Una delle più importanti scoperte effettuate dalla missione Cassini in orbita attorno a Saturno è sicuramente quella dei geyser che si staccano dal polo sud di Encelado, forse collegati al vasto oceano che si nasconde al di sotto della crosta ghiacciata che avvolge la luna. Ora, nuove analisi delle osservazioni alle microonde di questa regione rivelano che la temperatura a pochi metri di profondità è più elevata del previsto – una scoperta che potrebbe avere importanti implicazioni per quanto riguarda la potenziale abitabilità di questa straordinaria luna.
I geyser di vapore acqueo e ghiaccio osservati da Cassini si staccano da quattro fratture calde, note come “tiger stripes”, che solcano il polo sud di Encelado. Le nuove analisi si basano su dati raccolti durante un sorvolo avvenuto nel 2011.
«Durante quel flyby, abbiamo ottenuto le prime e purtroppo uniche osservazioni ad alta risoluzione del polo sud di Encelado alle microonde,» spiega Alice Le Gall del laboratorio LATMOS. «Queste osservazioni ci forniscono importanti dati sul sottosuolo di Encelado. Le analisi indicano che, entro i primi metri di profondità, le temperature, pur aggirandosi tra –220 e –210 gradi centigradi, sono comunque molto più calde del previsto: in alcuni punti, perfino 20 gradi più calde. Questa differenza non può essere solamente il risultato di una diversa illuminazione da parte del Sole o dell’influenza di Saturno».
Le osservazioni effettuate nell’infrarosso, limitate alla superficie, sono indicative di temperature molto più basse; secondo gli scienzati, dunque, lo strato caldo sarebbe avvolto da strati molto più freddi.
Le osservazioni di Cassini hanno coperto un’area a forma di arco, lunga 500 chilometri, larga 25 km e situata 30-50 km a nord delle tiger stripes. Purtroppo, a causa della geometria del flyby, Cassini non ha potuto osservare le tiger stripes direttamente; tuttavia, la presenza di queste anomalie termiche indica che il fenomeno all’origine dei geyser potrebbe interessare una regione ben più vasta delle sole quattro fratture più evidenti.
«L’anomalia termica visibile alle microonde risulta molto evidente lungo tre fratture simili alle tiger stripes, ma da cui non sono ancora stati osservati geyser,» prosegue Le Gall. La presenza di queste fratture dormienti suggerisce che l’attività idrotermale di Encelado abbia avuto una natura episodica in passato, almeno a livello geografico.
Le analisi termiche suggeriscono che la crosta del polo sud di Encelado possa essere spessa solamente 2 chilometri. Questo nuovo risultato è in linea con uno studio risalente all’anno scorso, secondo cui lo spessore medio della crosta – circa 18-22 chilometri – si riduce notevolmente, fino a meno di 5 chilometri, in corrispondenza del polo sud.
La sorgente del calore potrebbero essere le periodiche compressioni e deformazioni della luna dovute all’eccentricità del suo percorso orbitale attorno a Saturno. Avendo una crosta più sottile, il polo sud sarebbe più sensibile a queste variazioni di natura mareale.
«Questa scoperta apre nuove prospettive per far luce sulla presenza di condizioni abitabili sulle lune ghiacciate dei giganti gassosi,» spiega Nicolas Altobelli dell’ESA. «Se l’oceano sotterraneo di Encelado fosse davvero così vicino alla superficie come questo studio indica, una futura missione dotata di un radar in grado di penetrare il ghiaccio potrebbe essere in grado di rilevarlo».
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Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
Programma: 9 – 12 marzo 2017 – Il Congresso degli Astrofili Ricercatori
Il Congresso degli Astrofili Ricercatori si terrà nelle date indicate presso il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza (via Medaglie d’Oro, 51) con esposizione delle principali opere e gli strumenti di G. B. Lacchini. Il 9 marzo, durante la serata inaugurale del congresso sarà opite d’onore l’astronautica ed astrofisico Umberto Guidoni.
L’11 e il 12 marzo si terranno alcune conferenze e dibattiti tenuti dagli astrofili ricercatori italiani, suddivisi
per sezione:
– Asteroidi
– Meteore
– Novae
– Pianeti extrasolari
– Spettroscopia
– Supernovae
– Stelle variabili
Il Convegno è rivolto agli astrofili ricercatori a livello nazionale con alcuni contributi culturali di livello internazionale. 18 marzo – 2 aprile – Mostra: “l’astronomia attorno a noi”
Dal 18 marzo al 2 aprile 2017 sarà allestita presso il Palazzo delle Esposizioni di Faenza la mostra “l’astronomia attorno a noi”.
Questa iniziativa, che si svilupperà in collaborazione con la Palestra della Scienza, varie componenti del Tavolo della Scienza del Comune di Faenza ed altre importanti realtà locali, sarà incentrata su diverse sezioni principali:
– storica (anche con alcune opere e strumenti di Lacchini)
– moderna (nuove conoscenze)
– artistica, con opere prodotte con tecniche diverse, ma inerenti l’astronomia
– concorso rivolto alle scuole
– laboratori didattici
– libri (anche con testi di Lacchini di cui alcune riproduzioni)
Le varie sezioni saranno inoltre arricchite con la presenza di numerosi exhibit che renderanno più accattivante la fruizione e la comprensione dei principali concetti scientifici presentati. Il programma dell’esposizione sarà inoltre arricchito da eventi collaterali inerenti, conferenze, dibattiti ed altro che ripercorreranno l’evoluzione delle conoscenze di astronomia degli ultimi due secoli.
Il sistema binario, noto come X9, è situato nel cuore dell’ammasso globulare 47 Tucanae, a 14,8 mila anni luce dalla Terra. X9 è sotto studio da diversi anni, ma solo di recente nuove osservazioni alle onde radio hanno rivelato la sua vera natura. In precedenza, gli astronomi ritenevano che si trattasse di una nana bianca che stesse attraendo materiale da una compagna simile al Sole, ora invece sono convinti che il sistema sia costituito da un buco nero che attrae materiale da una nana bianca.
I dati raccolti da Chandra nella regione spettrale dei raggi X indicano che la luminosità della stella varia seguendo un ciclo che si ripete ogni 28 minuti. Questo dato, secondo i ricercatori, corrisponderebbe al periodo impiegato dalla nana bianca a completare una rivoluzione intorno al buco nero – il più rapido balletto orbitale mai osservato tra una stella e un buco nero.
Le osservazioni di Chandra sono indicative anche della presenza di vaste quantità di ossigeno, una scoperta che conferma la natura di nana bianca della stella compagna. La stella sarebbe situata ad appena 2,5 distanze lunari dal buco nero, pari a 960 mila chilometri.
«Questa nana bianca è così vicina al buco nero che il suo materiale va a formare un disco di materia intorno al buco nero, prima di precipitare al suo interno,» spiega Arash Bahramian dell’Università dell’Alberta. «Riteniamo che la stella in sé sia in un’orbita stabile».
Nonostante l’apparente stabilità della sua orbita, il futuro della nana bianca rimane incerto.
«Il buco nero potrebbe risucchiare talmente tanto materiale da renderla massiccia quanto un pianeta,» aggiunge Craig Heinke. «Se questa tendenza dovesse continuare, la stella potrebbe evaporare completamente».
Dati alla mano, gli astronomi hanno costruito varie simulazioni per cercare di tracciare l’evoluzione dinamica di questo sistema e risalire alla sua origine. Una possibilità è che il buco nero abbia interagito con una gigante rossa, i cui strati esterni sarebbero stati espulsi dal sistema. Il cuore della stella, invece, sarebbe andato a formare la nana bianca visibile oggi. Tramite l’espulsione di onde gravitazionali, infine, la nana bianca si sarebbe stabilita nella sua orbita attuale.
Purtroppo, i calcoli degli scienziati indicano che le onde gravitazionali dovute a questo evento avrebbero una frequenza troppo bassa per poter essere osservata dall’interferometro LIGO.
Una spiegazione alternativa prevede che la nana bianca sia nei pressi di una stella di neutroni, piuttosto che di un buco nero. In questo scenario, il materiale in caduta verso la stella di neutroni ne accelererebbe il moto di rotazione, trasformandola in una “pulsar millisecondo“. Tuttavia, varie proprietà tipiche di questi insoliti oggetti – tra cui la caratteristica variabilità alle lunghezze d’onda dei raggi X e radio – non sono state osservate nel caso di X9.
«Terremo d’occhio questa binaria, dato che sappiamo molto poco di come un sistema simile si comporti,» spiega Vlad Tudor della Curtin University. «Inoltre, continueremo a studiare altri ammassi globulari nella nostra galassia, alla ricerca di altri sistemi simili, così compatti».
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Il telescopio spaziale Hubble ci regala un ritratto straordinariamente affascinante del giovane superammasso di stelle conosciuto come Westerlund 1, un “vicino di casa” situato ad appena 15mila anni luce di distanza dal nostro Sistema solare, nella Via Lattea. È qui che gli astronomi hanno scoperto una delle più grandi stelle di sempre: un sole mostruoso con un raggio 1500 volte maggiore a quello che si trova al centro nostro Sistema.
Le stelle vengono classificate a seconda del loro spettro di emissione, temperatura superficiale e luminosità. Ed è durante il meticoloso studio di classificazione del giovane superammasso stellare che i ricercatori sono inciampati nella supergigante rossa Westerlund 1-26: una stella di dimensioni davvero eccezionali se pensiamo che, all’interno del nostro Sistema solare, si estenderebbe ben oltre l’orbita di Giove.
