È stata chiamata “Great Cold Spot” ed è stata osservata come una macchia scura ben localizzata nell’alta atmosfera del pianeta, laddove regna una temperatura di 200 Kelvin più fredda rispetto all’atmosfera circostante, compresa tra 700 e 1000 Kelvin (tra i 426° e i 726° C).
La scoperta è stata pubblicata su Geophysical Research Letters l’11 aprile ed è la prima volta che strutture legate al meteo vengono osservate subito fuori dai margini delle brillanti aurore del pianeta. Rispetto alla Macchia Rossa, questa è più instabile e cambia forma e dimensione in modo molto più drastico, in tempi che si misurano in pochi giorni o settimane, eppure è una struttura che è riappare periodicamente da almeno 15 anni, il che lascia pensare a un meccanismo in grado di ricrearla costantemente.
«Potrebbe essere antica quanto le aurore che la formano, forse antica migliaia d’anni», è l’ipotesi di Tom Stallard, Professore associato in Astronomia Planetaria, e primo firmatario dello studio.
Infatti sembra che la macchia sia causata dagli effetti del campo magnetico di Giove, con le imponenti e spettacolari aurore a guidare energia nell’atmosfera sotto forma di flussi caldi intorno al pianeta. Questo processo crea una regione di raffreddamento nella termosfera, al confine tra l’atmosfera e lo spazio. «Anche se non siamo ancora sicuri di cosa crei queste formazioni, è probabile che il raffreddamento porti a vortici simili a quelli che formano la Grande Macchia Rossa» continua Stallard.
La temperatura media e la densità dell’atmosfera di Giove sono state mappate grazie allo strumento CRIRES, in dotazione al Very Large Telescope, che consente di osservare uno ione dell’idrogeno (H3+) molto abbondante nell’atmosfera del pianeta gassoso.
Combinando i dati del VLT con quelli rilevati dall’InfraRed Telescope Facility della NASA dal 1995 al 2000 (per un totale di più di 13 mila immagini prese in 40 notti) gli astronomi sono riusciti a rivelare la presenza della sagoma della Great Cold Spot, nell’arco di ben 15 anni, sempre allo stesso posto sebbene nel breve periodo possano variare forma e dimensioni.
«La cosa sorprendente è che, a differenza di quel che accade sulla Terra, su Giove la Macchia Fredda è stata avvistata nello stesso posto per ben 15 anni. Il che rende i meccanisimi comparabili a quelli delle formazioni della bassa atmosfera del pianeta, come la Grande Macchia Rossa».
Si è trattato si di una scoperta sorprendente, ma tutti gli indizi portano a pensare che possano esistere diverse strutture di questo tipo nell’alta atmosfera gioviana: «il prossimo passo sarà quindi di cercare strutture simili nell’alta atmosfera, ma continueremo anche a studiare più nel dettaglio questa Grande Macchia Fredda. Juno continua la sua missione attorno al pianeta, e i dati delle osservazioni dell’aurora e dell’alta atmosfera, da parte dello strumento JIRAM, rilasciati fin’ora ci daranno una vasta gamma di nuove informazioni. Combinate con le nostre campagne osservative, via telescopi a Terra, speriamo di arrivare a migliorare di molto la comprensione del sistema meteo gioviano, nell’arco di pochi anni».
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Un gruppo di ricercatori del Weizmann Institute of Science (Israele) ha mostrato che alcune stelle destinate a diventare supernova di tipo II (supernove a collasso nucleare) possono mostrare segni di instabilità mesi prima dell’effettiva esplosione. Quando una stella massiccia termina la sua esistenza, si scatena talmente tanta energia da generare una violenta deflagrazione. Cosa succede nel caso delle supernove di tipo II? Quando la materia presente del cuore della stella, giunta al termine del ciclo di fusioni nucleari, supera una certa massa, il nucleo di ferro della stella improvvisamente collassa a causa della forza di gravità e gli strati esterni vengono gettati nello spazio in una spettacolare esplosione.
Nella ricerca pubblicata su Nature Physics, gli scienziati spiegano come alcune stelle (comprese le supergiganti rosse) inizino a espellere materiale mesi prima, creando un denso guscio di gas. Le osservazioni sono state effettuate da esperti provenienti da tutto il mondo utilizzando i telescopi dell’Osservatorio Palomar in California, il telescopio Keck alle Hawaii e il satellite Swift della Nasa.
Grazie al fatto che le osservazioni hanno avuto inizio a sole tre ore dall’inizio dell’esplosione, il team è riuscito a ottenere l’immagine più dettagliata mai raccolta del processo di collasso del nucleo di una stella massiccia. I ricercatori sono riusciti a ottenere lo spettro del materiale che circondava la stella prima dell’esplosione, materiale che una volta ionizzato e surriscaldato ha poi finito per disperdersi nello spazio. I dati radio raccolti successivamente hanno confermato che l’esplosione è stata preceduta da un periodo di instabilità della durata di circa un anno. Nel corso di questi mesi, il materiale è stato espulso dagli strati superficiali della stella, formando un guscio circumstellare di gas. Ora, poiché si è visto che la supernova studiata è relativamente standard, i ricercatori sperano che indizi d’instabilità simili a quelli in quest’occasione possano essere sfruttati come segni premonitori d’imminenti esplosioni.
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La nuova navetta russaFederatsiya sostituirà la Soyuz ormai 50enne e, come afferma la Tass in un comunicato del 17 marzo scorso, potrà accompagnare i primi cosmonauti sulla Luna.
Federatsiya potrà portare una crew di 4 astronauti in orbita terrestre e nello spazio profondo con missioni di durata mensile. La navetta è stata studiata per poter rimanere nello spazio fino ad un anno agganciata ad una stazione spaziale, un periodo doppio rispetto a quello di una Soyuz. Il progetto potrebbe essere inserito nel programma più ampio ventilato da NASA negli ultimi tempi, ossia il posizionamento di una stazione spaziale in orbita lunare per testare le tecnologie necessarie per un futuro viaggio su Marte. In questo senso la Russia potrebbe quindi disporre di un elemento chiave.
Per il 2021 è previsto un test senza equipaggio in orbita terrestre, mentre una prima missione con equipaggio vedrà la luce nel 2023. I vettori scelti per i lanci saranno l’Angara-A5B e l’Angara-A5P.
Il CEO di Energia, Vladimir Solnstev, dichiara di essere a buon punto: «Al momento tutta la parte burocratica del progetto è stata assolta e ora stiamo producendo le singole unità che poi andranno ad assemblarsi». Federatsiya è costruita per l’80% con materiali compositi e il veicolo di discesa sarà in alluminio: «Il punto è proprio questo: capire quale materiale sia il più adatto per la costruzione del veicolo di discesa” continua Solnstev, “Ad oggi stiamo lavorando con l’alluminio, ma dobbiamo considerare di primaria importanza anche la competitività economica».
Mark Serov, a capo del Flight Test Center di Energia Space Rocket Corporation, aggiunge che Federatsiya avrà molte caratteristiche di livello avanzato tra cui un computer “a prova di guasti” che farà concorrenza al sistema usato sull’americana Orion. «Il computer di bordo è studiato con un sistema di ridondanza tale da rendere impensabili eventuali fallimenti. Seguendo la tradizione delle capsule Soyuz, avrà solamente pochi pulsanti e serviranno ad attivare l’alimentazione di backup e recuperare così il lavoro dei computer stessi». L’apporto umano rimarrà comunque indispensabile, come spiega lo stesso Serov: «Supportiamo l’idea di un ‘operatore attivo’: il processo di controllo automatico dovrà procedere solo con la supervisione dell’essere umano. Il sistema informerà gli astronauti su eventuali aggiornamenti e sarà esso stesso a richiedere il completamento delle varie mansioni. Il metodo di controllo manuale è invece stato studiato per quelle attività non previste dagli algoritmi del sistema automatico». Una manopola di comando sarà installata tra i sedili del comandante e del secondo.
Secondo Serov lo spazio di lavoro in Federatsiya è organizzato meglio rispetto ad Orion e usufruisce dei moderni metodi di comunicazione. «I nostri colleghi d’oltreoceano» afferma «hanno iniziato lo sviluppo delle loro navette molto tempo fa ed è per questo che non possono, ad esempio, utilizzare pannelli con sensori a bordo di Orion, perché la board di controllo è già stata creata. Noi abbiamo iniziato più tardi e crediamo che l’uso di questi sensori sarà la tendenza del futuro».
Federatsiya avrà tre monitor touch screen per i cosmonauti: «All’inizio avevamo pensato di installare 5 monitor” spiega Serov, “uno principale, due per il comandante e due per il secondo, ma poi abbiamo deciso che metteremo un solo schermo per ciascuno più uno principale che potrà essere usato da tutti indistintamente. Tutti gli schermi saranno basati sulla tecnologia touch screen». Questo tipo di touch screen in particolare potrà essere utilizzato anche con i guanti e con le tute spaziali: «Non c’è nemmeno bisogno di cucire qualche patch sensibile al tocco. Questi schermi erano stati progettati per operare in condizioni di vuoto e con pressioni diverse, incluse le condizioni di una EVA» aggiunge Serov.
Passando ai servizi igienici, la toilette di Federatsiya sarà posizionata in una cabina isolata dal resto della navetta. «Stiamo creando un’area che garantisca vera privacy, qualcosa che una tenda non è in grado di dare» scherza Serov, che spiega però l’importanza della sua affermazione: «Il comfort nello spazio è essenziale. Se sono in condizioni confortevoli i membri della crew lavorano più efficacemente e il lavoro efficace è cruciale per la sicurezza del volo. Per la cabina della toilette abbiamo pensato ad un concetto nuovo, con materiale appropriato. Al momento siamo nella fase di modellazione 3D del mock-up».
Lo scorso mese Roscosmos ha lanciato una campagna di reclutamento per un nuovo gruppo di cosmonauti in vista di missioni lunari a bordo di Federatsiya. Il vice-responsabile di Roscosmos Aleksandr Ivanov ha dato l’annuncio durante una conferenza stampa: “La selezione durerà fino alla fine dell’anno e i risultati saranno resi noti alla fine di Dicembre. Selezioneremo da 6 a 8 praticanti”.
«Lo scopo di questa campagna è quello di trovare i migliori specialisti che già hanno una certa esperienza con il lavoro nello spazio o con le tecnologie aeree. Saranno i primi piloti della futura navetta russa. Tutto sarà gestito sotto l’ “International Space Program” e saranno i primi russi a volare sulla Luna» afferma il vice-presidente. I candidati dovranno sottostare a diverse fasi di selezione tra cui test di attitudine professionale, esami medici, qualità psicologiche e test fisici. Le candidature saranno accettate da cittadini russi fino ai 35 anni con laurea in ingegneria, ricerca o in altre specialità legate al volo e che abbiano esperienza lavorativa. «I candidati con esperienza nella costruzione di velivoli o razzi, che lavorano in industrie del settore all’interno della Federazione Russa avranno la priorità» conferma il comunicato stampa.
Il capo di Roscosmos Igor Komarov pensa però che sia indispensabile una collaborazione internazionale anche con investitori privati. Solo così si potranno raccogliere i fondi necessari per sostenere l’esplorazione umana verso la Luna e Marte. «Bisogna partire dall’orbita terrestre bassa per poi procedere verso quella lunare e solo alla fine pensare al Pianeta Rosso» affermava Komarov ad una conferenza accademica sulla cosmonautica e in effetti la corsa alla Luna sembra essere tornata sulla bocca delle agenzie spaziali e di qualche privato:
Nella primavera del 2016 è uscita la notizia secondo cui la russa RRSC Energia e la statunitense Boeing stavano sviluppando un progetto congiunto di una stazione orbitale lunare in due versioni distinte: due piccoli moduli a sé oppure un modulo unico più grande.
