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Astronomiamo

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LocandinaCoelum
04/05: “incontri di astronomia” con l’astrofisico Luigi Mancini
11/05: Corso di astrofotografia online
18/05: LIFT-OFF – le missioni planetarie sui pianeti interni
25/05: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
Dettagli: www.astronomiamo.it

Curiosity tra le dune nere di Bagnold

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This 360-degree scene from the Mastcam on NASA's Curiosity Mars rover includes part of a linear-shaped dune the rover examined in early 2017 for comparison with what it found previously at crescent-shaped dunes. The view shows the dark, rippled surface of the active dune, near sedimentary bedrock. Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Una scena a 360°  della “Ogunquit Beach” ripresa dalla Mastcam a bordo di Curiosity il 24/25 marzo 2017. L’immagine include parte delle dune lineari che il rover della NASA ha esaminato a inizio 2017, per confrontarle con le dune a forma di mezza luna che aveva incontrato precedentemente.  Il paesaggio mostra la scura e ondulata superficie delle dune attive, da cui affiora la base di roccia sedimentata su cui si muove il rover. Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Nuovo bilancio per Curiosity. Dall’inizio di febbraio agli inizi di aprile, il rover NASA ha preso in esame quattro aree vicine a una duna lineare e ora i dati raccolti verranno confrontati con il lavoro svolto in precedenza – tra fine 2015 e inizio 2016 – durante le osservazioni di alcune formazioni sabbiose a forma di mezzaluna.

Le due fasi della campagna di osservazione di Curiosity rappresentano il primo studio ravvicinato di dune attive su un pianeta alieno e hanno come obiettivo riuscire a comprendere le diverse azioni modellanti esercitate dal vento sulle formazioni sabbiose.

La vista dalla Mast Camera (Mastcam) mostra dune di due dimensioni diverse, oltre ad altre formazioni, nel campo di dune Bagnold, ai piedi del Monte Sharp, studiate in marzo e aprile di quest’anno. Possiamo vedere le lunghe creste delle dune di sabbia nera (lunghe pochi metri) che non hanno un equivalente nelle dune terrestri. Sovrapposte a queste si vedono infatti delle più piccole increspature parallele, a gruppi di una decina ciascuno (all’incirca). L’immagine è un particolare della ripresa a 360° gradi in apertura. I colori, e il punto di bianco, sono stati bilanciati per vederli come se fossimo in condizioni di luce diurna terrestre. Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Le dune lineari si trovano in salita e a sud delle dune a mezzaluna, a una distanza di circa 1,6 chilometri.

Entrambe le aree di studio fanno parte della zona Bagnold Dune, che si estende lungo il fianco nordovest del Monte Sharp.

«C’è una differenza fondamentale tra la prima e la seconda fase della nostra campagna di osservazione, oltre alla diversa forma delle dune» spiega un membro del team di scienziati. «Le dune a mezzaluna sono state osservate durante la stagione in cui i venti sono più deboli mentre le dune lineari nel periodo dell’anno più ventoso. Abbiamo avuto modo di vedere come vengono smistati i granelli e osservare le increspature sulle dune di sabbia attive».

Per analizzare la forza e la direzione del vento, il team utilizza coppie di immagini catturate in tempi diversi dal rover per verificare il movimento dei granelli di sabbia.

Il panorama a 360° navigabile, basta far partire il video e muovere il cursore dentro di esso per trovarsi “dentro” al paesaggio visto con gli occhi robotici di Curiosity.

Durante il suo cammino Curiosity ha prelevato un campione di sabbia da una duna lineare che sarà analizzato internamente dallo strumento Sample Analysis at Mars (SAM). Mentre il rover è impegnato nella sua salita, il team di scienziati sta lavorando per risolvere il malfunzionamento del trapano usato per trivellare e campionare le rocce del pianeta rosso.

Curiosity, lanciato con la sonda Mars Science Laboratory il 26 novembre 2011, è giunto a destinazione – il Gale Crater di Marte – il 6 agosto 2012. Nel 2014, dopo aver studiato gli affioramenti rocciosi vicini alla zona del landing, ha raggiunto la base del Monte Sharp.


 

Accademia delle Stelle

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Maggio 2017I corsi hanno il patrocinio della UAI e si tengono presso la Sala Conferenze di San Gregorio Barbarigo a Roma EUR (di fronte alla metro Laurentina) il lunedì (Archeoastronomia) e il giovedì (Corso base) dalle 21 alle 22.30.
Sono previsti sconti per i soci UAI e i lettori di Coelum (chiedere Coupon).

Per informazioni: http://www.accademiadellestelle.com/corsi

Circolo Culturale Astrofili Trieste: La vita degli astronauti nella Stazione Spaziale Internazionale

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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo
Sacro, 381 Prosecco-Trieste. Inizio ore 18:30.

08.05: “La vita degli astronauti nella Stazione Spaziale Internazionale” di Giovanni Chelleri.

Per informazioni e contatti: info@astrofilitrieste.it
www.astrofilitrieste.it

VISTA scruta tra i veli di polvere della Piccola Nube di Magellano

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La Piccola Nube di Magellano è una caratteristica inconfondibile del cielo australe, anche a occhio nudo. Ma i telescopi in luce visibile non possono avere una visione completa di ciò che la galassia contiene a causa delle nubi di polvere interstellare che oscurano la visione. Le potenzialità infrarosse del telescopio VISTA hanno consentito ora agli astronomi di vedere la miriade di stelle di questa galassia vicina molto più chiaramente di prima. Il risultato è questa immagine da record - l'immagine nella banda infrarossa più grande mai ottenuta della Piccola Nube di Magellano - l'intera inquadratura è riempita da milioni di stelle. Oltre alla SMC questa immagine a larghissimo campo contiene molte galassie di fondo e parecchi ammassi stellari, tra cui il brillantissimo ammasso globulare 47 Tucanae, sulla destra nella fotografia. Crediti: ESO/VISTA VMC
La Piccola Nube di Magellano è una caratteristica inconfondibile del cielo australe, anche a occhio nudo. In questa immagine da record – l’immagine nella banda infrarossa più grande mai ottenuta della Piccola Nube di Magellano –vediamo come le riprese di VISTA nell’infrarosso hanno “ripulito” l’inquadratura dalla luce diffusa delle polveri interstellari, che ora ci appare riempita da milioni di stelle. Oltre alla Piccola Nube, questa immagine a larghissimo campo contiene molte galassie di fondo e parecchi ammassi stellari, tra cui il brillantissimo ammasso globulare 47 Tucanae, sulla destra nella fotografia. Crediti: ESO/VISTA VMC

La Piccola Nube di Magellano (SMC dall’inglese Small Magellanic Cloud) è una galassia nana, di taglia più piccola della compagna, la Grande Nube di Magellano (LMC da Large Magellanic Cloud. Sono, tra le galassie vicine alla nostra, due delle più prossime – la SMC si trova a circa 200 000 anni luce, un dodicesimo della distanza della più famosa Galassia di Andromeda. Hanno anche una forma peculiare, a seguito dell’interazione reciproca e con la Via Lattea.

Nella cartina la debole costellazione del Tucano, che ospita la piccola vicina della nostra Galassia chiamata Piccola Nube di Magellano (indicata con un contorno verde): sono indicate le stelle visibili a occhio nudo in una notte buia e serena. La galassia senza telescopio appare come una debole macchia luminosa che assomiglia a una piccola nuvola. Sono segnati anche due ammassi globulari: NGC 104 (noto anche come 47 Tucanae) e NGC 362, non legati alla nebolusa e molto più vicini alla Terra. Crediti: ESO, IAU and Sky & Telescope

La relativa vicinanza alla Terra le rende candidati ideali per lo studio della formazione ed evoluzione delle stelle, tuttavia, mentre la distribuzione e la storia della formazione stellare in queste galassie nane sono notoriamente complesse, uno degli ostacoli maggiori per ottenere osservazioni chiare della formazione stellare nelle galassie è la polvere interstellare. Enormi nubi composte da questi minuscoli granelli diffondono e assorbono parte della radiazione emessa dalle stelle – specialmente la luce visibile – limitando quello che si può vedere da terra con i telescopi. Questo processo è noto come estinzione dovuta alla polvere.

La SMC è piena di polvere e la luce visibile emessa dalle sue stelle soffre di notevole estinzione. Fortunamente, non tutta la radiazione elettromagnetica viene influenzata dalla polvere nello stesso modo. La radiazione infrarossa attraversa la polvere interstellare più facilmente della luce visibile, perciò guardando la luce infrarossa di una galassia possiamo studiare le nuove stelle che si formano all’interno delle nubi di polvere e gas.

VISTA, il telescopio per survey in luce visibile e infrarossa, è stato progettato in particolare per la radiazone infrarossa. La Survey di VISTA delle Nubi di Magellano (VMC da VISTA Survey of the Magellanic Clouds) intende produrre una mappa della storia di formazione stellare delle due Nubi e mappare la loro struttura tridimensionale. Milioni di stelle di SMC sono già state fotografate nella banda infrarossa, grazie alla survey, dandoci una veduta senza confronti, quasi inalterata per l’influenza della polvere.

Questa raccolta mette in evidenza alcune zone di cielo dell’enorme immagine infrarossa della nostra vicina di casa, la Piccola Nube di Magellano, ottenuta con il telescopio VISTA all’Osservatorio del Paranal dell’ESO. Il pannello più in basso ritrae l’ammasso globulare 47 Tucanae, che si trova molto più vicino alla Terra della Piccola Nube di Magellano. Crediti: ESO/VISTA VMC

L’inquadratura di questa enorme immagine è piena di stelle appartenenti alla Piccola Nube di Magellano. Contiene anche migliaia di galassie di sfondo e molti ammassi stellari brillanti, tra cui 47 Tucanae, sulla destra dell’immagine, molto più vicina alla Terra di SMC. L’immagine può essere ingrandita: vi mostrerà la Piccola Nube come non l’avete mai vista!

La quantità di nuove informazioni contenute in questa immagine da 1,6 gigapixel (43 223 x 38 236 pixels) è stata analizzata da un gruppo internazionale di astronomi, sotto la guida di Stefano Rubele dell’Università di Padova, utilizzando modelli stellari d’avanguardia per produrre risultati sorprendenti.

La survey VMC ha svelato che la maggior parte delle stelle all’interno di SMC si sono formate molto più recentemente di quelle delle più grandi galassie vicine. Questo primo risultato della survey è appena un assaggio delle scoperte che verranno, a mano a mano che la survey continuerà a riempire i vuoti della nostra mappa delle Nubi di Magellano.

Note

Versione ingrandibile dell’immagine

Articolo scientifico

Fotografie di VISTA


Dalle profondità dello Spazio… i Raggi Cosmici!

Coelum Astronomia 211 di maggio 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito

 

Cassini, ecco il tuffo in timelapse

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Saturno ripreso dalla sonda Cassini il 29 aprile, dopo il primo tuffo del suo Grand Finale, e elaborato a colori da Kevin M. Gill, sommando le immagini raw, grezze, riprese nei filtri far-red/near-infrared (CB2, MT2). Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI/Kevin M. Gill

Una sequenza di immagini mozzafiato, raccolte dalla sonda Cassini della Nasa, ci mostra ciò che ha visto la sonda spaziale durante il suo primo storico tuffo tra Saturno e i suoi anelli, avvenuto lo scorso 26 aprile. Il video raccoglie un’ora di osservazioni, a partire dal vortice al centro della struttura esagonale che si trova al polo nord, per arrivare oltre i bordi di questa intrigante formazione vorticosa.

«Sono rimasto colpito nel vedere dei bordi così netti lungo il bordo esterno dell’esagono e del vortice», racconta Kunio Sayanagi, membro del team di imaging di Cassini presso la Hampton University, che ha contribuito alla realizzazione del video. «Ci dev’essere qualcosa che impedisce alle diverse latitudini di mischiarsi, per avere dei bordi tanto precisi».

Verso la fine del video il punto di osservazione della camera ruota, questo perché la sonda cambia orientamento per puntare la sua antenna verso la direzione in cui si sta muovendo. L’antenna infatti viene utilizzata come uno scudo protettivo durante l’attraversamento del piano degli anelli.

Durante la raccolta delle immagini la sonda Cassini è scesa da una quota di circa 72.000 km a una distanza inferiore ai 7.000 km dalle nubi di Saturno. Questo si traduce in una risoluzione che passa da circa 8.7 km per pixel, nelle prime immagini, e arriva fino a 800 metri per pixel negli scatti finali.

«Le immagini raccolte durante il primo passaggio sono meravigliose, ma c’è da considerare che siamo stati prudenti con le impostazioni della camera», spiega Andrew Ingersoll, membro del team di imaging presso il Caltech. «Abbiamo in programma di utilizzare un approccio differente per il 28 giugno, quando si presenterà un’occasione simile. Riteniamo di poter ottenere immagini ancora migliori».

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Saturno mai così vicino, e Cassini trova il “grande vuoto”.