La maggior parte delle stelle che compongono Westerlund 1 si sono, con tutta probabilità, formate nello stesso momento e hanno età e composizioni simili. L’ammasso è relativamente giovane in termini astrofisici, un ragazzino di 3 milioni di anni se messo a confronto con il nostro Sole che brilla nel cielo da 4,6 miliardi di anni.
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Ecco un’altra bella congiunzione: Spica (alfa Virginis, mag. +1,1), la notte del 14 marzo, sarà accompagnata dal pianeta Giove (mag. –2,4) e dalla Luna all’inizio della fase calante. Sarà possibile trovare i tre astri, la sera, guardando verso oriente.
La Luna e Giove sorgeranno infatti dall’orizzonte est attorno alle 20:30, a una distanza reciproca di circa 2°. Una ventina di minuti dopo sorgerà anche la stella Spica, 4° e mezzo circa a sudovest di Giove.
La minima distanza tra il centro della Luna e Giove, di 1,9°, sarà raggiunta attorno alle 22, quando il terzetto si troverà a un’altezza media di 15°. Potremo poi seguire i tre astri attraversare il cielo in formazione, fino al mattino, quando tramonteranno, poco dopo l’alba, dietro l’orizzonte ovest.
Anche questa congiunzione si presta bene per riprese a grande campo.
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Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo
➜ La Luna di marzo.Un approfondito e interessante articolo alla scoperta di Plato, il Grande Lago Nero, e i suoi misteri.
Tutti consigli per l’osservazione del cielo di marzo su Coelum Astronomia 209
Fino a lunedì 3 aprile ospitiamo il Corso teorico di astronomia generale: un ciclo di conferenze settimanali che offre uno sguardo su argomenti raramente trattati nei corsi divulgativi. Scopriremo quali leggi fisiche agiscono nei più importanti fenomeni astronomici, per comprendere l’universo e la scienza che lo studia: approfondimenti di grandissimo interesse per gli appassionati. Un modulo riguarderà anche la meccanica quantistica.
– Gli incontri si svolgeranno tutti i lunedì dalle 21 alle 22.30 presso la nostra sede: sala conferenze San Gregorio Barbarigo, di fronte alla Metro B.
– Lunedì 13 marzo: “La nascita dell’astrofisica”.
Come sappiamo composizione chimica, temperatura, pressione, velocità, massa e altre caratteristiche delle stelle? ..La lezione comprende un’esperienza pratica: osserveremo dal vivo lo spettro discreto ad emissione tipico delle nebulose interstellari.
– Lunedì 20 marzo: “Le dimensioni dell’Universo”.
Un taglio storico per approfondire l’argomento delle distanze astronomiche. In dettaglio: Parallasse, Cefeidi, Supernovae Ia e le altre candele standard, costante di Hubble e Oscillazioni di Massa Barionica. Sul filo tra scienza e umanesimo.
Lunedì 13 marzo, ore 18.30
Nella galassia. Ricerca e proprietà dei pianeti extra-solari
Relatore: Antonio Pasqua (Circolo Culturale Astrofili Trieste)
Lunedì 20 marzo, ore 18.30
Nel Cielo. Meraviglie del cielo stellato di primavera
Relatore: Stefano Schirinzi (Circolo Culturale Astrofili Trieste)
Lunedì 27 marzo, ore 18.30
Cosmologia. L’origine della costante cosmologica
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec (Circolo Culturale Astrofili Trieste).
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, via dei Tominz 4.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
Un’equipe internazionale di astronomi, guidati da Nicolas Laporte dell’University College di Londra, ha usato il telescopio ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) per osservare A2744_YD4, la galassia più giovane e più distante mai osservata da ALMA. Soprendentemente hanno trovato che questa giovane galassia contiene molta polvere interstellare – polvere formata dalla morte di una generazione precedente di stelle.
Osservazioni successive con lo strumento X-shooter sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO hanno confermato l’enorme distanza di A2744_YD4. La galassia ci appare quindi così com’era quando l’Universo aveva solo 600 milioni di anni, durante il periodo in cui si stavano formando le prime stelle e le prime galassie.
Nicolas Laporte ci rivela che «Non solo A2744_YD4 è la galassia più distante mai osservata da ALMA, ma trovare così tanta polvere indica che una generazione precedente di supernove deve aver “inquinato” questa galassia».
La polvere cosmica è composta per la maggior parte da silicio, carbonio e alluminio, in grani piccolissimi, fino a un milionesimo di centimetro. Gli elementi chimici presenti nei grani si formano all’interno delle stelle e vengono sparsi nel cosmo quando le stelle muoiono, nel modo più spettacolare attraverso un’esplosione di supernova, l’atto finale della vita breve e intensa delle stelle più massicce.
Mentre oggi la polvere è abbondante e rappresenta un elemento chiave nella formazione di stelle, pianeti e molecole complesse, nell’Universo primordiale, invece, prima che le prime generazioni di stelle terminassero la propria vita, era molto scarsa.
Le osservazioni della galassia polverosa A2744_YD4 sono state possibili perché si trova dietro a un ammasso di galassie massiccio chiamato Abell 2744. Grazie a un fenomeno noto comelente gravitazionale, l’ammasso agisce come un gigantesco “telescopio” cosmico e ingrandisce la galassia più distante di circa 1,8 volte, permettendo così all’equipe di osservare una zona più lontana dell’Universo.
Le osservazioni di ALMA hanno anche trovato emissione di ossigeno ionizzato proveniente da A2744_YD4. È la più distante, e quindi la più antica nel tempo, rivelazione di ossigeno nell’Universo, e batte un precedente risultato di ALMA risalente al 2016.
L’osservazione di polvere nell’Universo primordiale fornisce nuove informazioni sull’epoca in cui sono esplose le prime supernove e perciò il momento in cui le prime stelle caldissime hanno inondato l’Universo di luce. Determinare l’epoca di questa “alba cosmica” è uno dei santi graal dell’astronomia moderna che ora può essere dedotta in modo indiretto grazie allo studio della polvere interstellare primordiale.
L’equipe stima che A2744_YD4 contenesse una quantità di polvere equivalente a 6 milioni di volte la massa del Sole, mentre la massa totale delle stelle della galassia – o massa stellare – era di 2 miliardi di volte la massa del Sole. Il tasso di formazione stellare è indicato come di 20 masse solari per anno contro la singola massa solare all’anno della Via Lattea.
«Un tasso non insolito per una galassia così distante, ma indica come la polvere di A2744_YD4 si sia formata velocemente,» spiega Richard Ellis (ESO e University College di Londra), coautore del lavoro. «È sorprendente verificare che il tempo richiesto è di soli 200 milioni di anni – stiamo in pratica osservando questa galassia poco dopo la sua formazione».
In altre parole, un episodio di formazione stellare significatio è iniziato 200 milioni di anni prima dell’era in cui osserviamo adesso quella galassia. Una grande opportunità che ALMA ci offre per studiare l’era in cui le prime stelle e le prime galassie si sono letteralmente “accese” – le epoche più antiche mai sondate.
Il nostro Sole, il nostro pianeta e la nostra esistenza sono il prodotto – 13 miliardi di anni dopo – di queste prime generazioni di stelle. Studiando la loro formazione, le loro vite e la loro morte stiamo in pratica esplorando le nostre origini.
«Con ALMA, le prospettive per osservazioni più profonde e più estese di galassie simili a questa in queste epoche così lontane sono molto promettenti», commenta Ellis.
E Laporte conclude: «Ulteriori misure di questo tipo ci daranno una prospettiva esaltante di poter tracciare le prime e più antiche formazioni stellari e la creazione di elementi chimici più pesanti anche più antiche, nell’Universo primordiale».
Le osservazioni di ALMA hanno rivelato che una galassia molto distante, osservata quando l’Universo aveva solo il 4% della sua età attuale, era molto ricco di polvere cosmica. Questo episodio di ESOcast “in pillole” mostra cosa significa e perchè è importante.
Il video è disponibile in 4K UHD.
Crediti: ESO
Editing: Herbert Zodet.
Web and technical support: Mathias André and Raquel Yumi Shida.
Written by: Thomas Barratt and Lauren Fuge.
Music: Jennifer Athena Galatis.
Footage and photos: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), NASA, ESA, ESO and D. Coe (STScI)/J. Merten (Heidelberg/Bologna)/spaceengine.org/Digitized Sky Survey 2, M. Kornmesser and P. Horálek.
Directed by: Herbert Zodet.
Executive producer: Lars Lindberg Christensen.
Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
Gli ammassi stellari contengono solo stelle vetuste? In teoria sarebbe così, ma gli scienziati hanno di recente scoperto una popolazione di stelle “giovani” nella Grande nube di Magellano, galassia nana satellite della nostra. Strano? Sì, perché gli ammassi stellari contengono stelle nate e cresciute tutte nella stessa epoca (più o meno la stessa della Via Lattea) e dallo stesso materiale primordiale. La scoperta, pubblicata su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è stata realizzata incrociando le posizioni di diverse migliaia di giovani stelle con le posizioni degli ammassi stellari: i ricercatori hanno trovato 15 candidati stellari che sarebbero effettivamente molto più giovani di altre stelle all’interno dello stesso ammasso. «Se questa ipotesi è corretta, dovranno essere rivisitati e rivisti modelli importanti», dice Bi-Qing For, dell’International Centre for Radio Astronomy Research (Icrar) di Perth (Australia), riferendosi a modelli che mettono in relazione la massa e l’evoluzione delle stelle nei cluster.
