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Le Costellazioni di Febbraio 2024

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COSTELLAZIONI DI FEBBRAIO 2024

I GEMELLI NEL CIELO DI FEBBRAIO

La costellazione boreale dei Gemelli transita al meridiano proprio nel mese di febbraio ed è protagonista della stagione invernale con le sue stelle principali Castore e Polluce, che rappresentano le teste dei due gemelli zodiacali; la costellazione ci accompagna per tutta la notte, splendendo alta in direzione Sud-Ovest e tramontando infine poco prima dell’alba.

CASTORE E POLLUCE: GEMELLI DIVERSI

Un po’ controversa è la classificazione delle due stelle alfa e beta della costellazione: benché Polluce sia più brillante – tanto da occupare il 17° posto nella lista delle 20 stelle più luminose del cielo notturno – è Castore la stella alfa della costellazione. Gemelli diversi stando alle loro sostanziali differenze e considerando i 10 anni luce che li separano.

Fin dalla mitologia è sempre Castore ad essere nominato prima di Polluce e anche l’autore del primo atlante celeste, Johann Bayer, decise di assegnare il ruolo di stella alfa dei Gemelli proprio a Castore, “rifilando” così il posto di stella beta a Polluce, eterno secondo tra i due fratelli.

Castore (α Geminorum) ha una magnitudine di 1,6 e dista circa 52 anni luce da noi; l’astro è composto da 3 coppie di stelle aventi una complessa interazione gravitazionale tra di loro.

Polluce (β Geminorum) è una gigante di colore arancione avente magnitudine 1,15; è situata a circa 34 anni luce da noi e si classifica come la gigante a noi più vicina.

Polluce in realtà è secondo solo sulla carta; il gemello dello Zodiaco, oltre a essere rivestito di maggior luce, si è preso nel tempo le sue rivincite: si tratta infatti di una delle poche stelle visibili attorno a cui ruota un pianeta.

Circa dieci anni fa è stato scoperto un pianeta gigante gassoso simile a Giove, che compie un’orbita completa attorno alla sua stella in 590 giorni, a cui è stato dato il nome di Polluce b.

Nella costellazione dei Gemelli si trovano anche altre stelle molto più luminose di Castore e Polluce, ma più distanti quindi meno brillanti, come Alhena e Mebsuta. La prima è una stella subgigante bianca di magnitudine 1,93 distante 105 anni luce da noi; la seconda è una supergigante gialla di magnitudine assoluta – 4,15 distante circa 903 anni luce da noi.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI

Nella costellazione sono collocati diversi oggetti del profondo cielo come l’ammasso aperto M35, l’ammasso più brillante della costellazione dei Gemelli, già visibile attraverso un binocolo. Vi sono poi  gli ammassi aperti IC 2157 e NGC 2158 e la bellissima Nebulosa Medusa (IC 443), un resto di supernova esploso in un periodo tra i 3.000 e i 30.000 anni fa.

Nebulosa Medusa in PhotoCoelum di Riccardo Sgaramella

Un altro intrigante oggetto nella costellazione dei Gemelli è la Nebulosa Eschimese, o NGC 2392, una nebulosa planetaria scoperta nel 1787 dal celebre astronomo William Herschel; anche in questo caso il Telescopio Spaziale Hubble è stato in grado di restituirci immagini davvero affascinanti di questo oggetto, che sembra ricordare la testa di una persona circondata dal cappuccio di un parka, ma è giusto sottolineare che, a partire dal 1 agosto 2020, la NASA non si riferisce più alla nebulosa NGC 2392 come alla “Nebulosa Eschimese”, poiché può essere considerato un termine insensibile e offensivo.

NGC 2392 Nebulosa Eskimo – HA-OIII-RGB: HA 41x6min, OIII 38x6min, R 40x3min, G 45x3min, B 36x3min.
Acquisizione: MaximDL5 – Calibrata con Dark, Bias e Flat di Cristina Cellini

 

IMMAGINE NEBULOSA ESCHIMESE – CREDITI: NASA, ESA, A. Fruchter, and the ERO Team [S. Baggett (STScI), R. Hook (ST-ECF), Z. Levay (STScI)]

I GEMELLI NELLA MITOLOGIA

I due gemelli per antonomasia sono protagonisti di varie pagine di mitologia greca: al centro delle vicende c’è sempre Zeus, il padre degli dei e inguaribile seduttore.

Quando una donna diventava oggetto delle sue brame, Zeus era disposto a tutto e spesso ricorreva al metodo delle metamorfosi in animali.

Avendo perso la testa per Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, si trasformò in cigno e la possedette mentre la giovane donna passeggiava sulle rive del fiume; dall’uovo concepito (anzi, presumibilmente due uova) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché Leda quella stessa notte giacque con suo marito il re Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità e quindi divinità dei gemelli.

Furono così attribuiti a Zeus i gemelli immortali Polluce ed Elena (di Troia), mentre Tindaro assunse la mortale paternità di Castore e Clitennestra.

Nonostante questa assegnazione, Castore e Polluce furono appellati sia come Dioscuri (cioè figli di Zeus) sia come Tindaridi (figli di Tindaro).

Castore era un grande domatore di cavalli, mentre Polluce era un pugile formidabile. Entrambi nutrivano un forte sentimento fraterno l’uno per l’altro ed erano inseparabili: sempre insieme presero anche parte alla famosa spedizione degli Argonauti e, tra le tante avventure, sfidarono persino Teseo.

Ma ci furono degli eventi fatali che li videro coinvolti a un’altra coppia di gemelli, per storie di donne e bestiame: i fratelli Ida e Linceo. In un duello fu Castore ad avere la peggio e Polluce, unico sopravvissuto, dilaniato dal dolore per la morte del suo amato fratello, implorò suo padre Zeus affinché potesse lasciare la Terra insieme a lui. Zeus, impietosito, concesse quindi a Polluce di poter condividere con Castore un abbraccio eterno impresso sul manto celeste nell’omonima costellazione.

LA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE

Un’altra menzione d’onore nel cielo di febbraio è per la costellazione del Cane Maggiore, noto per la sua scintillante stella alfa: Sirio.

Nonostante si tratti di una costellazione poco appariscente, il Cane Maggiore è facilmente individuabile partendo dalla cintura di Orione e tracciando una linea verso Sud-Est che conduce direttamente a Sirio. Questo astro, insieme a Betelgeuse e Procione, va a costituire uno dei vertici del Triangolo Invernale.

Mirzam, Adhara, Wezen, Aludra, Furud sono stelle blu e supergiganti blu che compongono la costellazione del Cane Maggiore che ci appaiono meno luminose rispetto alla stella alfa poiché più distanti.

SIRIO E IL SUO SISTEMA BINARIO

Sirio si trova a soli 8,6 anni luce da noi e con il suo intenso bagliore bianco-azzurro, freddo e scintillante, e la sua magnitudine apparente di -1,47, illumina le notti dell’inverno boreale: si tratta di una stella bianca con una massa 2,1 volte quella del Sole e una luminosità 25 volte superiore.

L’astro è in realtà un sistema binario: attorno alla componente principale, Sirio A, orbita una nana bianca di nome Sirio B che compie una rivoluzione attorno alla componente primaria ogni 50 anni.

Sirio B tra i raggi di Sirio da PhotoCoelum – Celeberrima nana bianca compagna di Sirio, è famigerata tra gli astrofili per la proverbiale difficoltà con cui la si può scorgere. Crediti Paolo Colona

 

Sirio A e Sirio B due compagne inseparabili da PhotoCoelum – In questa ripresa effettuata la mattina del 28 ottobre 2020 Sirio fotografata al fuoco diretto con un Celestron C11 e Zwo Asi 224MC – Crediti Fabrizio Guasconi

Osservare e immortalare Sirio B è un’impresa ardua ma non impossibile, a patto che si disponga di una buona attrezzatura e di tanta pazienza! La difficoltà è data dall’ importante luminosità della stella principale che prevarica sulla più debole componente secondaria, condizione che genera non pochi ostacoli al tentativo di isolare la nana bianca.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE

Trovandosi in una porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, la costellazione del Cane Maggiore ospita interessanti oggetti del cielo profondo.

Uno di questi è M41, un ammasso aperto posto a più di 2000 anni luce dalla Terra e con una magnitudine di 4,5; in condizioni ottimali di visibilità e osservando sotto cieli bui e privi di inquinamento luminoso, l’oggetto può essere individuato anche ad occhio nudo, mentre osservando con un binocolo sarà possibile scorgere molte più stelle tra quelle che compongono l’ammasso.

Altri oggetti situati nella costellazione sono ammassi aperti, nebulose e galassie: con l’utilizzo di telescopi e tecniche fotografiche a lunghe esposizioni, è possibile catturare NGC 2362, NGC 2354, NGC 2359, la Nebulosa Gabbiano, le galassie NGC 2217 e NGC 2280 oltre alla Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore, una galassia satellite vicina alla Via Lattea.

La Nebulosa Gabbiano (conosciuta anche come Gum 2 talvolta erroneamente nota con la sigla IC 2177) – da PhotoCoelum Crediti Giuseppe De Pace
La Nebulosa Gabbiano (Gum 2) in Hubble palette (SHO) da PhotoCoelum – di Tommaso Stella

Affascinante oggetto presente nella costellazione è certamente quello costituito dalle galassie interagenti NGC 2207 e IC 2163.

IMMAGINE GALASSIE INTERAGENTI NGC 2207 e IC 2163 – CREDITI: NASA e Hubble Heritage Team (STScI)

 

L’immagine, catturata dal Telescopio Spaziale Hubble, ci mostra uno straordinario intreccio di galassie di cui la più grande e massiccia sulla sinistra è catalogata come NGC 2207, mentre quella più piccola sulla destra è IC 2163. Le forti forze mareali provenienti da NGC 2207 hanno distorto la forma di IC 2163, scagliando stelle e gas in lunghi filamenti che si estendono verso l’esterno. Si ritiene che tra miliardi di annisi fonderanno in un’unica galassia più massiccia.

IL CANE MAGGIORE NELLA MITOLOGIA

La mitologia si riferisce al Cane Maggiore come a uno dei fedeli cani da caccia di Orione.

Sirio, stella principale, trova riferimento nel mito greco, secondo cui il suo sorgere all’alba indicava l’arrivo dei giorni più roventi dell’estate, della canicola: i Giorni del Cane per l’appunto.

«Abbaiando lancia fiamme e raddoppia il caldo ardente del Sole» scrisse Manilio, «la torrida Stella del Cane spacca i campi» narrava Virgilio nelle Georgiche; insomma a Sirio e quindi alla costellazione del Cane Maggiore, veniva attribuita la colpa del caldo torrido che infuocava i campi, rinsecchendo i raccolti.

 

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Messaggio agli alieni: “Venite a Lexington”

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VisitLEX's tourism campaign. . PHOTO: VISITLEX
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Venite a Lexington

Messaggio agli alieni: “Venite a Lexington, abbiamo cavalli e bourbon”. Il Kentucky sceglie lo spot spaziale

 

Venite a Lexington, abbiamo cavalli e bourbon. Solo una cosa: per favore, non mangiateci”.

Dalla città di Lexington,nel Kentucky, è stato inviato un messaggio tramite laser all’esosistema TRAPPIST-1, a 40 anni luce dalla Terra. Non si tratta di una ufficiale iniziativa NASA, bensì quella del locale sindaco.

È stato posizionato un potente raggio laser presso il Kentucky Horse Park puntato verso il sistema TRAPPIST-1, nella direzione dell’Aquario. L’impulso del laser si trasforma in un’immagine che include alcuni numeri primi, include inoltre la tavola periodica con gli elementi essenziali per la vita terrestre contrassegnati, diagrammi di alcune delle nostre molecole preferite e un invito a visitare Lexington. Tutto questo è confezionato in un Bitmap, seguito da scene e musica del Kentucky. Il sito web di Lexinton mostra un conto alla rovescia dei giorni e persino dei minuti fino a quando il messaggio raggiungerà la sua destinazione.

Dato che le distanze sono quello che sono , ammesso che qualche abitante dei pianeti di TRAPPIST  1 sia attratto dal messaggio, potenzialmente le prime prenotazioni potrebbero essere fatte in meno di 80 anni.

Il sindaco di Lexinton ci spera, noi invece sorridiamo perché il Carnevale si avvicina.

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Una doppia detonazione per una singola supernova

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Esplosione di supernova. Crediti: ASA, ESA, N. Smith (University of Arizona) and J. Morse (BoldlyGo Institute).
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Le supernovae di tipo Ia (SNe Ia), altrimenti dette supernovae termonucleari, si configurano come esplosioni di stelle nane bianche composte principalmente da carbonio e ossigeno e facenti parte di sistemi binari interagenti. L’interazione con la stella compagna, necessaria per l’innesco dell’esplosione, può avvenire in due modi distinti. Nello scenario “single degenerate” una nana bianca strappa idrogeno ed elio dagli strati più esterni della compagna e accresce massa fino ad avviare un bruciamento nucleare esplosivo che può coinvolgere o una sola o entrambe le stelle, seguendo rispettivamente i meccanismi di detonazione ritardata o doppia. Nello scenario “double degenerate”, invece, due nane bianche si scontrano e fondono insieme, provocando l’esplosione dell’intero sistema. Inoltre, diversamente dalle supernovae di tipo II (SNe II), derivanti dal collasso gravitazionale del nucleo di stelle massicce, le SNe Ia non lasciano resti stellari e hanno dunque carattere completamente distruttivo.

In un recente studio condotto dall’ HITS in Germania e dallo Sternberg Astronomical Institute in Russia, è stata presa in esame la fusione di un sistema binario formato da una nana bianca di carbonio-ossigeno e dal nucleo degenere di elio di una gigante rossa che ha avuto esito in una SN Ia secondo lo scenario “single degenerate” con doppia detonazione. La fusione è avvenuta durante la fase di inviluppo comune, in cui le due stelle, ormai evolute, si avvicinano l’una all’altra a seguito della loro interazione fino ad entrare in un unico “guscio” contenente idrogeno che non riescono ad espellere: pertanto, alla fine del processo, l’inviluppo rimane ancora gravitazionalmente legato al prodotto della fusione. Il fatto che la nana bianca esploda all’interno di un inviluppo comune ricco di idrogeno con una doppia detonazione, la prima dell’elio acquisito dal nucleo degenere della compagna e la seconda del carbonio-ossigeno nel suo stesso nucleo, ha un notevole impatto sulle proprietà osservate della corrispondente SN Ia.

Per determinare tali proprietà, i ricercatori hanno simulato la fase idrodinamica del prodotto della fusione delle due stelle utilizzando il codice Arepo, per poi aggiungere le informazioni sulla doppia detonazione ottenute dalle simulazioni dell’evoluzione del nucleo degenere di elio con il codice MESA. Infine, essi hanno analizzato il trasporto radiativo connesso alla propagazione del fronte d’onda esplosivo con il codice STELLA, che ha permesso di ricavare la curva di luce indicante l’andamento della luminosità della SN Ia nel tempo. La curva di luce predetta mostra un plateau (i.e., tratto piatto) lungo 40 giorni molto simile a quello tipico delle SNe IIP, una particolare classe di SNe core-collapse aventi come progenitori stelle super giganti rosse che presentano anch’esse un inviluppo ricco d’idrogeno al momento dell’esplosione. Esempi di tali SNe disponibili in letteratura sono SN 2004dy, SN 2005af, SN 2005hd, SN 2007aa e SN 2008bu, i cui spettri, al contrario di quello della SN Ia con doppia detonazione considerata, sono contraddistinti da prominenti righe spettrali dell’idrogeno: questa la principale differenza tra i due tipi di SNe. Tuttavia, ci si aspetta che le differenze diventino più marcate dopo il plateau della curva di luce, ovvero dopo 40 giorni dall’esplosione.

Curve di luce dei modelli di SN Ia con doppia detonazione (linee solide e
linea tratteggiata) confrontate con quelle delle SNe IIP osservate (simboli).
La somiglianza tra in due gruppi è evidente soprattutto nel primo tratto
della curva, al di sotto dei 40 giorni. Crediti: arXiv .

Questa indagine teorica porta allora a concludere che le SNe Ia rientranti nello scenario “single degenerate” con detonazione sia dell’elio sia del carbonio-ossigeno sono assimilabili alle SNe IIP dal punto di vista osservativo, eccezion fatta per l’assenza di righe dell’idrogeno molto pronunciate nei loro spettri. Grazie a tali indicazioni, sarà possibile identificare con maggiore facilità le SNe Ia che avvengono per doppia detonazione anche a distanza di tempo dall’esplosione, nei tratti più tardi della curva di luce.

 

Fonte: arXiv.

DONNE TRA LE STELLE 2024

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Tempo di lettura: 2 minuti

Ad Abano Terme, dal 22 al 24 marzo 2024, si terrà la

terza edizione della manifestazione

DONNE TRA LE STELLE

Donne fra le stelle è un’associazione di volontariato, sita in Abano Terme, nata dal desiderio di illustrare le meraviglie del cosmo al grande pubblico attraverso la voce di astronaute, astrofisiche, ingegnere aerospaziali, ricercatrici.

Attraverso l’organizzazione di simposi itineranti in tutta la penisola italiana, con la collaborazione dei più importanti centri di ricerca a livello mondiale quali ASI Agenzia Spaziale Italiana, ESA European Space Agency, NASA National Aeronautics Space Administration, e con la partnership delle più importanti industrie europee nel settore aerospaziale, cerchiamo di stimolare i giovani e soprattutto le ragazze a scegliere le materie STEM nel loro percorso di studi.

Brochure Donne fra le Stelle 2024 fronte

Il progetto vuole rendere protagoniste le donne sottolineandone l’impegno e i risultati in ambito scientifico, dove ancora prevalente è la presenza maschile. Per questi motivi legati al futuro e allo sviluppo di una generazione di esseri umani sempre più proiettata verso l’esplorazione spaziale, che abbiamo deciso di promuovere questa associazione di appassionati e scienziati del settore aerospaziale a divulgare al grande pubblico le nuove scoperte scientifiche della scienza riguardanti il cosmo. Le prime due edizioni della manifestazione sono state realizzate in provincia di Cosenza.

Nel 2021 a Fiumefreddo Bruzio, e nel 2022, ad Amantea. Il progetto si è concretizzato con il conferimento della cittadinanza onoraria, da parte del Comune di Fiumefreddo Bruzio, a Carolyn Porco, docente associata presso la Berkeley University (capomissione responsabile immagini della Sonda “Cassini Huygens” su Saturno), già ricercatrice senior presso l’University of Colorado, e consulente Nasa, la cui famiglia è originaria di Fiumefreddo. Fiore all’occhiello è stata la mostra “Space Adventure” dell’US Space & Rocket Center, il museo dello spazio di Huntsville, in Alabama, USA. L’esposizione, dedicata alle imprese dell’uomo nello spazio, è approdata nel piccolo borgo della costa tirrenica calabrese dopo un tour itinerante fra la Danimarca (Copenaghen), Israele (Tel Aviv), il Sudafrica (Johannesburg), la Polonia (Varsavia), la Romania (Bucarest), l’Italia (Torino).

Brochure Donne fra le Stelle Retro 2024

L’Associazione Donne fra le stelle, bandisce quest’anno la prima edizione del Premio Nazionale per la divulgazione scientifica spaziale dedicato a Rossella Panarese, giornalista di Radio Tre scienza. Il Premio, è patrocinato da Confindustria Veneto. È aperto alla partecipazione di ricercatori, giornalisti, studiosi, autori, registi, blogger che, con il loro impegno e attraverso la loro arte di comunicatori, hanno contribuito a divulgare la scienza spaziale rendendola accessibile, fruibile e di interesse comune, attribuendo alla cultura scientifica un ruolo centrale nella società.

Tutte le informazioni sulla Manifestazione e sul Premio sono consultabili sul sito di cui il link seguente: https://donnefralestelle.it/

 

 

NEUTRINI – LA NUOVA FRONTIERA DEL SETI

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Fig. 3 - La base antartica dell' ICE Cube Telescope. Crediti: Martin Wolf, IceCube/NSF
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Efficienza ed efficacia determinano il successo di una ricerca.
Il SETI, con tutte le incertezze che la caratterizzano non può,
finora, certo gioire.

 

Siamo nel 2024 e il progetto SETI “Search for Extra-Terrestrial Intelligence” compie ben 40 anni e in questi 8 lustri non ci ha certo regalato grandi emozioni. Ma nel tempo le conoscenze dell’universo sono cambiate, abbiamo molte più informazioni sui nostri vicini cosmici, stiamo acquisendo dati e sviluppando nuove tecnologie.

L’autore, Graziano Chiaro, suggerisce una nuova tecnica di indagine, non poco onerosa è vero, ma vale forse la pena di guardare il progetto da un nuovo punto di vista?

Fig. 4 – Posizionamento delle bolle contenenti
i detector nel Baikal Deep Underwater
Neutrino Telescope, il telescopio russo per
neutrini nelle acque del lago Baikal.