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Un balletto tra Luna e Giove tra le stelle della Vergine

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L’immagine mostra l’evoluzione della congiunzione nei giorni 6, 7 e 8 maggio. In particolare, il cielo è incentrato alle ore 22:30 del 7 maggio, quando Giove (mag. –2,4) e Luna (fase 92%) si incontreranno a stretta distanza (appena un grado e mezzo), a circa 44° sull’orizzonte sud. Nei giorni immediatamente precedenti e successivi, assisteremo al progressivo avvicinamento e allontanamento della Luna al re dei pianeti del Sistema Solare: il 6 maggio, la Luna, sempre alle 23:30, si troverà a circa 8° e mezzo a est di Porrima, mentre l’8 maggio sarà a circa 6° a nordovest di Spica.
L’immagine mostra l’evoluzione della congiunzione nei giorni 6, 7 e 8 maggio. In particolare, il cielo è incentrato alle ore 22:30 del 7 maggio, quando Giove (mag. –2,4) e Luna (fase 92%) si incontreranno a stretta distanza (appena un grado e mezzo), a circa 44° sull’orizzonte sud. Nei giorni immediatamente precedenti e successivi, assisteremo al progressivo avvicinamento e allontanamento della Luna al re dei pianeti del Sistema Solare: il 6 maggio, la Luna, sempre alle 23:30, si troverà a circa 8° e mezzo a est di Porrima, mentre l’8 maggio sarà a circa 6° a nordovest di Spica. Crediti immagine: Coelum Astronomia CC-BY

Nei giorni tra il 6 e l’8 maggio, alle ore 22:30, potremo assistere a una bella evoluzione di una congiunzione tra la Luna, quasi piena (fase dall’85% al 96%) e il pianeta Giove, brillante e facilmente riconoscibile anche nel chiarore lunare (mag. –2,4).

I due astri si incontreranno tra le stelle della costellazione della Vergine, dando vita a una bella configurazione che coinvolge anche le stelle Spica (alfa Virginis; mag. +0,95) e Porrima (gamma Virginis; mag. +2,7), anche se risulteranno difficili da scorgere, immerse nella luce del nostro satellite naturale.

Il tutto avverrà in un arco temporale di tre giorni, nello spazio di circa 19°, a un’altezza di 40° sull’orizzonte sud.

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Maggio


Tutti consigli per l’osservazione del cielo di maggio su Coelum Astronomia 211

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Il cratere Copernicus. Una guida all’osservazione della Luna di maggio

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Ripresa del cratere Copernicus di Francesco Badalotti. Maksutov Cassegrain in configurazione Rumak diametro 255mm F20 (Tubo ottico con 7 diaframmi interni, Ottica Zen) a fuoco diretto e senza filtri + camera Imaging Source DBK41AU02.AS raw colori con risoluzione di 1280 x 960.
Le fasi della Luna in maggio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

La prima proposta di questo mese viene dedicata all’osservazione di alcune fra le zone di massima Librazione previste lungo il bordo orientale della Luna. A tale proposito si segnala il giorno 3 maggio il mare Marginis con la Luna a +53,3° in fase di 7,3 giorni (individuabile alla latitudine di Crisium). Il giorno 4 maggio il mare Smythii con la Luna a +53,4° in fase di 8,3 giorni (individuabile alla latitudine di Fecounditatis). Infine la sera dell’8 maggio, con la Luna di 12,3 giorni a +29°, il punto di massima librazione si troverà in prossimità della porzione centrale del mare Australe, vasta regione scura sul bordo sudest individuabile tracciando il prolungamento da Fecounditatis in direzione sud.

Come seconda proposta consigliamo per la serata del 5 maggio a partire dalle ore 21,30 circa l’osservazione di Copernicus, eccezionale struttura crateriforme di 95 km di diametro contornata da un imponente sistema di pareti terrazzate alte 3800 metri da cui si diparte una notevole raggiera estesa radialmente in ogni direzione anche per parecchie centinaia di chilometri. Volendo intraprendere un approfondito e dettagliato studio di Copernicus, l’osservazione dovrebbe essere estesa a tutte le fasi lunari in cui la linea del terminatore venga a coincidere con questa eccezionale struttura.

Leggi la Guida all’Osservazione del cratere Copernicus

Come terza e ultima proposta per il mese in corso consigliamo per la sera del 9 maggio dalle ore 21:30 in avanti, con la Luna in fase di 13,3 giorni (la sera prima del plenilunio) ad un’altezza iniziale di 20,3° l’osservazione dell’Oceanus Procellarum, un’enorme regione relativamente pianeggiante di circa 4 milioni di chilometri quadrati situata nel settore ovest-nordovest del nostro satellite e dalla forma indefinita, estesa dalle estreme regioni nordoccidentali (dai crateri  Pythagoras e Babbage) fino in prossimità dei mari Humorum e Nubium, facilmente individuabile a causa della scura colorazione in cui le zone a più elevata albedo di Aristarchus Plateau, Kepler e i monti Riphaeus si distinguono come isole sparse nella vastissima distesa scura delle rocce basaltiche di Procellarum. Anche in questo caso la Luna si renderà osservabile per tutta la serata e la notte successiva.

Continua a leggere la Luna di Maggio su Coelum Astronomia 211, in versione digitale e gratuita, da pagina 122.

  • La Luna di Maggio
  • Questo mese osserviamo…
  • 27 maggio: Osserviamo la Falce di Luna
  • Guida all’Osservazione: Il cratere Copernicus
  • Riferimenti storici
  • I dintorni di Copernicus
  • In conclusione

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Maggio

Leggi anche La Luna mi va a pennello.
S
e la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!


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“A day with Damian Peach”

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A day with Damian Peach

A day with Damian Peach
Workshop di ripresa planetaria in alta risoluzione.
Sabato 24 giugno 2017 – dalle ore 10 alle ore 17
Aemilia Hotel – via Zaccherini Alvisi, 16 – 40138 Bologna (BO)

Per la prima volta in Italia, Damian Peach incontrerà fans, astrofili e appassionati di astrofotografia per condividere le tecniche di acquisizione e post-produzione che lo hanno portato a creare immagini astronomiche straordinarie apprezzate a livello mondiale. Il workshop, organizzato da Pierluigi Giacobazzi, verrà ospitato nella “Sala Marconi” del prestigioso Aemilia Hotel di Bologna. Punto strategico della bellissima città emiliana, a due passi dalla stazione ferroviaria, dotato di ampio parcheggio interno e facilmente raggiungibile dall’aeroporto internazionale “Guglielmo Marconi”. L’appuntamento prevede una prima sessione mattutina in cui Damian illustrerà le modalità con cui acquisisce le immagini spaziali, a cui seguirà una sessione pomeridiana incentrata sulle tecniche di editing in alta risoluzione. Per agevolare l’ospite internazionale e tutti i partecipanti, è stato predisposto un servizio di traduzione simultanea dall’inglese all’italiano.

Costo e modalità di iscrizione
Il costo complessivo del workshop è di 195,00 euro. E’ previsto uno sconto del 10% per chi si iscrive entro il 24 maggio 2017 e ai partecipanti di workshop o corsi precedenti, svolti da Pierluigi Giacobazzi. Le modalità di pagamento sono il bonifico bancario e PayPal.
Link di iscrizione: http://www.pierluigigiacobazzi.com/a_day_with_damian_peach/
Per informazioni: www.pierluigigiacobazzi.com – info@pierluigigiacobazzi.com

Al chiaro di Luna – Gruppo Astrofili Palidoro

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palidoro

palidoroIl 6 maggio 2017 l’Astronomia arriva a Casalotti.

Una serata dedicata a Luna e Giove organizzata dal Gruppo Astrofili Palidoro. A introdurre l’evento una conferenza sul fascino di questi oggetti del cielo tenuta dall’astrofilo Giuseppe Conzo e a seguire saranno aperti i telescopi installati per l’occasione.

Inizio ore 20.00 presso l’Istituto Comprensivo Via Casalotti 85 in Roma.

Per tutte le info a riguardo è possibile collegarsi all’evento facebook

info@astrofilipalidoro.it – www.astrofilipalidoro.it

Astroiniziative UAI

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il
Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi.
www.uai.it

5-7 maggio – 50° Congresso Nazionale UAI a Frosinone
Il più importante appuntamento dell’astrofilia italiana, che quest’anno celebra il cinquantesimo anniversario: tre giorni di conferenze e di condivisione esperienze formative alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale ed internazionale. Organizzazione a cura della Associazione Astronomica Frusinate e Osservatorio Astronomico di Campo Catino.
Qui puoi trovare il Programma del Congresso
Qui puoi trovare altre informazioni e il form di registrazione
Qui puoi trovare le informazioni su logistica e soggiorno a Frosinone

http://www.uai.it/astrofilia/congressouai.html

Un’enorme onda nell’ammasso di Perseo

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Nell’animazione, in dissolvenza, due diverse viste del gas caldo dell’ammasso di galassie di Perseo. La prima è la miglior immagine di Chandra dei gas nella regione centrale dell’ammasso, il rosso, il verde e il blu indicano  raggi gamma dalle energie più basse a quelle più alte. L’immagine più ampia include anche i dati ottenuti da riprese a largo campo. L’immagine è poi stata elaborata e migliorata per mettere in risalto i dettagli più sottili delle strutture di gas. L’onda si vede in basso a sinistra (vedi immagine in basso per la localizzazione corretta). Credits: NASA/CXC/SAO/E.Bulbul, et al. and NASA’s Goddard Space Flight Center/Stephen Walker et al.

Combinando i dati ottenuti dall’Osservatorio a raggi X Chandra della NASA con osservazioni radio e simulazioni al computer, un team internazionale ha scoperto un’enorme ondata di gas caldo nel vicino ammasso di galassie di Perseo. Dalle dimensioni di circa 200.000 anni luce, l’onda ha un’estensione di praticamente il doppio della nostra galassia, la Via Lattea.

Secondo i ricercatori, l’onda si è formata miliardi di anni fa, dopo che un piccolo ammasso di galassie ha “pascolato” ai bordi del Perseo causando un’immissione di gas che ha rimescolato un enorme volume di spazio.

«Quello del Perseo è uno degli ammassi vicini più massicci, ed è anche quello più luminoso nei raggi X, perciò grazie ai dati di  Chandra possiamo avere dettagli senza pari», spiega Stephen Walker, del Goddard Space Flight Center  della NASA (Greenbelt, Maryland). «L’onda che abbiamo identificato è da associare al passaggio ravvicinato di un ammasso più piccolo, e mostra che l’attività di fusione che ha prodotto queste gigantesche strutture è ancora in corso».

Lo studio è stato pubblicato nel numero di giugno 2017 della rivista Monthly Notices della Royal Astronomical Society ed è disponibile online.

Gli ammassi di galassie sono le strutture legate dalla gravità più grandi che conosciamo nell’universo di oggi. Largo 11 milioni di anni luce e a circa 240 milioni di anni luce da noi, l’ammasso del Perseo prende nome dalla costellazione in cui, prospetticamente, si trova. Come tutti gli ammassi di galassie, la maggior parte della sua materia osservabile assume la forma di un gas diffuso dalla temperatura, in media, di decine di milioni di gradi… così caldo che brilla solo nei raggi X.

I dati di Chandra, elaborati e migliorati, hanno prodotto l’immagine che vedete sopra, in cui filtri di luminosità e contrasto hanno messo in evidenza sottili dettagli meno visibili. Hanno così individuato (indicata dall’ovale bianco) un’enorme onda che rotola nel gas. Credits: NASA’s Goddard Space Flight Center/Stephen Walker et al.

Le osservazioni di Chandra hanno rivelato una grande varietà di strutture, dalle enormi bolle “soffiate” dal buco nero supermassico che si trova nel nucleo della galassia centrale, NGC 1275, a una enigmatica struttura concava chiamata “baia”.

È risultato subito evidente che la baia non poteva essersi formata con le classiche bolle originate dall’attività del buco nero. Al contrario di ciò che ci si aspetterebbe infatti, osservazioni radio dal Karl G. Jansky Very Large Array (New Mexico)  hanno mostrato che questa formazione non produce emissione. Inoltre, i modelli standard di dinamica dei fluidi producono strutture che, se mai, si curvano nella direzione opposta.

Grazie invece alle Osservazioni Chandra, Walker e colleghi hanno potuto indagare più a fondo, potendo contare su un totale di 10,4 giorni di dati ad alta risoluzione e 5,8 giorni di osservazioni a largo campo a energie tra 700 e 7.000 elettronvolt (per confronto, la luce visibile ha energie tra circa i due e i tre elettronvolt). Dopo aver combinato le osservazioni, i ricercatori hanno poi filtrato l’immagine ottenuta per evidenziare i bordi delle strutture e rivelare i dettagli più sottili.

Successivamente, hanno confrontato l’immagine dell’ammasso così elaborata con le simulazioni al computer di fusione di ammassi di galassie, sviluppate da John ZuHone, astrofisico presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (Cambridge, Massachusetts).

«Le fusioni di ammassi di galassie rappresentano l’ultima fase nella formazione delle strutture del cosmo», spiega  ZuHone. «Le simulazioni idrodinamiche di queste fusioni ci permettono di riprodurre le caratteristiche del gas caldo e regolare diversi parametri fisici, tra i quali il campo magnetico. Possiamo quindi poi confrontare le caratteristiche ottenute con quello che effettivamente osserviamo nei raggi X».