NASA sta accarezzando l’idea di progettare una stazione spaziale in orbita lunare per testare le tecnologie richieste per un volo umano verso Marte.
Lunedì 3 aprile Boeing ha svelato i suoi studi per un Deep Space Gateway e i relativi sistemi di trasporto.
Il direttore generale di ESA Johann-Dietrich Woerner ha promosso l’idea del Moon Village sulla superficie lunare al quale possono contribuire nazioni individuali con vari elementi.
Vedremo nel prossimo futuro se il pensiero di Komarov di utilizzare la Luna come base di partenza sarà la strategia vincente.
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L’astronomia è scesa in campo a Cremona dal 4 al 6 aprile scorsi. La Città della Musica ha infatti ospitato la finale della XV edizione delle Olimpiadi Italiane di Astronomia, promossa e finanziata dal Miur, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Qui, 41 tra studenti e studentesse delle scuole italiane – classe 2002-2003 e 2000-2001 rispettivamente per le categorie Junior e Senior – hanno affrontato prove di astronomia in una sfida all’ultimo minuto.
Tutto è iniziato al Palazzo Comunale, dove i nomi di tutti i ragazzi sono risuonati tra gli affreschi della Sala Quadri: tra sorrisi e titubanze, gli sfidanti sono stati chiamati uno per uno sul palco a ricevere la medaglia olimpica. I finalisti, infatti, sono già tutti dei vincitori, in quanto hanno battuto ben 5906 concorrenti a partire dalla fase di preselezione dello scorso dicembre.
«Questo primo step delle Olimpiadi, che vede il coinvolgimento di un così grande numero di studenti – ha dichiarato Flavio Fusi Pecci, presidente del Comitato olimpico – è altamente formativo, in quanto migliaia di ragazzi si preparano ad andare oltre la formazione scolastica curriculare, investendo energie nello studio di una materia interdisciplinare come l’astronomia».
Le gare si sono disputate presso il Liceo scientifico e delle scienze applicate statale “Gaspare Aselli”. Primo tempo al mattino con la prova teorica, secondo tempo al pomeriggio con la prova pratica. A centro campo, l’immancabile sistema planetario di Trappist-1, in attacco le leggi di Keplero, assist di Cassiopea alla Stella Polare, cross cinematografici e alieni che osservano dagli spalti. La partita è piuttosto vivace, interrotta da domande e puntualizzazioni tra studenti e giuria olimpica.
I ragazzi si sono sfidati con grande concentrazione e determinazione fino al fischio finale, alla ricerca di belle conclusioni. Dopo le consegne, la tensione cala e gli studenti, ritirandosi negli “spogliatoi”, si dicono piuttosto soddisfatti.
Giovedì 6 aprile, nello splendido Palazzo Cittanova, si è svolta la cerimonia di premiazione con l’assegnazione della medaglia “Margherita Hack” alla rosa dei 10 vincitori.
Per la categoria Junior, hanno vinto: Marianna Aiello e Andrea Gibilaro (entrambi del Liceo scientifico statale “G. Galilei” – Catania), Pietro Caccese (Liceo scientifico statale “G. Mercalli” – Napoli), Sara Sanseverinati (Liceo scientifico statale “G. Bruno” – Budrio, BO), Alexia Verduci (I.I.S. statale “L. Nostro – L. Repaci” – Villa San Giovanni, RC).
Per la categoria Senior, i vincitori sono: Ferdinando Tropea, Giulia Fazzino e Luca Latella (tutti e tre del Liceo scientifico statale “Leonardo da Vinci” – Reggio Calabria), Pietro Benotto (Liceo scientifico statale “G. Vallauri” – Fossano, CN) e Sebastiano Boscardin (Liceo scientifico statale “G.B. Quadri” – Vicenza).
La giuria ha inoltre assegnato menzioni speciali per la miglior prova teorica Senior a Giulia Fazzino e miglior prova pratica Junior a Sara Cassano (Liceo scientifico statale “E. Fermi” – Bari) e Giustozzi Daniele (Liceo scientifico statale “G. Galilei” – Macerata).
Tutti i vincitori si sono dichiarati sorpresi e soddisfatti, come se avessero coronato un sogno, e si sono emozionati molto durante l’intera cerimonia di premiazione (davvero ricca di interventi molto belli tra cui quelli di autorità istituzionali del Miur e del Sindaco di Cremona), in particolare ascoltando le parole toccanti dell’atleta paralimpico Andrea Devincenzi e del campione mondiale di canoa Oreste Perri, che hanno caldamente invitato i ragazzi ad avere degli obiettivi e a non smettere di inseguire i loro sogni.
Al di là delle gare, si sono svolte anche diverse le iniziative per la cittadinanza: la conferenza serale “2020: nuovi formidabili occhi degli astronomi”, gli spettacoli al planetario mobile e, dulcis in fundo, l’esperimento del pendolo di Foucault nella Cattedrale, in collaborazione con il Gruppo Astrofili Cremonesi.
Infine, per Marianna Aiello, Andrea Gibilaro, Pietro Caccese, Ferdinando Tropea e Giulia Fazzino le gare non finiscono qui: sono convocati a rappresentare l’Italia alle Olimpiadi Internazionali di Astronomia, il prossimo autunno. Un’altra bella occasione per brillare, un altro calcio d’inizio. E le stelle staranno sicuramente a tifare.
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La Luna Piena e Giove (mag. –2,5) saranno protagonisti di quella che può essere a tutti gli effetti considerata la congiunzione del mese: i due astri saranno visibili a una ventina di gradi sull’orizzonte est-sudest separati poco meno di 2°. Un po’ più in basso, a circa 7° da Giove, sarà ben osservabile anche Spica (alfa Virginis, mag. +1,0).
La bassa altezza sull’orizzonte dei tre astri permetterà riprese a grande campo, in cui potrebbero essere inseriti elementi paesaggistici.
Per i più nottambuli, Luna e Giove raggiungeranno la minima distanza di 1,5° attorno alla mezzanotte e mezza, ma saranno alti più di 40° sull’orizzonte e si dovrà quindi puntare più sulla definizione delle caratteristiche della Luna che dell’inquadratura, per ottenere una foto altrettanto suggestiva fuori dalla cornice del paesaggio. Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi sul Cielo di Aprile 2017
➜Leggi la guida osservativa, con consigli e curiosità, dedicata a Giove in opposizione.
Un gruppo di astronomi provenienti da istituti di ricerca europei è riuscito a rilevare l’atmosfera che circonda un pianeta extrasolare di taglia simile alla Terra, denominato Gliese 1132b (o, in breve, Gj 1132b). Il pianeta in questione orbita attorno alla stella nana rossa Gj 1132 nella costellazione delle Vele, a una distanza di 39 anni luce da noi. La stella ha un diametro appena un quinto quello del Sole, oltre ad essere molto più fredda e debole, emettendo solo un duecentesimo della radiazione luminosa.
Definito al momento della scoperta un pianeta “Venere style” a causa della temperatura attorno ai 230 gradi, non così calda da impedire la formazione di un’atmosfera, Gj 1132b è risultato subito un soggetto molto interessante perché possiede misure simili alla Terra, con un 40 per cento in più di “girovita” e un 60 per cento in più di massa, tali da far supporre una composizione rocciosa simile al nostro pianeta.
Ulteriori possibili affinità della storia evolutiva di Gj 1132b con quella che ha portato Venere a essere il pianeta bollente che osserviamo ora sono state poi suggerite da più recenti studi teorici, secondo i quali l’atmosfera del pianeta extrasolare potrebbe avere una certa abbondanza di anidride carbonica.
«Venere e Gliese 1132b sono forse “gemelli” per via della temperatura molto simile, ma le cose sono decisamente più complesse», commenta Mancini a Media Inaf. «La nostra rilevazione non è infatti consistente con uno spettro piatto, tipico di un’atmosfera densa (composta al 100 per cento di vapore d’acqua o anidride carbonica). In ogni caso, per le caratteristiche del nostro studio, sulla reale abbondanza di anidride carbonica non possiamo dire nulla».
Per rilevare l’atmosfera, i ricercatori hanno utilizzato il telescopio da 2.2 metri Eso/Mpgin Cile con il metodo indiretto dei transiti planetari, misurando il calo di luminosità della stella dovuto al passaggio del pianeta di fronte ad essa sulla linea di vista terrestre. Passaggio che nel caso di Gj 1132b avviene piuttosto frequentemente, completando un giro completo attorno alla stella pressappoco in un giorno e mezzo.
«Il trucco è quello di utilizzare la luce della stella genitrice», spiega Mancini, «luce che in piccola parte attraversa l’atmosfera del pianeta – se esiste – e ne viene assorbita. A seconda della lunghezza d’onda a cui noi osserviamo questo assorbimento, possiamo ipotizzare la presenza di alcuni elementi rispetto ad altri». Durante i transiti, il gruppo ha utilizzato una tecnica di fotometria a banda larga, ottenendo 7 “curve di luce” contemporaneamente con diversi filtri.
Le dimensioni di stelle come Gj 1132 sono ben note grazie ai modelli stellari, e dalla frazione di luce complessiva “eclissata” dal pianeta si può calcolare la dimensione del pianeta. Le nuove osservazioni hanno mostrato che Gj 1132 risulta essere un po’ più grande alle lunghezze d’onda infrarosse rispetto alle altre frequenze. Questo suggerisce la presenza di un’atmosfera opaca a questa specifica luce infrarossa, ma trasparente alla luce visibile.
«È la prima rilevazione abbastanza chiara dell’atmosfera attorno a un pianeta con una gravità paragonabile a quella della Terra e rappresenta quindi un primo passo verso lo studio delle atmosfere di pianeti di tipo terrestre», conclude Mancini. «Con la fotometria a banda larga non siamo in grado di apprezzare le differenze che ci possono essere tra un’atmosfera fatta di vapore acqueo, o di anidride carbonica, o di metano, e così via. Ora abbiamo la detection, però occorrono strumenti più fini, come il futuro telescopio spaziale James Webb, per uno studio più preciso dell’atmosfera, specialmente alle lunghezze d’onda che noi non abbiamo potuto investigare».
Per saperne di più:
Leggi l’anteprima dell’articolo pubblicato su Astronomical Journal “Detection of the Atmosphere of the 1.6 M ⊕ Exoplanet GJ 1132 b“, di John Southworth, Luigi Mancini, Nikku Madhusudhan, Paul Molliere, Simona Ciceri, Thomas Henning
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Il 26 aprile, una prima immersione nel vuoto di 2.400 chilometri che separa Saturno dagli anelli segnerà l’inizio del Grand Finale.
«Nessuna missione è mai passata in questa regione unica che cercheremo di attraversare con coraggio per 22 volte»
ha dichiarato nel comunicatoThomas Zurbuchen, del Science Mission Directorate della NASA a Washington.
«Grazie a queste orbite audaci migliorerà la nostra comprensione dei pianeti giganti e dei sistemi planetari, della loro formazione ed evoluzione».
A 20 anni dal lancio e dopo aver trascorso 13 anni in orbita nel sistema di Saturno, ora la Cassini è a corto di carburante.
La fine della missione venne decisa nel 2010, programmando un’immersione della sonda nel pianeta per preservare da eventuali impatti le lune ghiacciate e i loro ambienti potenzialmente abitabili.
Anche se l’idea che tra cinque mesi la sonda non ci sarà più è un po’ amara e dura da digerire, per gli scienziati l’inizio della fine è come intraprendere una nuova missione: sfruttando tutta l’esperienza maturata in questi anni, il team ha cercato di pianificare il tour finale massimizzando gli obiettivi scientifici.
«Questa conclusione per il viaggio della Cassini è di gran lunga la scelta preferita dagli scienziati della missione», ha detto ha detto Linda Spilker, project scientist al Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA. «Cassini farà alcune delle sue osservazioni più straordinarie proprio al termine della sua vita».