«La formazione di queste stelle più giovani potrebbe essere stata alimentata da gas che è entrato nel cluster dallo spazio interstellare, ma abbiamo eliminato questa possibilità utilizzando le osservazioni fatte con i radiotelescopi», spiega il co-autore Kenji Bekki (anche lui Icrar), «per dimostrare che non c’era alcuna correlazione tra l’idrogeno interstellare e la posizione dei cluster che stavamo studiando». Cosa è successo? «Crediamo che le stelle più giovani siano state create dalla materia espulsa dalle stelle più vecchie in fase di estinzione, il che significherebbe che abbiamo scoperto generazioni multiple di stelle appartenenti allo stesso cluster».
Le stelle sono state osservate agli infrarossi con Spitzer ed Herschel di Nasa ed Esa, perché la polvere attorno a loro impediva le rilevazioni in banda ottica. Presto questo involucro di polvere e gas sparirà, e anche Hubble sarà in grado di vederle.
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Tornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.
03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.
10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.
24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.
10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.
24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.
31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.
Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.it – www.fe.infn.it
Nei suoi quasi vent’anni di attività nello spazio, la missione Cassini ha fatto molto per ispirare il genere umano. Partita nell’ottobre del 1997 da Cape Canaveral, la sonda della Nasa ha inviato a Terra alcune delle immagini più spettacolari della storia dell’esplorazione spaziale: dagli anelli di Saturno, alle sue lune ghiacciate, passando per scorci mozzafiato dell’atmosfera del gigante con gli anelli. La sonda Cassini non si è limitata a studiare Saturno e il suo sistema, scoprendo ad esempio i geyser d’acqua al polo sud di Encelado o i mari di idrocarburi su Titano, ma ha realizzato delle vere e proprie opere d’arte, come il selfie collettivo scattato a luglio del 2013, inquadrando la Terra, o le immagini di Giove e della sua densa atmosfera, catturate durante la manovra di sorvolo ravvicinato del pianeta nel 2000.
Negli ultimi mesi Cassini si è inserita su orbite sempre più vicine al pianeta e agli anelli, ottenendo le immagini a più alta risoluzione di sempre. La sonda si sta avvicinando al suo gran finale, previsto per il 15 settembre prossimo, durante il quale la sonda si tufferà nell’atmosfera del pianeta. Questo simbolico evento segnerà la fine di una delle missioni spaziali più ambiziose mai realizzate dall’umanità. Per celebrare questa occasione la Nasa ha lanciato un concorso, con il quale raccoglierà opere d’arte ispirate dalla missione Cassini.
L’idea è di consultare una selezione di immagini tra quelle scattate dalla sonda nel corso della sua attività, e di lasciarsi solleticare la fantasia. Una volta scelta l’immagine, associata magari alla scoperta scientifica che più vi ha colpito, potrete scrivere una poesia o un testo di prosa, realizzare un quadro, un collage o una fotografia, mettere in scena un’opera teatrale o una danza. La libertà, dal punto di vista creativo è totale, purché l’opera finale non violi i diritti d’autore di nessuno e non contenga messaggi commerciali (per consultare il regolamento completo, visitate questa pagina).
Per partecipare sarà sufficiente condividere la vostra creazione su una piattaforma social a scelta utilizzando l’hashtag #CassiniInspires, oppure inviandola direttamente all’indirizzo di posta elettronica cassinimission@jpl.nasa.gov. Quelle ritenute migliori verranno condivise sulle pagine social della Nasa e sulla pagina internet dedicata al concorso. Che aspettate? Cassini non vede l’ora di diventare la vostra musa.
Aggiornamenti dal Sistema solare, con le ultime scoperte delle quattro principali missioni, oltre a Cassini quindi anche le ultime scoperte da Rosetta, Dawn e Juno.
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La Luna quasi piena e la stella Regolo (alfa Leonis, mag. +1,4) saranno in congiunzione il 10 marzo, verso le 22:35. I due astri splenderanno altissimi in cielo (quasi 60° di altezza sull’orizzonte), e la loro distanza reciproca sarà di 1,2° per cui saranno osservabili entrambi, oltre che a occhio nudo, anche attraverso un telescopio, all’interno dello stesso campo visivo.
Nella visione ad occhio nudo è necessario considerare che Regolo sarà immersa nel forte chiarore lunare.
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➜ La Luna di marzo. Un approfondito e interessante articolo alla scoperta di Plato, il Grande Lago Nero, e i suoi misteri.
Una nuova immagine dalla sonda Cassini ci mostra Encelado come un mondo diviso, e proprio come l’antica divinità greca Giano, ci mostra i suoi due volti: tra passato e futuro, tra superficie esterna e attività interna.
A nord un volto antico, segnato dalle grandi quantità di crateri e i tanti impatti che la luna ha subito nell’arco della sua vita, e che ce ne racconta il passato mostrandoci la parte più esterna. A sud una superficie più liscia, giovane, increspata solo dall’attività geologica più recente e tutt’ora in corso, che ci svela il suo interno.
La maggior parte dei corpi del Sistema solare che non possiedono un’atmosfera sono infatti pesantemente butterati come il nord di Encelado (di 504 chilometri di diametro), registrando e mantenendo traccia di ogni impatto ed evento subito.
Tuttavia, l’attività geologica nel suo emisfero sud, attività probabilmente tutt’ora in corso di cui ne è segno anche il famoso pennacchio del polo sud, ha l’effetto di cancellare i “segni dell’età” appianando i crateri e lasciando una superficie più giovane e liscia, proprio come un moderno lifting.
Su Coelum Astronomia di marzo tutti gli Aggiornamenti dal Sistema solare, con le ultime scoperte delle quattro principali missioni, oltre la Cassini quindi anche le ultime scoperte da Rosetta, Dawn e Juno.
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9 marzo: LIFT-OFF – Diretta streaming di esplorazione spaziale 16 marzo: Corso di astrofotografia on line 30 marzo: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
Tralasciando le ambizioni a dirla tutta non ben definite delle varie agenzie spaziali nazionali intorno all’esplorazione umana della Luna, due sono i protagonisti di un testa a testa in una rinnovata corsa non solo più genericamente spaziale, ma definitivamente lunare. Potrebbe sembrare ormai una gara a chi lancia l’asta più lontano, ma dato il calibro delle due aziende e il loro potenziale visionario, è quanto meno curioso e doveroso analizzare quanto in questi giorni dichiarato. Se Elon Musk e SpaceX puntano a compiere un volo circumlunare entro la fine dell’anno prossimo, ora sappiamo da un dossier circolato in ambienti NASA, che anche Jeff Bezos ha ambizioni legate al satellite naturale della Terra.
Secondo il Washington Post, infatti, il CEO di Amazon Jeff Bezos, starebbe preparando un servizio in grado di consegnare materiali sulla Luna attraverso la sua seconda compagnia, Blue Origin, di recente focalizzatasi su voli suborbitali e svariati test di successo condotti con il lanciatore New Shepard. Un servizio di questo tipo, secondo Bezos, sarebbe cruciale per la costruzione di un avamposto lunare. In un documento presentato dall’azienda di Bezos e riportato dal Post, il miliardario dice che l’obiettivo è motivare la NASA a trasferire a società come Blue Origin degli incentivi per sviluppare una vera e propria struttura logistica spaziale e commerciale, che potrebbe vedere la luce entro il 2020. Lo stesso rapporto descrive anche uno dei veicoli della Blue Origin, che sarebbe in grado di trasportare fino a 4.500 kg di carico. Massa decisamente notevole quando pensiamo che la media dei rifornimenti verso la stazione spaziale raggiunge a stento i 3.000 kg. Questo dossier sarebbe stato inviato sia alla NASA che alla Casa Bianca, che sin dai primi giorni dall’insediamento del presidente Trump ha mostrato un rinnovato entusiasmo nei confronti della Luna, dopo un periodo in cui, con l’amministrazione Obama, il cosiddetto Journey to Mars l’aveva fatta da padrone.
Al posto quindi della NASA che corre contro i sovietici per la conquista della Luna, nella versione della corsa allo spazio che conosciamo dalla storia del ventesimo secolo, ci sono ora miliardari che cercano di sorpassarsi a vicenda in una sfida a due che coinvolge anche l’agenzia spaziale americana. E quest’ultima,in un periodo di transizione, con sempre maggiore difficoltà, riesce ad interpretare e sfruttare le ambizioni dei propri contractor (ricordiamo infatti che anche Blue Origin è diventata fornitore NASA per missioni suborbitali).
E’ noto come Jeff Bezos ed Elon Musk si siano spesso “impallinati” in relazione ai rispettivi programmi spaziali. Nel 2015 per esempio Bezos annunciò che il suo razzo New Shepard era riuscito a compiere il primo volo suborbitale atterrando con successo. L’annuncio fu fatto prima che SpaceX ottenesse il suo primo successo con il razzo orbitale Falcon 9 e il successivo atterraggio riuscito del primo stadio, ma ben dopo che SpaceX avesse con successo lanciato il suo vettore suborbitale Grasshopper, ottenendone l’atterraggio con successo. Musk non fu affatto contento dell’affermazione di Bezos secondo cui il New Shepard fosse il primo ad essere riutilizzabile e lo scrisse a Bezos pubblicamente su Twitter.