Una simulazione in particolare sembrava spiegare la formazione della baia. Nella simulazione il gas di un grosso ammasso simile a Perseo, si è assestato in due componenti: una regione centrale “fredda”, con temperature intorno ai 54 milioni di gradi Fahrenheit (30 milioni di Celsius), e una zona circostante dove il gas era tre volte più caldo. Poi è stato fatto passare, a circa 650 mila anni luce dal centro dell’ammasso, un secondo piccolo ammasso di galassie, contenente circa mille volte la massa della Via Lattea.

Onde Kelvin-Helmholtz nell’atmosfera di Saturno, riprese dalla sonda Cassini.

Il passaggio ravvicinato ha così creato un disturbo gravitazionale che ha fatto mescolare il gas come la crema mescolata in un caffè, creando una spirale in espansione di gas freddo. Dopo circa 2,5 miliardi di anni, quando il gas è arrivato a circa 500 mila anni luce dal centro, si sono effettivamente formate delle grandi onde che hanno “rotolato” alla periferia dell’ammasso per centinaia di milioni di anni prima di dissiparsi.

Le onde individuate sono versioni giganti delle cosidette onde Kelvin-Helmholtz, che si presentano ovunque ci sia una differenza di velocità nell’interazione tra due fluidi, come il vento che soffia sull’acqua. Possono essere viste nell’oceano, nelle formazioni nuvolose sulla Terra o in altri pianeti, nel plasma vicino alla Terra e anche nel Sole.

«La caratteristica forma a baia che vediamo in Perseo, è parte di un’onda Kelvin-Helmholtz, forse la più grande identificata, che si è formata in modo simile a quanto dimostra la simulazione», spiega Walker. «Abbiamo identificato caratteristiche simili anche in altri due ammassi di galassie, Centaurus e Abell 1795».

Lo studio mostra anche che le dimensioni delle onde corrispondono all’intensità del campo magnetico dell’ammasso. Se è troppo debole, le onde raggiungono dimensioni molto più grandi di quelle osservate, se troppo intenso non si formano proprio. Si tratta quindi anche di un modo per determinare il campo magnetico medio dell’intero volume dell’ammasso, una misura altrimenti impossibile con qualsiasi altro mezzo.

Qui di seguito, in un video, l’intera simulazione che  mostra come i gas più freddi, al passaggio di un più piccolo ammasso di galassie nelle periferie, formano un’enorme spirale che da vita a gigantesche onde che resistono poi per centinaia di milioni di anni. Un evento del genere sembra possa accadere, a un ammasso come il Perseo, ogni tre o quattro milioni di anni.


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Via Lattea ai raggi gamma

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An excess of gamma-rays coming from the center of the Milky Way is likely due to a population of rapidly spinning, very dense and highly magnetized neutron stars, called pulsars. (NASA/CXC/University of Massachusetts/D. Wang et al.; Greg Stewart/SLAC National Accelerator Laboratory)
Nell’impressione artistica l’eccesso di raggi gamma in uscita dal centro della Via Lattea, dovuto a una popolazione di stelle di neutroni molto dense e altamente magnetizzate, chiamate pulsar, in rapida rotazione. Crediti: NASA/CXC/University of Massachusetts/D. Wang et al.; Greg Stewart/SLAC National Accelerator Laboratory.

C’è un eccesso di raggi gamma proveniente dal centro della Via Lattea. A generarli, una popolazione di pulsar in rapida rotazione, che emette bagliori intermittenti, come se fosse un gruppo di fari cosmici.

Lo afferma uno studio internazionale, coordinato dal Kavli Institute for Particle Astrophysics and Cosmology (KIPAC), in corso di pubblicazione su The Astrophysical Journal. La ricerca smentirebbe precedenti interpretazioni, che attribuivano il segnale all’elusiva materia oscura, responsabile di circa l’85% della massa dell’Universo.

«Il nostro studio mostra che non abbiamo bisogno della materia oscura per spiegare le emissioni di raggi gamma della nostra galassia – sottolinea Mattia Di Mauro, uno dei firmatari della ricerca. Per dar conto di queste emissioni, invece, abbiamo identificato una popolazione di pulsar nella regione intorno al centro galattico».

Lo studio è basato sui dati del Large Area Telescope (LAT) del NASA Fermi Gamma-ray Space Telescope, in orbita attorno alla Terra dal 2008. Si tratta di un occhio speciale, sensibile alla radiazione gamma, la più energetica dello spettro elettromagnetico.

Un eccesso di raggi gamma provenienti dal centro della Via Lattea ha alimentato le speranze che il segnale rilevato potesse derivare da ipotetiche particelle di materia oscura che si scontrano e si distruggono (a sinistra). Il nuovo studio dimostra però che la radiazione rilevata potrebbe anche essere prodotta da pulsar (a destra) presenti in quantità sia nel piano galattico che nell’alone. (Greg Stewart/SLAC National Accelerator Laboratory).

«Le pulsar che abbiamo studiato hanno una vita media di circa 10 milioni di  anni, molto più breve delle stelle più vecchie vicino al centro della Via Lattea» spiega Eric Charles, altro autore dello studio. «Se l’eccesso di raggi gamma dal centro della galassia fosse dovuto alla materia oscura, avremmo dovuto trovarlo anche in altre galassie. Invece – conclude Charles – dal centro delle galassie nane intorno alla Via Lattea, che hanno poche stelle e sono prive di pulsar, non abbiamo osservato alcuna emissione».

Per saperne di più sui raggi gamma:

Dalle profondità dello Spazio… i Raggi Cosmici!
Coelum Astronomia 211 di maggio 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito

 

Saturno mai così vicino, e Cassini trova il “grande vuoto”.

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The sounds and spectrograms in these two videos represent data collected by the Radio and Plasma Wave Science, or RPWS, instrument on NASA's Cassini spacecraft, as it crossed the plane of Saturn's rings on two separate orbits. Credits: NASA/JPL-Caltech/University of Iowa

Un video navigabile a 360° del “Grand Finale” della missione Cassini. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Un’elaborazione sommando le immagini raw del 26 aprile, nei tre filtri RGB, del polo nord di Saturno. Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI/Kevin M. Gill

Cassini si prepara al secondo passaggio ravvicinato di questa sera (2 maggio alle 21:38 ora italiana), in volo tra l’atmosfera del pianeta e il bordo interno degli anelli. E mentre gli ingegneri di volo gioscono per il primo passaggio riuscito alla perfezione, senza incidenti, gli scienziati rimangono perplessi… non che non siano lieti dell’esito, ma non si aspettavano proprio una così bassa presenza di polveri in quella zona. “The Big Empty”, così lo chiamano gli astronomi, sembra quasi il titolo di una canzone…

«La regione tra gli anelli e Saturno è apparentemente un “Grande Vuoto” [The Big Empty, appunto…]», queste le parole del Cassini Project Manager Earl Maize,  NASA Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California, che conferma: «Cassini continua quindi nel suo percorso come previsto, mentre gli scienziati lavorano sul mistero di questo livello di polveri così basso, più di quanto previsto».

Un ambiente più polveroso avrebbe richiesto l’uso del piatto dell’antenna principale come scudo, e modificando il quando e come potuto effettuare le osservazioni. Fortunatamente invece il “piano B” per il momento sembra non essere più necessario. Per il momento, grazie alle osservazioni e ai dati raccolti durante la prima orbita del “Grand Finale”, in quella fascia larga circa 2000 chilometri tra il pianeta e gli anelli, non ci sono grandi particelle che possano costituire un pericolo per la sonda.

Nel primo tuffo del 26 aprile, pur sapendo che non si sarebbero dovuti trovare grossi ostacoli, non si sapeva con certezza a cosa si andava incontro, e la sonda è comunque stata orientata in modo da usare l’antenna come scudo, a protezione della delicata strumentazione – e lo farà anche in quattro dei 21 tuffi mancanti, quelli in cui passerà attraverso le frange più interne degli anelli di Saturno.

I suoni e il grafico delle collisioni di particelle cariche rilevate da RPWS nel passaggio del 18 dicembre 2016, a distanza ravvicinata con il bordo esterno degli anelli. Come si vede, e si sente, nel momento dell’attraversamento del piano degli anelli, il rumore e i crepitii dovuti agli impatti con le particelle di polvere aumentano notevolmente.

Uno dei due strumenti non coperti dall’antenna/scudo è il Radio and Plasma Wave Science (o RPWS, il secondo è un magnetometro). Durante i passaggi sul piano degli anelli ma subito fuori dal bordo più esterno, ha “contato” centinaia di collisioni con particelle di polvere, mentre durante il passaggio del 26 aprile ha contato solo pochi “ping”. Quando i dati raccolti da RPWS vengono convertiti in suoni, le particelle che colpiscono lo scudo si “sentono” come colpi e screpitii che coprono gli usuali suoni delle particelle cariche per la cui rilevazione è stato costruito.

Durante il passaggio del 26 aprile invece, tra il pianeta e il bordo interno degli anelli, al momento dell’incrocio con il piano degli anelli non si avverte praticamente nessuna differenza.

Passando nel bordo interno degli anelli ci si aspettava altrettanto rumore e disturbo, se non di più… e invece i fischi delle particelle cariche si sono sentiti sorprendentemente chiari e la trasmissione pulita.

«È stato alquanto… disorientante» confessa William Kurth, team leader del RPWS (Università di Iowa, Iowa City). «Non abbiamo sentito quello che ci aspettavamo di sentire. Ho ascoltato i dati della prima immersione diverse volte e posso probabilmente contare il numero di impatti sulle le dita di due mani». L’analisi dei dati rivela che pochissime sono le particelle incontrate e nessuna più grande di una particella di fumo (all’incirca di dimensioni di 1 micron massimo).

Il tuffo di oggi, 2 maggio, avverrà in una zona molto vicina a quella del primo passaggio, e Cassini sarà libera di osservare attentamente gli anelli, poco prima di attraversare il loro piano. La sonda è stata velocemente ruotata (anzi… “rotolata”) per poter calibrare il magnetometro.

Come nel primo passaggio, Cassini sarà in silenzio radio durante il passaggio ravvicinato a Saturno e si volterà con la sua antenna verso la Terra per inviare i dati solo il giorno successivo (il 3 maggio a partire dalle 16:13 italiane).

Le immagini grezze più ravvicinate di sempre del polo nord di Saturno, con l’uragano al centro del famoso esagono (in realtà non si tratta proprio di un uragano, ma di una tempesta dalla forma simile ai nostri uragani) e le tante piccole tempeste che ne costellano l’atmosfera. Riprese del 26 aprile 2017. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Per saperne di più

Ulteriori informazioni sul “Grand Finale”, tra cui immagini e video, sono disponibili all’indirizzo: https://saturn.jpl.nasa.gov/grandfinale

Tutte le date e gli orari delle prossime orbite

 


Dalle profondità dello Spazio… i Raggi Cosmici!
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Astronomiamo

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LocandinaCoelum

LocandinaCoelum
04/05: “incontri di astronomia” con l’astrofisico Luigi Mancini
11/05: Corso di astrofotografia online
18/05: LIFT-OFF – le missioni planetarie sui pianeti interni
25/05: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
Dettagli: www.astronomiamo.it

Accademia delle Stelle

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Maggio 2017

Maggio 2017I corsi hanno il patrocinio della UAI e si tengono presso la Sala Conferenze di San Gregorio Barbarigo a Roma EUR (di fronte alla metro Laurentina) il lunedì (Archeoastronomia) e il giovedì (Corso base) dalle 21 alle 22.30.
Sono previsti sconti per i soci UAI e i lettori di Coelum (chiedere Coupon).

Per informazioni: http://www.accademiadellestelle.com/corsi

Una Supernova… dietro MESSIER 63!

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Una bella ripresa della SN2017dfc realizzata da Adriano Valvasori con un Celestron 9,25 e CCD ATIK 4000LE Tempi di posa somma Luminanza 12x120sec. + filtri RGB 3x120sec.
Una bella ripresa della SN2017dfc realizzata da Adriano Valvasori con un Celestron 9,25 e CCD ATIK 4000LE Tempi di posa somma Luminanza 12x120sec. + filtri RGB 3x120sec.

Inizialmente, quando nella notte del 9 aprile il satellite Gaia ha individuato una debole nuova stella di mag. +19 nella bella galassia M 63, abbiamo pensato subito di essere davanti alla prima supernova del 2017 esplosa in una galassia Messier e che quindi sarebbe diventata nel giro di poco tempo molto luminosa.

Alcuni giorni dopo la scoperta il transiente invece, la sua luminosità era aumentata di poco, portandosi intorno alla mag. +18. C’era qualcosa di strano e anomalo!

M 63
M63 in una immagine di archivio, senza supernova, realizzata da Marco Burali con Takahashi RC 300 f7.8 + CCD FLI 1001E per Luminanza tempi di posa 420 minuti e per H-alfa 6nm 300 minuti, per il colore Takahashi TOA 150 f 5.8 + CCD G2 4000 filtri RGB 100+100+100 minuti.

La galassia a spirale M 63, detta “galassia girasole”, scoperta da Pierre Mechain nel 1779, è situata nella costellazione dei Cani da Caccia a una distanza di circa 25 milioni di anni luce da noi.