I comandi che daranno il via al Grand Finale verranno inviati alla sonda l’11 aprile.
La traiettoria verrà modificata dall’ultimo fly-by attorno a Titano previsto per il 22 aprile, che spingerà la Cassini ad attraversare il vuoto tra Saturno ed il bordo più interno degli anelli:
«Sulla base dei nostri migliori modelli, ci aspettiamo che nel vuoto non ci saranno particelle tanto grandi da danneggiare la sonda ma per essere cauti, utilizzeremo la nostra grande antenna come scudo al primo passaggio, per determinare se sarà sicuro esporre gli strumenti scientifici nei passaggi futuri», ha detto Earl Maize, responsabile del progetto al JPL.
«Sicuramente ci sono alcune incognite ma questo è uno dei motivi per cui per cui questa audace esplorazione viene fatta al termine della missione».
In questa ultima fase, la sonda, infatti, rileverà alcune preziose ed uniche informazioni che sarebbe stato troppo rischioso ottenere prima:
mapperà dettagliatamente i campi gravitazionali e magnetici di Saturno e forse, aiuterà a risolvere il fastidioso grattacapo sull’esatta velocità di rotazione del pianeta
migliorerà la stima di quanto materiale è contenuto negli anelli, dato che servirà a formulare l’ipotesi migliore sulla loro origine
capionerà direttamente le particelle che compongono gli anelli
fotograferà gli anelli e le nubi di Saturno ad una risoluzione mai ottenuta prima
Il 15 settembre, orbita 293, segnerà la fine del viaggio: la sonda si immergerà nell’atmosfera di Saturno ed invierà preziosi dati sulla sua composizione fino a quando il segnale non verrà perso.
Sabato 8 aprile, presso la Sala Convegni Villa Maria di Largo G. Berchet 4 in Roma, il CNAI (Centro Nazionale Astroricercatori Indipendenti) presenta il VI Convegno Nazionale dal titolo “Astronautica Nuovi Orizzonti – Viaggio ai confini del Cosmo”.
Un viaggio di una giornata che partirà dal ricordo del sessantesimo anniversario del lancio dello Sputnik 1 per giungere alle più recenti
scoperte sui pianeti extrasolari, alle ultime frontiere tecnologiche delle sonde robotiche nel cosmo ed alle nuove opportunità scientifiche per la colonizzazione umana di Marte.
Confermati gli interventi dei rappresentanti di ASI (Agenzia Spaziale Italiana), ESA (Agenzia Spaziale Europea), INAF, Telespazio, Politecnico di Torino (prof. Giancarlo Genta), del professor Cristiano Batalli Cosmovici e il collegamento in videoconferenza con Franco Malerba, primo astronauta italiano.
Nel pomeriggio conferenza stampa con studiosi e giornalisti specializzati nel settore. Programma del convegno – Ingresso libero. Il Convegno è realizzato con il patrocinio della Regione Lazio, Municipio Roma XII e Telespazio.
7/04/2017, ore 18: La vita nell’universo. Conferenza pubblica gratuita del dr. Paolo Colona presso la sala conferenze della Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Info: eventi@accademiadellestelle.org 21/04/2017, ore 21: Occhi su Giove. Serata pubblica gratuita di osservazioni del cielo con i telescopi. Special Guest: il pianeta Giove! Con guida al cielo per riconoscere stelle e costellazioni. 22/04/2017: Spazio Italia. Secondo convegno scientifico dedicato all’astronomia e al ruolo italiano nello spazio. Interverranno con conferenze e collegamenti in video conferenza importanti esponenti della ricerca e dell’astronomia, e studiosi della storia dell’astronautica. Durante l’evento si svolgeranno anche osservazioni del Sole al telescopio. 26/04/2017: Radioastronomia non si vede ma c’è. Conferenza pubblica gratuita della dr.ssa Daria Guidetti radioastronoma dell’INAF di Bologna. 27/04/2017, ore 21: Noi e il Cielo. Conferenza inaugurale gratuita del corso di Archeoastronomia ed astronomia culturale sul rapporto tra l’uomo e il cielo.
06/04/2017: LIFT-OFF – Diretta streaming di esplorazione spaziale 13/04/2017: Corso di astrofotografia online 27/04/2017: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
Ci siamo! Aprile è il mese della 41P/Tuttle-Giacobini-Kresak, attesa al perielio il giorno 12 quando presumibilmente raggiungerà la massima luminosità. In quel momento sarà infatti anche piuttosto vicina alla Terra, dalla quale la separeranno circa 22 milioni di chilometri.
Ma quanto luminosa risulterà?
Come sempre le previsioni sono discordanti collocando il picco tra la settima e la quinta magnitudine, una luminosità in ogni caso molto buona, che ci permetterà di osservare l’oggetto anche con piccoli strumenti.
Se dovesse raggiungere la quinta grandezza mostrandosi compatta potrebbe essere scorta, seppur al limite, anche ad occhio nudo, ma probabilmente solo sotto un cielo molto buio.
Per quanto riguarda le altre comete del periodo, segnaliamo:
C/2015 ER61 (PanSTARRS): il giorno 6 aprile si troverà a circa un grado e mezzo dal globulare M 72 e dall’asterismo M 73. L’8 aprile transiterà a un paio di gradi dalla celebre nebulosa planetaria NGC 7009, nota anche con il nome di Nebulosa Saturno.
Su Coelum astronomia di aprile (ricordiamo che la lettura è in formato digitale e gratuito) la rubrica completa di Claudio Pra e questo mese un suo racconto dedicato all’osservazione delle quattro comete del periodo: Notte di comete. Corredato come sempre dalle magnifiche foto dei nostri lettori!
Sprigionando in una manciata di millisecondi una “luce” circa un miliardo di volte più intensa di qualsiasi altra cosa mai vista nella Via Lattea, sono fra le esplosioni più energetiche dell’universo. Sono anche difficili da intercettare: dalla loro scoperta – avvenuta dieci anni fa con il telescopio di Parkes – ne sono stati scoperti una ventina o poco più. E sono saldamente in vetta alla classifica dei fenomeni più misteriosi dell’astrofisica contemporanea, al punto che sulla loro natura le ipotesi spaziano dall’origine extragalattica a quella terrestre, passando niente meno che per improbabili civiltà aliene. Sono gli Frb, dalle iniziali di fast radio bursts: lampi radio veloci.
Ora, però, pare proprio che almeno l’origine terrestre la si possa definitivamente escludere. Merito di una lunga analisi coordinata da Manisha Caleb, dottoranda dell’Australian National University, Swinburne University of Technology e del Centre of Excellence for All-sky Astrophysics (Caastro). Esaminando 180 giorni di osservazioni – per ben mille terabyte al giorno – condotte con il radiotelescopio australiano di Molonglo, a 40 km da Canberra, Caleb e colleghi sono infatti riusciti non solo ad aggiungere tre nuovi Frb in un colpo solo al breve elenco di quelli conosciuti, ma anche a stabilire che il loro punto di origine si deve trovare ad almeno 10mila km di distanza, limite del near-field dell’antenna. Dunque quanto meno al di sopra dell’atmosfera terrestre.
Le tre new entry si chiamano Frb 160317, Frb 160410 e Frb 160608 – dalle date della loro scoperta, rispettivamente il 17 marzo, il 10 aprile e l’8 giugno dello scorso anno. A captarli, ascoltando il cielo sugli 843 MHz, i due bracci paralleli – larghi 12 e lunghi 778 metri – di Most, il Molonglo Observatory Synthesis Telescope australiano. Ed è proprio il fatto che i bracci siano due, a distanza di 15 metri l’uno dall’altro, ad avere contribuito a stabilire un limite minimo alla distanza di provenienza del segnale. Si tratta infatti, come recita il titolo dell’articolo che riporta i risultati – “The first interferometric detections of Fast Radio Bursts”, in stampa su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – della prima rilevazione interferometrica di lampi radio veloci. «Per i normali radiotelescopi a parabola singola», dice Chris Flynn della Swinburne University, fra i coautori dello studio, «è difficile stabilire se le trasmissioni hanno origine al di là dell’atmosfera terrestre».
Riadattato per essere usato come prototipo di Ska (lo Square Kilometre Array), all’origine quello di Molonglo era un radiotelescopio a bracci perpendicolari sensibile ai 408 MHz: simile dunque, per concezione e frequenza di funzionamento, alla Croce del Nord della Stazione radioastronomica di Medicina dell’Inaf. Nel 2013, gli scienziati e gli ingegneri di Caastro si sono resi conto che l’enorme lunghezza focale dovuta all’architettura unica della nuova configurazione avrebbe potuto consentire di determinare la distanza minima d’origine degli Frb. Ed è così che hanno deciso d’intraprendere il massiccio lavoro di reingegnerizzazione che ha portato a quest’ultimo successo scientifico.
«Trovare il luogo d’origine dei lampi radio veloci è la chiave per comprendere cosa sia a produrli. Fino a oggi, è stato possibile collegare un solo lampo a una specifica galassia », spiega Caleb. «Ci aspettiamo che Molonglo riuscirà a farlo per molti altri lampi radio».
Per saperne di più
Leggi il preprint dell’articolo “The first interferometric detections of Fast Radio Bursts“, di M. Caleb, C. Flynn, M. Bailes, E.D. Barr, T. Bateman, S. Bhandari, D. Campbell-Wilson, W. Farah, A.J. Green, R.W. Hunstead, A. Jameson, F. Jankowski, E.F. Keane, A. Parthasarathy, V. Ravi, P.A. Rosado, W. van Straten e V. Venkatraman Krishnan
Alla ricerca della Materia Oscura… ovvero Coelum Astronomia 210 di aprile è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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Il prossimo 7 aprile alle 23:40, il re dei pianeti del Sistema Solare, Giove, sarà in opposizione, nella costellazione della Vergine.
Il termine opposizione, nel gergo astronomico, sta a indicare che il corpo celeste in questione si trova in una particolare posizione geometrica rispetto alla Terra, tale per cui si troverà allineato con il Sole e il nostro pianeta, proprio “alle nostre spalle”, sorgendo nel cielo quando la nostra stella tramonta. È facile intuire che quando un pianeta è in opposizione si trova anche nelle condizioni di migliore visibilità, risultando al massimo della luminosità e delle dimensioni apparenti.
L’opposizione di quest’anno non sarà certo paragonabile alle grandi opposizioni del passato, ma comunque il re dei pianeti offrirà sempre un bello spettacolo a chi vorrà osservarlo e fotografarlo, mostrandosi sempre di generose dimensioni. Giove raggiungerà infatti i 44,2″ di diametro: potrebbe sembrare un valore contenuto per il re dei pianeti, e in effetti è così, visto che quest’anno il pianeta si trova vicino all’afelio (il punto più lontano dal Sole), tuttavia non è poi molto meno rispetto alle dimensioni di circa 50″ che raggiungerà solo all’opposizione in prossimità del perielio (il punto più vicino al Sole), per la quale dovremo attendere però il settembre del 2022.
A prescindere dal diametro apparente e dalla luminosità, questa è senza dubbio una delle ultime apparizioni favorevoli per gli osservatori posti alle medie latitudini nord. Già da quest’anno infatti Giove ha iniziato la sua fase di spostamento nella costellazione della Vergine (nei prossimi quattro anni lo troveremo tra le stelle della Bilancia, dell’Ofiuco e poi dello Scorpione), presentandosi sempre più basso sull’orizzonte nel momento dell’opposizione. Ciò comporterà un certo peggioramento delle condizioni di osservazione e ripresa fotografica del pianeta.
Quest’anno, quando Giove transiterà al meridiano, lo troveremo alto poco più di 42° sull’orizzonte sud. In ogni caso, meglio sfruttare al massimo questa opportunità e goderci tutta la maestosità del gigante gassoso.