Sebbene i due miliardari sembrino essere venuti a migliori consigli in seguito e sebbene il piano di Bezos non si sovrapponga a quello di SpaceX in merito all’esplorazione lunare, è però curioso il tempismo con il quale le due aziende siano uscite con comunicati e dossier. Ed è parimenti curioso come entrambe le uscite seguano di soli pochi giorni quella della NASA sulla valutazione di un equipaggio umano sul volo inaugurale (pure esso circumlunare) di Orion e SLS. Tutto questo potrebbe avere a che fare con un collegamento a Donald Trump.
Una “Trump connection”
Nei giorni scorsi sono serpeggiate sulla rete delle indiscrezioni intorno alla possibilità che il presidente Trump facesse un esplicito riferimento al volo spaziale con equipaggio umano durante il discorso sullo davanti al Congresso lo scorso martedì. Questo riferimento però non c’è stato. Secondo un rapporto di Politico, Trump doveva includere nel discorso una sua visione più completa del futuro dell’America nello spazio, ma tutto è stato relegato all’ultimo minuto. Di fatto l’unica affermazione è stata quella secondo cui «quello di impronte americane su altri mondi non è un sogno troppo grande da accarezzare». Entrambi i miliardari sono entrati in contatto con il presidente Trump. Sia Musk che Bezos hanno partecipato al summit sulle tecnologie tenuto da Trump prima del suo insediamento a dicembre 2016: erano seduti esattamente ai due capi opposti del lungo tavolo. Musk è poi membro del consiglio di consulta economica di Trump. E’ quindi decisamente immediato pensare che il riferimento che avrebbe dovuto fare Trump davanti al congresso in merito all’esplorazione spaziale sia stato demandato alle due aziende nel giro di pochissimi giorni .
Ad oggi la NASA non ha ancora un amministratore designato e si fa fatica ad interpretare i segnali che giungono dall’agenzia in merito alla visione dei prossimi anni, tuttavia è ora ben chiaro che l’amministrazione Trump ha puntato verso un ritorno sulla Luna, ben più decisamente rispetto al “passaggio lunare” idealmente incorporato nel Journey to Mars, nel quale il satellite della Terra o un asteroide, sarebbero serviti da avamposti per l’esplorazione del Pianeta Rosso. In un contesto politico in cui le pressioni di diversi membri del Congresso a totale maggioranza repubblicana spingono per una maggiore ingerenza dell’impresa privata nell’industria spaziale e per iniziative di esplorazione lunare, questi segnali non sono da trascurare. Per essere chiari, i piani sono decisamente troppo ambiziosi: basti pensare che il record di tempo tra l’introduzione di un vettore/capsula e il suo primo utilizzo con equipaggio umano è di 13 mesi e fu di Saturno/Apollo, mentre SpaceX ha 18 mesi davanti per riuscire a realizzare il volo circumlunare appena annunciato. Eppure nonostante questo sbalzo tra visioni e possibilità oggettive, c’è ampio spazio per valutare (magari non tra qualche mese, ma tra qualche anno) se un ritorno dell’uomo sulla Luna possa essere di nuovo alla portata e con esiti diversi dal programma Apollo. Ovvero permanenza e continuazione dell’esplorazione.
Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
Organizzata dal Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”. Inaugurazione Sabato 11 Marzo alle ore 16:00 con interventi autorità locali e ospiti speciali. La mostra sarà costituita da numerose sezioni che spaziano tra diversi argomenti di astronomia, di storia dell’astronomia e di astronautica. Ogni sezione sarà presidiata dai soci del gruppo che ne illustreranno il contenuto.
Programma: 9 – 12 marzo 2017 – Il Congresso degli Astrofili Ricercatori
Il Congresso degli Astrofili Ricercatori si terrà nelle date indicate presso il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza (via Medaglie d’Oro, 51) con esposizione delle principali opere e gli strumenti di G. B. Lacchini. Il 9 marzo, durante la serata inaugurale del congresso sarà opite d’onore l’astronautica ed astrofisico Umberto Guidoni.
L’11 e il 12 marzo si terranno alcune conferenze e dibattiti tenuti dagli astrofili ricercatori italiani, suddivisi
per sezione:
– Asteroidi
– Meteore
– Novae
– Pianeti extrasolari
– Spettroscopia
– Supernovae
– Stelle variabili
Il Convegno è rivolto agli astrofili ricercatori a livello nazionale con alcuni contributi culturali di livello internazionale. 18 marzo – 2 aprile – Mostra: “l’astronomia attorno a noi”
Dal 18 marzo al 2 aprile 2017 sarà allestita presso il Palazzo delle Esposizioni di Faenza la mostra “l’astronomia attorno a noi”.
Questa iniziativa, che si svilupperà in collaborazione con la Palestra della Scienza, varie componenti del Tavolo della Scienza del Comune di Faenza ed altre importanti realtà locali, sarà incentrata su diverse sezioni principali:
– storica (anche con alcune opere e strumenti di Lacchini)
– moderna (nuove conoscenze)
– artistica, con opere prodotte con tecniche diverse, ma inerenti l’astronomia
– concorso rivolto alle scuole
– laboratori didattici
– libri (anche con testi di Lacchini di cui alcune riproduzioni)
Le varie sezioni saranno inoltre arricchite con la presenza di numerosi exhibit che renderanno più accattivante la fruizione e la comprensione dei principali concetti scientifici presentati. Il programma dell’esposizione sarà inoltre arricchito da eventi collaterali inerenti, conferenze, dibattiti ed altro che ripercorreranno l’evoluzione delle conoscenze di astronomia degli ultimi due secoli.
Fino a lunedì 3 aprile ospitiamo il Corso teorico di astronomia generale: un ciclo di conferenze settimanali che offre uno sguardo su argomenti raramente trattati nei corsi divulgativi. Scopriremo quali leggi fisiche agiscono nei più importanti fenomeni astronomici, per comprendere l’universo e la scienza che lo studia: approfondimenti di grandissimo interesse per gli appassionati. Un modulo riguarderà anche la meccanica quantistica.
– Gli incontri si svolgeranno tutti i lunedì dalle 21 alle 22.30 presso la nostra sede: sala conferenze San Gregorio Barbarigo, di fronte alla Metro B.
– Lunedì 6 marzo: “Corpi…neri come stelle!”.
Quanta luce emette una stella? E perchè? La fisica ebbe una crisi senza paragoni per rispondere a questa domanda, con conseguenze immense e imprevedibili.
– Lunedì 13 marzo: “La nascita dell’astrofisica”.
Come sappiamo composizione chimica, temperatura, pressione, velocità, massa e altre caratteristiche delle stelle? ..La lezione comprende un’esperienza pratica: osserveremo dal vivo lo spettro discreto ad emissione tipico delle nebulose interstellari.
– Lunedì 20 marzo: “Le dimensioni dell’Universo”.
Un taglio storico per approfondire l’argomento delle distanze astronomiche. In dettaglio: Parallasse, Cefeidi, Supernovae Ia e le altre candele standard, costante di Hubble e Oscillazioni di Massa Barionica. Sul filo tra scienza e umanesimo.
La 41P/Tuttle-Giacobini-Kresak, passerà al perielio il13 aprile transitando a poco più di 1 UA dal Sole. In quel momento disterà circa 22 milioni di chilometri dalla Terra. Fortunatamente le condizioni prospettiche per una volta ci sono favorevoli, permettendoci di osservarla nelle migliori condizioni. Ma già in marzo dovrebbe risultare un oggetto notevole, soprattutto verso la fine mese, quando sarà vicina alla massima luminosità che gli esperti indicano in una buona sesta magnitudine, forse qualcosa in meno.
Poco prima dell’alba del 22 marzo passerà a meno di un grado dalla galassia M 108 e dalla planetaria M 97 e nella stessa giornata, ma in serata, la troveremo a mezzo grado dalla galassia e sempre sotto il grado dalla planetaria. Due momenti in cui gli astrofotografi potranno catturare bellissime mmagini e i visualisti potranno lustrarsi gli occhi sservando nello stesso campo tre oggetti diversi.
La C/2015 V2 Johnson intanto, da “cometina” di secondo piano, si sta man mano trasformando in un oggetto sempre più convincente. D’altra parte così deve essere, dato che si sta avvicinando al Sole. La troveremo tra le stelle dell’Ercole.
Non sanno cosa sia. Non sanno che colore abbia. Non sanno se sia formata da particelle leggere o pesanti, calde o fredde. Della materia oscura non sanno quasi niente. Ma una cosa la sanno: esercita attrazione gravitazionale, proprio come tutta l’altra materia, quella che conosciamo, quella di cui siamo fatti. E tanto si sono fatti bastare per tracciarne mappe dettagliatissime, con una risoluzione fra le più elevate mai ottenute.
Come ci sono riusciti? Sfruttando, appunto, quell’unica proprietà della quale sono certi: la forza gravitazionale. O meglio, la deformazione impressa dalla materia – normale o oscura che sia – sul tessuto dello spaziotempo. Deformazione alla quale, Einstein ci insegna, non sfugge nemmeno la luce, costretta a deviare dal suo percorso rettilineo in corrispondenza di grandi masse. Con effetti sorprendenti come quello – ben noto agli astronomi – della lente gravitazionale: una “lente d’ingrandimento” cosmica costituita non da vetro opportunamente molato bensì da enormi agglomerati di materia. Nel caso specifico, interi ammassi di galassie. Ammassi che – proprio come il vetro della lente – possono avere come effetto quello di convergere a favore di chi osserva i raggi di luce emessi da lontane sorgenti alle loro spalle.