L’argomento è complesso e lasciamo all’autorevole voce l’introduzione all’idea:

“Il SETI operativo si limita oggi all’osservazione
con i radiotelescopi e
poco di più con i telescopi ottici, ma
queste tecnologie cominciano, per
carenza di risultati, a segnare il passo,
mentre altre teorie si affacciano
e si spingono audacemente sempre
più in là.
Se non sono le onde radio a rivelarci
la presenza di civiltà aliene, cosa altro
potrebbe venirci in aiuto? I neutrini,
ad esempio. I neutrini sono particelle
prive di carica elettrica e con
una massa estremamente piccola
che i fisici non sono ancora riusciti
a misurare; interagiscono molto raramente
con la materia e possono infatti
attraversare praticamente indisturbati
enormi spessori di materia.
In ogni secondo ogni oggetto sulla
Terra, uomo compreso, è attraversato
da molti miliardi di neutrini.
In natura le sorgenti di neutrini sono
molteplici. Vi sono neutrini terrestri,
neutrini atmosferici, neutrini solari,
neutrini da esplosioni di supernovae,
neutrini fossili. Per i ricercatori SETI,
le comunicazioni via neutrini sono
una teoria nuova ed affascinante da
indagare per due importanti motivi.
Primo motivo, queste super particelle
di massa prossima allo zero possono
viaggiare molto vicino alla velocità
della luce e sono in grado di penetrare
facilmente nelle massicce nubi
interstellari e nei corpi solidi senza
alcuna interazione, note le distanze
cosmiche, questo è un vantaggio certo.
Inoltre proprio la capacità dei neutrini
di attraversare la materia con
poca o nessuna attenuazione è particolarmente
funzionale alle ricerche
SETI rivolte all’interno della nostra
galassia dove la presenza di grandi
nubi interstellari di gas e polvere è
notevole.
Secondo motivo, i neutrini possono
anche essere prodotti artificialmente
da chi (civiltà) abbia una sufficiente
conoscenza della fisica particellare.
Le sorgenti artificiali di neutrini che
noi conosciamo sono: gli acceleratori
di particelle in grado di produrre
e accelerare particelle cariche come
protoni, elettroni o nuclei atomici.
Guidando la collisione di particelle e
in condizioni adatte, se ne ottengono
alcune che decadendo originano neutrini.
In questo modo sono stati prodotti
i neutrini artificiali del progetto
CNGS (Cern Neutrinos to Gran Sasso)
che qualche anno fa ha permesso
l’invio di un fascio di neutrini artificiali
dal CERN di Ginevra ai Laboratori
Nazionali del Gran Sasso distante
732 chilometri dal CERN.
Esiste un altro modo a noi noto ad
oggi per produrre neutrini: le fissioni
nucleari all’interno dei reattori nucleari.
Durante le reazioni di fissione nucleare
vengono prodotti, oltre a neutroni e
altri frutti, anche neutrini elettronici.
Ed è proprio questa alternativa
di produzione artificiale a rendere i neutrini
ottimi candidati per le comunicazioni
o navigazioni interstellari se utilizzata
da civiltà extraterrestri avanzate.
Rilevare fasci di neutrini “artificiali” che
trasportano informazioni fornirebbe
la prova inconfutabile dell’esistenza di
altro progresso tecnologico
al di fuori del nostro.
La sfida che i fisici ed nello specifico
quindi i ricercatori SETI devono
affrontare è la cattura del
segnale dato che nota la
facilità con cui i neutrini
viaggiano attraverso
i materiali essi si dimostrano
estremamente difficili
da rilevare ed inoltre
diventa indispensabile
avere la disponibilità di
rilevatori in grado di separare
i segnali artificiali
dal fondo

La storia completa e il racconto emozionante della passione che ha creato Spei Satelles è su COELUM 266

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SPEI SATELLES – Un Satellite Custode della Speranza

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Tempo di lettura: 3 minuti

Spei Satelles porta in orbita il messaggio di speranza del Papa

 

Tutti, o probabilmente i più, ricorderanno le immagini, trasmesse sotto Covid, di Papa Francesco completamente solo mentre cammina in Piazza San Pietro.

Una scena commovente, in grado di racchiudere in un solo scatto, lo smarrimento vissuto in quel duro periodo.

Proprio da quelle immagini nasce l’idea di portare nello spazio la parola di speranza e fiducia raccolta nella Statio Orbis. Un’impresa ai limiti della possibilità ma superata grazie all’impegno di quanti si sono messi in gioco per la sua riuscita. Fra essi ricordiamo il sostegno di Andrea Notargiacomo, Giorgio Saccoccia, Fabio Grimaldi, Guido Saracco, Sabrina Corpino, Marco Sanavio, don Nicola Giacopini, Silvia Natalucci, Anna Maria Monterisi, Sveva Iacovoni, Giuseppina Piccirilli e molti altri (don Luca Peyron ci tiene a ringraziarli tutti nell’articolo).

Di cosa parliamo?

Di un cubesat, custode di un messaggio prezioso trascritto su un nano-book (cos’è il nano book e come funziona è descritto nell’articolo stesso.

Il team al lavoro sul Cubesat in fase di assemblaggio in camera bianca

Parliamo dell’impresa nel trovare un vettore, del lancio, dei tanti ragazzi del Politecnico di Torino che hanno accolto la sfida e lavorato senza sosta per rispettare la tabella di marcia.

Il piccolo laboratorio del Politecnico di Torino e parte del team che ha lavorato al progetto

Parliamo di un lancio ben riuscito a bordo di un Falcon 9 il 12 giugno dello scorso.

Ecco le parole introduttive dell’articolo che racconta l’avventura:

“Una delle piazze più famose al
mondo. Deserta. La pioggia batte
lenta sul selciato, la lontananza
rotta dal suono di qualche sirena.
Il mondo è chiuso in casa. Un
uomo vestito di bianco l’attraversa,
con passo affaticato più
dalla responsabilità enorme che
dall’età. Si ferma, ascolta parole
che vengono dal passato, ma che
mai come in quella sera possono
parlare di futuro. È la statio orbis
la preghiera di papa Francesco
durante la pandemia, l’abbraccio
del colonnato di S. Pietro ad
un mondo attonito ed in cerca di
speranza, di senso, di vie d’uscita.
In milioni, credenti o non credenti,
di fedi diverse o di nessuna
fede lo accompagnano attraverso
gli schermi, unica finestra ancora
aperta sugli altri, da quando
il covid ha chiuso l’umano dentro
le sue paure. È il 27 di marzo
del 2020. Quel giorno, quei giorni,
sono scolpiti nella storia, nella
carne di molti di noi. Vi sorprenderà
e forse incuriosirà sapere
che sono diventati una missione
spaziale. La prima promossa dalla
Chiesa Cattolica nella sua storia
millenaria. Prima di raccontarla
nei particolari, però è necessario
fare qualche piccolo passo indietro,
tornare a quanto è successo
dopo quella sera. Il Papa vive anch’egli
in lockdown, accompagnato
da pochissime persone. Tra loro
mons. Lucio Adrian Ruiz, sacerdote
argentino che è segretario del
Dicastero per la Comunicazione
della Santa Sede. Come forse molti
dei lettori di Coelum anche lui
da ragazzo sognava di fare l’ingegnere
alla NASA, poi la scoperta
della vocazione ed una strada tutta
diversa che lo porta a Roma. In
quei giorni parla con il Papa che
si confida, nascono delle domande
su come egli si senta, come
viva quelle ore. «Camminavo così,
da solo, pensando alla solitudine di
tanta gente… un pensiero inclusivo,
un pensiero con la testa e con il cuore,
insieme… Sentivo tutto questo e
camminavo…». I discorsi, le confidenze,
le fotografie diventano, con
la benedizione di Francesco, un libro.
Perché avete paura? Non avete
ancora fede? Che viene presentato
alla stampa nel primo anniversario
della statio orbis, nel 2021. Di
qui una scintilla, una intuizione.
Trasformare quelle parole in un
seme di speranza, quella giornata
piovosa di marzo in un inizio nuovo,
un diverso senso delle cose.
Una visione del tutto che sia motore
di futuro e non malinconico
ricordo di dolore. L’anno successivo
il libro, in una edizione speciale
molto ridotta, viene deposto
allo Svalbard Global Seed Vault, il
deposito globale di semi situato
in Norvegia che ha la funzione di
fornire una rete di sicurezza contro
la perdita botanica accidentale
del patrimonio genetico dell’umanità.
Un libro tra i semi perché
possa simboleggiare un seme di
un tempo rinnovato, di un tempo
di speranza. Siamo nel 2022.
Il Papa sogna ancora, in grande, o
meglio, verso l’alto. Lo spazio. Il libro
diventa ancora più piccolo, un
nano-libro grazie al laboratorio di
fotonica del Consiglio Nazionale
delle Ricerche. Andrea Notargiacomo,
trasforma 19 metri quadrati
di pagine di carta in un quadratino
di silicio di meno di due millimetri
di lato.

La storia completa e il racconto emozionante della passione che ha creato Spei Satelles è su COELUM 266

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Problemi di comunicazione tra Ingenuity e Perseverance: aggiornamenti sulla missione Mars 2020

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In queste ore si stanno susseguendo in rete varie notizie sullo stato di Ingenuity, il drone marziano in forza alla NASA nell’ambito della missione Mars 2020. Visto il rischio di ricevere informazioni parziali o contradditorie, con la Redazione abbiamo sentito la necessità di fare chiarezza sull’argomento.

Come raccontato in News da Marte #24, il 6 gennaio Ingenuity ha eseguito ma interrotto anzitempo il suo 71esimo volo. La causa del problema, che ha obbligato l’elicottero a quello che potremmo definire un atterraggio di emergenza, sembra sia stata il terreno privo di significative caratteristiche superficiali che a un certo punto del volo ha impedito al software di navigazione di calcolare correttamente direzione e velocità di spostamento.

Le informazioni di telemetria hanno permesso di stimare una traslazione di 71 metri, tuttavia da confermare con un riscontro fotografico per avere la certezza della posizione dell’elicottero. È questa la ragione per cui, a due settimane e mezzo dal volo, la mappa ufficiale non ha ancora ricevuto un aggiornamento.

Posizione di Ingenuity aggiornata al 23 gennaio (Sol 1040), ancora non è stata caricata la nuova posizione al termine del volo 71. NASA/JPL-Caltech

A questo scopo, come avvenuto in passato in occasione di un simile inconveniente, i tecnici del Jet Propulsion Laboratory hanno programmato una breve attività aerea della durata di 32 secondi con lo scopo di osservare il suolo da 12 metri di altezza. Questo volo, il 72esimo di Ingenuity, è avvenuto il 18 gennaio.

Il giorno seguente le pagine della missione NASA hanno descritto un problema di comunicazione tra Ingenuity e Perseverance nelle fasi conclusive dell’atterraggio.

Il flusso dei dati inviati dall’elicottero al rover (che svolge sempre la funzione di ponte radio per il drone) indicherebbe che il volo è stato eseguito, ma la telemetria trasmessa in tempo reale si interrompe bruscamente durante gli ultimi secondi in corrispondenza dell’atterraggio.

Non vi tengo sulle spine e vi rassicuro subito sul lieto fine di questa cronaca: il 19 gennaio un tentativo di riprendere contatto con l’elicottero ha dato conferma del suo buono stato di salute. Ingenuity è atterrato correttamente, si trova in posizione verticale e le sue batterie sono cariche.

In attesa che la NASA scarichi dalla memoria del drone le immagini della camera di navigazione, definendo così con precisione la posizione dell’ultimo airfield, possiamo ricorrere alla posizione stimata e ai dati altimetrici della regione.

La linea rossa congiunge la posizione stimata di Ingenuity al termine del volo 71 (calcolata a circa 70 metri a ovest dell’ultima posizione nota) con la location di Perseverance. NASA/JPL-Caltech/Piras

Scopriamo così la presenza di un’alta cresta rocciosa che ostacola la line of sight  tra i due apparati, complicando ulteriormente le comunicazioni già rese problematiche dalla distanza di oltre un km tra i due.

Simulazione della line of sight tra Perseverance e Ingenuity. Elaborazione di Piras su dati di Tao, Walter, Muller et al.

Non è quindi difficile immaginare ciò che potrebbe essere avvenuto nel corso del volo 72.
In fase di ascesa e alla quota di 12 metri il segnale radio di Ingenuity riusciva ad aggirare il grosso ostacolo roccioso, che però ha offerto un oscuramento sempre maggiore man mano che l’elicottero ha ridotto la sua quota in fase di atterraggio.

Restiamo in attesa di ulteriori e più dettagliati aggiornamenti da parte della NASA e del JPL, che troveranno ampio spazio sulle pagine virtuali e fisiche di Coelum Astronomia.

Fonte dei dati altimetrici (DTM): https://refubium.fu-berlin.de/handle/fub188/41095

 

OURANOS l’app meteo per gli astronomi

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Tempo di lettura: 2 minuti

Ouranos l’applicazione meteorologica innovativa, specificamente progettata per gli
astronomi

Ouranos è un’applicazione meteorologica innovativa, specificamente progettata per gli
astronomi, ed è il risultato del lavoro innovativo di Starmaze, azienda fondata da Paul Joly, appassionato di astronomia che si è dato come missione quella di portare un approccio più smart e funzionale nel campo dei software destinati agli astronomi, sia amatoriali che professionisti.

Disponibile sia sul web tramite ouranos-app.com che su dispositivi mobili
Android e iOS, questa applicazione si distingue per il suo approccio mirato ed efficace
nella pianificazione delle osservazioni astronomiche.

Ouranus infatti offre previsioni meteorologiche dettagliate ora per ora per un periodo fino a sette giorni consultabili mostrando separatamente parametri astronomici cruciali come il seeing e la trasparenza, fattori determinanti per valutare la chiarezza e la stabilità del cielo e ottenere in conclusione un’osservazione di qualità.
Ouranos inoltre fornisce anche informazioni essenziali su elementi come l’umidità, la temperatura, la velocità del vento e la copertura nuvolosa.

A rendere speciale Ouranos è la sua funzionalità “Quick View”, che offre agli utenti
un modo rapido e facile per identificare le migliori serate per le osservazioni
astronomiche, molto utile per risparmiare tempo e migliorare l’efficienza nella pianificazione delle sessioni di osservazione.
Inoltre, la “Carta della qualità del cielo” integrata in Ouranos combina tutte le
informazioni meteorologiche pertinenti, offrendo una rappresentazione visiva intuitiva
dei momenti più propizi per l’osservazione.

Insomma, Ouranos è veloce e rapida ed offre una facile consultazione di tutti i parametri utili alla pianificazione delle serate osservative.

Provatela e diteci che ne pensate! ouranos-app.com

 

Galassie Oscure: Fossili dell’Universo primordiale

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NGC 6822, prima galassia irregolare, nata nell’Universo primordiale, osservata dal telescopio Euclid. Crediti: ESA/Euclid/Euclid Consortium/ NASA.
Tempo di lettura: 3 minuti

Proprietà delle galassie oscure, fossili dell’Universo primordiale

Le galassie oscure, cosiddette per il loro esiguo contenuto di stelle, sono oggetti antichi, fossili dell’Universo primordiale. Secondo il modello standard ΛCDM della cosmologia (ove Λ è la costante che indica l’espansione accelerata dell’Universo e CDM sta per “cold dark matter”, i.e., materia oscura fredda), le galassie rappresentano l’esito dell’assembramento gerarchico di aloni di materia oscura più o meno grandi. Le proprietà degli aloni di materia oscura determinano il tempo di formazione delle galassie, il loro contenuto di gas e la loro resistenza ai processi non-gravitazionali che possono alterare in modo significativo la distribuzione di questo. Tali processi vanno sotto il nome complessivo di “feedback barionico” in quanto inerenti alla materia barionica, quella ordinaria, che non interagisce solo gravitazionalmente come quella oscura. Si tratta, per esempio, delle esplosioni di supernova, dei venti stellari derivanti dall’evoluzione delle stelle massicce e della radiazione ionizzante emessa da quelle di popolazione III, che spazzano il mezzo circostante rimuovendo il gas necessario a dare luogo a nuova formazione stellare. Se le riserve di gas primordiale degli aloni di materia oscura vengono severamente danneggiate prima della reionizzazione, epoca cosmologica in cui il gas idrogeno neutro diventa ionizzato proprio a seguito della nascita delle prime stelle, la formazione stellare viene interrotta o addirittura mai iniziata: essi sono perciò destinati a rimanere oscuri. Le galassie oscure nascono pertanto al centro degli aloni oscuri, ovvero gli aloni di materia oscura che hanno fallito nel formare una quantità di stelle  apprezzabile all’alba della reionizzazione.

Frazione di gas che dà luogo a formazione
stellare nelle galassie luminose (linea nera), in
quelle oscure povere di stelle (linea blu) e in
quelle oscure prive di stelle (linea rossa) in
funzione del tempo. Il gas delle galassie
oscure diminuisce nel tempo, mentre quello
delle galassie luminose rimane costante.
Crediti: arXiv.

Poiché le galassie oscure sono per definizione difficili da osservare, fondamentale per il loro studio è la modellistica teorica. Recentemente, il progetto Illustris TNG ha fornito un notevole contributo in tal senso: grazie alle sue innovative simulazioni cosmologiche di tipo idrodinamico, esso ha infatti permesso di investigare le proprietà fisiche delle galassie oscure e di confrontarle con quelle delle galassie luminose. Nello specifico, durante le simulazioni le galassie oscure sono state identificate come aventi massa stellare minore di un decimillesimo della loro massa totale, mentre quelle luminose come aventi massa stellare maggiore di o uguale a tale valore. Una seconda suddivisione è stata poi operata tra galassie oscure povere e prive di stelle, ottenendo dunque un campione finale così composto: 14206 galassie luminose, 19245 galassie oscure povere di stelle e 14318 galassie oscure prive di stelle. Le galassie selezionate sono evolute dal momento della formazione all’interno degli aloni di materia oscura fino al giorno d’oggi allo scopo di valutare quali fattori impattino sulla loro storia; in particolare, i ricercatori ne hanno individuati tre: l’ambiente natio, gli eventi di fusione con altre galassie e gli effetti della reionizzazione.

Galassie nate in ambienti poco densi e poco ricchi di gas disponibile per formare stelle hanno una maggiore probabilità di divenire oscure al termine della reionizzazione, che contribuisce, peraltro, a differenziarle in modo più marcato da quelle luminose attraverso un’ulteriore diminuzione della loro riserva di gas. Ergo, minore è il contenuto iniziale di gas di una galassia e minore sarà il numero di stelle che essa potrà produrre. Stando ai risultati delle simulazioni, inoltre, la separazione fra i due tipi di galassie aumenterebbe nel corso del tempo, dato che le galassie oscure sarebbero meno soggette a fusioni con sistemi stellari vicini rispetto alla loro controparte luminosa. Ciò si tradurrebbe nella mancata acquisizione di nuovo gas per riaccendere la formazione stellare.

La conclusione sembra allora essere la seguente: solo le galassie che superano l’epoca della reionizzazione senza sostanziali mutamenti della loro originaria riserva di gas possono continuare l’attività di formazione stellare ed evolvere come luminose, mentre quelle oscure, impossibilitate a recuperare il gas perso, si fossilizzano in questo stato.

Per tale ragione, l’immagine odierna delle galassie oscure corrisponderebbe a quella di fine reionizzazione. Si attendono quindi i dati osservativi provenienti da surveys come ALFALFA, LITTLE THINGS e Euclid per definire vincoli più stringenti sulle predizioni di questa teoria.


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Luna e Giove in congiunzione

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Congiunzione Luna-Giove 18 gennaio 2024 di Cristian Fattinnanzi
Tempo di lettura: < 1 minute

Luna e Giove in congiunzione 18 gennaio 2024

La congiunzione della nostra Luna col ben più distante Giove (circa 2000 volte più distante!). Colta appena in tempo prima che il meteo non decidesse che per la zona dove abito, a Montecassiano, nel centro Italia, lo spettacolo dovesse finire!
Scatto eseguito con fotocamera reflex full-frame applicata ad un obiettivo 400mm F/2,8 munito di moltiplicatore di focale 1,4x.
Esposizione di 0,8″ a 200 ISO e diaframma f/8.
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The conjunction of our Moon with the much more distant Jupiter (about 2000 times further!). Caught just in time before the weather decided that for the area where I live, in Montecassiano, in central Italy, the show had to end!

Shot taken with a full-frame reflex camera applied to a 400mm F/2.8 lens equipped with a 1.4x teleconverter.
0.8″ exposure at 200 ISO and f/8.

 

IL BUCO NERO PIÙ LEGGERO O LA STELLA DI NEUTRONI PIÙ PESANTE?

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Rappresentazione artistica del sistema NGC 1851 partendo dal presupposto che la stella compagna massiccia sia un buco nero. La stella sullo sfondo, la più luminosa, è la sua compagna orbitale, la radio pulsar NGC 1851E. Le due stelle sono separate da 8 milioni di km e ruotano l’una attorno all’altra ogni 7 giorni. Credit: Daniëlle Futselaar (artsource.nl)
Tempo di lettura: 6 minuti

MEERKAT SCOPRE UN OGGETTO MISTERIOSO:
IL BUCO NERO PIÙ LEGGERO O LA STELLA DI NEUTRONI PIÙ PESANTE?

Un articolo pubblicato oggi su Science ci svela la presenza di un oggetto dalla natura misteriosa all’interno dell’ammasso globulare NGC 1851, visibile nella costellazione della Colomba a oltre 39 mila anni luce dalla Terra. Di cosa si tratta? Un team internazionale di astronomi, guidato da ricercatori dell’Istituto Max Planck per la Radioastronomia di Bonn e a cui partecipano anche ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Bologna, ha sfruttato la sensibilità delle antenne del radiotelescopio sudafricano MeerKAT per scoprire un oggetto massiccio dalle caratteristiche uniche: è più pesante delle stelle di neutroni più pesanti conosciute e allo stesso tempo è più leggero dei buchi neri più leggeri trovati finora. Altro particolare non di poca rilevanza: l’indagato speciale è in orbita attorno a una pulsar al millisecondo in rapida rotazione. Questa potrebbe essere la prima scoperta del tanto ambito sistema binario radio pulsar – buco nero: una coppia stellare che consentirebbe nuovi test della teoria della relatività generale di Einstein.

Luminose e intermittenti come dei potenti fari cosmici puntati verso la Terra, le pulsar sono stelle di neutroni, ossia i resti compatti (una ventina di chilometri di diametro) ed estremamente densi, derivati da potenti esplosioni di supernova. La teoria mostra che deve esistere una massa massima per una stella di neutroni. Il valore di tale massa massima non è noto con precisione, ma esistono indicazioni sperimentali che almeno fino ad una massa totale pari a circa 2,2 volte la massa del Sole, la stella continua comunque ad essere una stella di neutroni.  D’altro canto, molteplici evidenze osservative indicano che i buchi neri (oggetti così densi e compatti per cui nemmeno la luce può allontanarsi da essi) si formano dal collasso che ha luogo alla fine della evoluzione di stelle molto più massicce di quelle che producono le stelle di neutroni. In questo caso la massa minima osservata finora per il nascente buco nero è circa 5 volte la massa del Sole. Bisogna allora domandarsi quale tipo di oggetto compatto si formi nell’intervallo di masse fra 2,2 e 5 volte la massa del Sole, in quello che i ricercatori chiamano “gap di massa per i buchi neri”: una stella di neutroni estremamente massiccia, un buco nero estremamente leggero o altro? Ad oggi non esiste una risposta chiara.

Nell’ambito delle due collaborazioni internazionali “Transients and Pulsars with MeerKAT” (TRAPUM) e “MeerTime”, gli esperti sono stati in grado prima di rilevare e poi di studiare ripetutamente i deboli impulsi provenienti da una delle stelle dell’ammasso, identificandola come una pulsar radio, un tipo di stella di neutroni che gira molto rapidamente ed emette onde radio nell’Universo come un faro cosmico. Questa pulsar, denominata NGC 1851E (ossia la quinta pulsar nell’ammasso globulare NGC 1851), ruota su se stessa più di 170 volte al secondo, e ogni rotazione produce un impulso ritmico, come il ticchettio di un orologio.

