelli.

Durante questa quarta orbita sono state fatte misurazioni sulla gravità per poter risalire alla massa degli anelli di Saturno, ma per non perdere l’abitudine alle immagini spettacolari, approfittando di questo bel primo piano del pianeta e dei suoi anelli, la NASA ci parla invece dell’orologio solare più grande del Sistema Solare!.

Come in un orologio solare infatti, la proiezione dell’ombra di Saturno sugli anelli è sempre più corta man mano che la stagione avanza verso l’estate nell’emisfero nord, grazie all’inclinazione fissa del pianeta nel suo moto attorno al Sole. Questo fino al solstizio che cadrà il prossimo 25 maggio. A quel punto, l’ombra del pianeta si estenderà solo fino alla parte più interna dell’anello A, lasciando quella centrale e quella più esterna completamente libere dall’ombra.

L’immagine di apertura, ripresa in luce visibile, ci mostra il lato illuminato dal Sole degli anelli, che vediamo da una inclinazione di circa 10° rispetto al loro piano. Ma nel corso della missione, la sonda Cassini è stata testimone dell’allungamento dell’ombra di Saturno fino all’equinozio dell’agosto 2009. Da allora l’ombra ha cominciato e poi continuato ad accorciarsi.

Grazie alla longevità della missione, che in questi anni ci ha inviato sempre magnifiche immagini del Signore degli Anelli, possiamo vedere le stagioni che passano proprio come in una grande meridiana, confrontando le immagini di seguito, riprese da Cassini rispettivamente nel 2004, all’inizio della sua missione, all’equinozio nel 2009, due anni fa, nel 2015 e infine nell’immagine di apertura di inizio di quest’anno.

Tutte le news sul #GrandFinale della missione Cassini


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La stella del mattino incontra una falce di Luna calante

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Alle ore 5:00 troveremo il pianeta Venere, ben riconoscibile per la sua luminosità (mag. –4,4) in un bell’allineamento con una falce di Luna piuttosto sottile (fase 18%), posta a circa 6° e mezzo a est del pianeta.

A quell’ora i due astri si troveranno alti circa 10° sull’orizzonte est, nel cielo già chiaro per il crepuscolo mattutino. Con il passare dei minuti, all’avvicinarsi del sorgere del Sole (ore 5:46), il cielo diverrà via via più chiaro e  sarà molto difficile notare la presenza di Mercurio, a est, bassissimo sull’orizzonte e già perso nel chiarore dell’alba.

Poco dopo l’orario indicato sarà anche possibile osservare il passaggio della Stazione Spaziale Internazionale, che per i fortunati del Centro Italia passerà vicina al “triangolo estivo”, composto dalle brillanti Vega, Altair e Deneb. Più fotogenica di così?

Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Maggio

Leggi anche:

➜ La Luna di maggio. Un approfondito e interessante articolo alla scoperta del cratere Copernicus.

Scopri le costellazioni del cielo di maggio con la UAI


Tutti consigli per l’osservazione del cielo di maggio su Coelum Astronomia 211

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Astronomiamo

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Il buco nero supermassivo fuggiasco

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Qui sopra un'illustrazione artistica di questo curioso buco nero "scentrato"... nei due riquadri in alto invece due immagini reali: a sinistra l'immagine ottenuta dalle osservazioni del telescopio spaziale Hubble, che mostra due punti luminosi vicino al centro della galassia. Uno di loro si trova al centro della galassia e l'altro si trova a circa 3.000 anni luce dal centro. Il secondo mostra proprio le proprietà di un buco nero supermassivo in crescita e la sua posizione corrisponde a quella di una sorgente luminosa a raggi X rilevata con Chandra (nel riquadro di destra). Utilizzando poi i dati ottenuti dal telescopio SDSS e dal Keck delle Hawaii, gli astronomi hanno potuto determinare che il buco nero in crescita ha una velocità diversa dalla galassia. Da qui l'idea che si tratti di un buco nero supermassiccio in "ritirata". Crediti: Illustrazione: CXC/M. Weiss; Primo riquadro: NASA/STScI; Secondo riquadro: NASA/CXC/NRAO/D.-C. Kim.

In genere, se ne stanno al centro delle galassie che li ospitano. Divorando di tutto. Ma c’è un buco nero supermassiccio che si comporta in maniera anomala. Si muove, come se stesse scappando da qualcosa.