Un effetto che, di solito, gli astronomi sfruttano per vedere meglio cosa c’è, dietro alla lente. Non in questo caso. Questa volta l’oggetto di studio, l’incognita, era la “lente” stessa. Conoscendone l’effetto atteso e assumendo di conoscere le sorgenti alle loro spalle, un team internazionale di astrofisici, guidato da Priyamvada Natarajan della Yale University, ha così potuto tracciare, procedendo a ritroso, la struttura di tre “lenti”: vale a dire, la mappa ad alta risoluzione della distribuzione della materia in tre ammassi di galassie. Materia costituita, se i modelli cosmologici sono corretti, per circa l’80 per cento dalla sua componente oscura.
Fra gli autori dello studio, pubblicato martedì su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, anche un ricercatore dell’Inaf di Bologna, Massimo Meneghetti.
Meneghetti, partiamo dall’inizio. Quali telescopi avete utilizzato?
«Il nostro lavoro è basato su una serie di osservazioni condotte dallo Hubble Space Telescope nell’ambito di una survey denominata “Hubble Space Telescope Frontier Fields”: si tratta di osservazioni cui Hubble ha dedicato una quantità di tempo paragonabile a quella spesa nelle osservazioni dei suoi campi più profondi, ad esempio lo Hubble Ultra-Deep-Field. Vale a dire che stiamo parlando di osservazioni tra le più profonde mai fatte. A differenza dello Hubble Ultra-Deep Field, tuttavia, i Frontier Fields sono centrati su alcuni ammassi di galassie, sei in totale».
Di che ammassi si tratta?
«Questi oggetti sono tra le strutture cosmiche più massicce che si possano osservare in cielo, e sono stati scelti perché sono delle potentissime lenti gravitazionali. La teoria della relatività generale ci spiega che le masse sono in grado di deflettere la luce in modo molto simile a quanto accade in un fenomeno di rifrazione, dando luogo a effetti quali la comparsa di immagini multiple di una stessa sorgente, distorsione della forma delle immagini e ingrandimenti (o rimpicciolimenti) di una sorgente. Questo fenomeno è detto “lensing gravitazionale”. Nei Frontier Fields, gli ammassi di galassie sono le lenti che agiscono da rifrattori su un gran numero di sorgenti retrostanti».
Ecco, le sorgenti retrostanti: cosa sapete di loro?
«Sono galassie molto lontane e, data la profondità delle osservazioni in questione, che permette di rivelare anche le sorgenti più deboli, nelle immagini degli Hubble Frontier Fields, ne stiamo rivelando un numero senza precedenti. Ad esempio, dietro all’ammasso A2744 sono state identificate 181 immagini originate da 61 galassie: 61 galassie che risultano quindi distorte dalla lente gravitazionale e rese visibili molteplici volte nella stessa immagine astronomica. Nel caso dell’ammasso MACSJ0416 sono state invece identificate 194 immagini multiple, originate da 68 galassie. Nel caso di MACSJ1149, infine, il numero di immagini è “solo” 65, originate da 22 galassie lontane».
A proposito d’immagini: quelle che avete ottenuto sono ricostruzioni a tre dimensioni della distribuzione della materia oscura. Non sono le prime che vediamo. Cos’hanno di nuovo?
«I numeri che elencavo prima sono senza precedenti. Poiché il lensing gravitazionale è dovuto alla massa della lente, è possibile utilizzare le immagini multiple e distorte, e la loro configurazione geometrica, per capire come la materia è distribuita all’interno degli ammassi lente, in particolare quella oscura, che sappiano esserne la componente dominante. L’alto numero di sorgenti distorte visibili nei Frontier Fields rende questi ammassi le lenti gravitazionali ideali per ottenere una mappatura accurata della materia oscura, anche sulle scale delle sue sottostrutture. La teoria della formazione delle strutture cosmiche ci dice infatti che gli ammassi di galassie si formano per aggregazione di oggetti più piccoli per attrazione gravitazionale. Questi oggetti, o “sotto-aloni”, mantengono una loro identità per una certa quantità di tempo anche quando sono stati conglobati negli ammassi. Nel nostro articolo discutiamo appunto delle masse di queste sottostrutture».
La distribuzione che ottenete, si legge nell’articolo, è compatibile con il modello Lambda-Cdm, il più diffuso, dove la sigla ‘Cdm’ sta appunto per cold dark matter: materia oscura fredda. Perché fredda?
«Quello che si intende per materia oscura fredda è una materia costituita da particelle con velocità non relativistiche. Viceversa, le particelle di materia oscura calda hanno velocita’ relativistiche. Quelle di materia oscura tiepida (warm) sono una via di mezzo. Questa distinzione ha una grande importanza per quanto riguarda la formazione delle strutture cosmiche: mentre nel caso della materia oscura fredda sono le strutture più piccole a formarsi per prime e poi si formano le più grandi, secondo un processo gerarchico, nel caso della materia calda o tiepida la formazione delle strutture piccole viene inibita, perché queste ultime si dissolvono a causa dell’alta velocità delle particelle, che la gravità non riesce a trattenere. Quindi, il fatto che si “vedano” sottostrutture di massa relativamente piccola all’interno delle mappe ottenute in questo studio è compatibile con uno scenario di materia oscura fredda».
Per saperne di più:
Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical l’articolo “Mapping substructure in the HST Frontier Fields cluster lenses and in cosmological simulations”, di Priyamvada Natarajan, Urmila Chadayammuri, Mathilde Jauzac, Johan Richard, Jean-Paul Kneib Harald Ebeling, Fangzhou Jiang, Frank van den Bosch, Marceau Limousin, Eric Jullo, Hakim Atek Annalisa Pillepich, Cristina Popa, Federico Marinacci, Lars Hernquist, Massimo Meneghetti e Mark Vogelsberger
Indice dei contenuti
Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
Lunedì 6 marzo, ore 18.30 Il Cielo nella storia. Gli studi astronomici dal tardo-antico al medioevo – 2° puntata
Relatore: Prof. Paolo Badalotti
Lunedì 13 marzo, ore 18.30
Nella galassia. Ricerca e proprietà dei pianeti extra-solari
Relatore: Antonio Pasqua (Circolo Culturale Astrofili Trieste)
Lunedì 20 marzo, ore 18.30
Nel Cielo. Meraviglie del cielo stellato di primavera
Relatore: Stefano Schirinzi (Circolo Culturale Astrofili Trieste)
Lunedì 27 marzo, ore 18.30
Cosmologia. L’origine della costante cosmologica
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec (Circolo Culturale Astrofili Trieste).
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, via dei Tominz 4.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
L’immagine a più alta risoluzione mai ottenuta, da terra o dallo spazio, del panorama delle nubi di Giove… Questo primo piano del Gigante Gassoso riprende la turbolenta regione a ovest della Grande Macchia Rossa, nella Cintura Equatoriale Sud.
La sonda della NASA Juno ha ripreso questa immagine grazie alla JunoCam, la camera dedicata alle riprese per il grande progetto di Citizen science lanciato per seguire la missione. L’immagine è stata ripresa l’11 dicembre scorso, ed è stata poi elaborata da Sergey Dushkin, che ha ritagliatol’immagine, e ne ha magistralmente calibrato i colori, per sottolineare la dinamicità delle nuvole di quella zona.
Le immagini grezze della sonda Juno si possono scaricare dal sito della community JunoCam, e possono essere elaborate e utilizzate a piacere da chiunque. Perché non ci provate anche voi?
Le aspettiamo anche suwww.coelum.com/photo-coelum e le più belle verranno riproposte tra le pagine di Coelum Astronomia.
Sempre nel sito della community, si potrà presto votare il target che vogliamo che Juno riprenda nel prossimo flyby, previsto per il il 27 marzo. Le votazioni inizieranno il 15 marzo e si chiuderanno il 20, in tempo per poter poi direzionare la camera sul target “vincitore”.
La sonda americana rimarrà infatti nella sua orbita preliminare attorno a Giove, dal periodo di 53 giorni, fino alla fine della sua missione.
«Abbiamo valutato molteplici scenari per portare Juno su un’orbita più bassa, ma c’era il rischio che un’altra manovra potesse risultare in un’orbita più pericolosa,» spiega Rick Nybakken della NASA. «Alla fine, la manovra rappresenta solo un rischio per il raggiungimento degli obiettivi scientifici di Juno».
Secondo il piano di volo iniziale, la sonda si sarebbe dovuta calare a un’orbita in media molto più bassa, con un periodo di soli 14 giorni, ma la manovra di riduzione del periodo era stata rimandata a tempo indeterminato in seguito ad una serie di guasti. Ad ottobre 2016, durante la pressurizzazione dei serbatoi, gli ingegneri avevano rilevato un comportamento anomalo in due delle valvole di sistema ad elio.