Le antenne del radiotelescopio MeerKAT, in Sudafrica. Crediti: SARAO

Spiega Ewan Barr, dell’Istituto Max Planck per la Radioastronomia di Bonn e primo autore (assieme alla dottoranda dello stesso istituto Arunima Dutta) dello studio: “Il ticchettio di questi impulsi è incredibilmente regolare. Osservando come cambiano i tempi dei ticchettii, tramite una tecnica chiamata pulsar timing, siamo stati in grado di effettuare misurazioni estremamente precise del moto orbitale di questo oggetto”.

L’estrema regolarità degli impulsi osservati ha permesso anche una misurazione molto precisa della posizione del sistema, dimostrando – tramite osservazioni col telescopio spaziale Hubble – che l’oggetto in orbita attorno alla pulsar non era una normale stella, bensì un residuo estremamente denso di una stella collassata. Inoltre, il fatto che l’orbita stia progressivamente cambiando l’orientamento rispetto a noi (un effetto chiamato tecnicamente “precessione del periastro” e previsto dalla relatività generale) ha mostrato che la compagna ha una massa che era contemporaneamente più grande di quella di qualsiasi stella di neutroni conosciuta e tuttavia più piccola di quella di qualsiasi buco nero conosciuto, posizionandola esattamente nel gap di massa dei buchi neri.

 

Alessandro Ridolfi, primo autore della scoperta di NGC 1851E (conosciuta anche col nome alternativo PSR J0514-4002E), nel 2022, co-autore della pubblicazione su Science, nonché postdoc presso l’INAF di Cagliari, sottolinea: “Sin dalle prime osservazioni successive alla scoperta, questo sistema binario mostrava caratteristiche peculiari, in particolare per quanto riguarda l’elevata massa della stella compagna. Ulteriori osservazioni hanno evidenziato che si trattava addirittura di un sistema unico, con una stella compagna avente una massa in quella che per ora è la “terra di nessuno” per gli oggetti compatti, ovverosia quell’intervallo di masse per le quali la teoria non è oggi in grado di stabilire se si abbia a che fare con un buco nero leggero o una stella di neutroni pesante”. Ridolfi è uno dei vincitori del bando “Astrofit-INAF” e lavora alla ricerca di nuove pulsar esotiche ospitate in ammassi globulari.

 

Cristina Pallanca, ricercatrice al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, prosegue: “Se si rivelerà essere un buco nero, avremo individuato il primo sistema binario composto da una pulsar e un buco nero, una sorta di Santo Graal dell’astronomia. Grazie ad esso avremo un’opportunità senza precedenti per testare con altissima precisione la teoria della relatività generale di Albert Einstein e, di conseguenza, per comprendere meglio le proprietà fisiche dei buchi neri”.

Potenziale storia della formazione della radiopulsar NGC 1851E e della sua stella compagna. Crediti: Thomas Tauris (Aalborg University / MPIfR)

E aggiunge Marta Burgay, un’altra ricercatrice di INAF-Cagliari coinvolta nel progetto: “Se invece si trattasse di una stella di neutroni, la sua massa elevata imporrà nuovi vincoli alla natura delle forze nucleari, vincoli che non si possono ottenere con nessun esperimento di laboratorio”.

 

Il sistema si trova nell’ammasso globulare NGC 1851, un denso insieme di vecchie stelle molto più fitte rispetto alle stelle del resto della Galassia. Mario Cadelano, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, lo descrive: “Un sistema binario così non poteva che crearsi in un ambiente altrettanto straordinario: l’ammasso globulare NGC 1851 è un insieme di centinaia di migliaia di stelle mantenute unite dalla loro stessa forza di gravità, formatosi circa 13 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva appena 800 mila anni e la nostra Galassia stava attraversando le prime fasi di formazione. All’interno degli ammassi globulari, le stelle interagiscono continuamente durante il corso della loro vita: si scambiano energia, collidono, si uniscono in nuovi sistemi binari e così via. Il nucleo di NGC 1851 è dinamicamente molto attivo, anche più rispetto a quello di altri ammassi globulari, e questo ha favorito la formazione del sistema binario unico nel suo genere che abbiamo scoperto”.

 

Le regioni centrali di NGC 1851 sono così affollate che le stelle possono interagire tra loro, sconvolgendo le loro orbite e nei casi più estremi scontrandosi. Si ritiene che sia stata una di queste collisioni tra due stelle di neutroni a creare l’oggetto massiccio che ora orbita attorno alla radio pulsar. Tuttavia, prima che venisse creata l’attuale binaria, la radio pulsar deve aver acquisito materiale da un’altra stella in una cosiddetta binaria a raggi X di piccola massa. Un tale processo di “riciclaggio” è necessario per riportare la pulsar alla velocità di rotazione attuale.

 

La scoperta di questo oggetto misterioso mette in luce le potenzialità degli strumenti utilizzati in questa survey e delle antenne che arriveranno nel futuro. Andrea Possenti, ricercatore anch’egli presso la sede sarda dell’INAF, commenta: “Questa scoperta è l’apice degli studi finora condotti, grazie al sensibilissimo telescopio MeerKAT, sulle pulsar negli ammassi globulari, un campo di ricerca dove INAF, tramite il gruppo di Cagliari, ricopre dall’inizio un ruolo primario. Ruolo importante sia sul fronte della ricerca di nuove pulsar, 87 quelle scoperte fino ad oggi con il solo radiotelescopio sudafricano, sia ai fini dello studio di quelle note. Il bello è che c’è ancora tanto da scoprire in questi densi sistemi stellari, sia con le osservazioni a MeerKAT, sia, ancor più, con l’avvento del rivoluzionario radiotelescopio SKA. Senza contare – conclude Possenti – che collisioni fra stelle di neutroni come quella ipotizzata per spiegare l’origine di questo sistema potrebbero costituire ulteriori eventi, rari ma di grande interesse, per telescopi per onde gravitazionali, come Virgo, Ligo e il futuro Einstein Telescope”.

Video Uno zoom sull’ammasso globulare NGC 1851 seguito da una simulazione orbitale che mostra l’originale sistema binario pulsar-nana bianca che viene interrotto dall’arrivo di un massiccio terzo corpo di natura sconosciuta. Il nuovo arrivato caccia la nana bianca fuori dall’orbita e cattura la pulsar, formando un nuovo sistema binario con una pulsar in orbita attorno, molto probabilmente, a un buco nero leggero o a una stella di neutroni supermassiccia. Crediti: OzGrav, Swinburne University of Technology.

[COMUNICATO STAMPA INAF-UNIBO]

Fonte: MEDIA INAF

SISTEMI EQUATORIALI E LORO ALLINEAMENTO

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Figura 6c - mon - tatura che nasce come altazimutale e sono trasformate in equatoriali tramite l'aggiunta di una testata
Tempo di lettura: 3 minuti

MONTATURE PER
TELESCOPI Part.2

SISTEMI EQUATORIALI E
LORO ALLINEAMENTO

Nel numero COELUM 265 Christian Privitera ci ha introdotto, in base ai sistemi di coordinate, a diversi modelli di montature validi per i nostri telescopi.

Due le macrocategorie e in questo nuovo articolo pubblicato in COELUM 266 le protagoniste sono le montature equatoriali e il loro allineamento.

L’autore riporta una carrellata dei modelli ora in commercio vagliandone pro e contro tecnici e aggiungendo suggerimenti sulla loro scelta in funzione del livello di esperienza e in base agli obiettivi da raggiungere.

Ecco l’introduzione dell’autore:

Nel precedente articolo abbiamo visto quali sono le funzionalità delle montature altazimutali soffermandoci in particolare sulle caratteristiche dei modelli commerciali. In questa seconda parte, seguendo lo schema del precedente articolo, tratteremo
le montature equatoriali o parallattiche.

SCENDIAMO NEL DETTAGLIO

Dal punto di vista commerciale il panorama delle GEM è
molto variegato e se ne possono trovare modelli che vanno
dai 200€ ad oltre 30.000€. Un supporto elementare in grado
di gestire strumenti di 5-6 kg di peso è costituito dalla montatura
dell’esempio 6a); si tratta di una montatura dotata
di moti micrometrici, può essere motorizzate in AR, è molto
leggera e permette con una spesa contenuta (circa 200€) di
gestire per l’osservazione visuale un telescopio entry-level.

Figura 6a
Montatura Entry Level
max carico 5/6kg

Lo step successivo, con un aumento della capacità di carico per poter supportare
strumenti anche di 10 kg di peso, è ad esempio la montatura della fig. 6b), nata come clone delle montature Vixen Great Polaris, viene prodotta dalla Skywatcher con il nome di EQ5 ma è presente, con qualche variante, anche nei listini di altri marchi. Con una spesa di circa 450€, rispetto ai modelli di cui si è discusso precedentemente, queste montature hanno il vantaggio di poter installare un cannocchiale polare per l’allineamento preciso e veloce della montatura nonché di essere predisposte alla motorizzazione in entrambi gli assi con la conseguente possibilità di utilizzo di un sistema GOTO.
La costruzione non è curatissima e molte soluzioni meccaniche sono orientate all’economicità costruttiva, risulta tuttavia possibile iniziare con soddisfazione a fare fotografia astronomica con strumenti leggeri sotto gli 800mm di focale.

Figura 6b – SkyWatcher EQ5 – max carico 10kg

Altra proposta estremamente leggera, flessibile e trasportabile è rappresentata da montature del tipo di cui alla fig. 6c. (presenti ad esempio nei listini Ioptron e Skywatcher), che nascono come altazimutali e vengono trasformate in equatoriali grazie all’aggiunta di una testa di cui si è già discusso. La portata in termini di peso è limitata ma con una soluzione come questa, si può avere accesso alla fotografia astronomica con teleobiettivi o piccoli telescopi spendendo relativamente poco (circa 500 euro nel mercato del nuovo, circa 300 come usato).

Figura 6c – montatura che nasce come altazimutale e sono trasformate in equatoriali tramite l’aggiunta di una testata

L’articolo continua con la presentazione di altre SETTE soluzioni e un approfondimento RARO sulla meccanica alla base dei movimenti e del controllo.

Tutta la carrellata sulle Montature Equatoriali e consigli sono su COELUM 266

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Mancare il transito di Venere per ben due volte!

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Tempo di lettura: 3 minuti

Venere, la “cattiva stella”
di Guillaume Le Gentil

Come descrive tecnicamente nei box a corredo dell’articolo, ci sono solo due transiti di Venere per ogni secolo (e nel prossimo non saremo neanche così fortunati) e Guillaume Le Gentil, in un vorticoso giro intorno al mondo, sul finire del 1700 li manca entrambi.

Oltre 11 anni lontano da casa, dagli affetti, dalla carriera e tutto sfumato per..

L’articolo dedicato all’astronomo francese narra una vicenda appassionata di scienziato serie e accalorato perseguitato dagli imprevisti e dalla sfortuna, come le parole degli scritti storici testimoniano:

Questo è il destino che spesso attende gli astronomi! Avevo percorso più di diecimila
leghe; sembrava che avessi attraversato una così grande distesa di mari, esiliandomi dalla mia patria, solo per essere spettatore di una nuvola fatale che è venuta a posizionarsi
davanti al Sole nel preciso momento della mia osservazione, per privarmi dei frutti delle
mie pene e delle mie fatiche …”
G. Le Gentil, Voyage dans lesmers de l’Inde, 1779

Ecco una prima parte dell’articolo:

“La distanza Terra-Sole, così fondamentale
da essere definita unità
astronomica, è il primo gradino
che gli astronomi usano per
costruire la loro scala di distanze
nell’Universo. Il lento cammino
per arrivare al valore odierno
(149.597.870,7 km, risoluzione B2
della IAU) cominciò a partire dal
periodo classico, e fu tutt’altro
che semplice. Tolomeo (I secolo
d. C.) la considerava 20 volte più
piccola di quello che era, mentre
Riccioli, contemporaneo di Galileo
(17mo secolo), 3.5 volte. Anche
la stima di Edmund Halley (18mo
secolo), che pure diede un contributo
decisivo al problema e che
avremo modo di incontrare ancora
più avanti, era errata di una volta
e mezzo in difetto.
Un’occasione molto propizia per
fare dei passi avanti fu offerta
dai rari transiti di Venere, in particolare
da quelli del 1761 e 1769,
i primi dopo che fu consolidato
l’utilizzo del telescopio. Fu infatti
trovato un metodo geometrico (v.
box) che a partire dalle osservazioni
del dischetto del pianeta sul
Sole permetteva di dedurre il valore
cruciale dell’unità astronomica.
Per essere applicato, il metodo
richiedeva osservazioni contemporanee
da stazioni il più distanti
possibile, in un’epoca in cui questo
voleva dire viaggi lunghi anni
in luoghi sconosciuti, inospitali o
pericolosi. Fama e prestigio erano
certi per i coraggiosi astronomi
che avessero accettato l’incarico,
ben pochi tra i quali ebbero verosimilmente
un’idea di quello che
li attendeva (altrimenti non sarebbero
mai partiti). Se i più fortunati
riscossero in patria gli onori
che meritavano, una parte di essi
persero il transito, e qualcuno addirittura
la vita.
La Francia e l’Académie Royale des
Sciences furono in prima linea
nell’organizzazione delle spedizioni.
Una delle più sfortunate fu
quella che ebbe come protagonista
l’astronomo francese Guillaume
de Gentil, il quale dopo più di
dieci anni per mare mancò non
uno, ma entrambi i transiti in circostanze
che sarebbero quasi incredibili
se ad attestarle non ci
fosse il suo resoconto di viaggio,
il Voyage dans les mers de l’Inde
(Viaggio nei mari dell’India), da
cui è tratto in gran parte quanto
segue.
Facciamo un passo indietro di
tre secoli, e cominciamo il nostro
racconto.”

Il Viaggio di Guillaume Le Gentil alla caccia dei transiti di Venere

A corredo dell’articolo due BOX sapienti:

  • Quanti e quando saranno i transiti di Venere sul Sole
  • e il calcolo dell’unità astronomica attraverso di essi (un suggerimento utile anche per le scuole).

Il resto dell’articolo è pubblicato in COELUM 266

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Cos’è che fa splendere il Sole? e gli abitanti del Sole come sono fatti?

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Tempo di lettura: 3 minuti

Che cos’è che fa splendere il Sole?

E’ la domanda che si è posto Claudio Elidoro e a cui egli stesso ha cercato di dare risposta non tanto in quanto processo fisico/chimico oramai abbastanza noto, ma, come l’autore anticipa in prefazione, attraverso gli step storici che ci hanno portato, noi tutti, alla conoscenza attuale dei processi.

Le parole dell’autore ad introdurre l’articolo:

“Ritengo che chiedersi quale possa essere il meccanismo che permette al Sole di brilla
re sia una domanda spontanea e quasi inevitabile. Ai nostri giorni, pur con le indispensabili semplificazioni, anche chi frequenta la scuola primaria ha modo di conoscere la risposta scientificamente corretta. Ma non è sempre stato così. Che all’origine di questa energia vi fosse una sequenza di reazioni nucleari che, coinvolgendo atomi di idrogeno, producono atomi di elio è parte del nostro sapere scientifico solamente dal 1939. Proviamo dunque a ripercorrere a grandi linee le risposte che, nel corso del tortuoso cammino che spesso caratterizza la scienza, sono state proposte.”

Il racconto passa dalle intuizioni di Lord William Thomson, attraverso i ragionamenti e le supposizioni di molti altri scienziati noti: Hermann von Helmholtz, Marie Skłodowska Curie, Albert Einstein e altri fino alla comprensione moderna del fenomeno.

Ecco l’anteprima dell’articolo:

“Facile comprendere come il Sole occupi
da sempre un posto particolare
nella società umana. Fin dall’antichità
non solo gli viene riconosciuto
un ruolo chiave nel garantire una
situazione climatica favorevole alla
vita, ma le periodicità del suo cammino
in cielo (alternanza giorno/
notte e ciclo stagionale) si rivelano
anche un ottimo strumento per tener
traccia dello scorrere del tempo.
Inevitabile che – sia per la potenza
che mostra di avere, sia per la sua
costante presenza fin dalla notte
dei tempi – nelle civiltà del passato
venga identificato con una divinità
e adorato come tale. Poco importa
definire quali siano la vera natura e
l’origine dello splendore e del calore
del Sole. L’idea di Aristotele (384
– 322 a.C.) che le leggi della natura
valide sulla Terra non siano necessariamente
vincolanti per gli oggetti
celesti taglia la testa al toro: a differenza
dei fuochi terrestri, quel mondo
ardente può bruciare per quanto
tempo vuole senza creare nessun
problema. Per Aristotele la Terra è costituita
da materiali che decadono
e la luce che qui viene prodotta non
può durare a lungo: le fiamme sussultano
e cambiano continuamente
di forma, il combustibile si esaurisce
e la luce si spegne. Sul Sole, però, le
cose funzionano in modo differente
e quel fuoco che lo alimenta si comporta
in modo differente dai roghi a
noi famigliari.
Nel 1833, anno in cui l’astronomo
britannico John Herschel (1792 – 1871)
pubblica il suo Trattato sull’astronomia,
affrontando brevemente la
questione della fonte dell’energia
solare non può che ammettere che
si è di fronte a un grande mistero e
che gli astronomi sono in grandissima
difficoltà. «Se si potessero azzardare
congetture per l’origine della
radiazione solare – scrive Herschel
– dovremmo guardare piuttosto alla
nota possibilità di una generazione
indefinita di calore per attrito, oppure
alla sua eccitazione per scarica
elettrica, piuttosto che a qualsiasi
combustione di combustibile ponderabile,
sia solido che gassoso».
La grandissima difficoltà proviene
soprattutto dal fatto che chiedersi
come il Sole produca la sua energia è
strettamente collegato alla domanda
relativa alla sua età: due facce
di una medesima medaglia. Infatti,
se riusciamo a determinare quanta
energia produce il Sole, possiamo
verificare se le fonti di energia proposte
sono in grado di sostenere tale
produzione per tutto il tempo dell’esistenza
del Sistema Solare.
A proposito di quest’ultimo valore,
nel 1650 il vescovo irlandese James
Ussher (1581 – 1656).. ”

L’intervento di Claudio Elidoro si chiude con un BOX dedicato ad una curiosa supposizione: il Sole, al pari di altri pianeti doveva essere abitato! Teoria bizzarra diremmo oggi, ma allora…

L’articolo completo dedicato al Sole e “ai suoi abitanti” è su COELUM 266.

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Cosa sopprime l’attività degli AGN all’interno degli ammassi di galassie?

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Getto relativistico emesso dal buco nero super massiccio al centro di un AGN. Crediti: NASA/JPL-Caltech.
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Cosa sopprime l’attività degli AGN all’interno degli ammassi di galassie?

Si definisce nucleo galattico attivo (active galactic nucleus, AGN) la stretta regione al centro di alcune galassie caratterizzata da una luminosità estremamente elevata, che arriva spesso a coprire l’intervallo di lunghezze d’onda dell’intero spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma. Tale radiazione è prodotta dall’attività del buco nero super massiccio (super massive black hole, SMBH) localizzato nel nucleo galattico e avente massa pari a 106-10M⊙, il cosiddetto motore centrale. Un SMBH diviene attivo solo se in grado di inglobare una quantità sufficiente della materia che gli orbita attorno, disposta su disco di accrescimento: ne consegue che l’accrescimento, ovvero la caduta verso il SMBH della materia ad esso circostante, rappresenta il principale meccanismo responsabile dell’emissione proveniente dagli AGN. In particolare, solo nell’1−10% degli AGN l’emissione avviene sotto forma di getti relativistici che si estendono su scale del Mpc, in direzione perpendicolare al disco di accrescimento e allineati con il suo asse. Situata al di sopra del disco di accrescimento, la corona è invece una zona composta da gas caldo e ionizzato: l’elevatissima temperatura, dell’ordine di circa 108−9K , la rende quindi una delle sorgenti primarie di raggi X. All’esterno della corona si trova poi la regione delle righe larghe (broad line region, BLR), il cui nome fa riferimento alle righe di emissione allargate (broad) originate dalle nubi di gas mediamente caldo, molto denso e in rapida rotazione attorno al SMBH che la costituiscono. La BLR è racchiusa e talvolta parzialmente oscurata dal toro di polveri, una struttura a forma di toro (o ciambella) capace di assorbire, termalizzare e riemettere nella banda del medio infrarosso la radiazione ottica e ultravioletta generata dalle regioni centrali. Al di fuori del toro di polveri si trova, infine, la regione delle righe strette (narrow line region, NLR), il cui gas, meno caldo, denso e veloce, produce righe di emissione strette (narrow) in confronto a quelle della BLR.

Schema delle componenti di un AGN.
Crediti: Urri & Padovani

Una galassia che ospiti un AGN viene allora definita galassia attiva. Tuttavia, la storia evolutiva delle galassie dipende non solo dalle loro proprietà intrinseche, ma anche dall’ambiente in cui si trovano: pertanto, galassie attive residenti all’interno di ammassi subiranno un’evoluzione diversa rispetto a quella delle loro controparti isolate, le galassie di campo. Poiché la tendenza delle galassie a raggrupparsi in ammassi consegue dalla struttura gerarchica assunta dall’Universo al momento della sua formazione, è logico pensare che anche la percentuale di SMBHs attivi, ossia di AGN, sia influenzata da questa peculiare condizione. Infatti, numerosi studi hanno mostrato che negli ammassi più grandi, quelli con massa superiore a 1014M⊙, può verificarsi la soppressione dell’attività degli AGN via ram pressure stripping (i.e., il processo per cui la pressione esercitata dal gas caldo e denso presente nel mezzo intergalattico sulle galassie d’ammasso rimuove parte del materiale utile a “nutrire” i SMBHs che esse contengono). Allo stesso tempo, ulteriori indagini segnalano l’esistenza di un lieve eccesso di emissione di raggi X nelle zone più esterne degli ammassi di galassie dinamicamente rilassati (i.e., privi di segni di precedenti collisioni violente o distruttive con altri ammassi di galassie), ma non in quelle degli ammassi di galassie disturbati (i.e., perturbati dall’interazione con altri ammassi di galassie più o meno lontani).

Struttura interna di una galassia attiva.
Crediti: Urri & Padovani.