Un gruppo di galassie satelliti distribuite ai poli della Via Lattea è al centro di una contesa tra scienziati, chiamate in causa da chi nega, nella dinamica di formazione delle galassie, il ruolo e l’esistenza della elusiva materia oscura, a favore di teorie sulla gravitazione modificata (MOND).
Dall’altra parte, in favore del modello cosmologico standard, si schiera adesso unostudio condotto da due astronomi del Rochester Institute of Technology, Andrew Lipnicky e Sukanya Chakrabarti, in corso di pubblicazione suMonthly Notices for the Royal Astronomical Society.
Lo studio mira a rafforzare l’ipotesi a favore della materia oscura, dimostrando che la vasta struttura polare, composta dalle galassie satelliti ai poli della Via Lattea, si è formata ben dopo la Via Lattea stessa trattandosi di una struttura instabile, in via di dispersione, e permettendo così la coesistenza con aloni di materia oscura.
In uno studio precedente, guidato sempre da Chakrabarti, sono stati analizzati i dati raccolti nel vicino infrarosso dalla survey VISTA dell’ESO per trovare quattro giovani stelle a circa 300.000 anni luce di distanza. Queste giovani stelle sono variabili Cefeidi – “candele standard” che gli astronomi usano per misurare le distanze. Secondo Chakrabarti, si tratta delle variabili Cefeidi più distanti trovate sul piano della Via Lattea.
Le stelle sono risultate essere associate con una galassia nana, nascosta da un denso alone di materia oscura che Chakrabarti ha previsto nel 2009 sulla base di una sua analisi delle increspature nel disco esterno della Via Lattea. In questo studio prevedeva massa e posizione della galassia nana, la radiazione emessa dalle variabili Cefeidi ha permesso di ricavare le distanze precise per verificare la sua previsione, che si è dimostrata corretta. In questo modo è stato possibile quindi individuare altre galassie nane probabilmente dominate e nascoste dalla materia oscura.
Analizzando la distribuzione delle galassie satelliti della Via Lattea, e confrontandola con le simulazioni di distribuzione di materia oscura, i due astronomi hanno ora trovato una corrispondenza che indica che le due sono compatibili, ma non solo…
Ricostruendo le orbite delle galassie satelliti e seguendone l’evoluzione nel passato, hanno mostrato una vasta struttura polare in dispersione, non così antica e stabile quindi come si pensava, ma probabilmente transiente. Di conseguenza le galassie polari si sarebbero formate in un secondo momento, nel corso dell’evoluzione della nostra galassia, senza entrare quindi in conflitto con l’ingombrante presenza della materia oscura.
«Se la struttura planare ai poli esistesse da più tempo, sarebbe un altro discorso,» conclude Sukanya Chakrabarti «ma il fatto che le nostre simulazioni mostrino una rapida dispersione delle galassie satelliti, indica che queste strutture non sono dinamicamente stabili. Non c’è quindi alcuna incoerenza tra la struttura planare di galassie nane e l’attuale paradigma cosmologico».
Vera Rubin, la grande donna che ha dato il via alla ricerca sulla materia oscura. Di Sabrina Masiero
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04/04/2017 ore 21.30: Incontri di astronomia con il Dott. Matteo Serra Fisico e Comunicatore della Scienza 06/04/2017: LIFT-OFF – Diretta streaming di esplorazione spaziale 13/04/2017: Corso di astrofotografia online 27/04/2017: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
3/04/2017: Percorsi nell’astronomia. Conferenza conclusiva del corso avanzato di astronomia. Info per partecipare: https://www.accademiadellestelle.org/corso-teorico-di-astronomia-generale/ 7/04/2017, ore 18: La vita nell’universo. Conferenza pubblica gratuita del dr. Paolo Colona presso la sala conferenze della Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Info: eventi@accademiadellestelle.org 21/04/2017, ore 21: Occhi su Giove. Serata pubblica gratuita di osservazioni del cielo con i telescopi. Special Guest: il pianeta Giove! Con guida al cielo per riconoscere stelle e costellazioni. 22/04/2017: Spazio Italia. Secondo convegno scientifico dedicato all’astronomia e al ruolo italiano nello spazio. Interverranno con conferenze e collegamenti in video conferenza importanti esponenti della ricerca e dell’astronomia, e studiosi della storia dell’astronautica. Durante l’evento si svolgeranno anche osservazioni del Sole al telescopio. 26/04/2017: Radioastronomia non si vede ma c’è. Conferenza pubblica gratuita della dr.ssa Daria Guidetti radioastronoma dell’INAF di Bologna. 27/04/2017, ore 21: Noi e il Cielo. Conferenza inaugurale gratuita del corso di Archeoastronomia ed astronomia culturale sul rapporto tra l’uomo e il cielo.
Iniziamo con la prima proposta a partire dalle ore 21:00 circa del 2 aprile, quando il nostro satellite, in fase di 5,6 giorni e dopo la culminazione in meridiano avvenuta alle ore 18:30 a +63°, si troverà nel cielo sud occidentale a un’altezza di +49,3° fra le costellazioni di Orione e dei Gemelli a nostra disposizione per gran parte della serata, tramontando dopo l’una della notte successiva. Oggetto delle nostre prime osservazioni sarà il bordo orientale del mare Serenitatis dominato dal grande cratere Posidonious (diametro 100 km) oltre a numerose altre strutture, dal cratere ad anfiteatro Le Monnier (diametro 63 km) ai monti Taurus ed Argaeus fino al cratere Plinius (diametro 44 km) col vicino promontorio di Cape Acherusia, questi ultimi situati in prossimità del confine col mare Tranquillitatis. Inoltre da Posidonius ci sposteremo in direzione nord fino al Lacus Somniorum.
La seconda proposta, che sarà anche quella che approfondiremo nella Guida Osservativa di questo mese, viene suddivisa in due serate consecutive: il 5 e 6 aprile. La Luna splenderà alta in cielo nella costellazione del Cancro per tutta la serata e gran parte della notte quando andremo a osservare, nel vasto altipiano meridionale, la grande struttura crateriforme del cratere Clavius (diametro 230 km) e l’area immediatamente circostante.
In chiusura di questo mese, col nostro satellite in fase di 4,30 giorni a un’altezza iniziale di 38,3° nelcielo occidentale, la sera del 30 apriledalle ore 21:00 consigliamo l’osservazione di una regione lunare che proprio quella sera verrà a trovarsi in librazione favorevole, fenomeno dovuto al non perfetto sincronismo dei moti di rotazione e rivoluzione del nostro satellite e di cui abbiamo parlato nel precedente numero. In questo caso si tratta di orientare il telescopio a circa metà fra l’inconfondibile area scura del mare Crisium e l’estremità settentrionale della falce lunare dove noterete, a breve distanza dal bordo nordorientale della Luna, la scura platea del cratere Endymion (diametro 129 km). Da qui spostandoci verso nordest ci troveremo nella zona interessata dal fenomeno della librazione favorevole che ci consentirà di individuare le strutture situate a est del mare Humboldtianum (diametro 165 km, superficie 22 000 kmq) nell’area che lo separa dal cratere Compton (diametro 162 km), quest’ultimo situato nell’emisfero non visibile dalla Terra. Ottima occasione almeno per osservazioni visuali certamente al limite ma sempre molto interessanti.
In considerazione della presenza della linea del terminatore, in prossimità della zona oggetto delle nostre osservazioni, il 5 e il 6 aprile potremo disporre delle ideali condizioni osservative per scandagliare in dettaglio una porzione dell’altopiano meridionale del nostro satellite, vastissima regione in cui, in ere geologiche ormai lontane, la densità della craterizzazione raggiunse punte elevatissime.
Questa eccezionale struttura lunare si rivela come una sorta di inesauribile serbatoio utilissimo per la programmazione di osservazioni di tutto quanto esiste nei 230 km della sua platea oltre alle pareti che lo circondano, e si torna sempre al medesimo punto di partenza: c’è chi si “accontenta” di qualche rapida occhiata all’oculare, e chi invece (più esigente e difficile da accontentare…) si ritroverà a dover suddividere la propria “attività osservativa” programmandola anche nelle successive serate favorevoli.
L’importante sarà di non aspettarsi nulla di più di quanto possa offrire il nostro strumento, in stretta relazione con le condizioni osservative, dalla collimazione ed equilibrio termico delle ottiche, alle condizioni meteo fino al deleterio effetto della turbolenza atmosferica sempre mutevole anche a distanza di poche ore.
Certamente un rifrattore di circa 80 mm o un Newton di 110/150 mm saranno già sufficienti per interessanti e più che soddisfacenti osservazioni di buona parte dei dettagli citati in questo articolo, anche se ovviamente strumenti catadiottrici o newtoniani intorno ai 180/250 mm, se utilizzati rispettando i vari parametri osservativi, potranno fornire risultati veramente ottimi sia per osservazioni visuali che per acquisizione di immagini.
L’osservazione al telescopio di Clavius può essere programmata in tutte le serate in cui questa meravigliosa struttura viene illuminata dalla luce del Sole, partendo dalla fase di 8/9 giorni in condizioni particolarmente favorevoli di illuminazione solare seguendo la linea del terminatore mentre attraversa la platea del cratere, fino in prossimità del plenilunio quando sarà possibile valutare le varie zone di Clavius con differente albedo.
Una sottile falce di Luna crescente a passeggio nella costellazione del Toro, sarà protagonista di due congiunzioni piuttosto larghe con Aldebaran (alfa Tauri, mag. +0,9) la brillante lucida del Toro, ma non per questo meno suggestive nelle fotografie a grande campo, grazie anche alla presenza delle Iadi e delle Pleiadi.
L’occasione può essere sfruttata anche per tentare la ripresa della Luce Cinerea della Luna. Aspettiamo come sempre le vostre immagini su Photocoelum!
Stanotte (dalle 00.27 italiane del 31 marzo) SpaceX tenterà di lanciare dal Kennedy Space Center, in Florida, un satellite per telecomunicazioni, l’SES-10, a bordo di un razzo Falcon 9 il cui primo stadio ha già volato una volta nello spazio per poi rientrare a terra atterrando verticalmente. Lo stadio tenterà nuovamente un atterraggio verticale a bordo di una nave appoggio nell’Oceano Atlantico.
Se tutto andrà secondo i piani, sarà la prima volta nella storia dell’esplorazione spaziale che il primo stadio di un razzo orbitale vola due volte nello spazio e ritorna verticalmente. Lo scopo di questo esperimento è arrivare al riuso efficiente dei vettori spaziali, in modo da ridurre i costi di lancio, cosa che non era riuscita allo Shuttle statunitense (che recuperava i booster a propellente solido e riusava il veicolo orbitale, ma a costi proibitivi e con interventi tecnici estremamente onerosi) o alla Buran sovietica (che fece un solo volo automatico e fu poi accantonata).
Per questo primo test è stato “ricondizionato” il Falcon 9 che volò ad aprile 2016 per la missione CRS-8, la prima che si concluse con un appontaggio e la seconda a terminare con un primo stadio intero e non distrutto (il primo rientro non distruttivo di un Falcon avvenne a dicembre 2015 sulla terraferma).
Il Press Kit della missione, con i dettagli del carico e dello svolgimento, è qui. Il Hosted webcast è qui; il Technical Webcast è qui. Come consueto, il link ufficiale di SpaceX è spacex.com/webcast.
Il successo
2017/03/31 00:55. Il primo stadio del Falcon 9 è atterrato con successo sulla nave appoggio Of Course I Still Love You nell’Oceano Atlantico. Intanto il secondo stadio è entrato correttamente in orbita e sta portando a destinazione il satellite SES-10 in orbita geostazionaria.
Dopo l’atterraggio, Elon Musk è intervenuto in diretta per celebrare, visibilmente emozionato, il coronamento di un progetto che ha richiesto quindici anni di lavoro e che molti addetti ai lavori ritenevano fosse impossibile.