La brillante sorgente in raggi X, indicata con la sigla CXO J101527.2+6259, si trova visibilmente fuori dal centro della galassia elittica che la ospita. Grazie agli altri dati raccolti, che la identificano come un buco nero supermassivo in crescita, gli astronomi pernsano si tratti di un buco nero spinto via dal centro della sua galassia a causa di una collisione tra due galassie, o a qualche altro tipo di interazione. Una seconda ipotesi, meno plausibile secondo i ricercatori del team guidato da Dongchan Kim of the National Radio Astronomy Observatory (Charlottesville, Virginia) autori dello studio, lo vede come parte di un sistema binario al centro della galassia, in cui il secondo buco nero risulterebbe invisibile dal nostro punto di vista. Ma la galassia mostrerebbe segni di "distorsione" nella direzione di fuga, che andrebbero a favore della prima spiegazione. Crediti: NASA/CXC/NRAO/D.-C.Kim; Optical: NASA/STScI

Si trova in una galassia ellittica a circa 3,9 miliardi di anni luce dalla Terra e la sua massa è circa 160 milioni di volte quella del Sole. A osservarne lo strano comportamento, il telescopio spaziale a raggi X Chandra della NASA, coadiuvato da Hubble, che hanno passato in rassegna migliaia di galassie.

La galassia interessata, una volta individuata, è stata studiata anche dai telescopi Keck delle Hawaii. I risultati sono in corso di pubblicazione su The Astrophysical Journal, e già disponibili on line su arXiv.org.

Secondo gli astronomi, il movimento del buco nero potrebbe essere conseguenza di una collisione cosmica tra due galassie. Il protagonista di questo insolito spostamento, che gli esperti paragonano a un indietreggiare, si sarebbe formato dalla fusione tra i due buchi neri ospitati al centro delle galassie in collisione.

Una collisione che avrebbe sprigionato un’enorme energia, sotto forma di onde gravitazionali. E proprio queste onde avrebbero poi dato una spinta al buco nero, allontanandolo dal centro della galassia. Come mostrato nell’illustrazione realizzata dalla NASA.

Secondo gli studiosi, l’analisi dello spostamento del buco nero supermassiccio potrebbe fornire preziose indicazioni sulle proprietà di questi enigmatici oggetti.

Leggi anche

Speciale Onde Gravitazionali su Coelum Astronomia di marzo 2016

Buchi neri e materia oscura su Coelum Astronomia di aprile 2017


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Circolo Culturale Astrofili Trieste: La fine del pianeta Terra: come e quando?

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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco-Trieste. Inizio ore 18:30.

15.05: “La fine del pianeta Terra: come e quando?” di Fulvio Mancinelli.

Per informazioni e contatti: info@astrofilitrieste.it
www.astrofilitrieste.it

Nell’inferno di Loki Patera

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A huge area of Io's volcanic plains is shown in this Voyager 1 image mosaic. Numerous volcanic calderas and lava flows are visible here. Loki Patera, an active lava lake, is the large shield-shaped black feature. Heat emitted from Loki can be seen through telescopes all the way from Earth. These telescopic observations tell us that Loki has been active continuously (or at least every time astronomers have looked) since the Voyager 1 flyby in March 1979. The composition of Io's volcanic plains and lava flows has not been determined, but they could consist dominantly of sulfur with surface frosts of sulfur dioxide or of silicates (such as basalts) encrusted with sulfur and sulfur dioxide condensates. The bright whitish patches probably consist of freshly deposited SO2 frost. The black spots, including Loki, are probably hot sulfur lava, which may remain molten by intrusions of molten silicate magma, coming up from deeper within Io. The ultimate source of heat that keeps Io active is tidal frictional heating due to the continual flexure of Io by the gravity of Jupiter and Europa, another of Jupiter's satellites. Crediti: NASA/JPL/USGS
Un mosaico ottenuto dalle immagini della Voyager 1, mostra i numerosi vulcani dell’area in cui si trova il grande lago di lava chiamato Loki Patera. Lo si riconosce dalla scura forma a scudo, nella parte bassa dell’immagine.  Il calore emesso da Loki lo si può chiaramente vedere attraverso telescopi da Terra. Le osservazioni, fin dal passaggio ravvicinato della Voyager 1 nel 1979, ci dicono che Io è sempre stata una luna attiva dal punto di vista vulcanico, e queste zone hanno conitnuamente mostrato la loro attività. La composizione della zona non è stata ancora determinata, ma è probabile sia fortemente dominata da zolfo The composition of Io’s volcanic plains and lava flows has not been determined, but they could consist dominantly of sulfur with surface frosts of sulfur dioxide or of silicates (such as basalts) encrusted with sulfur and sulfur dioxide condensates. The bright whitish patches probably consist of freshly deposited SO2 frost. The black spots, including Loki, are probably hot sulfur lava, which may remain molten by intrusions of molten silicate magma, coming up from deeper within Io. The ultimate source of heat that keeps Io active is tidal frictional heating due to the continual flexure of Io by the gravity of Jupiter and Europa, another of Jupiter’s satellites. Crediti: NASA/JPL/USGS