Questa variegata fenomenologia ha motivato gli astrofisici a ricercare quali proprietà degli ammassi di galassie siano causa della stimolazione o della soppressione dell’attività degli AGN nel dominio X dello spettro elettromagnetico. In un recente studio condotto su 19 ammassi di galassie di grande massa e con rilevata emissione di raggi X, estratti dalla LoCuSS survey nel ristretto intervallo di redshift 0.16−0.28, sono state utilizzate le precise misure spettroscopiche dei telescopi XMM-Newtone Chandra per individuare le sorgenti puntiformi di raggi X attorno ad essi. A questi dati sono stati aggiunti quelli dello spettrografo Hectospec del telescopio MMT, grazie a cui gli ammassi selezionati sono stati opportunamente caratterizzati; nello specifico, le osservazioni nell’ottico hanno permesso di visualizzare eventuali deformazioni morfologiche delle galassie ospiti, identificando quelle disturbate. Per determinare gli effetti dell’ambiente sull’attività degli AGN, si è proceduto alla divisione dell’area occupata da ciascun ammasso in anelli concentrici di uguale raggio centrati sul picco di emissione in banda X, il primo comprendente le regioni centrali e il secondo quelle più esterne. In questo modo, si è potuto calcolare il numero di sorgenti di raggi X in entrambi i cerchi per ogni ammasso, ottenendo pertanto una stima di quanti AGN sopravvivono mediamente vicino e lontano dal centro. Gli ammassi sono stati poi classificati in base non solo alla presenza di nuove sorgenti di raggi X entranti per cattura gravitazionale, ma anche al loro stato dinamico.

Da tale, complessa analisi è emerso

Immagini di AGN identificati nel
campione di ammassi di galassie
selezionato. Crediti: arXiv.

che il numero di AGN nelle regioni esterne degli ammassi di galassie supera quello relativo alle regioni centrali, data l’azione meno marcata del ram pressure stripping, e che l’ingresso di nuove sorgenti di raggi X non influisce sulla distribuzione di quelle già presenti. Inoltre, i risultati hanno confermato la mancanza di eccesso di emissione X nella periferia delle galassie disturbate, proprio in virtù delle ripetute interazioni violente da esse subite nel corso del tempo. Si può allora concludere che i meccanismi cui si imputa la soppressione dell’attività degli AGN negli ammassi di galassie siano il ram pressure stripping nelle zone in prossimità del centro, e le interazioni violente in quelle più distanti da esso.

 

Fonte: arXiv

Tempi duri per M31 e LMC

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Stella nana bianca che sottrae materia alla stella compagna. Crediti: NASA/CXC/M.Weiss
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Resti di novae ricorrenti:
la carestia in M 31 e LMC

Si chiamano variabili cataclismiche le stelle facenti parte di un sistema binario compatto in cui si verifica un trasporto di massa instabile tale da provocare dei cambiamenti sostanziali della loro luminosità nel corso del tempo. La stella donatrice è solitamente di piccola massa e si trova nella fase di sequenza principale (tipo spettrale G o M) o di gigante rossa, mentre quella ricevente è una nana bianca più o meno vicina al valor limite di massa detto massa di Chandrasekhar (MCh≃1.44 M⊙), raggiunto il quale si verifica un’esplosione di supernova Ia che comporta la distruzione della stella stessa. L’accrescimento di materiale ricco di idrogeno da parte di una nana bianca con massa inferiore a MCh determina l’innesco di reazioni termonucleari sulla sua superficie e la conseguente espulsione periodica della materia in eccesso in esplosioni violente di tipo nova, responsabili dell’aumento di luminosità.

Le stelle novae sono quindi variabili cataclismiche caratterizzate da esplosioni di tipo nova. Esse vengono suddivise in diverse classi a seconda del periodo di variabilità (i.e., l’intervallo di tempo che intercorre tra due successive eruzioni di materia superficiale): tra queste, le novae ricorrenti presentano un periodo di variabilità di qualche decennio o secolo. Essendo le eruzioni delle novae ricorrenti molto frequenti, ci si aspetta che i resti del materiale espulso rimangano visibili attorno alla stella per più di 1000 anni per via del continuo “rifornimento” di nuova materia. In particolare, nel 2019 è stata osservata nella vicina galassia Andromeda (M31) una nova ricorrente unica nel suo genere in quanto circondata da resti di enorme dimensioni (i.e., estesi per un massimo di 134 pc, ove 1 pc = 3.086 × 10¹³ km). Chiamata M31N 2008-12a,ma abbreviata poi in 12a, e avente periodo di variabilità di circa 359 giorni, la nova ricorrente di M31 ospita una nana bianca di massa pari a 1.38 M⊙, ovvero di poco inferiore a MCh, motivo per cui essa è soggetta ad eruzioni estremamente aggressive che danno luogo ad un “super resto” di nova (nova super-remnant, NSR). Il NSR di 12a è risultato chiaramente visibile nelle strette bande di emissione H𝛼e [S II] (𝜆 = 6713, 6731 Å), ma non nella banda [O III] (𝜆 = 5007 Å), in immagini prese da telescopi terrestri.

Poiché la teoria prevede l’esistenza di NSR attorno a ciascuna nova ricorrente e poiché nel 2023 è stato scoperto che, in effetti, la celebre nova ricorrente KT Eridani nella Via Lattea è circondata un simile NSR, un gruppo di ricercatori di Liverpool e New York ha dato vita alla prima campagna osservativa di NSRs in M31 e nella Grande Nube di Magellano (Large Magellanic Cloud, LMC) utilizzando i dati tabulati nella (LGGS). Al momento si conoscono 4 novae ricorrenti in LMC e 20 in M31, di cui una è proprio 12a; il campione finale comprende tutte le novae ricorrenti di LMC e 19 su 20 di M 31, data l’esclusione della già studiata 12a, per un totale di 23 oggetti. Tuttavia, 5 delle 19 novae ricorrenti di M 31 sono state eliminate a posteriori perché troppo vicine al bulge (i.e., nucleo) della galassia per essere analizzate opportunamente con il metodo della fotometria annulare (dal latino “annulus”, letteralmente “piccolo anello”, i.e., zona compresa fra due cerchi concentrici).

Localizzazione delle 19 novae ricorrenti di M 31 facenti parte del campione
selezionato per l’analisi fotometrica. Crediti: arXiv.
Localizzazione delle 4 novae ricorrenti di LMC facenti
parte del campione selezionato per l’analisi fotometrica.
Crediti: arXiv.

L’applicazione del metodo della fotometria annulare alle immagini di LGGS nelle bande strette H𝛼, [S II] e [O III] e nelle bande larghe𝑉e𝑅 per le stelle target non ha però mostrato alcuna emissione degna di nota attorno a queste: ciò sembrerebbe indicare la mancanza di NSRs associati al campione di novae ricorrenti esaminato.

Per spiegare tale “carestia” di NSRs sono state avanzate diverse ipotesi. La più probabile è che la maggior durata del periodo di variabilità delle novae ricorrenti di M31 e LMC rispetto a quello di 12a ostacoli la formazione di una concentrazione considerevole di materia intorno a queste, fatto che contribuisce a diminuire l’intensità delle emissioni luminose nelle bande fotometriche analizzate. Periodi di variabilità più lunghi corrispondono ad un minor tasso di accrescimento di materia sulla stella nana bianca o ad una minore massa intrinseca di questa: in altre parole, le proprietà strutturali del sistema binario in cui avviene l’esplosione di nova e l’interazione tra le stelle membro definiscono l’efficienza e la visibilità delle eruzioni. Ergo, i NSRs esisterebbero, ma non risulterebbero rilevabili nelle immagini di LGGS. Alternativamente, si può supporre che l’esistenza del NSR di 12a sia un evento raro e che la maggior parte delle novae ricorrenti sia pertanto priva di NSRs.

Ad ogni modo, indipendentemente dalla causa della carestia di NSRs in M31 e LMC, i ricercatori hanno in programma di effettuare un’ulteriore analisi dei dati di LGGS sfruttando osservazioni più profonde nelle bande fotometriche H𝛼e [S II], in cui si prospettano emissioni più evidenti e marcate da parte dei NSRs.

Fonte: arXiv.


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News da Marte #24

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Bentornati su Marte! Tra la congiunzione solare di novembre e il rallentamento dei lavori per le vacanze di Natale, il sito della NASA dedicato a Mars 2020, la missione che include il rover Perseverance e l’elicottero Ingenuity, non ha ricevuto molti aggiornamenti ufficiali sullo stato delle attività. Questo ha costretto il vostro autore a una ricostruzione basata, ancora più del solito, sull’analisi di foto grezze, mappe e altri “indizi”.

Questo primo aggiornamento dell’anno è dedicato a Ingenuity che dopo la congiunzione ha eseguito cinque voli, purtroppo non tutti eseguiti esattamentecome da programmi. Si parte!

Le foto durante la congiunzione

Data l’impossibilità di svolgere nuove attività aeree durante le settimane della congiunzione di novembre, gli scienziati hanno avuto l’idea di usare Ingenuity e le sue camere per degli studi più “statici” di Marte. È stata sfruttata la posizione sulla collina sabbiosa, raggiunta al termine del volo 66 , e l’elicottero ha fotografato a intervalli regolari il terreno attorno a lui dal Sol 964 al 985. In questo modo si è analizzato il modo in cui la regolite marziana viene spostata dal tenue vento nell’atmosfera del Pianeta Rosso. Queste informazioni saranno poi correlate con le misurazioni meteorologiche eseguite dal rover Perseverance. La camera a colori di Ingenuity, rivolta verso nord-ovest, ha scattato una foto al giorno sempre alla stessa ora locale, circa le 10:18 del mattino.

Suolo marziano fotografato da Ingenuity nei Sol 964 (sopra) e 985. NASA/JPL-Caltech/Piras

Si nota che dal primo all’ultimo Sol di osservazione le ombre si allungano, segno che il Sole si presentava progressivamente più basso all’ora scelta per gli scatti. L’emisfero nord attualmente si trovava infatti nella stagione estiva in avvicinamento all’equinozio d’autunno che si è verificato il 12 gennaio, e le giornate di Ingenuity e Perseverance si stanno progressivamente accorciando. Elaborando queste immagini ho aumentato intenzionalmente il contrasto per esaltare le minime differenze nella posizione della regolite, intuibili in particolare in corrispondenza dell’impronta della gamba di atterraggio in primo piano.

L’intera sequenza delle 21 fotografie è qui mostrata in un video, con uno zoom proprio sull’impronta menzionata.

 

Ingenuity decolla di nuovo

Con la fine della congiunzione Ingenuity riparte: il Sol 990, 2 dicembre terrestre, decolla per la sua attività numero 67 che consiste in un volo di 393 metri eseguiti in 2 minuti e 16 secondi. Con questo spostamento l’elicottero viene fatto dirigere verso nord-ovest proseguendo le attività di esplorazione delle aree che nelle prossime settimane saranno raggiunte anche dal rover. Al termine di questo volo Ingenuity e Perseverance tornano lontani quanto non lo erano da parecchi mesi, con una distanza reciproca stimabile in circa 1500 metri.

Il 68esimo volo ha avuto luogo il 16 dicembre o Sol 1002. Con uno spostamento di 702 metri percorsi in 131 secondi l’elicottero ha eseguito un test di spostamento ad alta velocità in direzione nord-est facendo poi ritorno al luogo di partenza e qui riatterrando. Nel momento della sua esecuzione si è trattato del secondo volo più lungo di sempre e ha visto quasi eguagliato il record di 704 metri del 25°, eseguito ad aprile 2022. La differenza è che lo spostamento del 2022 era consistito in un’unica tratta in linea retta mentre quest’ultimo ha incluso anche una frenata, una pausa per fotografare il sito e un’altra accelerazione per il ritorno al punto di partenza.

Per questa attività e le successive descritte nell’articolo sono state rilasciate complessivamente poche decine di foto in totale, ma tra esse è ugualmente possibile trovare dettagli interessanti. Ne è un esempio proprio questa istantanea catturata da Ingenuity nei momenti dell’atterraggio del volo 68, con l’ovale rosso nella parte bassa che evidenzia le quattro impronte lasciate a conclusione della precedente attività.

Fotogramma della discesa a conclusione del volo 68. Visibili in basso, evidenziate nell’ovale rosso, le impronte lasciate durante l’atterraggio 67. NASA/JPL-Caltech/Piras

È stato possibile percorrere la stupefacente distanza di oltre 700 metri in un tempo relativamente breve grazie alla grande velocità di 10 m/s che potrebbe diventare la nuova normalità per Ingenuity.

La difficoltà di volare ad alta velocità

Un particolare interessante sulle recenti sperimentazioni dei tecnici dell’elicottero riguarda il fatto che queste velocità di spostamento molto elevate mettono alla prova, oltre che l’aerodinamica delle eliche del drone, anche il software di navigazione autonoma.

Il computer di bordo usa infatti la camera in bianco e nero puntata verso il suolo per osservare il movimento delle caratteristiche superficiali e stimare la distanza percorsa attraverso il confronto tra frame. Velocità troppo elevate rendono i fotogrammi, pur se consecutivi, troppo diversi tra loro, facendo sì che il software di navigazione non riesca a ricostruire correttamente velocità e direzione dell’elicottero. La soluzione che viene implementata è l’incremento dell’altezza di volo, in modo da inquadrare una porzione più ampia di superficie e far sì che i dettagli del terreno cambino meno rapidamente anche nel caso di spostamenti ad alta velocità.

Meno recentemente, in particolare con i voli 57, 58 e 59, sono state testate invece minori velocità di atterraggio, e più precisamente quella con cui l’elicottero discende gli ultimi metri prima di toccare il suolo. Inizialmente sviluppato per toccare il suolo a un metro al secondo, Ingenuity è stato riprogrammato per sperimentare una velocità inferiore del 25%. Queste prove stanno aiutando la progettazione dei futuri velivoli che andranno su Marte, i quali se saranno in grado di atterrare in modo più dolce potranno far uso di gambe di atterraggio più leggere con ricadute positive sull’autonomia di volo e sulla possibilità di essere dotati di carichi scientifici più avanzati.

Sempre a proposito di esperimenti, a inizio dicembre la NASA ha rilasciato informazioni riguardo al fatto che due voli dello scorso mese sarebbero stati impiegati per testare le prestazioni in beccheggio e rollio con dei voli ad alta velocità. Questo ha avuto conferma sia con il volo 68 che quello che è seguito nel Sol 1007 (20 dicembre).

Un volo da record

Il volo 69, con una programmazione molto simile al precedente, ha visto Ingenuity spostarsi per 705 metri (nuovo record assoluto) toccando ancora la velocità di 10 m/s e riatterrando ancora una volta nel medesimo sito denominato Airfield Chi. Dopo aver terminato l’alfabeto latino siamo quasi agli sgoccioli anche con l’alfabeto greco!

Due giorni dopo l’elicottero riparte e completa l’attività numero 70 che è consistita in uno spostamento di 260 metri eseguiti in 133 secondi.

Fasi di atterraggio nel volo numero 70, Sol 1009. NASA/JPL-Caltech

Al termine di una pausa natalizia delle attività, il giorno dell’Epifania Ingenuity esegue il 71esimo volo.

Secondo i programmi l’elicottero avrebbe dovuto volare per 125 secondi percorrendo 358 metri, con uno spostamento definito di “riposizionamento” che, da previsioni, si deduce l’avrebbe dovuto riportare nei pressi del medesimo sito di atterraggio Airfield Chi. Ma le cose non sono andate come previsto.

Un problema di navigazione

Ingenuity non ha completato il volo secondo i programmi, ma ha percorso solo 71 metri interrompendo l’attività dopo appena 35 secondi. La ragione di questo, secondo un brevissimo aggiornamento pubblicato nell’account X (ex Twitter) del JPL, è da imputare a un terreno privo di caratteristiche superficiali che a un certo punto del volo ha impedito al software di navigazione di calcolare correttamente direzione e velocità di spostamento.

Si può ipotizzare che in quel momento, come già avvenuto in passato con il volo numero 53, sia intervenuto il sottoprogramma LAND-NOW che blocca il volo in corso e avvia un atterraggio di emergenza. Siamo rimasti col fiato sospeso per alcuni giorni, finché il 12 gennaio è stata rilasciata un’immagine acquisita da Ingenuity 3 giorni prima.

Scatto del Sol 1027 che mostra il terreno sotto Ingenuity confermando la buona salute dell’elicottero e l’esito positivo dell’atterraggio di emergenza. NASA/JPL-Caltech

La foto mostra la prospettiva familiare della camera di navigazione con Ingenuity posato al suolo e la sua ombra netta delle ore 10:11 locali.

La mappa ufficiale non è stata ancora aggiornata con il percorso compiuto in quest’ultimo volo incompleto, quindi ho provato a calcolarne una stima che ho inserito insieme agli altri spostamenti raccontati nell’articolo (aprire la GIF se questa non parte in automatico).

Animazione con la sequenza dei cinque voli raccontati nell’articolo. Pista d’atletica inserita come riferimento dimensionale. NASA/JPL-Caltech/Piras

Per questo aggiornamento dedicato esclusivamente a Ingenuity è tutto, alla prossima!

Onde gravitazionali e prime luci dell’Universo

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Coalescenza di un sistema binario di buchi neri. Crediti: LIGO/T. Pyle
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Onde gravitazionali
e prime luci dell’Universo

Nel 1916 Einstein predisse l’esistenza delle onde gravitazionali nella teoria della relatività generale come naturale, matematica conseguenza del moto orbitale di oggetti stellari molto massivi l’uno attorno all’altro. Il progressivo e sempre più rapido avvicinamento di tali oggetti doveva essere tale da provocare la deformazione dello spazio-tempo circostante mediante delle “increspature” rivolte dalla sorgente verso l’esterno: le onde gravitazionali. Esse si dovevano inoltre propagare in maniera isotropa, ovvero senza direzione preferenziale, e alla velocità della luce, allungando e accorciando alternativamente la distanza fra i corpi celesti che incontravano lungo il cammino. La conferma ufficiale dell’esattezza dell’ipotesi di Einstein giunse però soltanto nel 2016, quando fu annunciato che l’associazione di rivelatori LIGO-Virgo-KAGRA era riuscita a misurare le onde gravitazionali originate dalla fusione di due buchi neri di circa 30M⊙(i.e., masse solari) ciascuno, costituenti un sistema binario (evento GW150914). Da allora la rete LIGO-Virgo-KAGRA, ormai giunta alla sua terza campagna osservativa, ha identificato circa 90 simili eventi, tutti probabilmente derivanti dalla coalescenza di buchi neri di grande massa in sistemi binari compatti.

Per comprenderne l’origine è necessario risalire ai progenitori delle binarie di buchi neri, partendo quindi dall’analisi dei relativi canali di formazione. Esistono due principali canali di formazione per le binarie di buchi neri: il canale di formazione “di campo” e il canale di formazione “dinamico”. Il primo coinvolge le stelle di campo (i.e., non appartenenti ad ammassi stellari), che nascono in sistemi binari ed evolvono imperturbate fino a diventare buchi neri coalescenti, mentre il secondo comprende sistemi binari influenzati o addirittura modificati dalle ripetute interazioni con le stelle vicine, di modo che l’evoluzione in binarie di buchi neri coalescenti risulta non spontanea, ma indotta. Ambienti ideali per la formazione di binarie di buchi neri dinamiche sono allora gli ammassi globulari (globular clusters, GCs), per via della loro elevata densità stellare. Più variegato è, invece, il campione di progenitori delle binarie di buchi neri di campo: se i più probabili progenitori sono le stelle di campo di popolazione I (Pop I), giovani e ricche di metalli, e di popolazione II (Pop II), vecchie e povere di metalli, recentemente un gruppo di scienziati giapponesi ha proposto di introdurre anche le stelle di popolazione III (Pop III), le cosiddette prime luci dell’Universo. Infatti, le stelle di Pop III, nate nell’Universo primordiale ancora privo di metalli poiché rilasciati in seguito dalle esplosioni di supernova, tendono ad avere masse molto maggiori rispetto alle stelle di Pop I/II e ad evolvere in giganti blu quando si trovano in un sistema binario, motivo per cui esperiscono un trasporto di massa stabile. Ciò accade per un semplice motivo: minore è il contenuto di metalli di una stella, e più efficace è la soppressione dei venti stellari che intervengono a strapparle massa nella fase evolutiva di gigante. Di conseguenza, le stelle binarie di Pop I/II, composte da materiale già processato dalle esplosioni di supernova, evolvono in giganti rosse e sono caratterizzate da un trasporto di massa instabile a causa della presenza di venti stellari, fatto che impedisce loro di ritenere una considerevole quantità di massa. Le stelle di Pop III dovrebbero allora per costituzione dare luogo a buchi neri con massa pari o superiore ai valori misurati dai rivelatori LIGO-Virgo-KAGRA, contenuti nel catalogo GWTC-3.

Tre fasi della coalescenza di un sistema binario di buchi
neri (i.e., spiraleggiamento, fusione e ringdown) e relativa
zona nel segnale dell’onda gravitazionale emessa.
Crediti: Kip Thorne (parte superiore), B. P. Abbott et al.
(parte inferiore); adattamento di APS/Carin Cain.

 

D’altro canto, il trasporto di massa instabile comporta il restringimento della distanza tra le stelle membro di un sistema binario, favorendo l’avvio della fase di coalescenza che porta alla loro fusione. Sembra pertanto ragionevole includere entrambi i gruppi di stelle di campo, quelle di Pop I/II e quelle di Pop III, tra i possibili progenitori delle binarie di buchi neri.

Il team di ricerca giapponese si è avvalso del metodo bayesiano gerarchico per determinare il contributo di ciascun canale al numero di eventi di onde gravitazionali osservati, includendo le stelle di Pop III nell’analisi. Nella statistica bayesiana prima si assegna una probabilità (i.e., un grado di plausibilità) a ciascun evento osservato e poi si effettua un esperimento per verificare se l’ipotesi iniziale era o meno corretta: dato il condizionamento nel risultato dovuto a tale ipotesi, formulata a priori, si parla dunque di probabilità condizionata. In termini pratici, i modelli costruiti con il metodo bayesiano forniscono delle stime di probabilità a partire da una conoscenza pregressa, cui viene associato un errore a valle del confronto con i dati sperimentali per valutarne la bontà e l’affidabilità. In particolare, nel metodo bayesiano gerarchico si utilizzano più “sotto-modelli” per creare un modello finale complessivo: nel caso in questione, i sotto-modelli utilizzati inseriscono i contributi delle stelle di Pop I/II, delle stelle di Pop III e dei GCs in diversa misura, così da poter creare diverse combinazioni. Secondo i ricercatori giapponesi la combinazione vincente è data dal modello Pop I/II+Pop III+GCs, con rapporti di diramazione (i.e., frazioni di stelle che formano binarie di buchi neri seguendo le tre strade, Pop I/II, Pop III o GCs) di 0.86+0.11+0.02. Ora, i rapporti di diramazione mostrano che il contributo delle stelle di campo di Pop I/II prevale su quello delle stelle di campo di Pop III e quello dei GCs: ciò significa che la maggior parte delle binarie di buchi neri coalescenti del catalogo GWTC-3 ha come progenitori stelle di campo di Pop I/II e che i progenitori generati nei GCs sono, in proporzione, molto pochi. Al contrario, le stelle di Pop III, benché tendenzialmente escluse dal canale di formazione di campo in quanto mai direttamente osservate, hanno un peso non trascurabile sul modello bayesiano finale.