Il riutilizzo del primo stadio è una tappa fondamentale nella riduzione dei costi per raggiungere lo spazio. Come ha detto Musk stesso, buttar via il razzo dopo un singolo volo è assurdo: quanto costerebbe un biglietto aereo se buttassimo via il velivolo alla fine del tragitto?
La prossima sfida, ora che il principio è stato dimostrato, è ridurre i tempi e i costi di riutilizzo e dimostrare non solo la fattibilità tecnica ma anche la convenienza economica.
2017/03/31 07:15. Durante una conferenza stampa (avvenuta stanotte per il fuso orario europeo), Elon Musk ha aggiunto che è stata recuperata a titolo sperimentale anche la carenatura aerodinamica che racchiude il satellite, come anticipato da alcune indiscrezioni. Il recupero, basato su piccoli razzi di manovra e su un paracadute manovrabile, fa parte di un progetto per riutilizzare anche questo componente, il cui costo si aggira sui 6 milioni di dollari, pari al 10% circa del prezzo attuale di un lancio di un satellite con un Falcon 9.
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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2
ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it
1-2 aprile – Italian Sidewalk Astronomy Day
Nell’ambito del “Global Astronomy Month”, la giornata nazionale italiana dedicata alla divulgazione della conoscenza del cielo a quante più persone possibile, la cosiddetta “Sidewalk Astronomy”. Inoltre, per gli astrofili già “evoluti”, proponiamo il concorso “110 e lode”, la sfida della Grande Maratona Messier! http://divulgazione.uai.it
1 aprile – 1° Meeting Profondo Cielo Un appuntamento per rilanciare anche in ambito UAI un settore di ricerca che negli ultimi anni ha avuto un notevole impulso nel mondo astrofilo: l’astronomia
extragalattica e la ricerca ed osservazione delle supernovae. Organizzato presso la biblioteca “Paolo Maffei” a Foligno (PG). Le date precise sono in fase di definizione, verranno rese note non appena disponibili. http://www.uai.it/ricerca.html
22-23 aprile – 32° Convegno Nazionale dei Planetari Italiani Il Convegno dei Planetari italiani presso il Planetario Alto Adige a Cornedo all’Isarco (BZ), a cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI. Per informazioni http://www.planetari.org
Solo l’Auriga e i Gemelli, più alte in declinazione, terranno ancora testa alle incalzanti costellazioni primaverili. Tra queste, alle 23:00 il Leone sarà già in meridiano, seguito più a est dalla Vergine e da Boote. Sull’orizzonte di est–nordest, comincerà ad alzarsi la grande figura dell’Ercole, seguita a notte fonda dalla Lira e dal Cigno. Lo zenit sarà invece dominato dalla grande figura dell’Orsa Maggiore.
In questo mese, da segnalare in particolare le condizioni di osservabilità di Giove, chesaranno ottimali: il gigante gassoso infatti sarà in opposizione con il Sole il 7 aprile, e quando il cielo sarà buio sarà possibile cercarlo tra le stelle della Vergine, a una ventina di gradi sull’orizzonte già dalla prima serata (Giove sorge alle 19 circa a metà mese). Nella classica tabellina delle effemeridi qui in alto trovate quindi anche tutti i fenomeni di nota che riguardano i satelliti medicei, le quattro principali lune di Giove che i più esperti (ma anche non) potranno osservare e riprendere nei loro passaggi davanti al disco del gigante gassoso. Per l’occasione su Coelum Astronomia n. 210 trovate un’ampia e dettagliata guida, per esperti ma anche solo per curiosi!
➜Leggi la guida osservativa, con consigli e curiosità, dedicata a Giove in opposizione.
E non mancate di consultare la rubrica dedicata alle comete! Questo mese la 41P/Tuttle-Giacobini-Kresak sta dando grandi soddisfazioni agli astrofili! E con un piccolo strumento potete osservarla anche voi, e chissà… forse anche a occhio nudo.
Sembra la lotta tra una sequenza di dune trasversali che avanzano e una collina che, al centro, le blocca. È la suggestiva immagine scattata dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO), sonda NASA lanciata nel 2005 e da allora infaticabile osservatrice del pianeta rosso, grazie anche al radar italiano SHARad che ha ha bordo.
La foto mostra le dune marziane ‘in marcia’ verso sud (corrispondente alla parte destra dell’immagine), e poi improvvisamente ostacolate dal rilievo che sbarra loro la strada.
Alcune dune più piccole sono perpendicolari rispetto a quelle più grandi, probabilmente a indicare un cambiamento nella direzione del vento in quest’area.
E così MRO ha realizzato un altro affascinante ritratto del suolo marziano, aggiungendo un tassello al complesso mosaico dei dati raccolti negli ultimi diciassette anni. Risultato che arriva in un’occasione molto speciale: nel momento in cui la foto è stata scattata, la sonda NASA stava cominciando il suo 50millesimo giro intorno al pianeta rosso.
Questo simbolico traguardo è stato tagliato alle 13:30 italiane di lunedì 27 marzo, quando MRO ha attraversato una volta di più il piano equatoriale di Marte, in una traiettoria orbitale discendente dal Polo Nord.
Considerata l’intera storia dell’esplorazione del nostro Sistema solare, 50mila giri intorno a un pianeta è un record importante: una prova ulteriore delle capacità ingegneristiche di questa sonda, che ancora oggi continua a fornirci materiale utile per comprendere uno dei mondi più affascinanti del nostro vicinato galattico.
A questo serviranno le prossime missioni marziane, che raccoglieranno la ricca eredità accumulata dai 50mila giri (e oltre) di MRO.
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Leggi anche
Leggi l’articolo Arte su Marte: il meraviglioso paesaggio marzianopubblicato su Coelum Astronomia 205, in cui Lori Fentonci racconta come il vento sia il principale artefice delle strutture marziane e di come lo studio di queste ci fornisca informazioni necessarie a comprendere i meccanismi che agiscono nell’atmosfera marziana.
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Fino a oggi erano note come “onde planetarie”, essendo state scoperte dapprima sulla Terra e in seguito anche nell’atmosfera di altri pianeti, da Giove a Saturno. Be’, forse è giunto il momento di chiamarle solo con il loro vero nome – onde di Rossby – perché ora è stato definitivamente dimostrato che increspano anche la superficie di corpi non planetari: per l’esattezza, il plasma bollente della nostra stella, il Sole. Lo dimostra uno studio, guidato dal ricercatore del National Center for Atmospheric Research (Ncar) Scott McIntosh, pubblicato sull’ultimo numero di Nature Astronomy. Ed è una scoperta con potenziali ricadute anche per noi: così come le onde di Rossby terrestri esercitano una certa influenza sul meteo, anche le onde di Rossby osservate sul Sole potrebbero essere collegate all’attività solare, comprese la formazione di macchie solari e le eruzioni solari.
«Le cosiddette “onde di Rossby” sono un fenomeno ben noto dell’atmosfera e degli oceani terrestri, così come delle atmosfere planetarie», osserva Alessandro Bemporad, fisico solare all’Inaf di Torino al quale ci siamo rivolti per un commento sui risultati di McIntosh e colleghi. «Si tratta di onde legate alla rotazione del pianeta e alla forza di Coriolis applicata ai fluidi in rotazione. La possibilità che onde di questo tipo possano esistere anche all’interno e sulla superficie del Sole – anch’esso un fluido in rotazione – e che possano svolgere un ruolo nel funzionamento della dinamo solare è stata proposta molto tempo fa (per esempio, in Gilman 1969a e Gilman 1969b). Diversi autori hanno poi pubblicato prove non del tutto conclusive dell’esistenza di queste onde sul Sole (per esempio, Kuhn et al. 2000 e Zaqarashvili et al. 2015)».
«Tuttavia, quello che mancava», continua Bemporad, «era la possibilità di studiare queste onde avendo a disposizione osservazioni di tutta la superficie del Sole per diversi anni, possibilità che è stata solo di recente fornita dalle osservazioni delle sonde Stereo della Nasa, che hanno osservato la “faccia a noi nascosta” del Sole (vedi anche su Media Inaf). L’importante lavoro uscito ora su Nature Astronomy quindi dimostra, per la prima volta in modo conclusivo, l’esistenza delle onde di Rossby sul Sole».
Ma in che modo, e fino a che punto, la presenza delle onde di Rossby sul Sole può aiutarci a prevedere le intemperanze della nostra stella? «Così come proposto in passato (per esempio, Lou 2000 e Bilenko 2014), si ritiene anche che queste onde possano avere un ruolo nella regolazione dell’attività solare e quindi nella frequenza dei brillamenti e delle eruzioni solari», spiega Bemporad. «Questa scoperta fornisce dunque un nuovo ingrediente per la comprensione della dinamo e dell’attività solare, e per la possibile predizione del comportamento del Sole su tempi scala “lunghi” (confrontabili con la durata del ciclo solare di 11 anni), mentre più difficilmente potrà contribuire alle previsioni di meteorologia spaziale su tempi scala “brevi” (da giorni a ore)».
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Tornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.
03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.
10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.
24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.
10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.
24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.
31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.
Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.it – www.fe.infn.it
Se il 2016 è stato l’anno delle onde gravitazionali, il 2017 non sarà da meno. C’è tanta attesa ed entusiasmo, ma anche qualche apprensione, per quella che è stata definita la “foto del secolo”, o forse di sempre, che avrà come obiettivo l’orizzonte degli eventi di un buco nero.
Otto radiotelescopi sparsi sul globo uniranno le loro forze agendo virtualmente come una singola, potente antenna delle dimensioni della Terra. L’Event Horizon Telescope(Eht), un nome appropriato per significare l’importanza di questa impresa titanica, punterà le antenne verso il centro della Via Lattea, cercando di spiare il buco nero che si cela nel nucleo della nostra galassia. Se questo tentativo avrà successo, le spettacolari immagini, che saranno pubblicate tra la fine di quest’anno e gli inizi del 2018, potrebbero aiutare gli astronomi a verificare le predizioni di Einstein e conoscere più da vicino non solo Sagittarius A* (Sgr A*) ma anche il buco nero supermassivo della galassia ellittica gigante M87, l’altro obiettivo dell’esperimento.
Le precedenti osservazioni di Sgr A*, realizzate con un network di radiotelescopi che operano a frequenze radio più basse rispetto all’Eht, hanno fornito solo immagini indicative, dalla forma a blob, poiché non sfruttavano un elevato potere risolutivo. Le misure fatte finora con l’Eht hanno invece raggiunto una risoluzione angolare intorno ai 60 microsecondi d’arco. Nonostante questa spettacolare risoluzione angolare (equivalente al diametro sotteso da una mela posta sulla superficie della Luna), queste misure non hanno consentito di ottenere un’immagine della sorgente, perché il network era costituito da soli 3-4 elementi. Ma c’è qualche speranza, poiché il coinvolgimento di altri strumenti in banda millimetrica come Alma (Cile) e il South Pole Telescope (Antartide), rispetto alla rete di radiotelescopi situati in Hawaii, Spagna, Messico e Arizona, permetterà di migliorare la risoluzione angolare e le aspettative in termini della ricostruzione delle immagini.
«Un elemento fondamentale per l’attuazione di questo piano è l’Atacama Large Millimeter Array (Alma), che è il radiotelescopio più sensibile mai costruito in banda millimetrica, situato nel deserto di Atacama nelle Ande Cilene, a 5100 m sul livello del mare, il deserto più alto e secco al mondo», spiega a Media Inaf Ciriaco Goddi, BlackHoleCamproject scientist alla Radboud University, Nijmegen, in Olanda e astronomo presso l’Alma Regional Center a Leiden, sempre in Olanda. «Alma è un insieme di 50 antenne singole di 12 metri di diametro, per il quale è stato sviluppato un dispositivo (detto beamformer) in grado di aggregare l’intera area di raccolta dell’array in un unico elemento: in tale sistema tutte le 50 antenne sono combinate per agire congiuntamente come un unico elemento gigante (equivalente ad un radiotelescopio di ben 84 metri di diametro) all’interno dell’Eht. L’inserimento di questo “fuoriclasse” nella rete di radiotelescopi è ciò che consentirà un salto di qualità nelle prestazioni dell’Eht, sia in termini di risoluzione che di sensibilità, permettendo così di “mettere a fuoco” il buco nero supermassiccio al centro della nostra Via Lattea».