La decisione di lasciare Juno nella sua orbita attuale, secondo gli scienziati, non dovrebbe comportare una perdita di dati scientifici. La manovra di riduzione del periodo orbitale, infatti, avrebbe solamente abbassato l’apogiovio di Juno – il punto più alto della sua orbita – lasciando il perigiovio a circa 4100 chilometri di quota. Dato che quasi tutti gli esperimenti scientifici vengono eseguiti attorno al perigiovio, Juno dovrebbe comunque essere in grado di raggiungere tutti gli obiettivi della sua missione.
«Juno è in ottimo stato di salute, i suoi strumenti scientifici sono del tutto operativi, e i dati e le immagini che abbiamo ricevuto sono davvero straordinari,» spiega Thomas Zurbuchen della NASA. «La decisione di rinunciare alla manovra è la scelta giusta e permetterà a Juno di proseguire le sue scoperte».
Rimanendo nella sua orbita attuale, Juno potrà inoltre esplorare le propaggini della magnetosfera gioviana – una regione che è inaccessibile da orbite più basse.
«Un altro vantaggio di rimanere su un’orbia più ampia sarà che trascorreremo meno tempo nelle intense fasce di radiazione che avvolgono Giove,» spiega Scott Bolton, a capo della missione. «Le radiazioni sono il fattore più importante nel pianificare la missione di Juno».
Juno rimarrà operativa fino al luglio 2018, per un totale di 12 orbite scientifiche, con la possibilità di un’estensione di missione.
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Cercando (29) Amphirite, nel corso del mese, potremo però imbatterci anche in ben altri 5 asteroidi che si muovono nello stesso campo stellare.
Il più luminoso di questi è senza dubbio (41) Daphne, che raggiungerà la magnitudine di +9,56, quindi poco meno di (29) Amphitrite.
Nelle vicinanze sempre di Amphirite, potremo trovare anche (16) Psyche (mag. +10,26), meno luminoso ma i due asteroidi viaggeranno, prospetticamente, a poca distanza tra loro per incrociarsi negli ultimi giorni di marzo.
Un’occasione per catturare due asteroidi con una sola osservazione!
4 marzo: Osserviamo il Cielo – serata a Montecassino 9 marzo: LIFT-OFF – Diretta streaming di esplorazione spaziale 16 marzo: Corso di astrofotografia on line 30 marzo: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
La mostra Astronomia e Fisica a Firenze dalla Specola ad Arcetri ricostruisce, attraverso documenti, fotografie e strumenti, le tappe fondamentali delle due discipline scientifiche, dall’apertura al pubblico dell’Imperiale e Reale Museo di Fisica e Storia Naturale, nel 1775, alla vigilia del secondo conflitto mondiale.
Le cattedre di Astronomia e Fisica, stabilite presso il Museo negli anni Trenta dell’Ottocento, ebbero un ruolo determinante nella nascita dell’Istituto Superiore di Studi pratici di Perfezionamento, trasformato nel 1924 in Università.
L’esposizione ripercorre inoltre le tappe della carriera scientifica di Donati. Pioniere della spettroscopia astronomica ha contribuito alla nascita dell’astrofisica: suo è il primo tentativo di catalogo spettrale delle stelle mai realizzato, sua la prima osservazione dello spettro di una cometa. In mostra a disposizione dei visitatori le pubblicazioni e i documenti riguardanti la grande cometa da lui scoperta nel 1858, le osservazioni degli spettri di stelle e comete, le osservazioni delle eclissi solari e gli spettroscopi da lui concepiti e realizzati dalla Officina Galileo, che contribuì a fondare.
La mostra, curata da Fausto Barbagli, Simone Bianchi, Roberto Casalbuoni, Daniele Dominici, Massimo Mazzoni, Giuseppe Pelosi è organizzata dal Museo di Storia Naturale, dal Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università degli Studi di Firenze e da INAF– Osservatorio Astrofisico di Arcetri, in collaborazione l’Archivio Storico del Comune di Firenze, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, la Biblioteca di Scienze dell’Università di Firenze, il Museo Galileo, l’Istituto Nazionale di Ottica e Pianeta Galileo.
Il percorso espositivo nel Museo “La Specola” si articola in tre sezioni che comprendono due splendidi monumenti di gusto neoclassico fondamentali per la storia dell’Astronomia e della Fisica a Firenze: la Tribuna di Galileo e il Torrino della Specola.
Tribuna di Galileo: L’Imperiale e Reale Museo di Fisica e Storia Naturale e le prime osservazioni astronomiche
1° piano – ingresso libero Collezione Zoologica/Corridoio Mostre Temporanee: La Fisica dalla Specola ad Arcetri
2° piano: ingresso € 6/3 Torrino: La Strumentazione astronomica: visite guidate: ore 11; 12.30; 15. La visita è inclusa nel biglietto di ingresso. (Max 25 p. I gruppi si formano alla biglietteria del 2° piano. Non è richiesta la prenotazione).
La missione DAWN della NASA ha permesso agli scienziati di studiare approfonditamente Cerere. Grazie a uno studio pubblicato su Science il 17 febbraio scorso, coordinato da Maria Cristina De Sanctis, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, abbiamo appreso che sulla superficie dell’oggetto più grande della fascia principale ci sono tracce di materiale organico.
➜ leggi le ultime scoperte su Cerere su Aggiornamenti dal Sistema Solare di Pietro Capuzzo in Coelum Astrnomia 209 di marzo 2017
A spiegare al meglio la scoperta per noi sono stati, in un’intervista doppia, la stessa ricercatrice De Sanctis e il suo collaboratore Andrea Raponi, ricercatore INAF e grande esperto di Cerere.
Abbiamo visto che tanti media hanno ripreso la notizia delle tracce di materiale organico in modo non completamente corretto. Può spiegarci cosa si intende per materiale organico?
Maria Cristina De Sanctis – Parliamo di composti CH, molecole di carbonio e idrogeno.
Andrea Raponi – Per materiale organico si intendono composti del carbonio, e solitamente idrogeno, ossigeno e azoto. Il termine è spesso frainteso con materiale biologico a causa dell’origine del suo nome, che lo lega in effetti alla vita. Oggi sappiamo che materiale organico, come ad esempio il metano, può essere di origine biologica e non.
Perchè è importante precisare che si tratta di materiale costituito da composti alifatici? Quali sono le principali caratteristiche di questi composti?
Maria Cristina De Sanctis – le molecole alifatiche sono costituite da catene di legami CH. Nei composti alifatici gli atomi di carbonio possono legarsi dando vita a catene lineari o ramificate.
Andrea Raponi – Gli alifatici sono composti di carbonio e idrogeno a catena lineare. La peculiarità sta nel fatto che questi elementi possono formare molecole molto complesse, come sono ad esempio le molecole alla base della vita.
Come è stato possibile ritrovare il materiale e quali strumenti hanno maggiormente contribuito alla scoperta?
Maria Cristina De Sanctis – Il materiale è stato individuato studiando la luce riflessa dalla superficie. Detto semplicemente, ogni oggetto, a seconda della sua composizione, riflette diversamente la luce solare ed è possibile, studiando tali riflessioni (ovvero lo spettro di riflettanza), capire la composizione. Lo strumento che ha individuato tali composti è uno strumento italiano VIR. Uno spettrometro a immagine che lavora nell’intervallo di lunghezze d’onda in cui si possono individuare tali composti.
Andrea Raponi – Il materiale è stato rilevato dallo spettrometro a immagine (VIR) nel canale infrarosso a bordo della sonda NASA Dawn. Il principio base dello strumento è l’acquisizione della luce riflessa dalla superficie del pianeta nano, e la sua scomposizione nelle diverse lunghezze d’onda (lo spettro). Dalla forma di quest’ultimo si può derivare la composizione grazie alla presenza di cosiddette firme spettrali caratteristiche di ciascun composto.
Il materiale è stato trovato in prossimità delcratere Ernutet. Perchè secondo lei proprio in quella posizione? Come fanno i ricercatori, in questo tipo di missioni, a selezionare le aree da studiare approfonditamente?
Maria Cristina De Sanctis– Il motivo per cui è stato individuato in quella zona non è ancora chiaro. Apparentemente è una zona “comune”, non ha delle caratteristiche geologiche particolari rispetto ad altre zone della superficie, come sono ad esempio le zone chiare che punteggiano la superficie di Cerere. La missione Dawn, su cui VIR è imbarcato, ha osservato gran parte della superficie di Cerere, quindi noi abbiamo analizzato moltissime zone e questa vicino al cratere Ernutet è dove abbiamo riscontrato questa grande quantità di organici.
Andrea Raponi – In missioni come questa solitamente tutta la superficie viene scandagliata dagli strumenti, proprio perché in principio non si può sapere il luogo che riserverà le maggiori sorprese (per definizione stessa della parola “sorpresa”!). La posizione del ritrovamento di organici non ha caratteristiche peculiari: vicino un cratere come ce ne sono molti su Cerere. Il motivo per cui gli organici si trovano proprio lì è ancora al vaglio di varie possibilità: origine esogena (cioè portato dall’impatto con un altro corpo), o endogena (cioè processato dal materiale stesso di cui è composto mediamente Cerere). Quest’ultima ipotesi è leggermente favorita, dal momento che la sua posizione non sembra direttamente collegata alla formazione del cratere Ernutet.
Su Cerere c’è la possibilità di trovare tracce di chimica prebiotica?
Maria Cristina De Sanctis – Quello che possiamo dire è che non è un ambiente ostile per diversi motivi, tipo la presenza di ghiaccio, le temperature non eccessivamente rigide, la presenza di alcuni materiali che si formano tipicamente in ambienti idrotermali.