Certe occasioni vanno prese al volo. Lo sanno bene anche gli astronomi che hanno sfruttato una rara occultazione di Io, uno dei satelliti del pianeta Giove, da parte di Europa, un’altra luna del gigante del Sistema solare. Il loro scopo era quello di osservare con il grande telescopio binoculare LBT (Large Binocular Telescope), in Arizona, un gigantesco lago di lava presente su Io, ma sono andati oltre, riuscendo perfino a identificare le sorgenti e i percorsi di due diverse onde di magma che formano e rinnovano la sua superficie.

Serie di immagini di Lbt nella banda dell’infrarosso termico che mostrano il passaggio di Europa, luna di Giove, davanti a Io, un’altro tra i maggiori satelliti naturali del pianeta. Il vulcano Loki Patera è la macchia brillante nella zona superiore del disco. Europa appare scura perché il ghiaccio d’acqua che ricopre la sua superficie assorbe gran parte della luce solare in quella banda di radiazione. Crediti: Large Binocular Telescope Observatory

I ricercatori hanno sfruttato questo il fenomeno astronomico, avvenuto l’8 marzo del 2015, osservandolo nella banda dell’infrarosso “termico”: a quelle lunghezze d’onda Io risulta molto più brillante di Europa, che appare come un disco scuro in transito davanti ad esso. Questo perché Europa è molto più fredda essendo coperta da una spessa coltre di ghiacci. Questo contrasto nella radiazione emessa dai due corpi celesti ha consentito di identificare con precisione il segnale emesso dal magma incandescente presente sulla superficie di Io, molto intenso in quella banda di radiazione. Questa fortunata combinazione ha imposto al team una programmazione delle osservazioni al limite delle capacità tecniche del telescopio: nel passaggio di Europa davanti ad Io, il vulcano Loki Patera scelto per lo studio sarebbe stato interessato dall’occultazione in un arco di tempo di appena 10 secondi. Per ottenere una mappa accurata della zona, Lbt ha raccolto una raffica di immagini di Io ad intervalli di meno di 15 centesimi di secondo tra l’una e l’altra.

Il mix tra le imponenti dimensioni degli specchi principali di Lbt, da 8,4 metri di diametro ciascuno, il suo sofisticato sistema di ottica adattiva, che ha drasticamente ridotto gli effetti negativi della turbolenza dell’atmosfera terrestre sulla qualità delle riprese, e un raffinato sistema di elaborazione dei segnali raccolti ha così permesso agli scienziati di scoprire che temperatura del materiale che ricopre il Loki Patera aumenta progressivamente tra un estremo e l’altro della regione.

Suggerendo così che si siano verificate una serie di eruzioni che hanno rinnovato e stratificato la crosta della caldera. Questi poderosi moti avrebbero innescato delle vere e proprie onde che si sono propagate con una velocità di circa uno e due chilometri al giorno.

Katherine de Kleer. Crediti: Università della California a Berkeley (USA)

«Se immaginiamo Loki Patera come un lago di lava, esso supera di più di un milione di volte quelli che sono presenti qui sulla Terra» dice Katherine de Kleer, giovane ricercatrice dell’Universita della California a Berkeley (Usa), prima autrice dello studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Nature. «In questa regione, porzioni di crosta fredda sprofondano, portando alla luce magma incandescente che è assai luminoso nell’infrarosso».

Io e la sua poderosa attività vulcanica erano stati già studiati, sempre con il telescopio Lbt, di cui l’Italia con l’Inaf è uno dei partner, da un gruppo di scienziati tra cui Carmelo Arcidiacono, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica a Bologna, al quale abbiamo chiesto un commento.