Una supernova di tipo Ia, per esempio, avrebbe pertanto dovuto raggiungere una luminosità intorno alla mag. +11 – cosa già accaduta in passato con l’unica supernova conosciuta esplosa in questa galassia, la SN1971I che nel maggio del 1971 raggiunse appunto la notevole luminosità pari alla mag. +11,5.

Perché allora l’oggetto scoperto dal satellite Gaia rimaneva così debole? Era forse un supernova impostore o cos’altro?

Una ripresa in negativo (per rendere più visibili i singoli oggetti rispetto alla visione di insieme della galassia, cliccare per ingrandire) della SN2017dfc realizzata da Paolo Campaner con un riflettore 400mm F/5,5 Tempo di posa somma 39x75sec.

Finalmente, nella notte del 21 aprile, dal Lick Observatory in California con lo Shane Telescope da 3 metri viene ripreso lo spettro di conferma. La SN2017dfc, così la sigla assegnata al transiente, è una supernova di tipo Ia, ma non è esplosa fra i bracci di M 63 bensì in una galassia più lontana, situata prospetticamente dietro M 63 che con i suoi bracci attenua ancor di più la luce di questa singolare supernova.

Si tratta perciò di un falso allarme e dobbiamo ancora attendere per vedere quando esploderà la prima supernova in una galassia Messier in questo 2017…

➜ Leggi la rubrica dedicata alle ultime supernovae scoperte su Coelum astronomia 211 di maggio

➜ Per saperne di più sulle esplosive supernovae, cosa sono, come nascono e come si scoprono (soprattutto a livello amatoriale, con le esperienze dei protagonisti) leggi lo speciale su COELUM Astronomia di febbraio 2017


Cielo di Maggio 2017

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cielo di maggio 2017
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E. La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC, TU+2): 1 maggio alle 23:00 - 15 maggio alle 22:00 - 30 maggio alle 21:00
cielo di maggio 2017
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N – Long. 12°E. La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC, TU+2): 1 maggio alle 23:00 – 15 maggio alle 22:00 – 30 maggio alle 21:00

EFFEMERIDI
(mar. – ott. 2017)

Luna

Sole e Pianeti

Un’ora dopo il tramonto, potremo ammirare ancora il grandissimo arco che comincia con Procione, nel Cane Minore, fino alla luminosa Capella, passando per le due gemme dei Gemelli, Castore e Polluce. Allo zenit volteggerà intanto l’inconfondibile sagoma del Grande Carro, mentre a sudest, nei pressi dell’orizzonte, si affaccerà la testa dello Scorpione, preceduta dalla Bilancia che ospita Saturno in opposizione. Più a est cominceranno a farsi vedere le grandi costellazioni estive come il Cigno, la Lira e L’Ercole.

Scopri le costellazioni del cielo di aprile con la UAI

Il mese di maggio continuerà ad essere ottimo per l’osservazione e la ripresa di Giove, che a circa un mese dall’opposizione è sempre alto in cielo e visibile per gran parte della notte, tuttavia sarà la Luna ad essere la protagonista di una serie di interessanti congiunzioni, a partire proprio dall’incontro con il brillante Giove in uno stretto abbraccio, il 7 maggio. Le successive congiunzioni vedranno il nostro satellite naturale incontrare gli altri pianeti brillanti, Saturno e Venere (ma anche il debolissimo Nettuno), a distanze però sempre piuttosto ampie.

Questo mese, oltre alle consuete congiunzioni, vi raccomandiamo di tenere d’occhio i passaggi della Stazione Spaziale Internazionale… per lo più richiederanno una sveglia all’alba (ma non sempre) ma saranno passaggi particolarmente luminosi e, in particolare per gli astrofotografi, con passaggi ravvicinati a pianeti o zone di cielo suggestive, come il passaggio del 22 maggio che, se osservato dal Centro Italia, vedrà la ISS transitare nei pressi del “triangolo estivo”, composto dalle brillanti Vega, Altair e Deneb. Tante ottime occasioni per splendide fotografie.


Tutti consigli per l’osservazione del cielo di maggio su Coelum Astronomia 211

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21° Meeting Nazionale Astrofili

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CielOstellato, organizzato dal Gruppo astrofili Columbia, la Coop. Camelot, la rivista Coelum, in collaborazione con la Coop. Atlantide, Robintur e il patrocinio del Comune di Ostellato, giunge alla sua ventunesima edizione e si conferma lo Star-Party nazionale dedicato all’alta risoluzione. Le condizioni climatiche e topografiche del luogo (le Valli di Ostellato rappresentano una zona pianeggiante vicina a specchi d’acqua), favoriscono un buon seeing per numerose notti all’anno e la mancanza a livello nazionale di star-party dedicati all’osservazione di Luna, pianeti, Sole e stelle doppie, ci ha convinto a dedicare CielOstellato a questo genere di osservazioni.
Star Party Un’area per osservazioni astronomiche con telescopi propri e possibilità di prove strumentali.
Osservatorio Astronomico Costituito da un telescopio newtoniano 450 mm F/2000 mm (f/4.5) e un telescopio rifrattore 120 mm F/1000 mm (f/8)

Rivenditori Le principali ditte di strumentazione astronomica presenteranno le novità del settore.
Conferenze e approfondimenti Anche quest’anno il tema della conferenze sarà anche dedicato ai viaggi astronomici , racconti di viaggio alla ricerca dei cieli più incontaminati, a caccia dei fenomeni più spettacolari, come eclissi totali di sole, comete, tempeste di meteore, aurore polari, nei contesti più straordinari e suggestivi del pianeta.

Per informazioni: Ferruccio Zanotti 331/7814370 – Massimiliano Di Giuseppe 338/5264372
GRUPPO ASTROFILI COLUMBIA: Alessandro Farinelli 340/2834050 – Davide Andreani
338/7594852 – Matteo Negri 328/1547402 – Martino Artioli 335/5962215
e-mail: esploriamoluniverso@gmail.com
Per prenotazioni: Presso l’oasi delle Vallette di Ostellato è possibile usufruire di bungalows,
campeggio, spazio camper e ristorante. Tel. 0533 681240 – cell. 347 2165388 – e-mail:
vallette@atlantide.net
www.esploriamoluniverso.comwww.astrofilicolumbia.it

Accademia delle Stelle

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Aprile 2017_2
27/04/2017, ore 21: Noi e il Cielo. Conferenza inaugurale gratuita del corso di Archeoastronomia ed astronomia culturale sul rapporto tra l’uomo e il cielo.

Tutti gli eventi si terranno presso la sede dell’Accademia delle Stelle a San Gregorio Barbarigo a Roma EUR.
Info: https://www.accademiadellestelle.org
www.facebook.com/accademia.dellestelle

Astronomiamo – Diretta streaming di aggiornamento astronomico

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LocandinaCoelum

27/04/2017: Diretta streaming di aggiornamento astronomico

Dettagli su www.astronomiamo.it

Abbiamo organizzato il mese dell’astronomia alla ludoteca Amelie di Roma.
Info su http://www.ludotecheamelie.com

Gen. Charles Duke in Italia “Decimo uomo a camminare sulla Luna”

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ADAA aprile

ADAA aprileIl 29 e 30 aprile 2017, il Generale Duke sarà a Malpensa (Aeroporto) presso lo Sheraton Convention Center per un Galà e una conferenza.
A Malpensa vivrete un evento unico mai realizzato in Italia. Due giorni immersi nell’avventura più grande dell’umanità! 45 anni dopo il suo storico viaggio; Charlie Duke, decimo uomo ad aver camminato sul suolo lunare nel 1972, ricorderà la sua storica missione. Godetevi l’emozione del racconto da parte di uno dei soli 12 esseri umani ad aver camminato su un altro corpo celeste. L’evento si svolgerà grazie alla collaborazione con: Sheraton Convention Center e QBT.

L’evento si ripeterà l’1 e 2 maggio a Peccioli (Pisa), il 4 e 5 maggio 2017 a Torino.
Per maggiori informazioni: www.adaa.it – email: info@adaa.it
Contatti: Luigi Pizzimenti presidente@adaa.it – Tel. +39 3493597511
ADAA Associazione per la Divulgazione Astronomica e Astronautica
c/o Volandia – Parco e Museo del Volo – Via per Tornavento 15 Somma Lombardo (VA) Italia

Materia oscura, una nuova prova

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Simulazione di una galassia, con i suoi 'ingredienti' principali: le stelle (blu), il gas da cui le stelle sono originate (rosso) e l'alone di materia oscura che circonda la galassia (grigio chiaro). Crediti: A. Benitez-Llambay e A. Ludlow
Simulazione di una galassia, con i suoi 'ingredienti' principali: le stelle (blu), il gas da cui le stelle sono originate (rosso) e l'alone di materia oscura che circonda la galassia (grigio chiaro). Crediti: A. Benitez-Llambay e A. Ludlow

La materia oscura esiste. Almeno nella versione ‘tascabile’ dell’Universo riprodotto dentro a un computer: è quanto afferma un team di ricercatori guidati dall’Università di Durham, che grazie alle simulazioni ha trovato una prova dell’esistenza della ‘signora dell’oscurità’.

La dark matter, ineffabile componente del cosmo che secondo recenti stime costituirebbe oltre l’80% della massa presente nell’Universo, resta uno dei più grandi misteri della scienza moderna.

La maggioranza degli astronomi è oggi convinta della sua esistenza, eppure neanche le tecnologie più avanzate hanno permesso fino ad ora di osservarla.

Per questo da tempo gli scienziati si stanno concentrando su metodi indiretti per ricostruire il possibile identikit della materia oscura, in modo da cercare di capire qualcosa di più sulla sua natura e la sua misteriosa composizione.

Uno dei metodi più efficaci è quello che unisce dati osservativisimulazioni al computer. Riprodurre ‘virtualmente’ porzioni di Universo a partire dalle informazioni disponibili permette di elaborare modelli simulativi da cui estrarre previsioni realistiche sull’evoluzione del cosmo.

Elaborazione artistica della Via Lattea: l'alone blu che circonda la galassia indica la distribuzione prevista per la misteriosa materia oscura. Crediti: ESO/L. Calçada

Il nuovo studio dell’Università di Durham si muove esattamente in questo terreno. Utilizzando tecniche avanzate di simulazione computazionale, il team di ricerca ha ricostruito il processo di formazione delle galassie tenendo conto della presenza della materia oscura.

E così miliardi di anni di evoluzione sono stati compressi in poche settimane, riproducendo in potentissimi supercomputer le complesse relazioni esistenti tra la massa, la dimensione e la luminosità delle galassie.

I risultati, pubblicati su Physical Review Letters, mostrano che la dimensione e la velocità di rotazione delle galassie simulate erano collegate alla loro luminosità in un modo simile alle osservazioni reali fatte dagli astronomi.

In altri termini, il micro-Universo virtuale si comportava in modo del tutto coerente con le informazioni disponibili sull’Universo reale. Il che, secondo gli autori dell’articolo, è un’ulteriore prova indiretta dell’esistenza della materia oscura.

“Questo risolve un antico problema che ha messo in difficoltà i modelli della materia oscura per oltre un decennio – commenta AaronLudlow, leader dello studio. – L’ipotesi dell’esistenza della materia oscura resta la migliore spiegazione per i fenomeni gravitazionali che tengono insieme le galassie. Per questo, anche se le sue particelle sono molto difficili da rilevare, la fisica deve insistere.”

Per saperne di più sulla materia oscura e lo stato della ricerca in merito, Coelum Astronomia 210 di aprile è dedicato all’argomento con uno speciale dedicato alla ricerca della elusiva “massa mancante”, come sempre in formato digitale e gratuito…

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Accademia delle Stelle

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Aprile 2017_2
26/04/2017: Radioastronomia non si vede ma c’è. Conferenza pubblica gratuita della dr.ssa Daria Guidetti radioastronoma dell’INAF di Bologna.
27/04/2017, ore 21: Noi e il Cielo. Conferenza inaugurale gratuita del corso di Archeoastronomia ed astronomia culturale sul rapporto tra l’uomo e il cielo.

Tutti gli eventi si terranno presso la sede dell’Accademia delle Stelle a San Gregorio Barbarigo a Roma EUR.
Info: https://www.accademiadellestelle.org
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La Luna occulta Aldebaran bis!

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Orari e direzione di ingresso ed egresso di Aldebaran sul disco lunare per tre principali località di Nord, Centro e Sud Italia. Consigliamo l'uso di un software (come calsky online o un planetario come Stellarium) per le circostanze corrette in base alla vostra località.

La sera del 28 aprile si ripropone l’occultazione di Aldebaran (alfa Tauri; m = +0,9) da parte di una sottilissima falce di Luna (h = 21°; fase = 8%), che per una località posta in Centro Italia (12° Lat. e 42° Long.) inizierà con l’immersione della stella nel lembo oscuro della Luna per terminare alle 21:22 (h = 11°; AP = 269°).

Più che nella scorsa occultazione del 5 febbraio scorso, sarà possibile vedere la brillante e arancione Aldebaran “spegnersi” sparendo dietro il disco oscurato della Luna, per poi riapparire dalla sottile falce frastagliata. L’unica difficoltà potrà essere la luce del crepuscolo al momento dell’ingresso.

E si tratta anche di un’ottima occasione per tentare di fotografare la luce Cinerea della Luna.