Andrea Raponi – Su Cerere sono stati trovati minerali contenenti tutti gli elementi base della vita (Carbonio, Idrogeno, Azoto, Ossigeno) e non è esclusa la presenza di acqua liquida nel sottosuolo, almeno nel passato. E’ quindi possibile trovare tracce di chimica prebiotica, come la formazione di amminoacidi. Tuttavia dagli amminoacidi alle proteine, o ad una molecola complessa come il DNA, c’è un abisso. Colmare questo abisso per spiegare la vita sulla Terra rappresenta tuttora una delle più grandi sfide per la scienza.
Quali misteri ci nasconde ancora la fascia principale degli asteroidi? Come sta contribuendo l’Italia in queste ricerche?
Maria Cristina De Sanctis – Di certo c’è ancora molto da scoprire. La fascia contiene oggetti formati in condizioni diverse e che hanno anche subito evoluzioni diverse. Mi aspetto ancora notevoli sorprese da una futura esplorazione.
Andrea Raponi – La fascia degli asteroidi è la più grande riserva di corpi minori del sistema solare (assieme alla cintura di Kuiper e la nube di Oort, che però hanno lo svantaggio di essere molto lontani). I corpi minori sono in gran parte corpi primitivi, che quindi conservano traccia del passato del sistema solare. Il mistero che celano è quindi la storia di formazione ed evoluzione del sistema solare, la quale a sua volta ci può dire molto sulle condizioni che hanno dato luogo all’origine della vita sulla Terra, e ci può dire molto anche sull’origine di tutti i sistemi planetari che da pochi anni si stanno iniziando a scoprire (l’ultimo dei quali ha fatto particolarmente scalpore vista la presenza simultanea di ben sette pianeti simili alla terra di cui tre nella zona abitabile).
L’Italia è impegnata nella progettazione, costruzione e gestione di strumenti di cui ormai possiede molta esperienza come quello a bordo della sonda Dawn, e contestualmente è promotrice con la sua comunità scientifica di nuove possibili missioni.
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Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
A marzo, la nostra prima proposta è per la serata del giorno 3 a partire dalle ore 19, con la Luna in fase di 5 giorni a un’altezza iniziale di +47°, quando andremo a osservare il settore est del mare Serenitatis col cratere Posidonius (diametro 100 km) e l’interessante zona circostante tra cui il cratere ad anfiteatro Le Monnier (diametro 63 km) e le lunghe dorsali in Serenitatis. Da notare che alle ore 21:50 il nostro satellite si troverà già a un’altezza di soli 20°, quando poi tramonterà alle 23:57.
La seconda proposta è suddivisa in due serate fra il 6 e il 7 marzo a partire dalle ore 19:00 con altezza iniziale della Luna rispettivamente di +62°/+57°, per osservare l’“Uncino di Plato” con buone speranze di poterlo individuare, e la sera successivail fondo di Plato completamente illuminato dalla luce solare (vedi approfondimento).
Come terza e ultima proposta per il mese in corso, ma non per questo la meno importante, questa volta consigliamo l’11 marzo quando a partire dalle ore 20:30 (fase lunare di 13,2 giorni e altezza iniziale di +31°) l’obiettivo della nostra osservazione sarà una ristretta zona lungo il bordo orientale della Luna che verrà a trovarsi in condizioni di librazione favorevole.
Nelle serate del 6 e 7 marzo ci troveremo nelle condizioni ideali per effettuare dettagliate osservazioni della superficie lunare in una delle più interessanti e frequentate (dagli astrofili…) regioni della Luna: il cratere Plato e le sue immediate vicinanze, situato nel settore settentrionale fra le scure distese basaltiche dei mari Imbrium e Frigoris.
Certamente, come per qualsiasi altro cratere lunare, l’osservazione di Plato potrebbe essere frettolosamente archiviata anche in una singola seduta osservativa, ma per chi intende approfondire l’argomento, cogliendo tutti i vari e mutevoli aspetti della sua particolare morfologia (non ancora compresa a fondo), allora sarà importante programmare osservazioni sia visuali che con acquisizione di immagini dal sorgere del Sole fino al Plenilunio, estendendo eventualmente questo progetto osservativo anche alle successive lunazioni.
Infatti come è veramente spettacolare cogliere il momento in cui i primi raggi del Sole illuminano i bastioni della parete est di Plato, interessando poi gradualmente tutta la cinta montuosa intorno al cratere, mentre la platea è ancora parzialmente in ombra, altrettanto spettacolare sarà l’osservazione delle lunghe ombre alla ricerca dell’enigmatico “Uncino di Plato Gamma” e dei piccoli craterini, fino al famoso “Settore” osservabile in Luna Piena. Se poi ci mettiamo anche le principali strutture nella zona immediatamente adiacente, troveremo il tempo trascorso al telescopio veramente coinvolgente e stimolante.
Facendo però attenzione a non commettere l’errore di voler osservare tutto e subito, data l’enorme quantità di dettagli a nostra disposizione. La Luna è sempre lì, almeno per qualche miliardo di anni…
Individuiamo il Cratere Plato
Caratteristiche e Struttura
6 marzo: l’Uncino di Plato Enigmi di Plato e Fenomeni Transienti 7 marzo: i crateri del fondo di Plato Plato-3: un misterioso spunto per l’osservazione
Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo
Tutti consigli per l’osservazione del cielo di marzo su Coelum Astronomia 209
Per 26 anni, il telescopio spaziale Hubble – missione congiunta Nasa ed Esa – ha espanso i nostri orizzonti cosmici. Grazie alle sue innumerevoli immagini, Hubble ha svelato nel dettaglio la bellezza, la meraviglia e la complessità dell’Universo, condividendole con il grande pubblico. E ora, dal primo febbraio, la mostra Our Place in Space apre le sue porte a Venezia offrendo non solo un viaggio visivo mozzafiato attraverso il nostro Sistema Solare e ai confini dell’Universo conosciuto, ma anche i lavori di alcuni artisti italiani ispirati proprio dalle immagini di Hubble.
La nuova mostra itinerante Our Place in Space sarà aperta al pubblico a Venezia dal primo febbraio al 17 aprile 2017, a Palazzo Cavalli Franchetti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, lungo il Canal Grande. Grazie a un’integrazione perfettamente riuscita tra le diverse prospettive offerte da artisti e astronomi, la mostra invita a riflettere nel profondo sul posto occupato dall’umanità nel grande schema dell’Universo.
All’inizio del mese una sottilissima falce di Luna in fase crescente (fase = 12%), sarà protagonista di una bella congiunzione con i pianeti Venere (mag. –4,6) e Marte (mag. +1,3): i tre astri saranno visibili a occhio nudo guardando verso ovest-sudovest a una ventina di gradi di altezza sopra l’orizzonte. La separazione angolare tra Venere e la Luna sarà di circa 13°, mentre quella tra il nostro satellite naturale e Marte sarà all’incirca di 5°.
Attraverso un telescopio si può tentare l’osservazione di Urano (mag. +5,9), circa 1° e mezzo più a sud di Marte (e soli 3° e mezzo a nordovest della Luna).
Il giorno successivo la Luna si sposterà a nordest dei pianeti, a circa 11° da Marte, comunque una magnifica occasione di scattare qualche fotografia a grande campo includendo elementi del paesaggio.
Da segnalare anche il fatto che in questi stessi giorni le condizioni della Luna sono tali da favorire la visibilità della luce cinerea.
Il vento ha scolpito il volto del pianeta per miliardi di anni e continua a farlo oggi.
Gale è un bacino di quasi 160 chilometri di diametro scavato da un impatto più di 3,6 miliardi di anni fa, e la sua stranezza è l’avere al centro una montagna di roccia sedimentaria. Come spiegarne la presenza?
Nel corso degli anni il bacino è stato parzialmente riempito da sabbia, limo e detriti, in parte trasportati da un sistema di canali che un tempo dovevano sfociare dai fianchi più alti del cratere. Le evidenze fin’ora testimoniano che fino a 3 miliardi di anni fa Marte dovesse avere acqua liquida sulla superficie, e il cratere Gale potesse essere un lago fino a un punto di svolta. Probabilmente fu il momento in cui qualcosa accadde nel clima del pianeta, che lo ha reso il pianeta arido che conosciamo oggi, permettendo così ai venti di modellare il materiale che ormai l’aveva riempito.
Una delle prime teorie proposte, suggeriva infatti che l’alto tumulo centrale, il Monte Sharp, sia stato modellato dai venti quando il bacino era già completamente riempito. Le osservazioni del Mars Reconnaissance Orbiter hanno confermato i modelli. E la nuova ricerca, sempre in accordo con i modelli eolici orbitali della zona, ha addirittura calcolato il volume di materiale rimosso: 64 000 chilometri cubi soffiati via dall’azione del vento nell’arco un miliardo di anni o più.
Il Monte Sharp è quindi stato modellato dal vento, ma le correnti odierne all’interno del cratere sono diverse da quelle del passato… ora è la montagna stessa ad aver modificato il percorso dei venti che l’hanno plasmata.
Ma altri dati, ancora più mirati, arrivano da Curiosity che, per la seconda volta nel corso della sua missione, si trova ad indagare un campo di dune attive.
Il rover incontrò il primo campo di sabbia tra la fine 2015 e l’inizio 2016.