«Nel 2014 è iniziata una campagna di monitoraggio del vulcanismo di Io, diventando il target preferito per le osservazioni interferometriche di Lbt» ricorda Arcidiacono. «Già nel 2015 abbiamo pubblicato il primo articolo di Lbt sull’attività eruttiva nel Loki Patera, il più potente vulcano attivo nel nostro Sistema solare. Nel marzo 2015 si presentò la rara occasione di osservare il passaggio del disco freddo e scuro di Europa di fronte al brillante Io. Questa eclisse ha permesso di ottenere dettagli fino a 2 km della struttura della caldera, grazie all’alta risoluzione data dall’interferometria su Lbt e acquisendo 8 immagini al secondo. Così de Kleer e il suo team hanno dedotto la presenza di due sorgenti eruttive che, seppur vicine, hanno composizione delle lave differenti».

Guarda il servizio su Media Inaf Tv:


 

La Nebulosa Granchio… destrutturata

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This composite image of the Crab Nebula, a supernova remnant, was assembled by combining data from five telescopes spanning nearly the entire breadth of the electromagnetic spectrum: the Karl G. Jansky Very Large Array, the Spitzer Space Telescope, the Hubble Space Telescope, the XMM-Newton Observatory, and the Chandra X-ray Observatory. Feature: Observatories Combine to Crack Open the Crab Nebula Image Credit: NASA, ESA, NRAO/AUI/NSF and G. Dubner (University of Buenos Aires)
…e dopo averla destrutturata l’hanno ricomposta in questa meravigliosa immagine ricchissima di dettagli della Crab Nebula, la Nebulosa Granchio (per le immagini ad alta risoluzione vedi http://hubblesite.org/images/news/release/2017-21 ). I dati per ottenere questa immagine vengono da cinque diversi telescopi, che osservano il cielo coprendo quasi l’intera ampiezza dello spettro elettromagnetico: dalle onde radio del Karl G. Jansky Very Large Array, all’infrarosso dello Spitzer Space Telescope, dalla luce visibile di Hubble, all’ultravioletto del XMM-Newton Observatory, ai raggi X di Chandra. Crediti: NASA, ESA, NRAO/AUI/NSF and G. Dubner (University of Buenos Aires)

Come novelli chef con la più classica delle ricette,  i team di cinque diversi Osservatori, che con le loro lunghezze d’onda osservate ricoprono la quasi totalità dello spettro elettromagnetico, hanno destrutturato in tutti i suoi aspetti uno dei più famosi resti di supernova del nostro cielo: la Nebulosa Granchio. Successivamente hanno poi ricomposto i singoli elementi per dare vita a una nuova splendida immagine ricchissima di dettagli.

Nell’estate del 1054 d.C., gli astronomi cinesi hanno avuto il privilegio di osservare una nuova “stella”, che è apparsa nel cielo sei volte più luminosa di Venere. Così brillante, si potè vedere durante il giorno per diversi mesi. Mezzo mondo più in là, i nativi americani ce ne hanno fatto avere testimonianza attraverso pittogrammi di una mezzaluna con una stella luminosa vicina, che alcuni pensano possa essere proprio la supernova.

La posizione della Nebulosa Granchio (M1 del Catalogo Messier) nella costellazione del Toro. cliccare per ingrandire. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Questa “guest star” è stata dimenticata fino a 700 anni dopo, quando, con l’avvento dei telescopi, gli astronomi poterono vedere questa nebulosa tentacolata proprio al posto della stella svanita e la chiamarono la Nebulosa Granchio. La nebulosa, oltretutto, è anche il resto di supernova più cospicuo conosciuto e fu proprio la presenza di questo oggetto a dare il via alla compilazione del Catalogo Messier, in cui viene riportata proprio con la sigla M1.

Oggi ormai sappiamo che si tratta del residuo gassoso in espansione da una stella che è esplosa come una supernova, a 6500 anni luce da noi, e che si è illuminata della luce di 400 milioni di soli! Alla fine degli anni Sessanta, gli astronomi hanno poi rivelato il cuore schiacciato della stella condannata: una stella di neutroni ultra densa che come una dinamo alimenta l’intenso campo magnetico e le radiazioni che illuminano la nebulosa. Emettendo forti emissioni praticamente nell’intero spettro, abbiamo quindi la possibilità di studiare la Nebulosa Granchio attraverso una vasta gamma di radiazioni elettromagnetiche: dai raggi X alle onde radio.