Per l’osservazione o la ripresa fotografica valgono i consigli dati in Coelum Astronomia 208 di febbraio. Aspettiamo come sempre le vostre migliori immagini su Photocoelum!

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi sul Cielo di Aprile 2017

➜ Una guida all’osservazione della Luna di aprile, e un approfondito e interessante articolo alla scoperta del cratere Clavius.

Fotografare l’occultazione di Aldebaran da parte della Luna di Giorgia Hofer

Fotografare la luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum di gennaio 2017


Questo mese Giove in opposizione e la Cometa 41P/
Tutti consigli per l’osservazione del cielo di aprile su Coelum Astronomia 209

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La supernova perfetta

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La supernova di tipo Ia iPTF16geu, ingrandita dalla lente gravitazionale, vista nel vicino infrarosso con il telescopio del Keck Observatory. Crediti: W. M. Keck Observatory
La supernova di tipo Ia iPTF16geu, ingrandita dalla lente gravitazionale, vista nel vicino infrarosso con il telescopio del Keck Observatory. Crediti: W. M. Keck Observatory

Tutto ha inizio in una calda notte californiana, quella del 5 settembre 2016. Quando, nel corso della campagna osservativa della survey Iptf, il telescopio da 120 cm dello storico Osservatorio di Palomar coglie un cosiddetto “transiente”: una variazione repentina, in questo caso una luce là dove non c’era. Un’esplosione di supernova. Tempo nemmeno un mese, siamo al 2 ottobre, ed ecco che da una serie di misure spettroscopiche emergono due informazioni cruciali. Primo, si tratta di una supernova di tipo Ia (si legge ‘uno-a’), le più ambite dagli astronomi, le supernove da Nobel: la loro luminosità è infatti così regolare da poterle usare come “candele standard”, fari di riferimento perfetti per stabilire a che distanza si trovano le galassie che le ospitano. Secondo, gli spettri dicono che si trova a una distanza assai elevata. Troppo elevata per la luce che emette. O c’è un errore oppure…

Il fenomeno di lente gravitazionale.
Credit: ESA/Hubble, L. Calçada

Oppure c’è di mezzo una lente. Una lente gravitazionale: il fenomeno, previsto dalla relatività generale di Einstein, per il quale la curvatura impressa sullo spaziotempo da un oggetto di grande massa – tipicamente, una galassia – fa sì che la sorgente che si trova alle spalle della “lente” appaia come ingrandita.

L’occasione è ghiotta. Subito entrano in azione i migliori telescopi da terra e dallo spazio. Prima il Very Large Telescope dell’Eso, in Cile, poi il 22 ottobre è il turno dell’Osservatorio del Keck, alle Hawaii. Tre giorni dopo, il 25 ottobre, vengono azionati i razzi del telescopio spaziale Hubble per orientarlo verso la supernova. Il 5 novembre ancora il Keck. E sono proprio questi due, Hubble e il Keck, a mettere in evidenza, lungo un anello dal raggio di “appena” 3000 anni luce (la linea tratteggiata nella figura a inizio articolo), un’immagine mai vista prima: una supernova di tipo Ia “scissa” in quattro.

La supernova iPTF16geu vista attraverso vari telescopi. Sullo sfondo, con quello del Palomar Observatory. Nei riquadri, da sinistra: con la Sloan Digital Sky Survey, con Hubble Space Telescope in infrarosso, ancora con Hubble in ottico e, infine, con il Keck. Crediti: Joel Johansson, Stockholm University

A ricostruire ai microfoni di Media Inaf, da una Stoccolma ancora innevata, la cronistoria di questa avvincente osservazione è un astronomo italiano di stanza in Svezia, dove lavora come ricercatore postdoc. Si chiama Francesco Taddia, ed è originario di Ospital Monacale, una minuscola frazione del comune di Argenta, in provincia di Ferrara, non lontana dai luoghi dove si sta cercando da giorni il killer noto alle cronache come “Igor il russo”. Laurea e master a Ferrara, poi dottorato all’Università di Stoccolma, Taddia è uno degli astronomi che hanno preso parte alle prime misure dello spettro della supernova, ed è anche coautore dell’articolo, uscito oggi su Science, che descrive la scoperta.

Francesco Taddia, ricercatore postdoc all’Università di Stoccolma

Guardiamoli dunque bene, questi quattro bagliori luminosi (evidenziati dai circoletti nell’immagine di apertura). Il soggetto è sempre lo stesso: una lontanissima supernova dal nome impronunciabile, iPtf16geu. La stessa supernova ripetuta quattro volte. Una supernova, appunto, speciale. Come la Marilyn Monroe delle Marilyn series di Andy Warhol. Nel caso di Marylin la ripetizione – mai identica, con variazioni di tonalità – è dovuta al passaggio nella mente dell’artista. A restituirci quattro volte l’immagine della supernova è invece, come dicevamo, il passaggio della sua luce attorno a una galassia che agisce da lente gravitazionale – “ingrandendo” l’immagine della supernova alle sue spalle di 52 volte. Quanto basta per consentire agli scienziati di vederla così luminosa nonostante l’enorme distanza.

Anche nel caso di iPtf16geu – o Sn 2016geu, altra sigla con la quale è conosciuta – le quattro immagini ripetute non sono identiche. La differenza, nel loro caso, non è cromatica, bensì temporale: deviata dalla lente gravitazionale, la luce della supernova, nel corso dei circa 4.3 miliardi di anni che ha impiegato in media per giungere fino a noi, ha seguito quattro percorsi di lunghezza leggermente diversa fra loro.

Lontanissima. Disponibile “in quattro versioni” grazie alla lente gravitazionale. Standard come solo quelle di tipo Ia sanno essere. È la supernova perfetta, quella che astronomi di mezzo mondo aspettavano di trovare.

«È la prima immagine di questo genere – ovvero, vista attraverso una lente gravitazionale – per una supernova di tipo Ia, e questo è importante», sottolinea Taddia, «perché poco tempo fa già era stata ottenuta un’immagine analoga per una supernova di tipo II (vedi articolo su Media Inaf, ndr), ma aveva ovviamente meno interesse, perché non si trattava di una supernova standard, dunque non sapevamo esattamente quanto fosse brillante».

Coelum Astronomia 208 dedicato alle supernovae. Clicca sulla copertina per leggere il numero, gratuito e in formato digitale (alla richiesta si può lasciare l\’email per essere avvisati delle prossime uscite, oppure proseguire con la lettura cliccando sulla X, o sulla freccina nei dispositivi mobile).

Essere stati in grado di distinguere così nettamente – di “risolvere”, come dicono gli astronomi – le quattro immagini ripetute della supernova «rappresenta una vera e propria svolta», aggiunge Ariel Goobar, anch’egli dell’Università di Stoccolma e primo autore dello studio pubblicato su Science. «Ora possiamo misurare il potere di “mettere a fuoco” della gravità con una precisione mai raggiunta prima, e sondare scale fisiche che fino a oggi sembravano al di fuori della nostra portata».

Aver trovato la supernova perfetta è stato come acquistare il biglietto vincente della lotteria: il valore non sta tanto nell’oggetto in sé, bensì in tutto ciò che permetterà di scoprire e misurare. A partire dal valore corretto della costante di Hubble, valore a proposito del quale, negli ultimi tempi, stanno emergendo stime alquanto diverse, al punto da risultare incompatibili. Insomma, la sigla è ostica, ma di iPtf16geu faremo bene a ricordarcene, perché presto ne sentiremo di nuovo parlare.

Per saperne di più

  • Leggi su Science l’articolo “iPTF16geu: A multiply imaged, gravitationally lensed type Ia supernova”, di A.Goobar, R.Amanullah, S.R.Kulkarni, P.E.Nugent, J.Johansson, C.Steidel, D.Law, E.Mortsell, R.Quimby, N.Blagorodnova, A.Brandeker, Y.Cao, A.Cooray, R.Ferretti, C.Fremling, L.Hangard, M.Kasliwal, T.Kupfer, R.Lunnan, F.Masci, A.A.Miller, H.Nayyeri, J.D.Neill, E.O.Ofek, S.Papadogiannakis, T.Petrushevska, V.Ravi, J.Sollerman, M.Sullivan, F.Taddia, R.Walters, D.Wilson, L.Yan e O.Yaron (qui il preprintorg/abs/1611.00014)

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Dalle profondità dello Spazio… i Raggi Cosmici!
Coelum Astronomia 211 di maggio 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…

 

ASTROINIZIATIVE UAI

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI

In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2
ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it

22-23 aprile – 32° Convegno Nazionale dei Planetari Italiani Il Convegno dei Planetari italiani presso il Planetario Alto Adige a Cornedo all’Isarco (BZ), a cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI. Per informazioni http://www.planetari.org

Appuntamenti di aprile

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Aprile 2017_2
22/04/2017: Spazio Italia. Secondo convegno scientifico dedicato all’astronomia e al ruolo italiano nello spazio. Interverranno con conferenze e collegamenti in video conferenza importanti esponenti della ricerca e dell’astronomia, e studiosi della storia dell’astronautica. Durante l’evento si svolgeranno anche osservazioni del Sole al telescopio.
26/04/2017: Radioastronomia non si vede ma c’è. Conferenza pubblica gratuita della dr.ssa Daria Guidetti radioastronoma dell’INAF di Bologna.
27/04/2017, ore 21: Noi e il Cielo. Conferenza inaugurale gratuita del corso di Archeoastronomia ed astronomia culturale sul rapporto tra l’uomo e il cielo.

Tutti gli eventi si terranno presso la sede dell’Accademia delle Stelle a San Gregorio Barbarigo a Roma EUR.
Info: https://www.accademiadellestelle.org
www.facebook.com/accademia.dellestelle

Marte tra le Pleiadi e le stelle del Toro

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Ecco come apparirà, in una vista a largo campo, la congiunzione tra il pianeta Marte e M 45, l’ammasso delle Pleiadi, la sera, alle 21:00 circa, del 21 aprile. Si notano i due protagonisti, il pianeta rosso e le “Sette Sorelle”, accompagnate a poca distanza dalla bella Aldebaran, la stella alfa della costellazione del Toro e dall’ammasso delle Iadi. Crediti: Coelum Astronomia
Ecco come apparirà, in una vista a largo campo, la congiunzione tra il pianeta Marte e M 45, l’ammasso delle Pleiadi, la sera, alle 21:00 circa, del 21 aprile. Si notano i due protagonisti, il pianeta rosso e le “Sette Sorelle”, accompagnate a poca distanza dalla bella Aldebaran, la stella alfa della costellazione del Toro e dall’ammasso delle Iadi. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Marte (mag. +1,6) e le Pleiadi (M 45) si troveranno in congiunzione, a una distanza di circa 3,5° e a una quindicina di gradi sopra l’orizzonte ovest.

In un’immagine a grande campo sarà possibile includere anche Aldebaran, una dozzina di gradi più a ovest di Marte con l’ammasso delle Iadi che le fa da sfondo. Aldebaran infatti sembra visualmente associata all’ammasso delle Iadi, ma si trova in realtà molto più vicina a noi e l’associazione è data solo dalla prospettiva.

Aspettiamo come sempre le vostre migliori immagini su Photocoelum!

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi sul Cielo di Aprile 2017

Scopri le costellazioni del cielo di aprile con la UAI

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Questo mese Giove in opposizione e la Cometa 41P/
Tutti consigli per l’osservazione del cielo di aprile su Coelum Astronomia 209

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Jwst, questa super Terra è per te

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Rappresentazione artistica dell’esopianeta LHS 1140b, in orbita intorno a una nana rossa a circa 40 anni luce dalla Terra. Crediti: ESO/spaceengine.org

Lo studio dei mondi alieni sta decisamente entrando in una nuova fase, man mano che gli astronomi continuano a selezionare corpi celesti al di fuori del nostro Sistema solare alla ricerca di tracce di vita extraterrestre. È di oggi la scoperta di una nuova super Terra potenzialmente abitabile: un obiettivo primario, al punto che i ricercatori l’hanno subito posta in cima alla lista degli oggetti più importanti per lo studio delle atmosfere planetarie. La ricerca è pubblicata su Nature.

«Si tratta dell’esopianeta più interessante che ho avuto modo di analizzare negli ultimi dieci anni», spiega Jason Dittmann dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) e autore principale dello studio. «Difficilmente possiamo sperare di avere un oggetto migliore di questo per tentare di rispondere a una delle grandi domande della scienza, la ricerca di evidenze di vita al di fuori del nostro pianeta».

Nella cartina la posizione della debole stella rossa LHS 1140 nell'incospicua costellazione della Balena. Crediti: ESO/IAU and Sky & Telescope

Situato ad appena 40 anni luce, nel sistema stellare Lhs 1140, il pianeta, a cui è stata associata la sigla Lhs 1140b, è stato identificato grazie al metodo del transito. Misurando la variazione della luce causata dal transito del pianeta davanti al disco stellare, gli astronomi hanno trovato che la sua dimensione è circa 40 volte più grande del nostro pianeta.

L’oggetto è stato identificato grazie al telescopio MEarth-South situato presso il Cerro Tololo Inter-American Observatory. Questo insieme di otto telescopi, con il suo compagno MEarth-North, va a caccia di stelle rosse e deboli, note come nane M, per identificare esopianeti col metodo del transito.