Meccanismo di funzionamento dei rivelatori di onde gravitazionali: a fascio di luce laser mandato nell’interferometro per misurare i cambiamenti di lunghezza dei bracci; b “beam splitter” per dividere il fascio di luce in due parti, una per braccio dello strumento; c rimbalzo dell’onda gravitazionale sullo specchio e ritorno verso l’interferometro; d allungamento di un braccio dell’interferometro e accorciamento dell’altro al passaggio dell’onda gravitazionale; e ritorno dei fasci di luce al team splitter inalterati. Crediti: Johan Jarnested, The Royal Swedish Academy of Sciences.

Il modello “best-fit”, ovvero maggiormente performante nella riproduzione dei dati del catalogo GWTC-3, ottenuto sembra in grado di coprire il range di massa dei buchi neri coalescenti schedati, ma fallisce nell’indicare il valore di 30 M⊙ come più frequente al suo interno (i.e., come picco della distribuzione di massa). Futuri sviluppi di questo lavoro di ricerca prevedono quindi variare i parametri del modello, includerne di nuovi e diversificare la trattazione teorica per ciascun gruppo di progenitori preso in esame, pur mantenendo il focus sulle stelle di Pop III.

Fonte: arxiv.org

Jhelum: il flusso stellare

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Flusso stellare associato ad una galassia a spirale. Immagine di Jon Lomberg.
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Il flusso stellare Jhelum dà indicazioni sulla storia di formazione della Via Lattea

 

L’alone della Via Lattea contiene numerose strutture di forma allungata, popolate da stelle aventi specifiche proprietà cinematiche e dinamiche, chiamate flussi stellari: si tratta dei resti di oggetti, per lo più ammassi globulari e galassie nane, che orbitavano attorno alla Galassia e sono stati a poco a poco distrutti dalla forza mareale di questa. La forza di marea compare quando si considerano corpi estesi soggetti alle reciproche attrazioni gravitazionali e il suo effetto si manifesta nella deformazione dei corpi stessi. Ora, grazie alla loro potente attrazione gravitazionale, le galassie più grandi sono in grado di deformare i sistemi stellari minori ad esse vicini fino a disgregarli, dando luogo ad un moto di trascinamento che spinge la materia verso il centro attrattivo. Tali sistemi stellari vengono dunque inglobati nella parte più esterna della galassia ospite, l’alone ,e ciò che rimane della loro originaria distribuzione di massa sono proprio i flussi stellari.

L’identificazione di flussi stellari nell’alone della Via Lattea porta quindi ad edurre che essa si sia formata attraverso una serie di simili eventi di accrescimento. In particolare, il flusso stellare Jhelum ha catturato l’attenzione degli scienziati per la sua inusuale e complessa morfologia: i dati estratti dal catalogo della missione Gaia(GaiaDR3) hanno infatti mostrato l’esistenza di due diverse componenti stellari all’interno di Jhelum, separate sia spazialmente sia nei moti propri delle loro stelle. La prima componente occupa una regione piuttosto stretta e appare molto densa di stelle, mentre la seconda, situata al di sotto, è caratterizzata da una maggiore estensione e da un aspetto più diffuso.

Componenti di Jhelum: quella stretta e densa in rosso, e quella larga e diffusa in blu. Immagine di arxiv.org.

Per isolare in modo più chiaro e distinto le due componenti nel diagra

Componenti di Jhelum separate per velocità radiale: quella stretta e densa in rosso, e quella larga e diffusa in blu. Immagine di arxiv.org.

mma colore- magnitudine di Jhelum è stato utilizzato l’algoritmo di machine learning LAAT (Locally Aligned Ant Technique), che ha lo scopo di evidenziare il contrasto tra le regioni a bassa e ad alta densità stellare nelle distribuzioni di posizione e moto proprio di un determinato sistema stellare. Se le regioni ad alta densità individuate dall’algoritmo vengono poi associate a delle sotto-strutture osservate nel diagramma colore-magnitudine, come nel caso delle componenti di Jhelum, si ottiene una corrispondenza biunivoca che prova la loro effettiva esistenza. I risultati di LAAT sono positivi e confermati da un’analisi delle velocità radiali delle stelle delle due componenti, misurate dalla survey S5 (Southern Stellar Stream Spectroscopic Survey).

 

Separazione spaziale iniziale (pannello in alto a destra) e finale (pannello in basso a destra) delle componenti di Jhelum ottenuta con l’algoritmo LAAT, e regione associata nel diagramma colore-magnitudine del flusso stellare (pannello a sinistra). Immagine di arxiv.org.

 

Le informazioni sulle dispersioni di velocità e di metallicità, che indicano la variabilità dei valori di velocità e di abbondanza di metalli rispetto al valor medio, quello più probabile, ricavate dallo studio dei moti propri delle stelle di Jhelum hanno permesso di associare ciascuna componente ad un sistema stellare progenitore. Da una parte, la componente più stretta e densa, avente basse dispersioni di velocità e di metallicità, sembrerebbe derivare dall’inglobamento di un ammasso globulare, dall’altra quella più larga e diffusa dall’accorpamento di una galassia nana. Ciò ha indotto i ricercatori a formulare la seguente ipotesi sull’origine di Jhelum: esso è probabilmente il risultato di un evento di accrescimento passato che ha coinvolto una galassia nana, contenente un ammasso globulare a sua volta esito di un evento di accrescimento ancora precedente.

Ma non solo: Jhelum fornisce importanti vincoli sulla storia di formazione della Via Lattea, che pare essere stata scandita dalla fusione del suo alone con sistemi stellari più piccoli che non sono riusciti a sfuggire alla sua attrazione gravitazionale.

Fonte: arxiv.org

Un diagramma HR per ascoltare il suono degli astri

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Diagramma HR sonificato. Crediti: arXiv.
Tempo di lettura: 3 minuti

Un diagramma HR per ascoltare
il suono degli astri

 

Il diagramma HR (Hertzprung-Russel diagram, HRD) rappresenta da sempre uno strumento chiave per lo studio delle proprietà fisiche, della struttura della fase evolutiva delle stelle. Si tratta di un diagramma che mostra l’andamento della luminosità delle stelle (in asse y) in relazione alla loro temperatura (in asse x), e che viene spesso declinato nella sua variante osservativa: il diagramma colore-magnitudine (color magnitude-diagram, CMD), dove la luminosità viene sostituita dalla magnitudine assoluta e la temperatura dal colore. Infatti, la magnitudine assoluta corrisponde alla luminosità con l’introduzione della distanza dell’oggetto osservato, mentre il colore è un indicatore della temperatura, tale per cui le stelle blu risultano più calde e quelle rosse più fredde. La funzione esplorativa del diagramma HR si è rivelata estremamente utile nella caratterizzazione dei dintorni solari, degli ammassi globulari situati nell’alone della Via Lattea e della Galassia stessa, soprattutto a seguito del rilascio dei dati della missione Gaia. Essa ha fornito misure di astrometria, distanza e moto proprio delle stelle della Via Lattea precise e accurate come mai prima, tutte direttamente accessibili proprio attraverso il diagramma HR.

Diagramma HR. Crediti: Inaf.

Tuttavia, il diagramma HR rimane uno strumento prettamente visuale, che non permette quindi di ottenere informazioni sulle cosiddette serie temporali, ovvero i processi periodici che contraddistinguono alcune stelle, ripetendosi uguali dopo un certo intervallo di tempo (e.g., oscillazioni acustiche, brillamenti, macchie stellari). Tali informazioni derivano da telescopi per la ricerca di pianeti extrasolari come Kepler e TESS (Transit Exoplanet System Satellite), che misurano la variabilità delle stelle ospiti, e sono importanti perché collegate a parametri primari come massa ed età.

Per poter inserire le serie temporali di Kepler all’interno del diagramma HR, un gruppo di
ricercatori dell’Olanda e degli USA ha proposto di tradurle in suoni, anziché in immagini, avviando dunque un processo di “sonificazione”, ossia di sintesi delle serie temporali in onde sonore riproducibili da apparecchi quali cuffie e microfoni. Da notare che le onde sonore  sono state solo minimamente processate, al fine di mantenere le fondamentali differenze sia  tra i fenomeni fisici che le originano sia tra le stelle che le emettono: una scelta voluta, che però comporta talvolta la generazione di suoni poco piacevoli all’udito, come sottolineano i ricercatori.

Diagramma HR sonificato. Crediti: arXiv.

Le stelle sonificate tratte dal catalogo di Kepler (Kepler Input Catalogue, KIC) sono in totale 1958, e a ciascuna di esse sono stati assegnati i rispettivi valori di magnitudine assoluta e temperatura estratti dal catalogo di Gaia DR2: il risultato è pertanto un catalogo multidimensionale, che combina l’informazione sonora con quella visuale. Il passo successivo è stato la creazione di un nuovo diagramma HR interattivo con cui non solo vedere, ma anche ascoltare le stelle. Esso è stato chiamato diagramma HR sonificato (Sonified HRD) e pubblicato su un apposito sito, Star Sounder. Selezionando un punto nel diagramma HR sonificato si accede in modo immediato alle informazioni sulla corrispondente stella, identificata con il suo numero nel catalogo di Kepler (KIC number); oltre alle informazioni su magnitudine assoluta, temperatura, posizione e moto proprio, viene mostrata a schermo la serie temporale ad essa relativa, mentre un tasto “play” posto sotto al diagramma consente di ascoltarne il suono.

Quest’analisi comparata delle proprietà stellari potrebbe in futuro avere notevoli implicazioni sulla ricerca astronomica, facilitando e velocizzando l’acquisizione di una visione sinottica da parte degli scienziati. Inoltre, il diagramma HR sonificato possiede un ulteriore potenziale,   poiché la sua semplicità di utilizzo lo rende versatile nei campi della divulgazione e dell’insegnamento.

In fin dei conti, pure il matematico e filosofo greco Pitagora sosteneva che ogni corpo celeste produce un’unica, inconfondibile musica.

Fonte: arxiv.org

Sulla rarità dei satelliti grandi come la Luna

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Tempo di lettura: 3 minuti

Sulla rarità dei satelliti
grandi come la Luna

 

La presenza della Luna è di fondamentale importanza per la Terra, poiché essa contribuisce alla stabilizzazione dell’asse terrestre, favorendo quindi una condizione climatica più equilibrata, e controlla la durata del giorno e delle fasi di marea, con delle ripercussioni inevitabili sui cicli biologici. Ciononostante, uno degli aspetti peculiari della Luna è il suo essere un satellite piuttosto grande in confronto alle dimensioni della Terra. Una luna planetaria si definisce grande rispetto al pianeta ospite quando la sua massa è di poco inferiore o uguale al 10% della massa di questo. Sistemi pianeta-luna con simili caratteristiche sono molto rari, basti pensare che se ne trova soltanto uno nelle vicinanze della Terra, ovvero il sistema Plutone-Caronte, e che non ne è stato ancora confermato alcuno al di fuori del Sistema Solare.

Per comprendere la scarsità di tali candidate esolune (i.e., lune associate a pianeti extrasolari, ossia non appartenenti al Sistema Solare), i ricercatori hanno studiato l’origine della Luna e le condizioni per la generazione di grandi satelliti. Tra i vari modelli proposti, si propende per quello che vede la formazione della Luna come esito dell’impatto fra la Terra e Theia, un protopianeta delle dimensioni di Marte, e come successivamente segnata da collisioni con corpi minori.

Secondo questa cosiddetta teoria del grande impatto, gli impatti sarebbero, in generale, responsabili dell’esistenza di una certa quantità di vapore (i.e., gas misto a gocce liquide) nel disco di polveri e gas che circonda il neonato satellite, elemento imprescindibile per la determinazione della grandezza finale di questo. Gli scienziati hanno dunque adottato il metodo SPH(Smoothed Particle Hydrodynamics) per realizzare simulazioni di impatti con cui seguire l’evoluzione delle lune da essi derivate nel corso del tempo. Due i tipi di pianeti ospiti presi in esame: uno roccioso, e l’altro ghiacciato.

Simulazione d’impatto per un pianeta roccioso (in colore rossoarancio)
e per un pianeta ghiacciato (in colore blu-azzurro).
Crediti: arXiv.

Le simulazioni hanno innanzitutto mostrato che una protoluna circondata da un disco contenente una cospicua quantità di vapore post impatto non è in grado di crescere fino a raggiungere una dimensione grande rispetto a quella del pianeta associato a causa della forza di resistenza esercitata dal vapore mentre essa si forma. Tale forza agisce, infatti, nella stessa direzione di moto dell’oggetto target, ma in verso opposto, creando pertanto una resistenza che lo ostacola e induce a perdere energia. Nel caso di moto rotatorio, come quello delle piccole lune attorno al loro pianeta, il vapore provoca una progressiva perdita di momento angolare che le fa scivolare rapidamente verso quest’ultimo, e impedisce loro di superare il limite dei 100 m o km di diametro. L’effetto della forza di resistenza è allora tanto più rilevante quanto maggiore è la quantità di vapore iniziale nel disco protolunare: di conseguenza, solo i dischi inizialmente poveri di vapore permettono la formazione di grandi lune. Se, invero, essi perdono vapore dopo un certo periodo di tempo, anche la materia che li costituisce si riduce, al punto da risultare insufficiente a dare vita a satelliti simili alla Luna.

Regione in cui è permessa la formazione di grandi lune da parte di pianeti rocciosi (colonna di sinistra) e ghiacciati (colonna di destra). La regione è evidenziata in colore giallo-arancio e contiene pianeti di raggio inferiore a 1.6 raggi terrestri, corrispondenti a 6 masse terrestri. Crediti di arXiv.

In secondo luogo, le simulazioni sembrano predire che pianeti rocciosi con un raggio inferiore a 1.6 raggi terrestri (1 raggio terrestre = 6378 km) e pianeti ghiacciati con raggio inferiore a 1.3 raggi terrestri abbiano i requisiti giusti per ospitare delle lune di grandi dimensioni, in quanto non adatti a sviluppare dischi protolunari ricchi di vapore.

Il vincolo posto alla misura del raggio dei pianeti extrasolari è perciò stringente, fatto che spiega la difficoltà nell’osservazione di grandi lune al di là del Sistema Solare, a conferma della straordinaria unicità del pianeta Terra e della sua Luna.

Fonte: arxiv.org

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Il Cielo di Gennaio 2024

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Tempo di lettura: 6 minuti

IL CIELO DI GENNAIO 2024

Congiunzione Luna – Pleiadi il 20 gennaio

COSTELLAZIONI DI GENNAIO 2024

Il mese di gennaio ci offre una miriade di astri e asterismi che, dalla scienza astronomica alla mitologia, riempiono pagine di conoscenza e leggende.

Due costellazioni tipiche di questo periodo sono l’Auriga e il Toro, dalle figure facilmente identificabili sulla volta celeste, soprattutto per via delle loro luminose stelle principali.

Tutte le descrizioni sono in Le Costellazioni del mese di Gennaio

a cura di @teresamolinaro

I principali eventi di Gennaio 2024

Data Orario
01/01/2024 16:27:38 Luna Apogeo
03/01/2024 01:04:30 erra Perielio
04/01/2024 04:30:21 Ultimo Quarto
04/01/2024 13:24:03 Massimo delle
04/01/2024 19:51:43 Luna Nodo
05/01/2024 00:47:54 Congiunzione Luna-Spica
08/01/2024 16:00:20 Congiunzione Luna-Antares
08/01/2024 21:10:29 Congiunzione Luna-Venere
10/01/2024 09:34:24 Congiunzione Luna-Marte
11/01/2024 12:57:18 Luna Nuova
13/01/2024 11:35:10 Luna Perigeo
14/01/2024 10:32:07 Congiunzione Luna-Saturno
15/01/2024 21:24:16 Congiunzione Luna-Nettuno
17/01/2024 15:04:36 Luna Nodo
18/01/2024 04:52:33 Primo Quarto
18/01/2024 21:41:26 Congiunzione Luna-Giove
19/01/2024 20:38:06 Congiunzione Luna-Urano
20/01/2024 15:02:23 Congiunzione Luna-Pleiadi
23/01/2024 09:55:37 Mercurio Nodo
24/01/2024 20:39:39 Congiunzione Luna-Polluce
25/01/2024 18:53:56 Luna Piena
25/01/2024 21:43:57 Congiunzione Luna-Presepe
27/01/2024 17:07:37 Congiunzione Mercurio-Marte
27/01/2024 17:57:25 Congiunzione Luna-Regolo
29/01/2024 09:13:55 Luna Apogeo
31/01/2024 21:17:22 Luna Nodo

Tutte le effemeridi del mese di Gennaio 2024 sono disponibili in file csv

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LUNA

Luna e stelle nel cielo

Pochi eventi interessanti per la Luna in gennaio. Il satellite segnerà due volte l’apogeo.

Il giorno 20 interessante congiunzione con le Pleiadi

Tutto nella rubrica Luna di Gennaio 2024

COMETE

TRE COMETE CON PROBLEMI DI CRESCITA

Quattro le comete visibili nel mese di gennaio ma tre hanno dei problemini!

Per approfondire: le comete di Gennaio 2024 a cura di @claudiopra

ASTEROIDI

GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE A GENNAIO

e consigli per le riprese

(354) Eleonora , (516) Amherstia 

Trovi tutto qui: Mondi in miniatura – Asteroidi, Gennaio 2024 a cura di @mioxzy

TRANSITI NOTEVOLI ISS

La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ad orari mattutini nelle prime due settimane di Gennaio, e serali nelle seconde due. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese del nuovo anno, auspicando come sempre in cieli sereni.

Non perdere la rubrica Transiti notevoli ISS per il mese di Gennaio 2024 a cura di @stormchaser

SUPERNOVAE – AGGIORNAMENTI

Il resoconto del 2023 nell’articolo a cura di @fabio-briganti e Riccardo Mancini sono in arrivo

Cieli sereni a tutti!


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SUPERNOVAE: aggiornamenti Gennaio 2024

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Tempo di lettura: 7 minuti

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 116

Anche il 2023 è giunto al termine e purtroppo il bilancio per gli astrofili italiani che si dedicano alla ricerca di supernovae extragalattiche non è dei migliori. Se escludiamo la coppia Mirco Villi e Michele Mazzucato, che collaborando entrambi da diversi anni con i professionisti americani del CRTS Catalina hanno ottenuto nel 2023 ben dieci scoperte, per gli altri astrofili italiani che possono fare affidamento solo sulla modesta strumentazione tipica di un astrofilo, la gioia di una scoperta è rimasta preclusa. Anche il nostro ISSP ormai per il terzo anno consecutivo non è riuscito a mettere a segno nessuna scoperta di supernova. Come sappiamo la causa di questa debacle va ricercata nello strapotere dei programmi professionali di ricerca supernovae, che lasciano ai volenterosi astrofili solo le briciole. Abbiamo però i membri dell’Osservatorio di Monte Baldo (VR) che hanno tenuto alto il nome dell’ISSP mettendo a segno la scoperta di sei Novae Extragalattiche individuate nelle galassie M31, M33 e M81.

Nell’anno 2023 sono stati inseriti nel TNS Transient Name Server quasi 20.000 transienti fra Supernovae, Novae extragalattiche e Novae della nostra galassia, ma appena meno di 2000 hanno ottenuta una conferma spettroscopica, quindi soltanto il 10%. Se come abbiamo visto è ormai molto difficile riuscire ad ottenere una scoperta, nel campo della spettroscopia dedicata alle supernovae abbiamo invece disponibile un ampio spazio di manovra ed un astrofilo evoluto, munito di una adeguata strumentazione e di una buona volontà e costanza, può ottenere dei risultati molto gratificanti. Portiamo pertanto come esempio lo stupendo lavoro che l’astrofilo bellunese Claudio Balcon sta portando avanti dal 2019, anno in cui è entrato a far parte dell’ISSP. Ad oggi possiamo affermare che Claudio è sicuramente il fiore all’occhiello del progetto ISSP. In poco più di quattro anni è riuscito a classificare per primo nel TNS la bellezza di 120 supernovae, diventando il leader assoluto a livello mondiale. Basta pensare che il secondo, cioè l’astrofilo inglese Robin Leadbeater, ne ha classificate solo 28. Se gli astrofili italiani sono rimasti fermi al palo in fatto di scoperte di supernovae, a livello mondiale abbiamo due realtà che sono riuscite ad ottenere delle scoperte, eludendo la ferrea sorveglianza dei programmi professionali. Stiamo parlando del famoso ed esperto giapponese Koichi Itagaki con 6 scoperte nel 2023 che gli hanno permesso di consolidare il terzo posto nella Top Ten mondiale amatoriale con 179 successi ed i cinesi del programma XOSS con 19 scoperte nel 2023, raggiungendo la settima posizione della Top Ten mondiale con 85 successi.

L’evento principale che ha caratterizzato il 2023 appena concluso è stata sicuramente la luminosa supernova SN2023ixf scoperta la notte del 19 maggio proprio dal giapponese Itagaki nella stupenda galassia a spirale M101, conosciuta come la galassia Girandola e situata nella costellazione dell’Orsa Maggiore a “soli” 21 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo oggetto mostrava una luminosità pari alla mag.+14,9 ed appena 5 ore più tardi, dall’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Liverpool Telescope di 2 metri, venne ripreso lo spettro di conferma. Si trattava di una giovanissima supernova di tipo II, scoperta soltanto un giorno dopo l’esplosione, cioè dopo l’arrivo sul nostro pianeta della “prima luce”. La vera esplosione era infatti avvenuta 21 milioni di anni prima e la luce di questa immane esplosione aveva impiegato tutti questi anni per giungere fino a noi.

1) Immagine della SN2023ixf in M101 ripresa da Rolando Ligustri in remoto dagli Stati Uniti con un telescopio da 400mm F.3,75 posa L=5×180 secondi RGB=5×180 secondi.