Operando insieme, le antenne simuleranno un singolo gigantesco strumento delle dimensioni della Terra che sarà in grado di “vedere” direttamente l’orizzonte degli eventi, quel confine che circonda i buchi neri dove tutto ciò che passa non torna mai più indietro, e rivelare la cosiddetta “ombra” di Sgr A*. Di fatto, grazie alla tecnica dell’interferometria radio a lunghissima linea di base (Vlbi), si otterrà il livello più alto di risoluzione spaziale di ogni altro attuale strumento astronomico. Nel caso di Sgr A*, che si estende per circa 24 milioni di chilometri (circa 17 volte più grande del Sole) e che si trova a 26 mila anni-luce, “scattare una foto” è una missione impossibile: il raggio di Schwarzschild risulta decisamente piccolo (10 microsecondi d’arco).
«Una cosa da tener presente è che noi non risolveremo 10 microsecondi d’arco», fa notare Goddi. «Infatti, grazie all’effetto della lente gravitazionale dovuta all’enorme gravità attorno all’orizzonte degli eventi, lo spaziotempo viene talmente “curvato” che il raggio di 10 microsecondi d’arco diventa in realtà (visto da noi) 25 microsecondi d’arco. Perciò la dimensione (angolare) dell’ombra del buco nero, creata dall’orizzonte degli eventi, vista da Terra, sarà di 50 microsecondi d’arco. È questa la risoluzione angolare che EHT può raggiungere facilmente».
Nonostante ciò, gli astronomi sperano di poter vedere le regioni immediatamente più esterne dove il gas viene trascinato nel disco di accrescimento che circonda il buco nero e come la materia viene espulsa lungo i getti. La speranza è anche quella di poter definire la dimensione e la forma dell’orizzonte degli eventi e verificare se la relatività generale sia ancora valida in condizioni estreme. Gli scienziati hanno eseguito tantissime simulazioni per analizzare le possibili configurazioni che può assumere il gas e in tutti i casi la scelta è caduta sul valore di 1,3 mm. In altre parole, per penetrare la nube di polveri e “vedere” l’orizzonte degli eventi, occorrerà che il gas caldo si trovi in prossimità di questa zona di non ritorno mostrandosi luminoso e brillante a questa lunghezza d’onda, così come sperano gli astronomi. Inoltre, la luce dovrà propagarsi senza trovare particolari ostacoli arrivando a Terra, dopo aver attraversato l’atmosfera, fino a raggiungere le parabole dei radiotelescopi: ancora una volta, la scelta di utilizzare una lunghezza d’onda di 1,3 mm (230 GHz) sembra essere quella giusta.
Diversi gruppi hanno già sviluppato una serie di algoritmi per ricostruire le immagini dalle osservazioni, che permetteranno di limitare imperfezioni derivanti dalle prestazione degli strumenti o la presenza di rumore causati dall’atmosfera terrestre. I ricercatori sperano anche di realizzare dei filmati relativi al moto del gas, spingendo oltre i limiti le capacità di imaging degli stessi algoritmi. Queste osservazioni potrebbero aiutare gli scienziati a comprendere come alcuni oggetti supermassivi in altre galassie appaiano estremamente attivi, risucchiando voracemente materia ad un ritmo forsennato ed espellendo il resto lungo spettacolari getti relativistici che si estendono nello spazio fin oltre la galassia ospite, mentre altri come Sgr A* sembrano essere a dieta.
Secondo alcune simulazioni, le immagini dovrebbero assomigliare a quelle di una mezzaluna, anziché a un blob così come previsto da altri modelli. La forma a mezzaluna deriva dalla presenza del disco di accrescimento. Data la sua rotazione attorno al buco nero, il lato del disco che si muove verso l’osservatore diventerà più luminoso, a causa dell’effetto Doppler relativistico, mentre il lato del disco che si allontana dall’osservatore apparirà più debole. Al centro della mezzaluna crescente si dovrebbe intravedere un cerchio più scuro, la cosiddetta “ombra del buco nero”, che rappresenta effettivamente l’oggetto centrale massiccio, mentre la luce risulterà talmente deflessa a causa dall’intenso campo gravitazionale.
Ma che cosa osserverà esattamente l’Eht? «Sappiamo che l’emissione radio viene emessa da una regione molto vicina al buco nero. Più alta è la frequenza e più vicina all’orizzonte degli eventi del buco nero viene emessa la radiazione», spiega Heino Falcke del Department of Astronomy, Radboud University Nijmegen, Olanda, e presidente del consiglio scientifico dell’Event Horizon Telescope. «L’orizzonte degli eventi è una sorta di membrana unidirezionale attraverso cui qualsiasi cosa, persino la luce, può solo sparire e mai tornare indietro. Quindi, ci aspettiamo di vedere una vera “buca” di luce, circondata da un anello luminoso, che chiamiamo la “ombra” dell’orizzonte degli eventi. Ad ogni modo, nel corso dei primi anni di osservazioni la nostra risoluzione e qualità non saranno probabilmente abbastanza ottimali, perciò potremmo vedere una struttura complicata e distorta che potrebbe assomigliare molto a una “arachide”. Solo col tempo e forse sfruttando le frequenze più elevate, saremo in grado di ottenere un’immagine veramente nitida della regione più esterna del buco nero».
Falcke è stato il primo a proporre nel 1998 e poi nel 2000 l’idea di creare l’immagine dell’ombra del buco nero galattico. Lo scienziato ha poi sviluppato, assieme al suo team, un modello per spiegare l’origine dell’emissione radio da Sgr A* proveniente da una parte del plasma che sfugge alla morsa del buco nero sottoforma di un getto relativistico.
Le osservazioni, che saranno effettuate in una finestra temporale dal 5 al 14 aprile, per cinque notti, dovranno affrontare alcuni ostacoli.
«Il maggiore ostacolo che dovremo affrontare durante le osservazioni il prossimo mese è dato dalle condizioni climatiche, in particolare dal tasso di umidità o più precisamente dal contenuto di vapore acqueo nella troposfera», dice Goddi. «Il suo effetto non è solo quello di attenuare il già debole segnale, ma è anche quello di “distorcere” il fronte delle onde radio, per cui una volta che queste arrivano ai rivelatori non saremo in grado di ricostruire l’immagine della sorgente che le ha generate. Per questo motivo, noi astronomi del consorzio Eht di presidio nei vari telescopi dovremo decidere se dare o meno il via libera alle osservazioni sulla base di fattori climatici (in primis la colonna di vapore acqueo misurato ai telescopi nei vari siti). Io starò di base ad Alma, lo strumento di gran lunga più importante dell’esperimento, per cui da lì sarà presa la decisione se procedere con le osservazioni o no, sulla base appunto delle condizioni climatiche che saranno presenti durante quei 10 giorni nel deserto di Atacama».
«Per diversi decenni, questo buco nero si è mostrato alquanto noioso, essenzialmente come un blob regolare ed ellittico», aggiunge Falcke. «Ora, con questo esperimento, il suo aspetto dovrebbe cambiare completamente. Abbiamo una chiara predizione dalla teoria di Einstein secondo cui l’orizzonte degli eventi esiste, perciò dovremmo essere in grado di vedere almeno qualche traccia di questo orizzonte degli eventi nei nostri dati. Naturalmente, non è così semplice. Ci piacerebbe avere ancora molti altri radiotelescopi in modo da realizzare un’immagine unica. Di fatto, l’assenza di un solo strumento comprometterebbe la qualità dell’immagine in maniera significativa. Ci sono un sacco di cose che possono andar storto. Le condizioni meteo devono essere ottimali in tutti i siti sparsi sul globo e nello stesso intervallo di tempo di osservazione, il che non è sempre così. La strumentazione può non funzionare. Sono coinvolte tante componenti hi-tech, alcune delle quali sono state installate appositamente per questo esperimento. Dovremo registrare un’enorme mole di dati, dell’ordine dei petabytes, che non possiamo archiviare nelle singole stazioni e perciò parte di essi potrebbero perdersi durante il trasporto dei dischi rigidi. Le persone possono commettere errori durante le ore notturne. Ci sono oltre 30 persone che saranno inviate in questi otto osservatori per salvaguardare le prestazioni dell’esperimento oltre alla presenza degli operatori e tecnici di turno. Si tratta di un’operazione complessa, non ancora standardizzata, dove qualcosa può sempre andar storto».
La relatività generale afferma che una massa, specialmente una così massiccia equivalente a 4 milioni di soli, curvi lo spaziotempo. Questa curvatura può essere calcolata matematicamente perciò la dimensione dell’ombra prodotta da Sgr A* dovrebbe essere o uguale a quella predetta dalla teoria di Einstein oppure no. È un po’ come ripetere l’esperimento che realizzò Eddington durante l’eclisse del 1919 quand’egli misurò la deflessione dei raggi luminosi di stelle vicine al bordo solare dovuta all’azione esercitata dal campo gravitazionale della nostra stella. Ora, quasi un secolo dopo, gli scienziati eseguiranno una misura similare il cui effetto, però, sarà moltiplicato milioni di milioni di milioni di volte in termini della curvatura dello spaziotempo.
Insomma, ottenere un’immagine risolta di Sgr A* sarebbe già un trionfo. Ma il vero obiettivo di questo esperimento è quello di utilizzare le abilità della tecnica di imaging per verificare alcuni aspetti della relatività generale. Se ci sono delle deviazioni dalle idee di Einstein, così come sospettano alcuni scienziati che ipotizzano delle spiegazioni più complete della gravità, allora è proprio in questi ambienti estremi che caratterizzano i buchi neri dove queste limitazioni potrebbero rivelarsi. «Non credo che da queste prime osservazioni potremo provare che Einstein abbia torto o ragione», conclude Falcke. «Ad ogni modo, dovremmo essere in grado di intravedere delle strutture complesse dovute alla presenza dell’orizzonte degli eventi. Questo ci permetterà di confrontare i nostri dati con le simulazioni numeriche molto dettagliate e capire meglio se e di quanto sta ruotando il buco nero e come è orientato. Entro qualche anno, le immagini dovrebbero migliorare sempre più in modo da permetterci di “vedere” in definitiva, e per la prima volta, un vero orizzonte degli eventi, l’estremità finale dello spazio e del tempo».
Prendono forma attorno a oggetti celesti di eccezionale grandezza e si estendono per milioni di anni luce. Parliamo dei giganteschi campi magnetici che un gruppo di astronomi guidato dal Max Planck Institute ha appena scoperto attorno agli ammassi di galassie Ciza J2242+53 grazie ai dati raccolti dal radiotelescopio Effelsberg.
Alla periferia di un colossale accumulo di materia oscura, sistemi stellari, gas caldo e particelle cariche, riposano (si fa per dire) dunque i più grandi campi magnetici che l’universo abbia conosciuto.
Lo studio, appena pubblicato su Astronomy & Astrophysics, porta la firma di un gruppo di ricercatori tedeschi che ha conseguito la scoperta analizzando i dati raccolti dal radiotelescopio Effelsberg (una parabola di 100 metri di diametro) situato nei pressi di Bad Münstereifel, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, in Germania.