Grazie allo strumento Harps (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher), installato presso il telescopio di 3,6 metri dell’Eso a La Silla, in Cile, il team è stato in grado di rivelare l’effetto di oscillazione della stella ospite man mano che il pianeta compie una rivoluzione. Questi dati sono stati successivamente combinati con quelli derivanti dal metodo del transito permettendo così agli astronomi di realizzare misure accurate della dimensione, massa e densità del pianeta.

Queste misure indicano che Lhs 1140b ha una massa 6,6 volte superiore a quella della Terra, il che indica una composizione più densa e molto probabilmente rocciosa. Nel sistema Trappist-1, situato ad una distanza simile, sono stati identificati pianeti più piccoli e potenzialmente abitabili ma solo per uno di essi la densità è stata misurata in maniera accurata, anche se i dati indicano che non si tratta di un corpo celeste di tipo roccioso.

Nell'impressione artistica il pianeta transita di fronte a LHS 1140. Si trova nella zona abitabile della sua stella, pesa circa 6,6 volte la Terra e nella grafica è stata rappresentata in blu l'atmosfera che il pianeta potrebbe aver conservato. Crediti: M. Weiss/CfA

Ora, dato che il pianeta passa davanti al disco stellare, a differenza di Proxima Centauri b, il mondo alieno più vicino al nostro, gli scienziati potrebbero esaminare in futuro l’eventuale atmosfera. Infatti, man mano che il pianeta transita davanti alla stella, la luce stellare viene filtrata dall’atmosfera planetaria lasciando così una traccia della sua presenza. Tuttavia, saranno necessari telescopi di nuova generazione per catturare segnali molto deboli.

«Questo pianeta rappresenterà un obiettivo primario per il telescopio spaziale James Webb quando sarà lanciato nel 2018», dice David Charbonneau del CfA, co-autore dello studio. «Sono entusiasta di poterlo studiare da terra con il Giant Magellan Telescope, che è attualmente in costruzione».

Lhs 1140 è una stella molto debole. Con una dimensione pari a un quinto di quella del Sole, essa ruota più lentamente rispetto a Trrappist-1 e non emette più tanta radiazione di alta energia che potrebbe favorire l’emergere di eventuali forme di vita sul pianeta. Dato che la stella è così debole e fredda, la sua zona abitabile è molto vicina ad essa. Il pianeta compie una rivoluzione ogni 25 giorni e a quella distanza riceve, a confronto, solo metà della radiazione che arriva a Terra dal Sole.

Anche se il pianeta può essere oggi potenzialmente abitabile, il suo passato sarà stato molto difficile. Gli scienziati ritengono che durante le fasi iniziali, la radiazione stellare ultravioletta fu così intensa da portare via tutta l’acqua dall’atmosfera del pianeta, causando un effetto serra come quello che vediamo oggi su Venere.

Inoltre, i ricercatori ritengono che il pianeta potrebbe aver ospitato per milioni di anni un oceano di magma sulla sua superficie. Alimentato dal calore degli elementi radioattivi naturali, quell’oceano di lava avrebbe rifornito l’atmosfera di vapore fino a che la stella raggiunse l’attuale fase d’emissione di radiazione. In altre parole, questo processo avrebbe portato acqua al pianeta, rendendolo così adeguato per la vita così come la conosciamo.

«Adesso, siamo in una fase di ipotesi per ciò che riguarda la composizione dell’atmosfera», conclude Dittmann. «Speriamo che le osservazioni future ci permettano di rivelare per la prima volta l’atmosfera di un pianeta potenzialmente abitabile. Stiamo ora cercando tracce dell’acqua e in ultima analisi di ossigeno molecolare».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “A temperate rocky super-Earth transiting a nearby cool star“, di Jason A. Dittmann, Jonathan M. Irwin, David Charbonneau, Xavier Bonfils, Nicola Astudillo-Defru, Raphaëlle D. Haywood, Zachory K. Berta-Thompson, Elisabeth R. Newton, Joseph E. Rodriguez, Jennifer G. Winters, Thiam-Guan Tan, Jose-Manuel Almenara, François Bouchy, Xavier Delfosse, Thierry Forveille, Christophe Lovis, Felipe Murgas, Francesco Pepe, Nuno C. Santos, Stephane Udry, Anaël Wünsche, Gilbert A. Esquerdo, David W. Latham e Courtney D. Dressing

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Accademia delle Stelle

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Aprile 2017_2
21/04/2017, ore 21: Occhi su Giove. Serata pubblica gratuita di osservazioni del cielo con i telescopi. Special Guest: il pianeta Giove! Con guida al cielo per riconoscere stelle e costellazioni.
22/04/2017: Spazio Italia. Secondo convegno scientifico dedicato all’astronomia e al ruolo italiano nello spazio. Interverranno con conferenze e collegamenti in video conferenza importanti esponenti della ricerca e dell’astronomia, e studiosi della storia dell’astronautica. Durante l’evento si svolgeranno anche osservazioni del Sole al telescopio.
26/04/2017: Radioastronomia non si vede ma c’è. Conferenza pubblica gratuita della dr.ssa Daria Guidetti radioastronoma dell’INAF di Bologna.
27/04/2017, ore 21: Noi e il Cielo. Conferenza inaugurale gratuita del corso di Archeoastronomia ed astronomia culturale sul rapporto tra l’uomo e il cielo.

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Incontro con 2014 JO25. Le immagini radar dell’asteroide.

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This composite of 30 images of asteroid 2014 JO25 was generated with radar data collected using NASA's Goldstone Solar System Radar in California's Mojave Desert. Credits: NASA/JPL-Caltech/GSSR
Il piccolo 2014 JO25 in 30 ritratti generati dal Goldstone Solar System Radar della NASA Deserto Mojave in California. Qui sotto un'animazione dell'asteroide in rotazione ottenuta dalle stesse immagini. Credits: NASA/JPL-Caltech/GSSR

Chi bazzica sul nostro Log “NeoNews” o sui siti dedicati ai NEO, come quello della NASA/JPL,  sa che non è raro il passaggio di oggetti a poche distanze lunari: solo negli ultimi 12 mesi ci sono stati ben 237 passaggi entro 5 distanze lunari (5 LD ovvero 1,92 milioni di km) dal centro della Terra, quindi in media quasi 20 al mese! Senza contare che questi sono gli oggetti ufficialmente scoperti e catalogati mentre, presumibilmente, ancora molti sfuggono all’osservazione perchè piccoli e in condizioni di illuminazione sfavorevole.

Allora molti chiederanno: «perchè tanto clamore per questo passaggio ravvicinato?»
Il fatto è che, se andiamo a vedere la magnitudine assoluta di questi oggetti, che è legata principalmente alle loro dimensioni, scopriamo che sono generalmente deboli e quindi piccoli: sempre guardando le statistiche dell’ultimo anno, di quei 237 oggetti il 76% aveva una magnitudine assoluta H>26 e quindi un diametro stimato inferiore ai 22 metri mentre solo 11 oggetti (meno del 5%) era sotto la magnitudine 24 e quindi oltre un diametro nominale di oltre 55 metri; tuttavia, nessuno di essi raggiunge comunque la magnitudine 22, la fatidica soglia che definische un oggetto potenzialmente pericoloso (PHA) e che corrisponde ai 140 metri di diametro nominale.

Invece, 2014 JO25, così denominato perchè scoperto nel maggio 2014 dagli astronomi del Catalina Sky Survey vicino a Tucson in Arizona, è un vero gigante: la sua magnitudine assoluta è H=18.1 e questo suggerisce un diametro compreso tra 650 e 1400 metri, a seconda dell’albedo ovvero di quanto è chiara la sua superficie. Successive misure fatte dal satellite infrarosso NEOWISE, misurando la radiazione termica e quindi la temperatura dell’asteroide, hanno mostrato che si tratta di un oggetto decisamente freddo e quindi chiaro, con una albedo pari a circa il doppio di quella lunare (che è del 14%), perciò il diametro cade in prossimità del limite inferiore prima indicato.

In effetti era dal 2004 che un asteroide di questa luminosità non passava così vicino a noi; all’epoca si trattò di Toutatis (ben 5 km di diametro); il prossimo evento analogo sarà nel 2027 con 1999 AN10 (800m) che passerà alla distanza della Luna. Qui a destra (cliccare sull’immagine per ingrandire), un elenco di eventi di questo tipo negli ultimi e nei prossimi 30 anni (con D<5 LD e H<20).

Una novità delle ultime ore è che, finalmente, 2014 JO25 è stato di nuovo avvistato o “riscoperto” e adesso, grazie a queste 5 nuove osservazioni, la minima distanza è stata aggiustata di una dozzina di km verso il basso. L’orbita è ormai così ben nota che si è potuto stabilire come questo sia il più ravvicinato passaggio da parte di questo NEO negli ultimi 400 anni e lo sarà anche per i prossimi 500.

Le “effemeridi” mostrano che, anche se la minima distanza verrà raggiunta di giorno, alle 14:24 ora italiana, la massima luminosità verrà raggiunta 9 ore dopo, intorno alle 23:30. In quel momento, l’asteroide avrà magnitudine 10.7 e quindi visibile con uno strumento amatoriale di piccole dimensioni (una decina di cm di diametro sono sufficienti, sapendo dove guardare). La costellazione in cui si troverà a passare è quella di Cani da Caccia, si veda anche la mappa stellare pubblicata come immagine del giorno.


L’asteroide si muove molto velocemente rispetto alle stelle sullo sfondo. Le sue coordinate cambiano repentinamente.
Per ricavare le effemeridi precise e tentare di puntarlo con un telescopio si consiglia di utilizzare la pagina del Minor Planet Center indicata nel link.
E’ necesario inserire le coordinate della località da cui si osserva e scegliere intervalli brevi (per calcolare le effemeridi, ad esempio, ogni ora, od ogni 30 minuti).

Si consiglia quindi di prepararsi in anticipo ,calcolando le effemeridi per la località e gli orari in cui si intende effettuare l’osservazione dell’asteroide.

Per una curiosa coincidenza (e in questo campo simili coincidenze sono insolitamente frequenti), sempre nella giornata del 19 aprile ci saranno altri due incontri ravvicinati interessanti anche se più lontani: uno riguarda un altro NEO che fu scoperto insieme a JO25 tre anni fa: si chiama 2014 UR, misura 13-28 metri e passerà a 7.2 milioni di km 7 ore prima del “cugino” più grande ma, al contrario di esso, non è stato ancora “ri-scoperto”.  L’altro evento riguarda la cometa PanSTARRS (C/2015 ER61) che sarà alla minima distanza di 175 milioni di km (la cometa ha da poco avuto un outburst diventando visibile all’alba con un binocolo).

Risorse online

La pagina del sito del Mirror Planet Center per il calcolo delle effemeridi dalla vostra località (vedi didascalia cartina del cielo qui sopra).

Se non avete uno strumento a portata di mano, o il cielo non collaborasse, potete seguire online lo streaming di Gianluca Masi, con immagini in tempo reale e commento dal sito del Virtual Telescope Project.

La Commissione Divulgazione UAI inoltre ha predisposto una pagina con tutti i link e le informazioni per l’osservazione.

Riferimenti

https://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?feature=6807
http://www.skyandtelescope.com/observing/see-a-potentially-hazardous-asteroid-from-your-backyard/


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“STARLIGHT: settemillimetridiuniverso”

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presso l’INAF Osservatorio Astronomico di Capodimonte nei giorni 20 aprile alle ore 20.30 (evento serale per pubblico generico), 21 aprile alle ore 9.30 e alle ore 11.30 (matinèe per le scuole e gli studenti universitari).
Per approfondimenti: https://vimeo.com/178467650

Per informazioni e prenotazioni:
http://eventi.na.astro.it/2017/02/15/starlight-settemillimetridiuniverso/

Getti gassosi su Europa

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I possibili geyser di Europa individuati in uv dallo spettrometro del telescopio spaziale Hubble, nel 2014 e nel 2016 Crediti: NASA/ESA/STScI/USGS

Impressione artistica di Europa, la luna di Giove, sulla destra con un getto di acqua ghiacciata che esce dal lembo sinistro. Visto in precedenza solo dalla missione Galileo del 1990, potrebbe essere l’indizio dell’esistenza di un oceano d’acqua liquida al di sotto della superficie ghiacciata della luna.
Crediti video: NASAESA, and G. Bacon (STScI)

Due le missioni NASA che hanno annunciato, lo scorso 13 aprile, importanti risultati sugli oceani presenti nel nostro Sistema solare, sui meccanismi termali probabilmente attivi e quindi sulla compatibilità (ma non la presenza!) con vita microbica. Abbiamo già visto lo studio che, grazie ai dati raccolti dalla sonda Cassini, conferma la presenza di meccanismi termali all’origine dei getti d’acqua dall’emisfero sud di Encelado, luna di Saturno, vediamo ora cosa racconta lo studio dedicato invece a Europa, luna di Giove, ottenuto dai dati del Telescopio Spaziale Hubble.

Lo studio sui risultati di Hubble sulla luna di Giove è stata pubblicata sulla rivista Astrophysical Journal Letters.
Si riferisce alle osservazioni di Europa del 2016, quando lo Space Telescope Imaging Spectrograph (STIS) a bordo di Hubble vide spuntare nuovamente un pennacchio dalla superficie della luna, nella stessa posizione di quello osservato nel 2012.