L’evoluzione di questa importante supernova è stata seguita monitorando la curva di luce e ottenendo numerosi altri spettri che hanno permesso di affinare la classificazione, che è stata definitivamente archiviata come una supernova di tipo IIL, ma con una particolare anomalia: la curva di luce mostra un lento declino, più marcato nelle bande blu, non era perciò piatta come una classica IIP, ma rimaneva comunque molto più lenta di una tipica IIL, quindi potremmo essere di fronte ad un oggetto di transizione tra le due classi. Il 24 maggio venne raggiunto il massimo di luminosità alla notevole mag.+10,8 diventando una delle supernovae più luminose degli ultimi anni. Bisogna infatti risalire al gennaio 2014 con la SN2014j in M82 (mag.+10,1) per trovare una supernova più luminosa e vicina. Ad oggi, a distanza di oltre sette mesi dalla scoperta, la supernova è ancora ben visibile con una luminosità pari alla mag.+15,5.

2) Immagine della SN2023ixf in M101 ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 somma di 30 immagini da 60 secondi.
3) Immagine della SN2023ixf in M101 ripresa da Andrea Mantero con un telescopio Newton da 250mm F.4 somma di 18 immagini da 80 secondi.

Nel 2023 abbiamo avuto anche un’altra supernova scoperta in una galassia del catalogo di Messier, che purtroppo però a deluso le attese in fatto di luminosità. La SN2023dbc è stata individuata nella notte del 13 marzo dal programma professionale americano di ricerca supernovae denominato Zwicky Transient Facility (ZTF) come una debole stellina di mag.+19,47 nella galassia a spirale barrata M108 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 30 milioni di anni luce di distanza ed è accompagnata in cielo, naturalmente solo prospetticamente, da un altro oggetto del catalogo di Messier, M97 la famosa nebulosa planetaria Gufo, posta a soli 39’ a Sud. Purtroppo questa supernova sarà ricordata per essere una delle più deboli e poco appariscenti fra tutte le 70 supernova scoperte ad oggi nelle galassie Messier, avendo raggiunto soltanto la mag.+17.

4) Immagine della SN2023dbc in M108 ripresa dall’astrofilo francese Robert Cazilhac con un telescopio C14 F.11 somma di 500 immagini da 5 secondi.

Nel 2023, oltre alla SN2023ixf nella galassia M101 che come abbiamo visto è stata la supernova più luminosa (mag.+10,8), abbiamo avuto altre due supernovae molto luminose che hanno raggiunto la mag.+13.  La prima è stata individuata la notte del 23 luglio dal solito Koichi Itagaki nella galassia a spirale NGC4388 posta nella costellazione della Vergine a circa 60 milioni di anni luce di distanza. NGC4388 è situata in un ricco gruppo di galassie, dove troneggiano le due galassie lenticolari M84 e M86 insieme a molte altre galassie a spirale fra cui spiccano NGC4438, NGC4435 e NGC4402. Già con un’analisi preliminare saltò subito all’occhio che la posizione di questo nuovo oggetto luminoso (mag.+13,6) coincideva perfettamente con quella del transiente AT2023fyq, scoperto il 17 aprile alla mag.+19,51 dal programma professionale americano denominato Zwicky Transient Facility (ZTF). Questo debole transiente aveva oscillato come luminosità tra le mag.+19 e mag.+19,5 fino agli inizi di giugno, per salire poi verso la mag.+18 agli inizi di luglio. In base alla curva di luce era stato perciò classificato come una semplice stella variabile. Di solito le supernovae, sia di tipo I che di tipo II, al momento dell’arrivo della prima luce sul ns. pianeta, impiegano circa due o al massimo tre settimane per raggiungere il massimo di luminosità. Com’era possibile che questo oggetto avesse impiegato oltre tre mesi (dal 17 aprile) per raggiungere un ipotetico massimo di luminosità? Forse quella debole stella variabile non era lo stesso oggetto individuato da Itagaki? Intanto nella notte del 25 luglio il primo a riprendere lo spettro di questo “strano” oggetto fu un team di astronomi, fra cui quelli italiani dell’Osservatorio di Asiago, utilizzando il Nordic Optical Telescope da 2,56 metri all’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie. La SN2023fyq era stata definitivamente classificata come una rara supernova di tipo Ib-pec.

5) Immagine della SN2023fyq in NGC4388 ottenuta dall’astrofilo brasiliano Fabio Feijo in remoto dall’Osservatorio di Siding Spring in Australia con un telescopio 279mm F.2,2 somma di 6 immagini da 120 secondi.

La stella variabile scoperta ad aprile da ZTF era lo stesso oggetto individuato dal giapponese Itagaki. Non erano presenti infatti stelle sovrapposte nella posizione della supernova. La variabilità osservata negli ultimi mesi poteva perciò essere considerata come un “precursore”, ossia un attività eruttiva da parte del progenitore poco tempo prima dell’esplosione finale, che era stata poi individuata da Itagaki. Questa supernova ha raggiunto la mag.+12,9 a fine luglio, diventando la seconda supernova più luminosa del 2023.

La seconda è stata SN2023bee scoperta la notte del 1° febbraio dal programma professionale americano denominato DTL40 nella galassia a spirale barrata NGC2708 posta nella costellazione dell’Idra a circa 90 milioni di anni luce di distanza. La supernova che al momento della scoperta mostrava una luminosità pari alla mag.+17,3 era situata molto distante dal nucleo della galassia e precisamente 124” Nord e 54” Est.

6) Immagine della SN2023bee in NGC2708 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7 somma di 8 immagini da 60 secondi.

I primi a riprendere lo spettro in tempo di record, appena 20 minuti dopo la scoperta, furono gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory con il telescopio Lijiang da 2,4 metri, classificando il nuovo transiente come una supernova di tipo Ic o Ic-BL molto giovane, lasciando però una certa incertezza sulla classificazione a causa della giovanissima fase della supernova. Il giorno seguente gli astronomi australiani del Siding Spring Observatory con il Faulkes Telescope South di 2 metri, ripresero un nuovo spettro e questa volta il dubbio sulla classificazione fu definitivamente fugato: si trattava in realtà di una supernova di tipo Ia scoperta più di due settimane prima del massimo di luminosità, appena 2-3 giorni dopo l’esplosione, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiavano all’impressionate velocità di circa 25.000 km/s. La supernova aumentò progressivamente di luminosità fino a raggiungere il massimo intorno al 19 febbraio alla mag.+13,1 diventando la terza supernova più luminosa del 2023.

Concludiamo la rubrica con gli eventi più significativi di questo 2023, segnalando il nuovo record per la galassia più prolifica in fatto di eventi di supernovae. La galassia irregolare barrata NGC3690 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 135 milioni di anni luce di distanza, in collisione con la galassia irregolare barrata IC694, formando una coppia di galassie, conosciute anche come Arp299, nella notte del 4 novembre ha visto esplodere la sua quattordicesima supernova, la SN2023wrk, individuata dal programma professionale denominato GOTO Gravitational Optical Transient Observer. Un vero record ottenuto in soli 31 anni. La prima supernova conosciuta esplosa in questa coppia di galassie risale infatti al 9 marzo 1992 con la SN1992bu.

7) Immagine della SN2023wrk in NGC3690 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un telescopio da 500 mm F. 6,9 somma di 12 immagini da 60 secondi.

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La Luna di Gennaio 2024

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Tempo di lettura: 3 minuti

A Gennaio Luna e Pleiadi

Luna, illuminata all’84.3%, molto vicina alle Pleiadi, con cielo leggermente velato; assieme di due immagini riprese su montatura equatoriale a Sella dei Generali, Coli (PC). Crediti: Fausto Lubatti

Lo scatto di Fausto Lubatti immortala Luna e Pleiadi nel mese di Ottobre. A gennaio le distanze saranno molto più strette fino a toccarsi

Archiviato il 2023 dedichiamoci al nuovo anno ricchi di buoni propositi giusto? Gennaio è un po’ come settembre, si fanno progetti e si inizia a pensare già alle attività primaverili con nuove sfide magari sfruttando quel nuovo accessorio che da tanto avreste voluto acquistare..
Va bene, va bene, torniamo a noi, al concreto.
La Luna inizia il mese di gennaio 2024 in fase calante, raggiungerà l’ultimo quarto il 4 e poi una falce sempre più sottile caratterizzerà il cielo per la prima decade. Nel frattempo però non potremo confidare in congiunzioni troppo strette. La Luna incontrerà il giorno 05 Spica ad una distanza di 2° nord e tre giorni dopo Antares, spettacolo all’alba intorno alle 05:00 del mattino ma le giornate ancora molto corte consentiranno un buio accettabile. Nelle stesse ore, quindi sempre l’08 gennaio all’alba, sopra i due astri ci sarà Venere, ma a distanze di circa 5° sud, insomma ampi campi per le inquadrature.

Superiamo la Luna Nuova l’11 per vedere comparire la nuova e piccolissima falce di Luna il giorno 14 nei pressi di Saturno, giusto poco più di un’ora prima che il satellite tramonti intorno alle 19 e 30. I due ballerini saranno a OSO con la Luna più in basso e Saturno sopra a circa 2.2° di distanza a circa 15° sull’orizzonte.

Congiunzione Luna – Saturno il 14 gennaio ad ovest ore 17:00. Crediti: https://theskylive.com/

Le settimane scorrono tranquille con il passaggio della Luna, oramai al primo quarto quindi in piena fase crescente, nei pressi di Giove. Sarà la sera del 18 intorno alle 21 Luna e Giove saranno distanti circa 3° gradi, ma si lasceranno ammirare ancora per qualche ora sino al tramonto poco dopo la mezzanotte.

Il giorno 18 Congiunzione Luna e Giove a circa 3° di distanza, alle 18 altezza sull’orizzonte 50°. Crediti: https://theskylive.com/

Un paio di giorni dopo il satellite si immergerà quasi totalmente nelle Pleiadi, ad una distanza di soli 0,8° raggiunta in pieno giorno ma la sera del 20 a partire dal tramonto del Sole fino a circa l’una di notte saranno ancora molto alti nel cielo. Parecchie ore utili quindi per cercare lo scatto perfetto.

20 Gennaio congiunzione stretta Luna-Pleiadi. Visibile già dal tramonto del Sole. ll massimo dell’avvicinamento nelle ore diurne, alle 13 al sorgere della Luna ad Est. https://theskylive.com/

La Luna piena sarà il 25 gennaio con pochi passaggi interessanti sul finire del mese.

FASE DATA ORE SORGE CULMINA TRAMONTA DISTANZA DIAM. APP.
Ultimo Quarto 04/01 04:30 00:13 06:12 11:55 401578 km 1784.2
Luna Nuova 11/01 12:57 07:59 12:22 16:44 367027 km 1920.5
Primo Quarto 18/01 04:52 11:29 17:45 00:30 373837 km 1920.9
Luna Piena 25/01 18:53 16:50 23:52 07:44 399019 km 1824.4

 

FASE DATA
Luna Calante dal 01 al 11
Luna Crescente dal 12 al 25
Luna Calante dal 26

 

FASE DATA ORE DISTANZA DIAM. APP.
Apogeo 13/01 11:35 362446 km 1948.0
Perigeo 29/01 09:13 405711 km 1785.5

 

–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati dai siti https://theskylive.com/http://www.marcomenichelli.it/luna.asp


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Le Comete di Gennaio 2024

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TRE COMETE CON PROBLEMI DI CRESCITA

 

62P/Tsuchinshan 1

Dopo il transito al perielio avvenuto il giorno di Natale, la Tsuchinshan si avvicina alla Terra, transitando nel punto più vicino al nostro pianeta il 26 gennaio ad una distanza di poco meno di 62 milioni di chilometri. Dal Leone si sposterà nella Vergine, sfilando tra molte galassie dell’Ammasso Coma-Virgo. Inizialmente la sua luminosità rimarrà simile a quella del mese scorso (ottava magnitudine), per poi calare attorno alla nona grandezza. Ci si aspettava qualcosa in più da questo oggetto che, anche per l’aspetto molto diffuso e l’assenza di un vero e proprio falso nucleo, non riesce a spiccare più di tanto.

Cartina della 62P in gennaio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9.

C/2021 S3 PanSTARRS

Sembrava destinata a diventare una delle comete più interessanti del 2024, ma da un bel po’ di mesi la sua crescita è parecchio inferiore alle attese, tanto che il suo picco luminoso è stato rivisto decisamente al ribasso. Scoperta il 24/9/2021 dal sistema automatizzato di cui porta il nome, transiterà al perielio il 14 febbraio brillando secondo la nuova curva di luce di ottava/nona magnitudine (contro la sesta inizialmente prevista). A gennaio si manterrà bassa sull’orizzonte, specie per il nord Italia, in graduale miglioramento. Inizialmente dovrebbe brillare di una ancora modestissima undicesima magnitudine in miglioramento fin sotto la decima. La sua corsa mensile inizierà entro i confini del Centauro per terminare nello Scorpione, non distante dalla supergigante rossa Antares. Sarà osservabile nell’ultimissima parte della notte astronomica.

Cartina della 2021 S3 Panstarrs in gennaio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10.

144P/ Kuschida

Altra cometa che sta deludendo le attese, che in dicembre non sono riuscito a scorgere nemmeno con un telescopio da 30 cm. sotto un cielo dolomitico. Per sapere se in gennaio si riprenderà dovremo puntare i nostri strumenti inizialmente nell’Ariete e poi nel Toro. Perlomeno sarà comodamente osservabile in prima serata e poi per buona parte della notte. Raggiungerà il perielio il giorno 25, transitando a 1,42 U.A. dal Sole ed a 0,59 U.A. dal nostro pianeta. Per quanto riguarda la luminosità, che avrebbe dovuto portarla nel suo picco vicina all’ottava magnitudine, sarà già tanto se la vedremo brillare attorno alla decima grandezza, anche se probabilmente il valore risulterà inferiore anche a questa misura. Ma non si sa mai…

Cartina della 144P in gennaio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10.

12P/Pons- Brooks

Tra tante comete deludenti la 12/P, grazie ai suoi frequenti outburst, non manca di attirare l’attenzione degli appassionati nonostante il perielio sia ancora lontano. Infatti il punto dell’orbita più vicino al Sole sarà raggiunto nella prossima primavera, con la cometa che potrebbe raggiungere la magnitudine4,5. Per questo mese la sua luminosità risulterà ancora modesta(anche se proprio grazie agli outburst spesso è superiore alla curva di luce prevista), ed in condizioni normali essere vicina alla decima grandezza. Trascorrerà tutto il mese nel Cigno, osservabile non appena fa buio ancora discretamente alta sull’orizzonte nord-occidentale, oppure più bassa poco prima che il cielo inizi a schiarire dal lato opposto della volta celeste.

Cartina della 12P in gennaio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10.

 

BILANCIO 2023

Il 2023si è aperto con la C/2022 E3 ZTF, la cometa più bella dell’anno, che ha raggiunto la maggior luminosità tra fine gennaio e inizio febbraio(4,5 mag.) quando da cieli molto bui si è anche mostrata timidamente ad occhio nudo. Il successivo calo è stato piuttosto rapido. Abbiamo poi dovuto attendere l’ultima parte dell’estate per ammirare un’altra cometa brillante, la C/2023 P1 Nishimura, che in quanto a luminosità è risultata la regina con una magnitudine picco di 2,5 raggiunta a metà settembre, quando però era troppo vicina al Sole. Da noi la si è potuta osservare nella sua miglior versione, molto bassa sull’orizzonte, tra la seconda parte di agosto e i primi giorni di settembre, quando i suoi valori si attestavano attorno alla quinta grandezza. In autunno si è resa protagonista con largo anticipo rispetto alle attese la periodica 12P/Pons-Brooks, già balzata agli onori delle cronache in luglio grazie ad un outburst che ha aumentato la sua luminosità di ben 5 magnitudini portandola al valore di 11,5, modesto finché si vuole ma davvero notevole considerando la grande distanza dell’oggetto in quel momento. Successivamente si sono verificati altri outburst più modesti, fino ad un nuovo grande evento registrato a metà novembre, che l’ha innalzata fino alla nona magnitudine. La 12P è attesa come una delle grandi protagoniste del 2024, quando potrebbe raggiungere la mag. 4,5, ma per intanto ha già fatto parlare molto di sé. Tra ottobre e novembre ha sorpreso la C/2023 H2 Lemmon, andata un po’ oltre le previsioni, che ha raggiunto un’ottima sesta magnitudine, permettendo agli osservatori di ammirarla anche in piccoli strumenti.

Alla prossima!

 


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Le Costellazioni di Gennaio 2024

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Tempo di lettura: 7 minuti

COSTELLAZIONI DI GENNAIO 2024

“Quelle stelle che nel Nord, nelle notti chiare, sono lacrime ghiacciate tra miliardi di altre, la via lattea di gennaio come caramelle d’argento, veli di gelo nell’immobilità, che lampeggiano, pulsando al ritmo lento del tempo e del sangue dell’universo.”

Jack Kerouac, libro Maggie Cassidy

L’inverno è già arrivato nell’emisfero boreale e il cielo notturno è di una luminosità disarmante.

Il mese di gennaio ci offre una miriade di astri e asterismi che, dalla scienza astronomica alla mitologia, riempiono pagine di conoscenza e leggende.

Due costellazioni tipiche di questo periodo sono l’Auriga e il Toro, dalle figure facilmente identificabili sulla volta celeste, soprattutto per via delle loro luminose stelle principali.

AURIGA NEL CIELO DI GENNAIO

L’ Auriga è una costellazione settentrionale dalla caratteristica forma di pentagono, la cui parte centrale è attraversata da una porzione di Via Lattea che si delinea in direzione opposta a quella del centro galattico, ma che ospita comunque diversi ammassi e nebulose.

Si tratta di uno degli oggetti tipici dell’inverno boreale, che si staglia sulla volta celeste in compagnia delle grandi costellazioni di Toro, Orione e Gemelli e che nel mese di gennaio sarà vicina allo zenit.

Di certo la costellazione deve la sua fama alla sua stella più brillante, Alfa Aurigae, ovvero Capella: si tratta della sesta stella più luminosa del cielo notturno, di colore giallo, che dista dal Sole quasi 43 anni luce; l’astro è situato nella parte nord-occidentale dell’Auriga ed è ben visibile anche in un cielo urbano.

Nonostante Capella appaia ad occhio nudo come un singolo astro, in realtà è un sistema multiplo costituito da quattro componenti, raggruppate in due stelle binarie.

Un interessante aneddoto riguarda invece la stella Elnath (Beta Tauri), che si trova al confine con la costellazione del Toro: la stella appartiene ufficialmente alla costellazione del Toro, ma nel catalogo Bayer essa viene elencata come Gamma Aurigae (γ Aur): osservandola sembrerebbe essere un unico astro per due costellazioni!

OGGETTI NON STELLARI IN AURIGA

La costellazione dell’Auriga contiene un gran numero di stelle doppie, tra queste ADS 4262, formata dalle stelle HD 37646 e HD 37647, due astri dal colore biancastro entrambi di settima magnitudine, separati da 26″ e risolvibili anche con piccoli strumenti.

L’Auriga è una costellazione che ospita diversi oggetti già osservati da Messier, inseriti nel suo celebre catalogo con il nome di M36, M37 ed M38: si tratta di tre ammassi aperti molto conosciuti, composti da stelle giovani.

AMMASSO M38-CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI

Nell’immagine si può osservare l’ammasso M 38 ripreso da Massimiliano Pedersoli con un telescopio amatoriale di medie dimensioni (200 mm), in grado di mostrare sul lato sinistro di M38 anche un altro ammasso aperto, meno esteso: si tratta di NGC 1907, dall’aspetto molto compatto.

Un altro oggetto del profondo cielo presente nella costellazione dell’Auriga è IC 405, meglio noto con il nome di Flaming Star Nebula: si tratta di una nebulosa diffusa posta a 1630 anni luce di distanza, che può essere ripresa con la fotografia a lunga esposizione, come nell’immagine realizzata da @Lorenz">@lorenzo72.

IC 405 CREDITI: Lorenzo Busilacchi

L’AURIGA NELLA MITOLOGIA

Come ogni altra costellazione e oggetto celeste, anche l’Auriga trova riferimenti nella mitologia: essa viene identificata con la capra Amaltea, rappresentata dalla stella Capella, animale che secondo la mitologia greca allattò Zeus quando venne abbandonato in fasce sull’isola di Creta.

All’animale e ai suoi capretti venne regalato un posto in cielo, nelle sembianze di luminose stelle, come segno di eterna gratitudine da parte del padre degli dei.

LA COSTELLAZIONE DEL TORO

Un altro asterismo particolarmente interessante da osservare nel cielo di gennaio e per tutto l’inverno è quello del Toro: si tratta di una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli, e facilmente riconoscibile per la sua forma a V e per la sua stella principale Aldebaran, una gigante arancione grande 40 volte il Sole che con la sua magnitudine +0,95 rappresenta la quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno.

Elnath (β Tauri) e Alheka (ζ Tauri9) sono gli astri che caratterizzano l’aspetto del toro, rappresentando le sue corna.

La costellazione del Toro si espande a est/sud-est dove un brillante ammasso aperto (a 150 anni luce da noi) conosciuto con il nome di Iadi, delinea la testa dell’animale; prospetticamente infatti Aldebaran (Alpha Tauri) sembrerebbe appartenere al vicino ammasso delle Iadima, in realtà, con il suo scintillio di colore arancio, rappresenta l’occhio del Toro.

M45: UN AMMASSO APERTO NEL CUORE DELL’INVERNO

Alla costellazione del Toro è strettamente associato un altro oggetto, uno dei più interessanti e conosciuti del catalogo Messier: M45, ovvero le Pleiadi.

Si tratta di un ammasso stellare aperto distante 440 anni luce da noi, collocato nella spalla del Toro, che prende parte alla sfilata degli oggetti più belli e suggestivi del cielo invernale, attirando sempre la curiosità degli amanti del cielo, che rimangono ad osservarne gli incontri celesti con la Luna o altri pianeti.

Senza l’ausilio di telescopi, anche guardando il cielo da un contesto urbano, sono visibili già sette fra le stelle più luminose dell’ammasso, la cui forma rimanda al piccolo carro.

Aiutandosi invece con un binocolo o con un telescopio si scopre che l’ammasso è molto più esteso, sono  infatti centinaia le stelle, in prevalenza giganti blu e bianche, che compongono l’ammasso; stelle legate da un’origine comune e da reciproche forze gravitazionali.

Nelle fotografie a lunga esposizione o all’oculare di un telescopio di apertura considerevole, non è difficile notare dei piccoli aloni che circondano i singoli oggetti luminosi: si tratta di nubi di polvere, dette nebulose a riflessione, illuminate dalle stelle, come nell’immagine ripresa dall’astrofila Marcella Botti.

M45 Pleiadi Crediti: Marcella Botti

La stella più luminosa dell’ammasso è Alcyone (η Tau), un interessante sistema stellare.