Inaugurato nei primi anni Settanta, è stato per quasi 30 anni il più grande radiotelescopio orientabile del mondo, e sotto la gestione del Max Planck Institute for Radio Astronomy di Bonn è stato perlopiù impiegato per l’osservazione di pulsar, polvere interstellare, getti di materia emessi da buchi neri e nuclei di galassie molto distanti. Ora ci regala una scoperta affascinante, quella del più ampio campo magnetico mai rilevato nell’universo e che, secondo i ricercatori, potrebbe avere un’estensione anche maggiore dello stesso ammasso. «Fra i cinque e i sei milioni di anni luce», spiega Maja Kierdorf del Max Planck prima firmataria dell’articolo.
Gli eccezionali campi magnetici rilevati dagli astronomi tedeschi potrebbero essere una diretta conseguenza della collisione tra i due ammassi galattici ad altissima velocità. Matthias Hoeft, del Thüringer Landessternwarte Tautenburg, ha sviluppato un metodo che permette di determinare il rapporto tra la velocità relativa delle nubi di gas in collisione e la velocità del suono, utilizzando il grado di polarizzazione osservato. Risultato: lo scontro fra gli ammassi avviene alla folle velocità di 2000 chilometri al secondo.
Crolli di pareti rocciose che portano alla luce grandi concentrazioni di ghiaccio, massi che rotolano sul fondovalle per decine di metri. È un panorama sorprendente e in continuo cambiamento quello della superficie del nucleo della cometa 67P Churyumov-Gerasimenko, ripreso tra il 2014 e il 2016 dalla camera a immagini Osiris (Optical, Spectroscopic, and Infrared Remote Imaging System) a bordo della missione Rosetta dell’ESA e che emerge dai risultati di due differenti articoli pubblicati sulle riviste Sciencee Nature Astronomy. Nei due team internazionali che hanno condotto le indagini sono coinvolti scienziati di varie università e istituti di ricerca italiani, tra cui gli astronomi dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) Gabriele Cremonese e Marco Fulle.
Le indagini ottenute con Osiris, strumento che vede un significativo contributo italiano, il cui canale a grande angolo è stato realizzato dal Cisas (Centro di Ateneo di Studi e Attività Spaziali dell’Università di Padova) per l’Asi, l’Agenzia Spaziale Italiana, e Inaf, hanno permesso di osservare per la prima volta le variazioni di strutture sulla superficie del nucleo di una cometa durante il suo passaggio al perielio – ovvero la porzione della traiettoria che si avvicina maggiormente al Sole – e comprendere con maggiore precisione i meccanismi che modellano la superficie stessa.
L’articolo pubblicato su Nature Astronomy, a prima firma di Maurizio Pajola, ricercatore italiano presso il centro Nasa/Ames per il Cisas-Università di Padova, descrive il distacco rovinoso di una parte di materiale del costone roccioso denominato Aswan e situato nella regione Seth del nucleo di 67P.
Il 10 luglio del 2015 oltre 57 mila metri cubi di materiale sono precipitati verso valle per circa 150 metri, accompagnati da un violento getto di polvere e gas osservato dalla Navigation Camera di Rosetta.
Dopo cinque giorni, le riprese della zona ottenute da Osiris hanno non solo confermato il crollo ma hanno messo in evidenza che l’evento aveva esposto una zona interna del nucleo assai brillante: oltre sei volte quella della superficie circostante, molto scura.
I ricercatori ritengono assai probabile che la regione brillante esposta dopo il crollo sia composta da ghiaccio. «Ai miei studenti dico che le comete sono tra i corpi celesti più variabili nell’universo» commenta Cremonese, astronomo dell’Inaf di Padova. «In questo caso la 67P ci ha veramente stupito in quanto in Aswan la temperatura è variata di 200 kelvin in 20 minuti. Per un corpo ricco di ghiaccio d’acqua può avere effetti realmente catastrofici».
Il secondo articolo, pubblicato sulla rivista Science e guidato da Mohamed Ramy El-Maarry, ora all’Università di Boulder in Colorado (Usa), ha passato in rassegna le trasformazioni della superficie della cometa 67P registrate dalla missione Rosetta dall’estate del 2014 fino alla sua conclusione, nel settembre del 2016, quando la sonda si è definitivamente posata sul nucleo cometario.
Il team ha evidenziato l’estremo dinamismo geologico della cometa, che in un periodo di tempo così limitato ha fatto registrare crolli di fianchi rocciosi – come nell’evento di Aswan – o fratture superficiali che si aprono e si allargano, massi che cambiano posizione spostandosi di decine di metri, ma anche piogge di detriti che vanno a ricoprire alcune zone della superficie.
Episodi questi legati a fenomeni che si verificano sulla cometa: quelli di tipo erosivo, quelli legati a brusche variazioni di temperatura o legati alla sublimazione del ghiaccio intrappolato nell’interno del nucleo, fino a quelli dovuti a sollecitazioni di tipo meccanico generate dalla rapida rotazione del nucleo. «I due lavori scientifici sono i primi a descrivere i cambiamenti di superficie osservati da Osiris su 67P, che riguardano principalmente l’emisfero nord, l’unico osservato a buona risoluzione all’arrivo e due anni dopo», commenta Fulle, astronomo dell’Inaf di Trieste. «I cambiamenti maggiori riguardano invece l’emisfero sud, che al perielio ha perso due metri di spessore medio – in parte disperso nello spazio, in parte trasferito nei depositi di ciottoli e massi sull’emisfero nord – ma che è stato osservato troppo da lontano e comunque su periodi troppo brevi per carpirne i dettagli. I cambiamenti osservati suggeriscono che la maggior parte della topografia del nucleo cometario sia stata modellata prima del 1959, ossia su orbite diverse dall’attuale».
Guarda il servizio video su Inaf Tv:
Per saperne di più:
Leggi su Nature Astronomy l’articolo “The pristine interior of comet 67P revealed by the combined Aswan outburst and cliff collapse“, di M. Pajola, S. Höfner, J.B. Vincent, N. Oklay, F. Scholten, F. Preusker, S. Mottola, G. Naletto, S. Fornasier, S. Lowry, C. Feller, P.H. Hasselmann, C. Güttler, C. Tubiana, H. Sierks, C. Barbieri, P. Lamy, R. Rodrigo, D. Koschny, H. Rickman, H.U. Keller, J. Agarwal, M.F. A’Hearn, M.A. Barucci, J.-L. Bertaux, I. Bertini, S. Besse, S. Boudreault, G. Cremonese, V. Da Deppo, B. Davidsson, S. Debei, M. De Cecco, J. Deller, J.D.P. Deshapriya, M.R. El-Maarry, S. Ferrari, F. Ferri, M. Fulle, O. Groussin, P. Gutierrez, M. Hofmann, S.F. Hviid, W.-H. Ip, L. Jorda, J. Knollenberg, G. Kovacs, J.R. Kramm, E. Kührt, M. Küppers, L.M. Lara, Z.-Y. Lin, M. Lazzarin, A. Lucchetti, J.J. Lopez Moreno, F. Marzari, M. Massironi, H. Michalik, L. Penasa, A. Pommero, E. Simioni, N. Thomas, I. Toth, E. Baratti
Leggi su Science l’articolo “Surface changes on comet 67P/Churyumov-Gerasimenko suggest a more active past” di M. Ramy El-Maarry, O. Groussin, N. Thomas, M. Pajola, A.-T. Auger, B. Davidsson, X. Hu, S. F. Hviid, J. Knollenberg, C. Güttler, C. Tubiana, S. Fornasier, C. Feller, P. Hasselmann, J.-B. Vincent, H. Sierks, C. Barbieri, P. Lamy, R. Rodrigo, D. Koschny, H. U. Keller, H. Rickman, M. F. A’Hearn, M. A. Barucci, J.-L. Bertaux, I. Bertini, S. Besse, D. Bodewits, G. Cremonese, V. Da Deppo, S. Debei, M. De Cecco, J. Deller, J. D. P. Deshapriya, M. Fulle, P. J. Gutierrez, M. Hofmann, W.-H. Ip, L. Jorda, G. Kovacs, J.-R. Kramm, E. Kührt, M. Küppers, L. M. Lara, M. Lazzarin, Z.-Yi Lin, J. J. Lopez Moreno, S. Marchi, F. Marzari, S. Mottola, G. Naletto, N. Oklay, A. Pommerol, F. Preusker, F. Scholten, X. Shi
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Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
Tornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.
03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.
10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.
24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.
10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.
24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.
31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.
Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.it – www.fe.infn.it
Una sottilissima falce di Luna crescente di solo un giorno, potrà aiutare gli astrofili a rintracciare il più debole Mercurio (mag. –0,4), poco più a ovest.
I due corpi celesti saranno osservabili abbastanza bassi sull’orizzonte, a circa 12° di altezza, ma con qualche difficoltà dovuta al fatto che il Sole sarà tramontato neanche da un’ora, per cui il cielo sarà ancora chiaro.
Tramonteranno nel giro di un’ora ma, difficilmente, si potrà aspettare per l’osservazione un cielo più buio. Servirebbe un orizzonte ovest sgombro da ostacoli ma anche da foschia e inquinamento luminoso…
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Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo
➜ La Luna di marzo.Un approfondito e interessante articolo alla scoperta di Plato, il Grande Lago Nero, e i suoi misteri.
Lunedì 27 marzo, ore 18.30
Cosmologia. L’origine della costante cosmologica
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec (Circolo Culturale Astrofili Trieste).
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, via dei Tominz 4.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi. telescopioremoto.uai.it.
24-26 marzo XXI Meeting Nazionale di Gnomonica L’immancabile appuntamento nazionale per tutti gli appassionati di gnomonica e quadranti solari, promosso dalla Sezione UAI Quadranti Solari, si svolgerà quest’anno a cura del Gruppo Gnomonisti Trevigiani presso l’Auditorium del Palazzo Celestino Piva a Vadobbiadene (TV). Per maggiori info ed invio di proposte di memorie e relazioni, consultare il sito web di sezione. http://quadrantisolari.uai.it
Il telescopio spaziale Hubble ha trovato l’anello mancante di un defunto sistema stellare multiplo all’interno della Nebulosa di Orione, distante 1300 anni luce dalla Terra.
Recenti osservazioni nell’infrarosso hanno rivelato la presenza di due stelle dirette a tutta velocità in direzioni opposte. Ricostruendo il loro moto, gli scienziati si sono accorti che le due stelle si trovavano nello stesso punto circa 540 anni fa, suggerendo che facessero parte di un sistema multiplo. L’energia attuale dei due astri, però, è nettamente minore di quella calcolata dagli scienziati.
Ora, nuove osservazioni effettuate da Hubble potrebbero aver risolto questo affascinante mistero cosmico, con l’individuazione di una terza stella che avrebbe fatto parte dello stesso sistema e che starebbe oggi trasportando l’energia ‘mancante’.
«Le nuove osservazioni di Hubble forniscono prove molto convincenti a favore del fatto che le tre stelle siano state espulse da un sistema stellare multiplo,» spiega Kevin Luhman della Penn State University, che ha guidato lo studio pubblicato sul The Astrophysical Journal Letters. «Non è la prima volta che osserviamo stelle espulse da sistemi multipli. Tuttavia, queste tre stelle sono i più giovani esempi di questo fenomeno, avendo poche centinaia di migliaia di anni di età. Le immagini all’infrarosso rivelano che queste stelle sono talmente giovani che potrebbero ancora essere circondate dal disco di materiale rimasto dalla loro formazione».
Le tre stelle stanno sfrecciando attraverso la nebulosa a una velocità circa 30 volte superiore alla media della popolazione locale. Ancora non è chiaro, però, quale drammatica interazione gravitazionale abbia portato allo scioglimento del loro sistema. «Non ci sono molti altri esempi, soprattutto in ammassi così giovani,» prosegue Luhman.