Anche se l’argomento rimane controverso perché le indagini condotte tra gennaio e febbraio 2014 non produssero alcun risultato, le immagini più recenti rafforzano la prova che i pennacchi di Europa potrebbero essere un fenomeno reale anche se intermittente. Secondo gli ultimi dati, si estenderebbero fino a 100 chilometri nello spazio.

I possibili geyser di Europa individuati in UV dallo spettrometro del telescopio spaziale Hubble che fuoriescono dalla stesso punto a due anni di distanza, nel 2014 e nel 2016. Crediti: NASA/ESA/STScI/USGS

Entrambe le osservazioni interessano la stessa posizione sulla superficie della luna che coincide con una regione insolitamente calda, caratterizzata da elementi simili a crepe fotografati dalla sonda della NASA Galileo alla fine del 1990. I ricercatori ipotizzano che, come per Encelado, questa potrebbe essere la prova di eruzioni d’acqua provenienti dall’oceano sotterraneo.

«I pennacchi di Encelado sono associati a regioni più calde così, dopo che Hubble ha ripreso per la seconda volta questi getti simili a geyser, abbiamo controllato la mappa termica di Galileo della zona del pennacchio scoprendo che corrisponde proprio con l’anomalia termica», ha detto William Sparks dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, nel Maryland, che ha guidato le osservazioni.

La zona da cui Hubble ha osservato i possibili geyser (ellisse verde a sinistra) che corrisponde con le zone più calde rilevate dalla mappa termica basata sulle osservazioni della sonda Galileo (a destra). Il punto scuro al di sotto è un cratere e non sembra essere correlato né alla zona a più alta temperatura né all'uscita dei geyser. Credit: NASA/ESA/STScI/USGS

Due potrebbero essere gli scenari per spiegare tale interconnessione: l’acqua fuoriuscita da sotto la crosta ghiacciata potrebbe scaldare la superficie circostante, oppure l’acqua espulsa dai geyser ricadrebbe sulla luna come nebbiolina, modificando la struttura dei grani in superficie, i quali riuscirebbero a trattenere più calore rispetto al resto della zona.
Due ipotesi che il team sta cercando di approfondire continuando a utilizzare Hubble per monitorare Europa e trovare altri geyser candidati.

Forse, però, il contributo maggiore arriverà solo nei prossimi anni, quando la missione Europa Clipper sarà operativa:
Se ci sono geyser su Europa, come noi fortemente sospettiamo, con Europa Clipper saremo pronti a rilevarli!”, ha dichiarato Jim Green, direttore di Scienze planetarie della NASA.

L’identificazione di questo sito quindi, ottenuta dalle osservazioni di Hubble, fornisce un target interessante per la potente suite di strumentazione della nuova missione che viaggerà verso Europa. Ma l’apporto alla missione del team di Spark non si limita a questo, una parte dei co-autori dello studio, infatti, sta anche preparando una potente camera ultravioletta che viaggerà a bordo di Europa Clipper, e raccoglierà dati simili a quelli raccolti da Hubble, ma da una distanza ovviamente migliaia di volte più ravvicinata.

Leggi anche

Lo studio di W. Sparks et al.
La Release NASA: NASA Missions Provide New Insights into ‘Ocean Worlds’ in Our Solar System
Il portale del Hubble Space Telescope
La news originale Hubble Spots Possible Water Plumes Erupting on Jupiter’s Moon Europa


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C’è idrogeno molecolare nell’oceano di Encelado

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This illustration shows Cassini diving through the Enceladus plume in 2015. New ocean world discoveries from Cassini and Hubble will help inform future exploration and the broader search for life beyond Earth. Credits: NASA/JPL-Caltech
Nell'illustrazione la sonda Cassini immersa nei getti di Encelado nel 2015. La conferma della scoperta di un oceano sarà preziosa per le future esplorazioni e la ricerca della vita oltre la Terra. Credits: NASA/JPL-Caltech

Nell’oceano sotterraneo di Encelado, là sotto alla superficie ghiacciata della sesta luna di Saturno, c’è attività idrotermale. Come ce n’è solo sulla Terra, per quanto ne sappiamo. Attività idrotermale significa energia, energia chimica. Ed energia significa possibilità di vita. Sottolineiamolo bene, questo possibilità, perché ciò che la scatenata sonda Cassini della Nasa (ma equipaggiata con strumenti forniti in buona parte dall’Asi, l’Agenzia spaziale italiana) ha scoperto, nell’oceano di Encelado, non è la vita, non sono tracce di vita passata e nemmeno si tratta d’una assoluta novità – se ne parlò già nel 2015 su Naturecome forse ricorda anche chi fra voi segue assiduamemte Media Inaf. Ma il modo in cui gli scienziati sono giunti a questa conclusione – riportata sul numero di domani di Science e annunciata questa sera, alle 20 ora italiana, in conferenza stampa internazionale dalla Nasa – vale da solo tutto il clamore che la notizia susciterà, fosse anche solo perché è un esempio avvincente dell’avventura intellettuale, scientifica e umana in corso in questi anni nel Sistema solare. Avventura della quale la sonda Cassini rientra a pieno titolo nella cinquina di candidati all’Oscar come migliore protagonista.

Raccontiamola, dunque, quest’ultima avventura, almeno per sommi capi. E partiamo da Cassini. È il 28 ottobre 2015, e la sonda interplanetaria, a oltre un miliardo di km dalla Terra, si appresta a compiere il suo 21esimo sorvolo ravvicinato – flyby, in inglese – di Encelado, una delle tante lune del Signore degli anelli, la sesta per dimensioni, dal diametro di circa 500 km. Obiettivo del flyby, l’analisi delle sostanze presenti negli ormai celebri pennacchi (plumes), geyser che fuoriescono dalla calotta australe della luna e, alimentati da un oceano sotterraneo, sparano nello spazio circostante, per centinaia di km, centinaia di kg di materiale al secondo.

Quale materiale? E quanto? Per scoprirlo, il 28 ottobre 2015 i responsabili della missione fanno scendere Cassini fino a 49 km dalla superficie della luna, guidandola quasi esattamente sulla verticale dei pennacchi a 8.5 km al secondo (circa 30mila km/h). Ed è lì che, per oltre un minuto, da 40 secondi prima fino a 40 secondi dopo il punto di massimo avvicinamento, lo spettrometro di massa della sonda – Inms, Ion and Neutral Mass Spectrometer – si dà da fare come non mai per catturare, classificare e pesare molecole. Soprattutto pesare. Già, perché ciò che il team guidato da Hunter Waite del Southwest Research Institute (San Antonio, Texas) vuole stabilire sono le quantità – assolute e relative – di acqua (H2O), anidride carbonica (CO2) e idrogeno molecolare (H2) presenti nei pennacchi, così da poter fare ipotesi sul contenuto dell’oceano, su eventuali processi in atto là sotto la superficie ghiacciata della luna e sulla quantità d’energia che questi processi eventualmente sviluppano.

Jonathan I. Lunine, Cornell Center for Astrophysics and Planetary Science, coautore dello studio uscito su Science

L’impresa è ambiziosissima. L’ostacolo maggiore è il rumore di fondo, la contaminazione. Vale a dire, le molecole che arrivano allo spettrometro non dai pennacchi di Encelado ma da altre fonti. «Abbiamo la necessità di eliminare le altre sorgenti di H2, per esempio le molecole d’acqua che si scontrano con la superficie dello strumento», spiega a Media Inaf – in un impeccabile italiano – il planetologo della Cornell University Jonathan Lunine, fra i coautori dello studio in uscita su Science. E qui l’ingegno e la tenacia degli scienziati lascia a bocca aperta: per isolare le molecole provenienti direttamente dal sottosuolo di Encelado, ne misurano non solo la massa ma anche la velocità relativa rispetto allo strumento, ovviamente diversa a seconda dell’origine. Tutto questo, ricordiamo, su una sonda al lavoro a un miliardo e passa di km dalla Terra.

La grafica mostra i meccanismi che gli scienziati del team Cassini pensano siano alla base dell'interazione tra l'acqua e le rocce sul fondo degli oceani, che produrrebbe l'idrogeno molecolare rilevato dalla sonda nei getti di Encelado.

I dati non deludono. Il rapporto fra idrogeno molecolare e acqua indica un tasso di produzione di H2 significativamente superiore a quello che sarebbe possibile in assenza di attività idrotermale. Scartate una a una le possibili alternative, dalla presenza di una riserva d’idrogeno molecolare nell’oceano sotterraneo a processi di radiolisi, a Waite e colleghi non rimane così che considerare come fonte più plausibile per l’eccesso di H2, «una serie di reazioni idrotermali in corso con la roccia contenente materiali organici. L’abbondanza di idrogeno relativamente alta rilevata nei pennacchi», si legge nell’abstract dello studio, «è il segno d’uno squilibrio termodinamico che favorisce la formazione di metano dall’anidride carbonica nell’oceano di Encelado». Una conclusione notevole, perché suggerisce la presenza, all’interno della luna, di condizioni di temperatura e di energia chimica analoghe a quelle necessarie a sostenere la vita anche in assenza di fotosintesi, proprio come avviene nelle profondità degli oceani terrestri.

Ma cosa si prova ad arrivare, dopo tanti anni di missione e di lavoro sui dati, a intuire da una manciata di numeri cosa sta succedendo nel sottosuolo di una luna a oltre un miliardo di km dalla Terra? «Da una parte un forte senso di stupore davanti al fatto che possiamo esplorare un oceano così lontano dalla Terra», dice Lunine. «Dall’altra, una grande riconoscenza per la squadra di ingegneri che ha costruito e operato una sonda scientifica così potente. È stato un viaggio che trent’anni fa non avrei mai potuto immaginare. E ora sono profondamente grato».

Per saperne di più:

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Due milioni di stelle “on the move”

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La posizione della costellazione di Orione (a destra) e di due ammassi stellari (sinistra) nel primo frame del video. Credit: ESA / Gaia / DPAC

Dal nostro piccolo e limitato punto di vista, la volta celeste sembra immobile, le stelle formano costellazioni che solcano il nostro cielo apparentemente immutabili nel tempo. I cambiamenti delle posizioni relative tra le stelle sono troppo piccoli e lenti per poter essere apprezzati a occhio nudo, ma sappiamo che in realtà le stelle della nostra galassia, la Via Lattea, hanno un loro moto. Ce ne siamo resi conto, nel XVIII secolo, grazie a Edmond Halley che ne trovò la conferma confrontando i cataloghi stellari del suo tempo con un catalogo compilato da Ipparco, astronomo dell’antica Grecia, circa duemila anni prima (!).

Oggi, siamo in grado di rilevare il moto delle stelle, nell’arco di pochi anni, grazie a osservazioni astrometriche di alta precisione, e il satellite Gaia dell’ESA, con una precisione senza precedenti, è oggi senz’altro leader nella cattura di questi piccoli movimenti.

La velocità di una stella attraverso lo spazio è descritta dal suo moto proprio, cioè il suo movimento apparente sulla volta celeste, combinato con la sua velocità radiale, ovvero di quanto si avvicina o si allontana da noi, misurabile grazie all’effetto Doppler.
Lanciato nel 2013, Gaia ha iniziato le operazioni scientifiche nel luglio 2014, effettuando più volte la scansione del cielo per ottenere la mappa 3D più dettagliata di sempre della nostra Galassia.

La prima release, pubblicata nel settembre 2016, era basata su dati raccolti durante i primi 14 mesi di osservazioni e comprendeva un elenco di posizioni in due dimensioni – sulla volta celeste – per più di un miliardo di stelle e, per più di due milioni di queste, anche le distanze e i moti propri, ottenuti grazie al Tycho–Gaia Astrometric Solution, o TGAS, un progetto di elaborazione dati che combina le informazioni di Gaia con i cataloghi Hipparcos e Tycho-2 (cataloghi stellari entrambi ottenuti dalla precedente missione ESA Hipparcos, ormai più di vent’anni fa).

La missione Gaia in cifre (cliccare per ingrandire, merita…). Crediti: ESA

Nel video vediamo le 2 057 050 stelle (!) del campione TGAS, con l’aggiunta di 24 320 stelle luminose del catalogo Hipparcos che non sono state incluse nella prima release di Gaia. La posizione delle stelle è tracciata in coordinate galattiche,  in proiezione ortogonale: il piano della Via Lattea si distingue come la banda orizzontale con una maggiore densità di stelle. Le stelle più luminose vengono mostrate come un pallino più grande, ed è prevista anche l’indicazione del colore di ogni stella – le informazioni sulla luminosità e sul colore si basano sul catalogo Tycho-2.

Il video inizia con le stelle nella posizione rilevata da Gaia tra il 2014 e il 2015, e mostra l’evoluzione del loro movimento nel futuro, sulla base dei moti propri determinati dal TGAS [2]. I vari frame sono intervalli di 750 anni e la sequenza complessiva copre 5 milioni di anni! Le strisce visibili nei primi fotogrammi riflettono il modo in cui Gaia scansiona il cielo e la natura preliminare di questa prima release; gli artefatti visibili del video vengono poi man mano colmati dalla previsione del movimento delle stelle attraverso il cielo.