Le Pleiadi sono anche circondate da numerosi riferimenti mitologici, esse vengono sovente denominate le “sette sorelle”, rappresentate come ninfe della montagna, figlie di Atlante e dell’oceanina Pleione: Alcyone, Asterope, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Taigeta.

Anche Pascoli ne fece riferimento nel Gelsomino Notturno: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle”è un’associazione fatta dal poeta, in cui le Pleiadi vengono paragonate a una chioccia che si trascina dietro una covata di pulcini intenti a pigolare e a diffondere la loro melodia per la volta celeste.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NEL TORO

In direzione della stella Alheka si trova uno degli oggetti più importanti in campo astronomico e nell’astronomia a raggi X, e rappresenta il primo oggetto del Catalogo Messier, M1, meglio nota con il nome Nebulosa del Granchio.

L’oggetto, dalla forma ad anello, si trova a circa 6500 anni luce dal Sistema Solare ed è ciò che resta dell’esplosione di una Supernova.

Durante la fase finale della sua vita la stella Supernova 1054ha espulso una grande quantità di materiali ferrosi e gas, generando un’esplosione in grado di proiettare tutti i propri frammenti a una grande distanza, che ancora oggi viaggiano a una velocità che sfiora i circa 1500 km/s.

Oggi il centro della nebulosa ospita ciò che resta della stella esplosa, una potente stella di neutroni che ruotando su sé stessa crea l’effetto pulsar.

L’esplosione della supernova 1054 non rimase inosservata: il 4 luglio del 1054 gli astronomi cinesi furono i primi ad accorgersi del nuovo astro apparso in cielo ed ebbero la fortuna di assistere al bagliore prodotto dall’esplosione per lungo tempo, visibile persino di giorno grazie ad una magnitudine dell’oggetto compresa tra −7 e −4,5 (per contro Sirio, la stella più luminosa del nostro cielo, ha una magnitudine apparante di solo -1.40).

Con così tanti dati a disposizione su questo oggetto, la Nebulosa Granchio è spesso impiegata dagli astronomi come elemento di calibrazione nell’astronomia a raggi X e negli studi dell’universo alle altissime energie.

M1 può essere individuata facilmente già con un binocolo, o ancor meglio con un telescopio anche amatoriale, dove apparirà come una macchia debole e chiara, caratterizzata da una luminosità poco omogenea.

Un altro oggetto deep sky presente nella costellazione è LBN 777, meglio conosciuto come “Baby Eagle Nebula”; si tratta di una nebulosa a riflessione inserita nel “Lynds Catalogue of Bright Nebulae”, situata nei pressi delle Pleiadi, da ammirare nell’immagine ripresa da Lino Benz del Gruppo Astrofili del Salento.

Lbn 777 credit LINO BENZ

LA COSTELLAZIONE DEL TORO NELLA MITOLOGIA

Il Toro è una delle costellazioni più antiche di cui si trovi traccia.

Ben 5.000 anni fa, il punto Gamma che indica l’equinozio di primavera, si trovava proprio in questa costellazione, nei pressi della stella Aldebaran.

Diversi riferimenti si trovano negli scritti dei Sumeri,dove la figura zodiacale assumeva connotazioni mitologiche e si rendeva protagonista di storie d’amore conflittuali.

Per gli antichi egizi invece i tori erano figure mitologiche da venerare.

Nell’antica Grecia il mito del Toro fu associato al Minotauro, frutto del tradimento consumato da Pasifa con il sacro Toro di Creta, alle spalle del marito Minosse.

Ma c’è anche un’altra storia che riconduce a Zeus e alle sue metamorfosi: pare infatti che il padre degli dei si fosse innamorato della principessa fenicia Europa, e che decise (che novità!) di sedurla, ricorrendo a ogni mezzo possibile.

Accadde che un bel giorno la bella Europa, mentre si trovava sulla spiaggia ingenua e spensierata, in compagnia delle sue ancelle, vide arrivare un bellissimo toro bianco, animale in cui Zeus nel frattempo si era trasformato per non destare sospetto nella principessa.

La fanciulla, ignara della vera natura dell’animale, ne fu talmente attratta da salirvi in groppa e da lasciarsi trasportare al galoppo attraversando il mare, fino a raggiungere l’isola di Creta.

Ma una volta giunti a destinazione l’ingenua fanciulla fece un’amara scoperta: Zeus infatti le si manifestò nelle sue reali sembianze, abusando di lei.

Dall’unione infelice nacquero Minosse, Radamanto e Sarpedonte.

Rembrandt Harmensz. van Rijn The Abduction of Europa_- Google_Art_Project

 

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Mondi in miniatura – Asteroidi, Gennaio 2024

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GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE GENNAIO

e consigli per le riprese

(354) Eleonora , (516) Amherstia 

(354) Eleonora è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.710 giorni (4.68 anni) ad una distanza compresa tra le 2.49 e le 3.12 unità astronomiche (rispettivamente, 372.498.698 Km al perielio e 466.745.357 Km all’afelio). Nulla sappiamo della persona alla quale questo imponente asteroide è dedicato tranne il fatto che il nome “Eleonora” fu scelto dall’astronomo francese Auguste Charlois che lo scoprì il 17 di Gennaio del 1893. Spesso gli asteroidi ricevevano nomi femminili o nomi ispirati alla mitologia, ed in molti casi la scelta del nome rimaneva a completa discrezione dello scopritore. Eleonora è un asteroide con un diametro stimato di circa 154 chilometri ed è classificato come un asteroide di tipo S, che indica una composizione principalmente rocciosa, con altri elementi come ferro e nichel. (354) Eleonora sarà in opposizione il 18 di Gennaio momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine 9.5. Il suo moto sarà di 0,70  secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (354) Eleonora trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.

(354) Eleonora sarà in opposizione il 18 Gennaio. Crediti: https://in-the-sky.org/

(516) Amherstia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.600 giorni (4.38 anni) ad una distanza compresa tra le 1.94 e le 3.41 unità astronomiche (rispettivamente, 290.219.869 Km al perielio e 510.128.739 Km all’afelio). L’asteroide prende il nome dall’ Amherst College, situato a Amherst, Massachusetts. Questa scelta potrebbe essere stata influenzata dalla formazione accademica o magari dalle preferenze personali dello scopritore, l’astronomo Raymond Smith Dugan che per pimo individuò l’asteroide il 20 settembre del 1903. (516) Amherstia è un asteroide di tipo M, una classe di asteoridi composti da roccia con un’elevata concentrazione di metalli come ferro e nichel. Questo  grande asteroide di circa 70 Km di diametro sarà in opposizione il 15 Gennaio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 12.3. Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (516) Amherstia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco. 

(516) Amherstia sarà in opposizione il 15 Gennaio. Crediti: https://in-the-sky.org/

 

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Transiti ISS notevoli per il mese di Gennaio 2024

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Tempo di lettura: 3 minuti

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ad orari mattutini nelle prime due settimane di Gennaio, e serali nelle seconde due. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese del nuovo anno, auspicando come sempre in cieli sereni.

 

02 Gennaio

Si inizierà il giorno 2 Gennaio, dalle06:45alle 06:53, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile da tutto il paese con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.6. Se osservata dal Centro Italia, la Stazione Spaziale transiterà vicina a Venere verso SE.

03 Gennaio

Si replica il 3 Gennaio, dalle05:58 verso NNO alle 06:04 verso ESE. Visibilità perfetta da tutta Italia, con la ISS che apparirà più luminosa non appena uscita dall’ombra della Terra, con una magnitudine di -3.7.

05 Gennaio

Passiamo a due giorni dopo, il 5Gennaio, con un nuovo transito parziale dalle 05:56in direzione SO alle 06:02 in direzione SE. Visibilità migliore dalle Isole Maggiori con magnitudine di picco di -3.4 non appena la ISS uscirà dall’ombra del pianeta.

16 Gennaio

Saltando di poco meno di due settimane, il16 Gennaio inizieranno i transiti serali. La Stazione Spaziale transiterà dalle18:17alle 18:23, da SO ad E. Magnitudine di picco a -3.4, osservabile al meglio dal Sud Italia.

18 Gennaio

Un nuovo transito si avrà il 18 Gennaio, dalle 18:13 verso OSO alle 18:21 verso NE. Questa volta la ISS, con magnitudine massima a -3.5, sarà osservabile al meglio dal Centro Nord Italia.

29 Gennaio

Il penultimo transito notevole di questa lista sarà nuovamente apprezzabile al meglio dal Centro Nord Italia, il 29 Gennaio. Dalle 18:44alle 18:50, da NO a NE. Magnitudine massima a -3.2.

31 Gennaio

L’ultimo transito del mese, di nuovo parziale, il 31 Gennaio, sarà visibile dalle 18:40 verso NO alle 18:47verso ESE. La ISS sarà osservabile da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.9, per il miglior transito del mese.

 

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.


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Auguri di Serene Feste

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Tempo di lettura: 2 minuti

 

Cari Amici e Care Amiche,

l’anno che si sta per chiudere è stato davvero impegnativo, forse più del precedente. Coelum Astronomia è una storica realtà ma anche una scommessa che si rinnova ogni giorno, giocata sulla qualità dei contenuti, la rapidità del servizio, il dialogo con lettori e Collaboratori.

Chiudiamo il 2023 con un po’ di stanchezza ma anche molta soddisfazione, ricordando alcuni passaggi importanti:

  • Coelum Astronomia aumenta il numero delle pagine. Un passaggio complesso che necessita di uno sforzo condiviso, ma grazie alla collaborazione anche dei fornitori il risultato è stato raggiunto
  • Celebrazioni 25 anni. Finalmente, dopo molte vicissitudini che non racconteremo nuovamente, il 15 ottobre a Padova Coelum Astronomia ha festeggiato i 25 anni di pubblicazioni. Un’occasione speciale per quanti hanno partecipato per brindare e scambiare opinioni e condividere progetti con il futuro.
  • Si rafforzano le partnership con INAF Istituto Nazionale di Astrofisica, CICAP e IIF Italian Institute for the Future
  • Al via nuove collaborazioni con ScientificaMente di Mantova e Accademia delle Stelle
  • Il ritorno alla fiera dell’Astronomia di Cesena AstroSHOW un felice appuntamento per ritrovarsi fra colleghi e amici e guardare con fiducia al futuro
  • Molti i dialoghi custoditi gelosamente con ShaRA Team, Associazione Astrofili Napoletani, Italian Supernovae Search Project (ISSP) e molti altri a cui chiediamo venia per non poterli citare tutti.
  • ESO European Southern Observatory sceglie Coelum per raccontare i suoi maestosi progetti e fare il punto con gli appassionati italiani sulla situazione.

L’elenco è lungo e molte sono le novità in cantiere. Coelum Astronomia continua la sua corsa a gonfie vele.

Chiudiamo infine con i ringraziamenti a tutti coloro che con pazienza e affetto ci sostengono, ci criticano benevolmente aiutandoci a migliorare e ci contattano per un confronto, un suggerimento, un aiuto. A tutti voi il grazie più sentito dalla direzione e da tutto lo Staff.

Continuiamo insieme a costruire il più grande archivio dell’Astronomia in Italia! 

Auguri di Serene Feste

Lo Staff di Coelum Astronomia

22 Dicembre Solstizio e Congiunzione Luna-Giove

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Credit: https://theskylive.com/
Tempo di lettura: < 1 minute

Diversi sono gli eventi che caratterizzeranno la giornata del 22 dicembre.

Solstizio d’Inverno 22/12/2023 ore 04:27 (Roma)

Si inizia la mattina, o meglio ancora nella notte, con il solstizio d’inverno alle ore 04:27.

CONGIUNZIONE LUNA-GIOVE

In tutta la serata invece, già dal tramonto del Sole alle 16:42,  a sud-est compariranno Giove e Luna ad una distanza di circa 2,6° fra loro ed un altezza sull’orizzonte di circa 33°.

La congiunzione ci terrà compagnia per quasi tutta la notte. Il pianeta e il satellite tramonteranno infatti solo intorno alle 3:00 del giorno successivo.

Luna-Giove alle 16:45 UTC+1 Credit: https://theskylive.com/

MERCURIO CONGIUNZIONE INFERIORE

Stesso giorno, altro evento interessante: Mercurio in congiunzione Inferiore. Il piccolo pianeta tuttavia in questa occasione non transiterà davanti al Sole.

Ricordiamo che le congiunzioni inferiori di Mercurio con il Sole si ripetono con una cadenza di circa 115-121 giorni. Intervallate dalle congiunzioni Superiori.

Sole – Mercurio congiunzione inferiore alle 11:45 del 22 dicembre UTC+1. Crediti https://theskylive.com/

 

PER TUTTI GLI EVENTI DEL MESE: IL CIELO DI DICEMBRE

C’è un buco nero al centro del Sole?

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Buchi neri primordiali. Immagine di ESA/Hubble, N. Bartmann., CC BY-SA
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C’è un buco nero al centro del Sole? Una domanda sulla materia oscura nell’Universo

C’è un buco nero al centro del Sole? Domanda insolita, cui si sarebbe portati a rispondere in modo negativo, a meno che non la si riformuli in termini di esistenza della materia oscura. Come sappiamo dalle numerose evidenze osservative a suo favore, la materia oscura costituisce la componente di materia nell’Universo non emittente luce, ma la sua natura è ancora motivo di discussione tra gli astrofisici. C’è chi adotta un punto di vista microscopico, ipotizzando che essa sia formata da particelle sconosciute, come le particelle massive debolmente interagenti (WIMPs, i.e., Weakly Interacting Massive Particles), gli assioni e i neutrini sterili, e chi adotta invece un punto di vista macroscopico, introducendo nuovi oggetti stellari estremamente massicci e compatti nell’alone della Via Lattea (MACHOs, i.e., MassiveCompact Halo Objects) o chiamando in causa i misteriosi buchi primordiali (PBHs).

In particolare, i PBHs si configurano come interessanti candidati per spiegare la composizione della materia oscura. Originatisi nei primi istanti di vita dell’Universo, i PBHs più piccoli sarebbero ormai evaporati per via dell’emissione della radiazione termica di Hawking, che ne comporta la progressiva perdita di massa, mentre quelli più grandi sarebbero ancora oggi visibili, nonostante la loro massa si sia ridotta attraverso il medesimo processo. Ebbene, pare che tali PBHs sopravvissuti, se aventi massa simile a quella degli asteroidi (i.e., nel range 10-16 − 10-10 masse solari, quindi molto minore di quella del Sole), possano essere catturati da stelle di tipo solare al momento della loro formazione. Tali stelle sono state chiamate “stelle di Hawking” e sono dunque alimentate in parte dalle reazioni di fusione nucleare, e in parte dall’attività del PBH che contengono. Chiaramente, l’evoluzione di queste stelle è pesantemente influenzata dalla presenza del PBH centrale, poiché esso ingloba materia della stella (meccanismo di accrescimento) e al contempo emette radiazione di Hawking che viene assorbita dalla stella stessa, fornendole energia (meccanismo radiativo).

Meccanismo di emissione della radiazione di Hawking. Crediti https://physicsfeed.com/

Utilizzando il simulatore MESA (Modules for Experiments in Stellar Astrophysics), sono stati realizzati due modelli evolutivi per una stella di Hawking di tipo solare, basati sulla combinazione di accrescimento e di efficienza radiativa del PBH centrale, ossia della sua capacità di emettere energia sotto forma di radiazione di Hawking. Il primo modello prevede un PBH con alta efficienza radiativa e corrisponde allo scenario in cui la stella che lo ospita riesce a sostenere il passaggio dalla fase evolutiva di sequenza principale in cui si trova a quella di subgigante grazie all’energia ricevuta, mentre il secondo modello assume un PBH con bassa efficienza radiativa, fatto che determina il rapido collasso della stella ospite, non adeguatamente alimentata. Gli esiti dei due modelli sono perciò diametralmente opposti: nel primo caso, la stella di Hawking può vivere a lungo in equilibrio con il PBH centrale, ma nel secondo essa è presto condannata a trasformarsi in un buco nero più massiccio di quello in essa contenuto.

Comunque sia, questo studio dimostra che l’esistenza dei PBHs al giorno d’oggi è possibile, e che essi potrebbero essere dei validi costituenti della materia oscura nell’Universo. Con la riserva di ampliare il campione di stelle di Hawking oggetto di analisi e di trovare risposta alle innumerevoli questioni irrisolte riguardo i processi evolutivi che le caratterizzano, gli scienziati si propongono allora di effettuare ulteriori indagini su questo scottante argomento.

 

Fonte: arxiv.org

I Neutrini per Comprendere l’Origine dei Raggi Cosmici

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Raggi cosmici visti da Terra. Immagine di ASPERA/Novapix/L. Bret.
Tempo di lettura: 2 minuti

Neutrini altamente energetici, la chiave per comprendere l’origine dei raggi cosmici all’interno della Via Lattea

 

Nel corso dell’anno 2023 l’ IceCube Neutrino Observatory ha annunciato la scoperta dei primi neutrini altamente energetici provenienti dal disco della Via Lattea: una notizia importante, che sembra finalmente comprovare l’esistenza dei cosiddetti PeVatrons, sorgenti stellari capaci di accelerare i raggi cosmici fino ad elevatissime energie, nel range dei PeV (1 PeV corrisponde a circa eV).
I raggi cosmici, formati da particelle cariche di varia natura, possono essere originati da sorgenti sia galattiche sia extragalattiche. Nel primo caso, però, identificare queste sorgenti è un compito molto difficile, poiché i raggi cosmici rimangono intrappolati all’interno della Via Lattea per l’azione del suo campo magnetico e sono costretti a vagare a lungo, anche per milioni di anni, prima di riuscire a scappare nello spazio. Il loro percorso viene dunque deviato innumerevoli volte dalla materia circostante, di modo che non è più possibile risalire al punto in cui è avvenuta la loro emissione, ovvero quello in cui si trovano le sorgenti. Il problema è tanto maggiore nel caso dei raggi cosmici PeV, dato che nessuna loro sorgente è stata ancora direttamente osservata. Ciò che sappiamo è che i resti di supernova vengono attualmente considerati i candidati più probabili per fornire il giusto meccanismo di accelerazione, grazie alle veloci onde d’urto con cui spazzano il mezzo interstellare dopo l’esplosione di supernova.

Punto del disco della Via Lattea indicato dal flusso di
neutrini provenienti dai raggi cosmici per la localizzazione
dei PeVatrons. Immagine di arxiv.org.

Siccome il flusso di raggi cosmici che arriva alla Terra è diffuso proprio a causa di queste continue deflessioni, per localizzare i PeVatrons è necessario sfruttare delle particelle debolmente interagenti con il mezzo che attraversano. Gli astronomi hanno quindi pensato ai neutrini altamente energetici che vengono prodotti in cascate assieme ad altre particelle come i muoni quando i raggi cosmici PeV si trovano confinati sul piano della Via Lattea. I neutrini, infatti, sono particelle estremamente leggere, soggette solo alla forza debole e prive di carica elettrica, motivo per cui essi non subiscono l’effetto del campo magnetico galattico e possono viaggiare indisturbati dal disco della Galassia fino alla Terra. Di conseguenza, misurare la direzione di moto dei neutrini altamente energetici significa poter vedere le sorgenti che li hanno emessi. Per fare questo, l’Osservatorio IceCube è dotato di rivelatori a geometria sferica, detti fotomoltiplicatori, calati ad una profondità di almeno 1.5 km sotto la superficie del ghiaccio antartico. Essi sono in grado di ricostruire i parametri cinematici dei neutrini provenienti dai raggi cosmici individuandole particelle derivanti dalla loro collisione con gli atomi che compongono il
ghiaccio. Con questa tecnica, IceCube ha allora indicato il disco della Via Lattea come zona di emissione dei neutrini altamente energetici: un grande passo avanti, che potrebbe in futuro portare alla determinazione dei PeVatrons. E su questo gli scienziati stanno già lavorando, grazie alla costruzione di due nuovi telescopi per la rivelazione dei neutrini nell’emisfero boreale: il KM3NeT e il Baikal-GVD, situati rispettivamente nel Mar Mediterraneo e nel lago di Baikal. Ciò dovrebbe assicurare una più ampia copertura del flusso dei neutrini altamente energetici in cielo.


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Promo PACK e Numeri Esauriti

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Il Servizio Assistenza Vendite INFORMA

A partire dal giorno 20/12/2023 sono ESAURITE le scorte di magazzino dei seguenti numeri:

contestualmente non sono più disponibili le promozioni SPECIAL PACK sugli arretrati

Come per il numero 259, anche per gli altri numeri a breve sarà resa disponibile una formula per la prenotazione delle ristampe.

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Urano e le sue 27 lune in un unico scatto

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Credit: NASA, ESA, CSA, STScI
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Nuova immagine rilasciata dal JWST con protagonista Urano questa volta accompagnato anche dalle sue 27 lune

 

Il 18 dicembre l’ESA ha rilasciato un nuovo scatto catturato dal JAMES WEBB SPACE TELESCOPE con di nuovo protagonista Urano.

Non è la prima volta che il telescopio inquadra con la sua camera NIRCam il pianeta gassoso, alcune foto erano state diffuse ad inizio anno, ma dal confronto emergono notevoli differenze.

L’immagine di Urano, catturato dalla Near-Infrared Camera (NIRCam) di Webb il 6 febbraio 2023, rivela gli anelli del pianeta. Il pianeta mostra una tonalità blu a colori caratterizzante, realizzata combinando i dati di due filtri (F140M, F300M) a 1,4 e 3,0 micron, mostrati qui rispettivamente come blu e arancione.
Crediti: NASA, ESA, CSA, STScI, J. DePasquale (STScI)

 

NUOVA IMMAGINE CATTURATA IL 4 SETTEMBRE

Nuovo scatto diffuso del pianeta Urano che appare come una sfera luminosa al centro circondata da anelli. Il pianeta è blu con una grande macchia bianca che occupa la metà destra. La macchia è più bianca al centro, poi sfuma in blu quando si espande da destra a sinistra. Anche un sottile contorno di Urano è bianco. Intorno al pianeta c’è un sistema di anelli annidati. Sono presenti deboli macchie arancioni e biancastre, alcune ovali, altre circolari, che sono galassie di sfondo sparse in tutta l’immagine. Diverse sorgenti puntiformi blu luminose più vicine a Urano sono le lune del pianeta. C’è anche una stella luminosa a sinistra del campo, con 8 punte di diffrazione. Credit: NASA, ESA, CSA, STScI

Con la sua squisita sensibilità, Webb ha catturato gli anelli interni ed esterni di Urano, incluso l’inafferrabile anello Zeta, l’anello estremamente debole e diffuso più vicino al pianeta. Ha inoltre fotografato molte delle 27 lune conosciute del pianeta, individuando anche altre piccole lune nascoste fra gli anelli.