Le immagini della nebulosa nelle cinque diverse bande dello spettro elettromagnetico, da sinistra: radio, infrarosso, luce visibile, ultravioletto, raggi X (cliccare sull

L’immagine composita in apertura mostra proprio la complessità dell’aspetto torturato di questo residuo di supernova, combinando i dati di cinque differenti telescopi che lavorano in cinque differenti bande dello spettro elettromagnetico.

Qui sopra e nel video sotto vediamo anche le singole immagini nelle differenti lunghezze d’onda, che rivelano diversi aspetti della Nebulosa.

Il Karl G. Jansky Very Large Array (VLA), nelle onde radio in rosso, mostra come un feroce “vento” di particelle caricate dalla stella di neutroni ha alimentato la nebulosa, causando l’emissione di onde radio.

Suggestiva l’immagine a raggi X ottenuta da Chandra che mostra la struttura delle emissioni ad alta energia della pulsar al centro della nebulosa, conosciuta anche con le sigle PSR B0531+21 o PSR J0534+2200. Crediti: CXC.

Il Telescopio spaziale Spitzer nell’infrarosso ci mostra un’immagine color giallo dovuta al bagliore delle particelle di polvere, che assorbono la luce ultravioletta e visibile. Luce visibile che, grazie al Telescopio spaziale Hubble (in verde) offre una visione molto nitida delle calde strutture filamentose che permeano questa nebulosa.

Infine l’immagine ultravioletta in colore azzurro del XMM-Newton e l’immagine a raggi X in color violaceo del Chandra X-ray Observatory, mostrano l’effetto di una nube di elettroni ad alta energia diffusa dalla rapida rotazione della stella di neutroni al centro della nebulosa.

Le nuove osservazioni di VLA, Hubble e Chandra sono state fatte quasi contemporaneamente nel novembre del 2012. Un team di scienziati guidati da Gloria Dubner dell’Istituto di Astronomia e Fisica (IAFE), il Consiglio Nazionale di Ricerca Scientifica (CONICET) e l’Università di Buenos Aires in Argentina, hanno poi fatto un’analisi dei nuovi dettagli ottenuti per approfondire le conoscenze della complessa fisica dell’oggetto. I risultati saranno pubblicati nel Journal Astrophysical.

In conclusione, dalle parole di Gloria Dubner: «Confrontando queste nuove immagini, fatte a diverse lunghezze d’onda, possiamo ottenere una ricchezza incredibile di nuovi dettagli sulla Nebulosa Granchio, che nonostante sia stata studiata a fondo per molti anni, ha ancora molto da insegnarci».

Per saperne di più

Coelum Astronomia 208: Esplosive Supernovae!  Numero dedicato alla ricerca professionale e amatoriale di e sulle Supernovae. Cosa sono, quante ne sono esplose o ne potranno esplodere nei nostri dintorni, la fisica e i racconti dei protagonisti. In formato digitale e gratuito.

L’astronomia ebraica medievale nel Sefer Youhasin Per uno storico dell’astronomia il 1054 è l’anno della supernova nel Toro. Può l’autore del Sefer aver visto l’apparizione di questo nuovo astro ed averlo interpretato come un eccezionale segno divino, tanto da averlo indotto ad accelerare il lavoro?

Anno 1054: la supernova che divise la cristianità Una rivisitazione della datazione della comparsa della supernova per avanzare un’ipotesi sulle ragioni della mancanza di registrazioni dell’evento da parte degli osservatori europei.


Dalle profondità dello Spazio… i Raggi Cosmici!

 

#Cassini. Nuvoloni estivi su Titano

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Qui sopra due versioni della stessa immagine delle nubi estive di Titano, la prima (da sinistra fig. A) con maggior contrasto per sottolineare le formazioni visibili, e la seconda con  un’elaborazione più morbida e realistica. L’immagine è stata scattata il 7 maggio 2017, a una distanza di 508.000 chilometri. La vista è una proiezione ortografica centrata su 57°N di latitudine, 48°O di longitudine. La risoluzione è di circa 3 chilometri per pixel. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

L’estate si avvicina nell’emisfero settentrionale di Titano, la luna di Saturno che ha aiutato Cassini a inserirsi nelle ultime orbite del suo Grand Finale.
Pur non essendo più target principale di quest’ultima fase della missione, la sonda continua però a tenerla d’occhio da lontano, monitorando i cambiamenti della sua atmosfera… Queste immagini sono state ottenute mentre la sonda viaggiava nella sua orbita, in tuffo tra anelli e atmosfera del pianeta, il giorno dopo l’attraversamento del piano degli anelli del 6 maggio, quando si trovava a circa 500 mila chilometri dalla superficie della luna.