Nel primo frame del video possiamo riconoscere, sulla destra proprio sotto il piano galattico, la familiare costellazione di Orione, che molto presto però evolve diventando qualcosa di completamente diverso… Due gruppi in moto stellari – gruppi di stelle nate insieme che di conseguenza si spostano insieme – possono essere viste invece sulla sinistra: sono gli ammassi aperti di alpha Persei e delle Pleiadi.

Nel primo frame del video possiamo riconoscere a destra la posizione della costellazione di Orione, e sulla sinistra i due ammassi aperti alpha Persei e delle Pleiadi. Credit: ESA/Gaia/DPAC

La prima cosa che salta all’occhio è che le stelle sembrano muoversi con più velocità diverse: con le stelle sul piano galattico che si muovono più lentamente e altre più veloci più o meno ovunque nell’inquadratura. Si tratta di un effetto di prospettiva, le stelle concentrate sul piano galattico sono le più lontane da noi e sembrano muoversi più lentamente rispetto a quelle nei nostri dintorni, che vediamo in ogni direzione dal nostro punto di vista.

Nonostante la prospettiva, però, vediamo delle stelle sfrecciare nel cielo ad altissima velocità: un effetto dovuto al loro passaggio “vicino” al Sole – ovviamente “vicino” si intende in senso astronomico, ad esempio, in 1,35 milioni d’anni, Gliese 710 passerà a circa 13500 UA dal Sole (10 trilioni di chilometri). Altre stelle ancora invece sembrano tracciare degli archi attorno al polo galattico, accelerando e decelerando nel loro moto: anche questo è un effetto spurio dovuto alla prospettiva, in realtà il loro moto è costante nel tempo.

Nonostante il video mostri solo il moto delle stelle, possiamo comunque intravedere, nel primo fotogramma, le zone in cui le nubi interstellari bloccano la rilevazione delle stelle più lontane, nel seguito la previsione riguarda solo il movimento delle stelle, non delle nubi, e quindi quest’ultime sembrano “scomparire” nel tempo. Allo stesso modo la simulazione non può, ovviamente, prevedere il moto delle stelle non tracciate da Gaia, quindi la visione del “futuro”, nonostante lo sembri, non può essere completa. Ad esempio, mancano la Grande e la Piccola Nube di Magellano, non comprese nell’elaborazione del TGAS, ma la mappa verrà man mano completata con le prossime release.

Gli effetti dovuti invece al nostro particolare punto di vista (il Sole si trova nella periferia della Via Lattea, sul piano galattico) si notano già dopo pochi milioni di anni: il piano della Via Lattea sembra essersi spostato sulla destra, ma è anche questo un effetto spurio.

Si tratta quindi solo di un assaggio del catalogo molto più grande e preciso che sarà pubblicato con il secondo rilascio dei dati di Gaia, ma già scienziati da tutto il mondo hanno combinato i dati del TGAS con altri cataloghi stellari, ottenuti da osservazioni da Terra, per avere cataloghi sempre più ampi di stelle di cui si conosce posizione, distanza e  ora il moto proprio. In particolare al momento abbiamo: il catalogo HSOY (“Hot Stuff for One Year”) con il moto proprio di 580 milioni di stelle, il US Naval Observatory CCD Astrograph Catalog 5 (UCAC 5) con 100 milioni di moti propri, e il Gaia-PS1-SDSS (GPS1) che ne include 350 milioni.

La seconda release di Gaia, attesa per aprile 2018, comprenderà non solo le posizioni, ma anche le distanze e i moti propri di oltre un miliardo di stelle, così come le velocità radiali per un piccolo sottoinsieme di esse. Si aprirà così una nuova era nel campo dell’astrometria, in cui gli scienziati potranno ricostruire i moti e le posizioni passate delle stelle – per esplorare la storia della formazione della nostra Galassia – e prevedere le loro posizioni future con un livello di accuratezza mai raggiunto prima.


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Una Grande Macchia Fredda per Giove

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La Great Cold Spot, indicata dalla freccina nelle immagini, è stato scoperta grazie alle riprese nella zona interessata dalle aurore, dello strumento CRIRES, in dotazione al Very Large Telescope dell'ESO. Le immagini a sinistra mostrano i luminosi archi di Aurora infrarossi di Giove su due notti separate, l'immagine in alto a sinistra il 17 ottobre e tre immagini scattate 31 dicembre 2012, mentre il pianeta ruota lentamente. Tuttavia, la Grande Cold Spot non può essere visto chiaramente fino a quando queste immagini sono saturi in modo che l'intera aurora diventa bianca, come mostrato a destra. Qui, il pianeta emette luce a seguito della temperatura dell'atmosfera superiore, e le regioni distinte di raffreddamento che rivelano la Grande Cold Spot può essere visto. Credit: VLT / ESO
La Great Cold Spot, indicata dalla freccina nelle immagini, è stato scoperta grazie alle riprese nella zona interessata dalle aurore gioviane, dello strumento CRIRES, in dotazione al Very Large Telescope dell'ESO. Le immagini a sinistra mostrano i luminosi archi dell'aurora in infrarosso, riprese in due notti separate (la prima in alto a sinistra il 17 ottobre e tre immagini del 31 dicembre 2012). Per poter evidenziare la Grande Macchia Fredda è stato necessario saturare le immagini, come si vede sulla destra. In questo modo il pianeta brilla per il calore dell'alta atmosfera, e la macchia più fredda viene messa in evidenza. Credit: VLT / ESO

È stata chiamata “Great Cold Spot” ed è stata osservata come una macchia scura ben localizzata nell’alta atmosfera del pianeta, laddove regna una temperatura di 200 Kelvin più fredda rispetto all’atmosfera circostante, compresa tra 700 e 1000 Kelvin (tra i 426° e i 726° C).

La scoperta è stata pubblicata su Geophysical Research Letters l’11 aprile ed è la prima volta che strutture legate al meteo vengono osservate subito fuori dai margini delle brillanti aurore del pianeta. Rispetto alla Macchia Rossa, questa è più instabile e cambia forma e dimensione in modo molto più drastico, in tempi che si misurano in pochi giorni o settimane, eppure è una struttura che è riappare periodicamente da almeno 15 anni, il che lascia pensare a un meccanismo in grado di ricrearla costantemente.

«Potrebbe essere antica quanto le aurore che la formano, forse antica migliaia d’anni», è l’ipotesi di Tom Stallard, Professore associato in Astronomia Planetaria, e primo firmatario dello studio.

La mappa della ionosfera del polo nord di Giove, ottenuta con oltre 13 mila immagini in 6 anni di campagna del IRTF della NASA, iniziata quindici anni prima delle osservazioni del VLT, che mostrano come la macchia fosse già presente allora. In alto si vede chiaramente la struttura dell'aurora, in basso l'immagine saturata per rivelare la macchia scura e fredda. Credit: IRTF/NASA

Infatti sembra che la macchia sia causata dagli effetti del campo magnetico di Giove, con le imponenti e spettacolari aurore a guidare energia nell’atmosfera sotto forma di flussi caldi intorno al pianeta. Questo processo crea una regione di raffreddamento nella termosfera, al confine tra l’atmosfera e lo spazio. «Anche se non siamo ancora sicuri di cosa crei queste formazioni, è probabile che il raffreddamento porti a vortici simili a quelli che formano la Grande Macchia Rossa» continua Stallard.

La temperatura media e la densità dell’atmosfera di Giove sono state mappate grazie allo strumento CRIRES, in dotazione al Very Large Telescope, che consente di osservare uno ione dell’idrogeno (H3+) molto abbondante nell’atmosfera del pianeta gassoso.

Combinando i dati del VLT con quelli rilevati dall’InfraRed Telescope Facility della NASA dal 1995 al 2000 (per un totale di più di 13 mila immagini prese in 40 notti) gli astronomi sono riusciti a rivelare la presenza della sagoma della Great Cold Spot, nell’arco di ben 15 anni, sempre allo stesso posto sebbene nel breve periodo possano variare forma e dimensioni.

«La cosa sorprendente è che, a differenza di quel che accade sulla Terra, su Giove la Macchia Fredda è stata avvistata nello stesso posto per ben 15 anni. Il che rende i meccanisimi comparabili a quelli delle formazioni della bassa atmosfera del pianeta, come la Grande Macchia Rossa».

L'immagine mostra il repentino cambiamento della Grande Macchia Fredda nel corso dei giorni. Ogni immagine è stata ripresa in un giorno diverso, in alcune non solo cambia in forma e dimensioni, ma quasi sparisce del tutto. A dispetto però della grande variabilità, la macchia torna a riapparire sempre nello stesso posto, almeno da quanto emerge nei dati a disposizione, raccolti nell'arco di quindici anni. Credit: IRTF/NASA.

Si è trattato si di una scoperta sorprendente, ma tutti gli indizi portano a pensare che possano esistere diverse strutture di questo tipo nell’alta atmosfera gioviana: «il prossimo passo sarà quindi di cercare strutture simili nell’alta atmosfera, ma continueremo anche a studiare più nel dettaglio questa Grande Macchia Fredda. Juno continua la sua missione attorno al pianeta, e i dati delle osservazioni dell’aurora e dell’alta atmosfera, da parte dello strumento JIRAM, rilasciati fin’ora ci daranno  una vasta gamma di nuove informazioni. Combinate con le nostre campagne osservative, via telescopi a Terra, speriamo di arrivare a migliorare di molto la comprensione del sistema meteo gioviano, nell’arco di pochi anni».

Leggi lo studio originale su Geophysical Research Letters


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Astronomiamo – Corso di astrofotografia online

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LocandinaCoelum

13/04/2017: Corso di astrofotografia online
27/04/2017: Diretta streaming di aggiornamento astronomico

Dettagli su www.astronomiamo.it

Abbiamo organizzato il mese dell’astronomia alla ludoteca Amelie di Roma.
Info su http://www.ludotecheamelie.com

Indizi premonitori per supernove di tipo II

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Il processo che porta alcune stelle a mostrare segni di instabilità mesi prima della grande esplosione in supernova. Crediti: Weizmann Institute of Science
SN1987A è il nome della supernova di tipo II probabilmente più famosa di tutto il XX secolo e la più studiata dagli astrofisici di tutto il mondo. Il perché di questa attenzione è presto detto: è, finora, la supernova più vicina alla Terra che sia stata osservata negli ultimi secoli. Il 24 febbraio scorso sono trascorsi trent’anni esatti dalla sua apparizione nella Grande Nube di Magellano. Ne parliamo su Coelum Astrnomia di febbraio (vedi in coda all'articolo).

Un gruppo di ricercatori del Weizmann Institute of Science (Israele) ha mostrato che alcune stelle destinate a diventare supernova di tipo II (supernove a collasso nucleare) possono mostrare segni di instabilità mesi prima dell’effettiva esplosione. Quando una stella massiccia termina la sua esistenza, si scatena talmente tanta energia da generare una violenta deflagrazione. Cosa succede nel caso delle supernove di tipo II? Quando la materia presente del cuore della stella, giunta al termine del ciclo di fusioni nucleari, supera una certa massa, il nucleo di ferro della stella improvvisamente collassa a causa della forza di gravità e gli strati esterni vengono gettati nello spazio in una spettacolare esplosione.

Il processo che porta alcune stelle a mostrare segni di instabilità mesi prima della grande esplosione in supernova. Crediti: Weizmann Institute of Science

Nella ricerca pubblicata su Nature Physics, gli scienziati spiegano come alcune stelle (comprese le supergiganti rosse) inizino a espellere materiale mesi prima, creando un denso guscio di gas. Le osservazioni sono state effettuate da esperti provenienti da tutto il mondo utilizzando i telescopi dell’Osservatorio Palomar in California, il telescopio Keck alle Hawaii e il satellite Swift della Nasa.

Grazie al fatto che le osservazioni hanno avuto inizio a sole tre ore dall’inizio dell’esplosione, il team è riuscito a ottenere l’immagine più dettagliata mai raccolta del processo di collasso del nucleo di una stella massiccia. I ricercatori sono riusciti a ottenere lo spettro del materiale che circondava la stella prima dell’esplosione, materiale che una volta ionizzato e surriscaldato ha poi finito per disperdersi nello spazio. I dati radio raccolti successivamente hanno confermato che l’esplosione è stata preceduta da un periodo di instabilità della durata di circa un anno. Nel corso di questi mesi, il materiale è stato espulso dagli strati superficiali della stella, formando un guscio circumstellare di gas. Ora, poiché si è visto che la supernova studiata è relativamente standard, i ricercatori sperano che indizi d’instabilità simili a quelli in quest’occasione possano essere sfruttati come segni premonitori d’imminenti esplosioni.

Per saperne di più

Leggi anche Esplosive Supernovae! Su COELUM Astronomia di febbraio 2017

30 anni fa: #SN1987A la supernova a due passi da noi!
Supernovae vicine Quante ne potrebbero esplodere ancora prossimamente nei nostri dintorni?
A caccia di #supernovae: Come scoprirle, il ruolo della ricerca amatoriale e l’emozione di una scoperta raccontato dai protagonisti.
Intervista a Berto Monard. Numero 4 della Top Ten mondiale degli scopritori amatoriali di supernovae

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