Nelle lunghezze d’onda visibili, Urano è sempre apparso come una placida e solida palla blu. Nelle lunghezze d’onda degli infrarossi invece JWST sta rivelando uno strano e dinamico mondo ghiacciato pieno di curiose caratteristiche atmosferiche.

Prende forma così una calotta polare nord stagionale del pianeta più facile da individuare rispetto all’immagine di inizio anno (vedi immagine sopra). Molti i dettagli: la calotta interna bianca e luminosa e la zona scura nella parte inferiore, verso cioè le latitudini inferiori.

Diverse tempeste luminose sono visibili vicino e sotto il confine meridionale della calotta polare. Il numero di queste tempeste, la frequenza e il punto in cui appaiono nell’atmosfera di Urano, potrebbero essere dovuti a una combinazione di effetti stagionali e meteorologici.

La calotta polare continuerà a crescere di visibilità ma mano che il polo del pianeta punterà verso il Sole, cioè avvicinandosi al solstizio e ricevendo più luce solare. Il prossimo solstizio per il pianeta Urano è previsto nel 2028 e gli astronomi sono ansiosi di osservare ogni sorta di variazione. Webb aiuterà a districare gli effetti stagionali e meteorologici che influenzano le tempeste di Urano, il che è fondamentale per aiutare gli astronomi a comprendere la complessa atmosfera del pianeta.

Poiché Urano orbita su un fianco con un’inclinazione di circa 98 gradi, ha le stagioni più estreme del Sistema Solare. Per quasi un quarto di ogni anno uraniano, il Sole splende su un polo, facendo precipitare l’altra metà del pianeta in un oscuro inverno lungo 21 anni.

Grazie all’impareggiabile risoluzione e sensibilità a infrarossi di Webb, gli astronomi ora vedono Urano e le sue caratteristiche uniche con una chiarezza innovativa. Questi dettagli, in particolare del vicino anello Zeta, saranno preziosi per pianificare eventuali future missioni.

Urano può anche fungere da soggetto campione per studiare i numerosi esopianeti lontani di dimensioni simili scoperti negli ultimi decenni. Un “esopianeta nel nostro cortile” come amano definirlo gli astronomi.

Credit:
NASA, ESA, CSA, STScI

Nell’immagine alcuni riferimenti utili per meglio comprendere lo scatto.

1. Le frecce della bussola nord ed est mostrano l’orientamento dell’immagine nel cielo. Si noti che la relazione tra nord ed est nel cielo (visto dal basso) è invertita rispetto alle frecce di direzione su una mappa del terreno (visto dall’alto).
2. La barra della scala è etichettata 16 secondi d’arco. La lunghezza della barra della scala è circa un settimo della larghezza totale dell’immagine
3. I filtri NIRCam di Webb per questa immagine sono F140M (blu), F210M (ciano), F300M (giallo) e F460M (arancione).

Articolo orginale https://esawebb.org/news/weic2332/?lang

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Corsi Accademia delle Stelle in partenza a gennaio: Astrofotografia e Astronomia generale

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Tempo di lettura: 3 minuti

Tornano i Corsi di Accademia delle Stelle: Astrofotografia e Astronomia Generale

 

Sostenuti dal grande successo che da sempre accompagnano i corsi di Accademia delle Stelle, tornano anche nel prossimo anno i corsi indispensabili per arrivare al periodo estivo pronti e preparati!

I prossimi corsi in partenza sono: Astrofotografia e Astronomia Generale. Leggi i dettagli a seguire.

ASTROFOTOGRAFIA

Torna il corso di Astrofotografia di Accademia delle Stelle! Un corso completo rivolto a tutti quelli che vogliono imparare a fotografare il cielo.
Verranno illustrate e spiegate tutte le tecniche per ottenere le migliori fotografie astronomiche con qualsiasi strumento, dal cellulare alla reflex al telescopio: spiegazioni chiare e esaustive guideranno passo passo alla comprensione dell’astrofotografia, dal primo scatto alle tecniche avanzate.
Il corso comprende:
* La guida ai migliori strumenti per astrofotografia, con pro e contro (con un occhio al costo)
* Fotografia senza strumenti (con solo cellulare, bridge o reflex)
* Panoramiche notturne a camera fissa e con inseguimento
* Falsi miti, dati da impostare e guida pratica per lo scatto
* Riprese con inseguimento: astroinseguitore e telescopio
* Post-processing e calibrazione; tutto su: dark, flat, allineamento di più immagini, somma e media, dal FITS alla pubblicazione web/social
* Teoria e pratica dell’elaborazione, i migliori freeware, con dimostrazioni
* Procedure specifiche, passo per passo, per diversi soggetti astronomici
* App, software, risorse online gratuite per astrofotografia,
E… tanto altro.
Il programma completo è nella pagina relativa sul nostro sito: https://www.accademiadellestelle.org/corso-completo-di…/
Le lezioni si terranno tutti i giovedì dal 25 gennaio alle ore 21 con una durata di un’ora e mezzo presso la nostra sede all’EUR e sarà possibile anche seguire il corso telematicamente.
Tutte le lezioni vengono registrate per cui è possibile iscriversi anche a corso iniziato e recuperare le lezioni già fatte, o anche saltare qualche diretta e non perdere comunque la lezione saltata, sia per chi segue in presenza, sia per chi segue da remoto.
ASTRONOMIA GENERALE
Torna, online e in presenza, il Corso Base di Astronomia Generale di Accademia delle Stelle, per sapere tutto sull’universo e i corpi che lo popolano!
Tenuto da un astrofisico e giunto alla tredicesima edizione, il corso è rivolto a tutti ed esplora l’universo “dalle fasi lunari al Big Bang” con aggiornamenti fino alle ultime scoperte dell’astronomia.
Un meraviglioso viaggio alla scoperta di tutti gli oggetti incredibili che popolano l’Universo: pulsar, quasar, buchi neri, pianeti, pianetini e comete, supernove e onde gravitazionali… con immagini spettacolari e spiegazioni che renderanno comprensibili i concetti più importanti dell’astrofisica.
Asteroidi, classificazione ed evoluzione stellare, galassie e cosmologia: non mancheranno notizie storiche su come si è giunti alle attuali convinzioni e nomenclature. Chi segue in remoto ha a disposizione una chat in diretta che permetterà di interagire e fare domande in tempo reale per chiarire ogni dubbio e approfondire i temi della serata.
Il corso si terrà online e in presenza presso la nostra sede all’EUR. I 9 incontri, condotti da Paolo Colona, astrofisico e divulgatore, saranno fruibili su piattaforma telematica e sarà possibile intervenire in diretta con domande: il link per l’accesso sarà inviato settimanalmente (anche a chi segue in presenza).
Le lezioni si possono recuperare! Se si perde la diretta, si potrà rivedere la lezione a piacimento: ogni lezione sarà infatti registrata e messa online su un’area riservata a disposizione di tutti gli iscritti, per sei mesi senza limite di visualizzazioni.
Per entrambi i corsi le quote comprendono:
• Dispense delle lezioni per ulteriori approfondimenti
• Attestato finale di partecipazione
• Consulenza astronomica continua
• Riduzioni sui successivi corsi dell’Accademia delle Stelle (astrofisica e cosmologia, astrofotografia, archeoastronomia e astronomia culturale, astronomia pratica).
• In caso di REGALO ad un’altra persona, invieremo un buono in PDF da stampare e consegnare personalmente.
✦ Prezzo e riduzioni:
• Il prezzo è ridotto fino a 10 giorni prima dell’inizio.
• Altre riduzioni in caso di acquisto di più corsi e per: soci UAI, astrofile in dolce attesa e per chi è già corsista (richiedere coupon via email a eventi@accademiadellestelle.org)
• Ulteriore sconto progressivo in caso di acquisti di più corsi

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Nuovo Canale THREADS della Direttrice

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Nasce Threads il nuovo social di dibattito di Meta, Coelum Astronomia sceglie di lasciare la parola
alla Direttrice Molisella Lattanzi

 

Nella categoria “social” trovano collocazione tutte le quelle applicazioni che tendono a ricreare un ambiente di socializzazione, più o meno spontanea, fra individui che presentano caratteristiche comuni. Stessa località di residenza per alcuni, interessi per altri, rete di affetti per alcuni ancora. Nel tempo inoltre è evidente come il settore sia evoluto non solo in termini tecnici, ogni app presenta una user experience sempre più performante, ma anche nel target da raggiungere.

Il pubblico infatti non è più un omogeneo blocco a cui “parlare” in ugual maniera ma oggi viene interpretato per fasce. Fasce di età spesso, ma anche genere, passioni e abitudini nella fruizione dei contenuti web. Su tutti è evidente il caso Facebook che nato come un grandissimo calderone in cui cuocere relazioni, opinioni, marketing e altro, oggi è più che altro utilizzato per la rete lavorativa, gli eventi e le dirette.

La curva esponenziale di crescita che aveva accompagnato FB si è leggermente normalizzata lasciando spazio per l’ascesa di altri progetti più o meno di successo come Telegram, WeChat e Weibo ma anche perdendo piattaforme storiche come MySpace o Flick.

Il video, senza alcuna pretesa di ufficialità, mostra l’andamento della crescita dei social in numero di utenti per anno. Il dominio di Meta è indiscusso ma altre industrie mantengono il passo come Google Inc con Youtube e i grandi colossi cinesi.

Negli scorsi giorni Meta ha lanciato il suo nuovo prodotto, Threads. Piattaforma che si pone sin da subito in dichiarata competizione con il pubblico di X, ex Twitter, quindi rivolgendosi ad utenti interessati a notizie, opinioni, comunicazioni e al dialogo, seppur nei limiti della capacità di comprensione reciproca che il mezzo per sua natura offre. Non dimentichiamo infatti che simili strumenti essendo totalmente privi della comunicazione non verbale diventano inevitabilmente per noi umani irriducibili analogici fonti di incomprensioni e tensioni.

Tornando al nuovo social e alla sua dichiarata specificità, la redazione si è interrogata sul migliore approccio con cui partecipare evitando, pratica fortemente sconsigliata, di riprodurre in un copia incolla infinito i medesimi contenuti su ogni canale. Fra le opzioni la scelta è ricaduta su una nuova via di comunicazione fra i lettori e la direttrice, uno spazio per una voce in grado di trasmettere la filosofia alla base delle scelte editoriali, le priorità e il taglio della rivista. 

Un canale di accenni storici e filosofici alla scienza ed alle sue influenze sulla società di oggi. Suggerimenti per le letture di approfondimento, citazioni da voci autorevoli e posizioni assunte nei confronti di scelte che possono impattare sulla formazione culturale dei cittadini europei e italiani.

Vi aspetto quindi in un nuovo ambiente in cui iniziare un dialogo e un confronto su temi cari a tutti noi.

Il nuovo canale THREADS di Molisella Lattanzi è raggiungibile qui https://www.threads.net/@molisellalattanzi

 


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Camera a Nebbia per la Didattica

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Tempo di lettura: 5 minuti

AUTOCOSTRUZIONE DI UNA CAMERA A NEBBIA

DI GIANFRANCO MARTINI E FLAVIO CASTELLANI
Osservatorio Astronomico del Monte Baldo

È un fatto accertato, che gli occhi creino una visione errata della realtà; non stiamo parlando di psicologia della percezione, ma proprio di una nostra incapacità, o forse sarebbe più corretto dire “limite”, fisico nell’osservazione di ciò che ci circonda.

Per rendersene conto basta guardare il cielo in una bella nottata. Le stelle ci sembrano tutte alla stessa distanza. La mente sa che vi sono spazi enormi tra una e l’altra ma, ciò nonostante, non riusciremo mai a vedere l’abisso che separa Vega, a 25 anni luce da Deneb a 2600 ed Altair a soli 17. I nostri occhi continueranno a vedere un triangolo, “fissato alla sfera del cielo”. Proprio per questo, colpiscono così profondamente quegli esperimenti che consentono in modo semplice ed immediato di portare ai limiti della nostra capacità di percezione ciò che di solito è invisibile. Il lento oscillare del pendolo di Foucault che con la sua rotazione mostra il moto della terra attorno al suo asse o la camera a nebbia dove, simili a meteore, subitanee scie di vapore, appaiono e scompaiono, rendendo palese che siamo di continuo attraversati da innumerevoli particelle elementari, molte dei quali provenienti dallo spazio, in quella che chiamiamo radioattività naturale.

L’idea di realizzare per il nostro osservatorio astronomico una camera a nebbia, nacque in una visita dell’associazione ai Laboratori Nazionali di Frascati, in una delle giornate Open Labs, nel corso della quale restammo un’ora in contemplazione davanti ad uno strumento simile.

Già nel ritorno in pullman chiacchierammo per ore su come fosse possibile realizzarla e sull’utilità come strumento didattico presso l’Osservatorio del Monte Baldo. La sfida fu raccolta da uno di noi, Gianfranco Martini, che in pochi mesi realizzò un primo modello, seguito poi da altri sempre più grandi, potenti e perfezionati.

 

Il Rivelatore

Il modello di camera a nebbia da noi progettato e realizzato è quello a “diffusione”, evoluzione del primo modello ad “espansione” di Wilson. Il principio, è quello di creare un forte gradiente di temperatura (circa 80/100° C) tra la base e la sommità di un contenitore sigillato. Nella parte superiore, dove il calore è ottenuto da un sistema di resistenze riscaldate dal passaggio di corrente, si trovano due spugne imbevute di alcol isopropilico. Esso evapora e scende nella parte inferiore della camera dove, a contatto con una superficie raffreddata da un sistema frigo, a temperature tra i -40 e i -50 C°, forma uno strato di alcuni centimetri di gas soprasaturo. Il gas, in condizioni di estrema instabilità condensa in scie di vapore attorno agli atomi d’aria ionizzati dal passaggio di una particella radioattiva. La costruzione è relativamente semplice in quanto necessita di un sistema di raffreddamento simile ad un congelatore ed un parallelepipedo trasparente, costruito in plexiglass, aperto su di un lato, come un acquario ribaltato.Per il sistema raffreddante si utilizza un normale compressore da frigo/congelatore da almeno 1 hp assieme ad un radiatore del tipo utilizzato nei comuni condizionatori portatili con abbinate 4 ventole da 120mm e 220 volt. Il radiatore serve per raffreddare e condensare il gas e riportarlo nello stato liquido.
Nella base fredda vengono immesse 2 piastre di alluminio nel cui mezzo è posto, tipo sandwich, un tubo di rame avvolto a serpentina all’interno del quale scorrerà il liquido refrigerante che passando dalla fase liquida a quella gassosa assorbirà il calore dalla base. Si tratta di un passaggio delicato e critico dovendo prestare attenzione al bilanciamento fra la quantità di gas e la pressione in modo da arrivare ad una temperatura di -40°/-50°C. Il gas utilizzato è il R410A,gas con cui si alimentano comunemente i moderni impianti di condizionamento.

Dettaglio della Camera a Nebbia dell’Osservatorio di Monte Baldo

Se non si riesce a realizzare l’impianto di raffreddamento come appena descritto, si può tamponare con del ghiaccio secco che evapora a circa -80 C°. In tal caso sarà sufficiente porre la piastra di alluminio appena al di sopra di una base proprio di ghiaccio secco per ottenere la temperatura desiderata ma, come dicevamo, si tratta di una soluzione precaria che porta con se alcuni svantaggi. Oltre al costo del ghiaccio infatti, ci sono la difficoltà di conservazione, rischi di scottature e vita media utile del ghiaccio piuttosto contenuta.

Per arrivare ad un gradiente di 80/100°, la parte alta del parallelepipedo, in contrapposizione alla base, dovrà essere riscaldata ma sarà sufficiente installare delle resistenze a filo del tipo utilizzato nelle stufette elettriche ed alimentate a 12 volt. Ad una temperatura di 60° C circa otterremo già il gradiente desiderato in grado di rendere molto più spesso lo strato di nebbia che altrimenti sarebbe di solo un centimetro. La camera in effetti funzionerebbe lo stesso ma aumentando l’altezza dello strato di nebbia, come è facile intuire, si semplifica la visione delle particelle.

Un passaggio importante è ottenere una perfetta sigillatura tra la base e il contenitore su di essa appoggiato. Per un lavoro ben fatto è necessaria precisione e cura nell’incollare una normale guarnizione per finestre alla base di alluminio per tutto il perimetro di appoggio. In tal modo si evita che si produca uno scambio di aria dall’esterno all’interno della camera che impedirebbe la formazione dello strato di vapore soprassaturo, inoltre le dimensioni, e con ciò ci stiamo riferendo al solo blocco in plexiglass, non sono critiche ma, bisogna avere un’altezza di almeno 20cm e non superiore ai 25cm e i lati da 25 x 35 cm circa, questi possono variare ma non di molto altrimenti non si riesce a raffreddare sufficientemente.

Un optional che migliora la sensibilità dello strumento è quello di creare un campo elettrico di almeno 15/20.000 volt per “pulire” l’aria contenuta nella camera dal pulviscolo, oltre che da ioni creati nel passaggio delle particelle (Ion Scrubber). Il campo agisce come un cancellino sulla lavagna, rendendo più sensibile il gas al passaggio delle particelle. Il dispositivo che crea il campo si realizza inserendo dei fili di rame sottili nella parte alta, appena al di sotto delle resistenze ai quali verrà collegato un polo di un generatore di alta tensione, mentre l’atro polo andrà collegato alla piastra base. Tali generatori, usualmente alimentati a 6 volt e in grado di creare un voltaggio di 400Kv, sono strumenti abbastanza economici e facilmente reperibili. Un’accortezza da seguire è quella di ridurre l’alimentazione ad 1,2/1,3 Volt, con un regolatore di tensione, in modo da portare il voltaggio ai 15/20 Kv necessari. L’attivazione dello Ion Scrubber è ottenuta tramite un pulsante. Si aziona il campo elettrico per alcuni secondi e poi lo si rilascia, terminato il processo di pulizia si può continuare con l’osservazione delle tracce.

Camera a Nebbia a riposo dell’Osservatorio di Monte Baldo

..continua.

Il resto dell’articolo sulle camere a nebbia è pubblicato in Coelum Astronomia 265. ABBONATI e accedi anche alla versione sfogliabile in digitale.

Occultazione di Betelgeuse: il Video

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Il video dell’occultazione di Betelgeuse ad opera di Antonio Piras (@antonio">@antonio-piras)

 

Nella notte fra l’11 e il 12 dicembre, come previsto, l’asteroide Leona ha occultato la stella Betelgeuse. Antonio Piras, autore di Coelum e instancabile astrofilo, non ha mancato l’appuntamento, ecco le sue parole:

Ho rubato altri minuti al sonno per assemblare subito un video con il picco dell’occultazione.

Alle 2:14 Betelgeuse è stata parzialmente oscurata dall’asteroide Leona che dalla mia posizione ha generato una marcatissima riduzione di luminosità della stella alpha di Orione.
Domani e nei prossimi giorni lavorerò al video grezzo a 250 fps per ricavare, se possibile, qualche dato utile dalla curva di luce.”

Betelgeuse è la seconda stella più luminosa della costellazione di Orione ed è una delle preferite con il suo colore rosso penetrante. Ha fatto notizia nel 2020 quando si è inaspettatamente oscurato nel cielo a causa dell’espulsione di una nuvola di polvere da parte della stella stessa.

La costellazione di Orione che mostra Betelgeuse in alto a sinistra (Credito: Till Credner)

 

Le dimensioni stimate per l’asteroide 319 Leona sono di circa 80 km per 55 km che alla distanza di circa 1,8 unità astronomiche corrisponderanno ad una grandezza pari a 46×41 milliarcosecondi, sufficienti per coprire la gigante rossa che a distanza ben maggiore (oltre i 600 anni luce) occupa non più di 40-50 millisecondi d’arco quadrati.

Bisogna tuttavia ricordare che a condizionare l’occultazione che non appare nitida come avverrebbe con un’eclissi ma si mostra solo come un abbassamento della luminosità, concorrono due fattori: il primo è la rotazione dell’asteroide stesso che in alcuni momenti mostra a noi il lato più corto non sufficiente a coprire completamente l’astro, il secondo è l’atmosfera esterna della stella  che non occultata ha contribuito a diffondere luce.

L’occultazione si è presentata anche come un’occasione propizia per degli approfondimenti scientifici e studiare il corretto funzionamento di Betelgeuse. Nei prossimi mesi seguiremo con attenzione l’evolversi delle ricerche e i risultati estratti dai dati.


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Gigantesca Macchia Solare punta verso la Terra

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Un gigantesca macchia solare sta caratterizzando la superficie del Sole nei primi giorni di dicembre

 

A partire dal 02 dicembre gli scienziati di tutti il mondo e del NOAA National Oceanic and Atmospheric Administration  hanno rivolto le loro attenzioni ad una gigantesca macchia apparsa sulla superficie solare, le cui dimensioni sono paragonabili a circa 60 volte quelle della Terra.

Macchie così grandi sono eventi piuttosto rari sulla superficie del Sole ma aldilà dell’effetto scenico c’è un altro aspetto che preoccupa gli scienziati. Questo genere di formazioni sono infatti all’origine di forti venti solari che, quando orientati verso la Terra, finiscono per travolgerla.

I venti solari ricordiamo sono flussi di particelle cariche che impattando con il campo magnetico terrestre finiscono per causare il più delle volte solo delle splendide aurore boreali. Non sempre però il campo magnetico riesce a contenere il getto e quando alcune particelle cariche riescono a superare la nostra barriera naturale, arrivano sulla superficie terrestre causando piccoli, medi o grandi impatti. Il primo ad essere colpito in simili casi è il complesso circuito di distribuzione dell’energia elettrica con la conseguente rottura di apparecchiature o interruzioni di servizio.

Gli scienziati sono tuttavia ottimisti. Sembra infatti che, nonostante le dimensioni generose, il vento generato non mostri livelli particolarmente alti di radiazione.

La macchia, scorta per la prima volta il 2 dicembre, dal 4 punta verso la nostra Terra e così farà ancora per qualche giorno fino a scomparire dall’altro lato della superficie solare durante la rotazione dell’astro. Il Sole compie una rotazione completa su se stesso in 27 giorni ed è probabile che, trascorso tutto il mese di dicembre, visto le particolari dimensioni della macchia, essa possa ricomparire, seppur più piccola, alla vista dei nostri strumenti.

Le macchie solari sono infatti fenomeni transitori e i tempi di vita media non superano in media le poche settimane.

Per seguire l’evoluzione della macchia e le stime sul vento solare spaceweather.com

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