Le regioni oscure sono i ben noti laghi e mari di idrocarburi di Titano, ma saltano subito all’occhio le luminose nuvole di metano della sua alta atmosfera.

Con queste immagini, infatti, Cassini ci anticipa l’aumento dell’attività delle nuvole estive che appaiono alle alte latitudini settentrionali. Un’attività però particolarmente intensa, a solo un paio di settimane di distanza dal solstizio estivo, che si mostra come un’intrigante esplosione di formazioni nuvolose.

Si tratta infatti di alcune tra le più luminose ed estese nubi mai osservate da Cassini, da quando sono riapparse a inizio del 2016.

L’immagine è stata ripresa il 7 maggio, da una distanza dalla luna di 500 mila chilometri. Si tratta di una proiezione ortografica centrata a 37,5°N di latitudine e 45°O di longitudine. La visione orotografica è quanto di più vicino a ciò che potrebbe vedere un osservatore lontano. L’immagine ha una risoluzione di circa 3 km/px. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Nell’immagine a destra un altro scatto alle nubi di Titano, dove sono visibili le tre formazioni principali: la formazione più a sud si trova tra i 30° e i 38° di latitudine nord, una zona in cui non erano mai state osservate nubi fin’ora. Una più sottile e evanescente formazione si trova in una zona in cui invece le nubi sono state osservate abbastanza regolarmente nel corso dell’ultimo anno, tra i 44° e i 50° di latitudine nord. E per finire una nuova terza e più robusta formazione è visibile tra i 52° e i 59° gradi.

Si possono poi notare alcune strisce sottili di nubi isolate, sia al di sopra delle tre formazioni principali (vicino al bordo meridionale del terreno polare nord, a circa Lat. 63°N ) che al di sotto (a soli 23°N).

Subito sotto al centro, appena sopra le oscure dunelands equatoriali, si fa notare invece una più piccola formazione scura,  una sorta di macchia scura che sfuma verso nordest: è chiamata Omacatl Macula, ed è probabilmente una regione di polvere scura organizzata in parte in dune (cliccare qui per una mappa in pdf con la nomenclatura delle formazioni di Titano).

Cassini continua il suo viaggio alla scoperta della zona interna tra gli anelli e l’atmosfera del pianeta, ma non senza guardarsi attorno, raccogliendo più dati possibili per questo suo finale di missione.
Il prossimo “tuffo” inizia, dal punto più lontano dell’orbita da Saturno, il 12 maggio, e il passaggio ravvicinato tra anelli e pianeta è previsto per le 18:42 (ora italiana) del 15 maggio.

Per saperne di più

Ulteriori informazioni sul “Grand Finale”, tra cui immagini e video, sono disponibili all’indirizzo: https://saturn.jpl.nasa.gov/grandfinale

Tutte le date e gli orari delle prossime orbite

Tutti gli articoli su Coelum Astronomia dedicati al “Grand Finale” e le straordinarie immagini


 

Congiunzione Luna – Saturno

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Ecco come apparirà, la congiunzione tra Luna e Saturno nella notte tra il 13 e il 14 maggio. Per esigenze grafiche la Luna non è in scala ma è stata ingrandita.

Il 14 maggio, alle 0:00, troveremo Saturno (mag. +0,2) e la Luna all’inizio della fase calante (fase 92%) in un abbraccio ravvicinato tra le stelle del Sagittario, a un’altezza di circa 10° sull’orizzonte sudest.

I due astri saranno a una distanza reciproca di circa 2° e mezzo, con il pianeta posto a sudest della Luna.

A est della Luna sarà osservabile, attraverso almeno un binocolo 10×50, l’ammasso stellare aperto M 23, con un diametro apparente poco minore di quello della Luna, a patto di osservare sotto un cielo molto limpido e trasparente.

Si potrà tentare una ripresa a grande campo, tenendo però presente che la grande differenza di luminosità tra la Luna, Saturno e M 23, renderà l’impresa assai ardua.


Tutti consigli per l’osservazione del cielo di maggio su Coelum Astronomia 211

 

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