Gli scienziati si sono imbattuti nella terza stella nell’ambito di una campagna di ricerca di pianeti interstellari all’interno della Nebulosa di Orione. Confrontando le immagini della stessa regione di cielo scattate prima nel 1998 dallo spettrometro NICMOS e poi nel 2015 dalla Wide Field Camera 3, gli astronomi hanno notato la presenza di una stella particolarmente veloce. I calcoli mostrano che la stella sta viaggiando a una velocità di oltre 200 mila chilometri orari.
Ricostruendo il moto passato della stella, gli scienziati hanno determinato che, intorno all’anno 1470, l’astro si trovava nello stesso punto delle altre due stelle già note. La prima stella era stata scoperta nel 1967; tuttavia, il suo moto anomalo era rimasto sconosciuto fino al 1995. Le due stelle già note sono caratterizzate da velocità di 96 e 35 mila chilometri orari, rispettivamente.
L’evento responsabile della distruzione del sistema multiplo potrebbe essere stato l’eccessivo avvicinamento di una delle stelle a una compagna e la conseguente formazione di un sistema binario.
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Fino a lunedì 3 aprile ospitiamo il Corso teorico di astronomia generale: un ciclo di conferenze settimanali che offre uno sguardo su argomenti raramente trattati nei corsi divulgativi. Scopriremo quali leggi fisiche agiscono nei più importanti fenomeni astronomici, per comprendere l’universo e la scienza che lo studia: approfondimenti di grandissimo interesse per gli appassionati. Un modulo riguarderà anche la meccanica quantistica.
– Gli incontri si svolgeranno tutti i lunedì dalle 21 alle 22.30 presso la nostra sede: sala conferenze San Gregorio Barbarigo, di fronte alla Metro B.
– Lunedì 20 marzo: “Le dimensioni dell’Universo”.
Un taglio storico per approfondire l’argomento delle distanze astronomiche. In dettaglio: Parallasse, Cefeidi, Supernovae Ia e le altre candele standard, costante di Hubble e Oscillazioni di Massa Barionica. Sul filo tra scienza e umanesimo.
Nuove osservazioni indicano che le galassie massicce, con alta formazione stellare, fossero dominate da materia barionica o “normale” durante il picco della formazione delle galassie, 10 miliardi di anni fa. Questo in netto contrasto con le galassie odierne, in cui gli effetti della misteriosa materia oscura sembrano essere molto maggiori. Questo risultato sorprendente è stato ottenuto con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO e suggerisce che la materia oscura fosse meno rilevante nell’Universo primordiale di quanto sia oggi.
La ricerca viene presentata in quattro diversi articoli, uno dei quali pubblicato il 15 marzo dalla rivista Nature.
Quello che noi riusciamo oggi a osservare, è la materia ordinaria sotto forma di stelle brillanti, gas incandescente e nubi di polvere. Ma la materia oscura, più sfuggente, non emette, assorbe o riflette la luce e ne abbiamo potuto rivelare l’esistenza solo per mezzo dei suoi effetti gravitazionali. La presenza di materia oscura può infatti spiegare perché le zone esterne delle galassie a spirale ruotano più velocemente di quello che ci aspetterebbe se fosse presente solo la materia ordinaria che possiamo vedere direttamente. I nuclei delle galassie a spirale, infatti, mostrano un’alta concentrazione di stelle, ma la densità di materia luminosa diminuisce verso la periferia. Se la massa di una galassia consistesse solamente di materia normale (barionica), le zone esterne meno dense dovrebbero ruotare più lentamente delle regioni più dense al centro. Ma le osservazioni di galassie a spirale vicine mostrano che le zone interne ed esterne, di fatto, ruotano più o meno alla stessa velocità. Queste “curve di rotazione piatte” indicano che le galassie a spirale devono contenere grandi quantità di materia non luminosa disposta in un alone di materia oscura che circonda il disco galattico.
Ciò che hanno trovato è molto interessante: diversamente dalle galassie a spirale dell’Universo attuale, le regioni esterne di queste galassie distanti sembrano ruotare più lentamente delle regioni centrali – suggerendo che ci fosse meno materia oscura di quanto previsto. Questo nuovo risultato non mette in discussione la necessità di materia oscura come componente fondamentale dell’Universo o la sua quantità totale. Piuttosto suggerisce che la materia oscura fosse distribuita differentemente all’interno e intorno ai dischi delle galassie ai primordi, se confrontata con quanto accade oggi. Infatti…
«Sorprendentemente, le velocità di rotazione non sono costanti, ma diminuiscono a mano a mano che ci si allontana dal centro della galassia», commenta Reinhard Genzel, primo autore dell’articolo su Nature. «Ci sono probabilmente due cause. La prima: la maggior parte di queste galassie sono fortemente dominate da materia ordinaria, mentre la materia oscura gioca un ruolo molto inferiore rispetto all’Universo locale. La seconda: questi dischi primordiali erano molto più turbolenti delle galassie a spirale che vediamo nei nostri dintorni cosmici».
Entrambi gli effetti sembrano diventare più evidenti a mano a mano che gli astronomi guardano più indietro nel tempo, nell’Universo primordiale. Ne consegue che 3 o 4 miliardi di anni dopo il Big Bang il gas nelle galassie si fosse già condensato in un disco piatto e rotante, mentre l’alone di materia oscura che le circonda rimanesse molto più grande e più diffuso. Apparentemente, sono occorsi molti più miliardi di anni perché anche la materia oscura si condensasse, così il suo effetto dominante sulla velocità di rotazione del disco galattico viene visto solo oggi.
Questa spiegazione è consistente con le osservazioni che mostrano che le galassie primordiali avevano molto più gas ed erano più compatte delle galassie di oggi.
Le sei galassie descritte in questo studio appartengono a un campione più ampio, di un centinaio di galassie a disco distanti e con alta formazione stellare. Oltre alle misure individuali citate prima, è stata creata una curva di rotazione media combinando i segnali più deboli delle altre galassie. La curva composita mostra la stessa tendenza – la velocità diminuisce allontanandosi dal centro della galassia – così come lo studio di altri 240 dischi con alta formazione stellare.
Modelli dettagliati mostrano che mentre la materia ordinaria oggi di solito costituisce in media metà della massa totale di tutte le galassie, nelle galassie ai redshift più alti ne domina invece completamente la dinamica.
Per saperne di più:
Leggi su Nature l’articolo “Strongly baryon-dominated disk galaxies at the peak of galaxy formation ten billion years ago“, di R. Genzel, N. M. Förster Schreiber, H. Übler, P. Lang, T. Naab, R. Bender, L. J. Tacconi, E. Wisnioski, S. Wuyts, T. Alexander, A. Beifiori, S. Belli, G. Brammer, A. Burkert, C. M. Carollo, J. Chan, R. Davies, M. Fossati, A. Galametz, S. Genel, O. Gerhard, D. Lutz, J. T. Mendel, I. Momcheva, E. J. Nelson, A. Renzini, R. Saglia, A. Sternberg, S. Tacchella, K. Tadaki e D. Wilman
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Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
La Maratona Messier consiste in una sfida osservativa che coinvolge appassionati e astrofili di tutto il mondo in una sessione di osservazione che impegna tutta la notte.
La sfida è quella di riuscire a osservare in una notte tutti i 110 oggetti delfamoso catalogo redatto all’astronomo Francese Charles Messier. In genere si può tentare l’impresa ogni anno, a cavallo dell’equinozio di primavera, nel momento in cui tutti gli oggetti Messier risultano visibili nell’arco di una notte.
Bisogna dire però che dall’Italia è quasi impossibile riuscire a coglierli tutti. Forse solo dalle estreme regioni meridionali l’impresa potrebbe materializzarsi, ma risulta comunque decisamente difficile, per l’altezza molto scarsa sull’orizzonte di alcuni oggetti. Ad esempio, più ci si trova a nord più sarà difficile (se non impossibile) identificare l’ammasso globulare M 30 che, al momento del suo levare, si trova già immerso nella luce crepuscolare.
L’obbiettivo quindi è… osservarne il più possibile!
Di seguito una serie di link con esperienze, curiosità e consigli utili per organizzare e portare a termine la sfida.
Per sapere come scegliere la serata migliore, il luogo e la strumentazione più adatta, e tutti i consigli per prepararsi al meglio, l’articolo completo lo potete leggere su Coelum astronomia 209 di marzo 2017 a pag. 132 (sempre in formato digitale e gratuito).
Sempre sullo stesso numero trovate poi i racconti di esperienze dirette, per capire meglio cosa ci si prepara ad affrontare, l’organizzazione, gli imprevisti ma, soprattutto, le emozioni:
• “La meravigliosa tenacia con cui, durante tutta la notte, combattevamo contro il meteo avverso per completare la ista era pari solo all’incantevole atmosfera di amicizia e di cameratismo che si determinò dal tramonto all’alba…” continua a leggere su:L’Esperienza di Paolo Colona
• “Dobbiamo vincere la competizione contro la rotazione terrestre! È indispensabile una serrata tabella di marcia che comincia con gli oggetti a ovest, prossimi al tramonto, e risale verso est, spazzando il cielo da sud a nord…” continua a leggere su:L’Esperienza di Dino Pezzella
Se poi volete affrontare la maratona in modo diverso… pur ricordando che si tratta di una sfida osservativa, Rolando Ligustri ci offre uno spunto per una Maratona Messier con il CCD.
Costruirsi il proprio elenco di oggetti da osservare (come raccomanda Claudio Pra nel suo articolo) e organizzare tutto l’occorrente fa parte del gioco… ma per chi ha poco tempo o preferisce avere tutto già pronto, in rete trovate poi moltissime risorse utili, come ad esempio sul sito dedicato alla Maratona Messier della UAI, oltre a una serie di link utili per approfondire l’argomento trovate anche:
E poiché le notti migliori per affrontare la maratona sono quelle con meno disturbo lunare, non mancate di dare un occhio alle effemeridi della Luna, che trovate nella sezione Cielo del Mese.
Ora non resta che scegliere la serata più adatta e dare il via alla vostra Maratona Messier! E se vi va poi di raccontarcela, potete inserire la vostra esperienza direttamente nei commenti qui sotto.
Indice dei contenuti
Cieli sereni e buone osservazioni!
Coelum non è solo l’ultimo numero!
Scegli l’argomento che preferisci e inizia a leggere! E’ gratis…
Lunedì 20 marzo, ore 18.30
Nel Cielo. Meraviglie del cielo stellato di primavera
Relatore: Stefano Schirinzi (Circolo Culturale Astrofili Trieste)
Lunedì 27 marzo, ore 18.30
Cosmologia. L’origine della costante cosmologica
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec (Circolo Culturale Astrofili Trieste).
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, via dei Tominz 4.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
La mostra “Oltre l’Uomo: da Leonardo alle Biotecnologie“, visitabile dal 28 gennaio al 2 maggio 2017, è organizzata dal Distretto della Scienza e tecnologia, Pleiadi, società di divulgazione scientifica, insieme al Comune di Schio e a Confindustria Vicenza Raggruppamento Alto Vicentino. La mostra, pensata per il grande pubblico, famiglie, scuole, studenti universitari, professionisti ricercatori e turisti, è visitabile presso gli Spazi Shed dell’ex-Lanificio Conte in centro a Schio. Oltre l’Uomo è vero percorso espositivo e suggestivo che accompagna il pubblico nel passato, nel presente e nel futuro dell’ingegno umano: dalle prime invenzioni di Leonardo da Vinci, e i suoi studi tratti dalla natura e dal corpo umano per concepire macchine al servizio dell’uomo, alle prime automazioni che sostituiscono il lavoro umano con quello meccanico dei robot che replicano le sembianze umane, con le relative conseguenze sul piano sociale e psicologico; fino ad arrivare alle nuove biotecnologie, in cui il benessere e la vita stessa dell’uomo sono supportate dalla ricerca applicata in campo biomedicale: laser, protesi, robotica, biotech, fino alla stampa 3D degli organi umani. http://www.distrettoscienza.it
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