Le immagini orbitali ad alta risoluzione riprese con la fotocamera HiRISE a bordo della sonda Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) avevano mostrato uno spostamento di queste dune di circa un metro ogni anno terrestre e la loro composizione non uniforme.
Gli scienziati utilizzano il movimento di queste strutture per studiare la circolazione dei venti all’interno del cratere, mettere a punto modelli meteorologici e comprendere come si ordinano di conseguenza le particelle di sabbia su un pianeta con meno atmosfera e gravità rispetto al nostro.
Le dune che Curiosity sta analizzando ora, però, hanno una forma diversa rispetto alla mezzaluna della campagna precedente: sono nastriformi e lineari.
«In queste dune lineari, la sabbia viene trasportata lungo il percorso del nastro, mentre il nastro può oscillare avanti e indietro da un lato all’altro», ha spiegato nel reportNathan Bridges, del team Curiosity presso la Johns Hopkins University Applied nel Maryland .
Inoltre, ora nel cratere Gale è estate, quindi il periodo dell’anno più ventoso e il momento migliore dell’anno marziano per studiare dune di sabbia attive.
«Stiamo tenendo Curiosity impegnato in una zona sabbiosa mentre intorno soffia un sacco di vento. Vogliamo scoprire come vengono smistati i granelli con composizioni diverse. Questo ci aiuta ad interpretare tanto le dune moderne quanto le arenarie più antiche di Marte», ha detto il Project Scientist della missione Ashwin Vasavada.
Dopo aver completato le osservazioni pianificate, Curiosity procederà verso il “Vera Rubin Ridge“, in direzione sud e in salita (potete seguire gli spostamenti del rover con i “Mission Log” di marco Di Lorenzo), dove il Mars Reconnaissance Orbiter ha identificato alcuni depositi di ematite.
Mentre il rover è impegnato con le dune di sabbia, il team continua a lavorare sull’anomalia intermittente manifestata in diverse occasioni dal trapano per la raccolta di campioni. I test diagnostici continuano a puntare il dito su uno dei meccanismi frenanti che regolano il movimento della punta, forse bloccato da un detrito. Nel frattempo, si è aggiunto un altro piccolo inconveniente che coinvolge la fotocamera Mars Hand Lens Imager (MAHLI) il cui copriobiettivo, dopo essere stato chiuso per precauzione e proteggere le ottiche dalla polvere eccessiva, è rimasto bloccato in posizione semi-aperta dal 24 febbraio.
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Per approfondire
Leggi l’articolo Arte su Marte: il meraviglioso paesaggio marzianopubblicato su Coelum Astronomia 205, in cui Lori Fentonci racconta come il vento sia il principale artefice delle strutture marziane e di come lo studio di queste ci fornisca informazioni necessarie a comprendere i meccanismi che agiscono nell’atmosfera marziana.
Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
Niente a che vedere con l’impressionante lucentezza delle costellazioni invernali, ma c’è da tener conto del fatto che, in primavera, la porzione di cielo che si offre ai nostri occhi è quello che sta al di fuori del piano della Via Lattea, dove le stelle sono molto più rare e il cielo è dominato da oggetti extragalattici percepibili soltanto al telescopio.
Più a est, Vergine, Boote ed Ercole, in successione, saranno già in viaggio verso il meridiano, annunciando quest’ultima addirittura un sapore di estate.
Ricordiamo, inoltre, due importanti eventi nel corso di questo mese: prima di tutto, nella notte tra il 25 e il 26 marzo si tornerà all’ora legale estiva (TU+2). In quella data, a partire dalle ore 02:00 locali, bisognerà portare gli orologi avanti di un’ora.
Inoltre, la Luna sarà Nuova il 28 marzo e quindi si realizzeranno le condizioni migliori per tentare la Maratona Messier, ovvero l’osservazione in un’unica notte di tutti (o quasi) i 110 oggetti del celebre catalogo, nel fine settimana del 25-26 marzo o, infrasettimanalmente, il 29 marzo.
20 marzo, ore 05:30 – Equinozio di primavera: inizia la primavera astronomica.
L’equinozio di primavera può cadere solo il 19, 20 (come quest’anno) o 21 marzo. Nel 19° e nel 20° secolo si è verificato sempre il 20 o il 21 marzo, mentre per 15 volte è caduto il 19 nella seconda metà del 17° secolo e 5 volte alla fine del 18°; e ciò accadrà di nuovo solo il 19 marzo del 2044! C’è poi da ricordare che nel 21° secolo l’equinozio si è verificato il 21 solo nel 2003 e nel 2007, e che la cosa non si ripeterà fino al 2102.
E ancora…
➜ Il Cielo di Marzo: pianeti, congiunzioni e i principali eventi del cielo da non perdere!
Iniziano a febbraio i due nuovi corsi rivolti a tutti:
Corso completo di Fotografia Astronomica: 10 lezioni teoriche ed esercitazioni pratiche per imparare a fotografare il cielo con qualsiasi strumentazione (che sia una semplice reflex o un telescopio). Il corso copre ogni aspetto della fotografia: dalla teoria all’esperienza sul campo all’elaborazione al computer, per realizzare immagini mozzafiato e di valore scientifico di panorami galattici, pianeti e altri oggetti celesti. Non è richiesto possesso di attrezzatura né una preparazione preliminare.
– Il corso si terrà tutti i giovedì sera dalle 21 alle 22.30, le attività pratiche si svolgeranno di sabato e saranno concordate in base al meteo. Corso teorico di astronomia generale:un ciclo di 9 conferenze che offre uno sguardo su argomenti raramente trattati nei corsi divulgativi. Si vedrà quali leggi fisiche agiscono nei più importanti fenomeni astronomici per comprendere l’universo e la scienza che lo studia: approfondimenti di grandissimo interesse per gli appassionati. Un modulo riguarderà anche la meccanica quantistica.
– Gli incontri si svolgeranno tutti i lunedì dalle 21 alle 22.30 presso la nostra sede: sala conferenze San Gregorio Barbarigo, di fronte alla Metro B.
– Lunedì 27 febbraio: “Le leggi di Keplero”: Ne vedremo la formulazione, l’avvincente derivazione dai principi primi, e l’incredibile utilità in astronomia e astrodinamica. Nonchè una famosa e cruciale eccezione dovuta alla misteriosa materia oscura.
Questa congiunzione rappresenta decisamente una sfida, a causa della differenza di luminosità tra Marte (mag. +1,3) e Urano (mag. +5,9): la minima distanza la raggiungeranno il 26 febbraioalle 20:00 e sarà di soli 38′. I due astri saranno alti poco meno di una ventina di gradi sull’orizzonte ovest.
Questo faciliterà la ricerca di Urano, perché si troverà nello stesso campo visivo di Marte se osservato attraverso un telescopio da 20 cm di apertura a 35 ingrandimenti.
Attenzione però che le ottiche del telescopio siano ben collimate, altrimenti c’è il rischio di scambiare Urano per una stella di fondo, specialmente se si aumentano gli ingrandimenti.
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Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Febbraio
Quella notte Oscar Duhalde non se la sarebbe mai più dimenticata. E la comunità mondiale degli astrofisici nemmeno. Era la notte a cavallo fra il 23 e il 24 febbraio 1987. Oscar, operatore allo Swope telescope da un metro a Cerro Las Campanas, sulle Ande cilene, di turno per le osservazioni, era uscito qualche minuto all’aria aperta per prendersi una pausa e aiutarsi a tenere gli occhi aperti. E proprio con i suoi occhi – ben spalancati e allenati come pochi – intravide, osservando il cielo in direzione della Grande Nube di Magellano, brillare una stella che lì non aveva mai notato prima. Senza rendersene pienamente conto, fu il primo essere umano al mondo a vedere – per di più a occhio nudo – la supernova più studiata di sempre, quella più vicina a noi (163mila anni luce) dall’epoca della stella di Keplero, esplosa nella nostra galassia del 1604. A capire di cosa si trattava fu invece un astronomo canadese, Ian Shelton – pure lui lì a Las Campanas, quella notte, a pochi metri da Duhalde – il quale, però, la morte della stella che sarebbe presto diventata celebre con la sigla Sn 1987A la vide solo indirettamente e a posteriori, studiando le lastre fotografiche impresse durante le osservazioni.
In questi giorni, a trent’anni esatti di distanza da quella notte indimenticabile, per celebrare la ricorrenza e fare il punto sulla svolta che ha impresso allo studio delle supernove, astrofisici da tutto il mondo si sono incontrati – dal 20 al 24 febbraio – sull’isola di La Réunion, al largo del Madagascar, per un meeting su Sn 1987A, 30 years later – Cosmic Rays and Nuclei from Supernovae and their aftermaths. Ed è lì che, per capire l’importanza scientifica di questa supernova, Media Inaf ha raggiunto telefonicamente Salvatore Orlando, ricercatore all’Inaf di Palermo e primo autore – insieme ad altri tre colleghi dello stesso istituto: Marco Miceli, Maria Letizia Pumo e Fabrizio Bocchino – nel 2015 di uno studio fondamentale su SN 1987A.
«La supernova 1987A ci sta offrendo un’occasione unica: l’opportunità di studiarne in dettaglio tutta l’evoluzione, dall’esplosione fino alla formazione del resto di supernova. La peculiarità è che si è potuto osservare il fenomeno praticamente in tutte le bande spettrali. Lo abbiamo monitorato di continuo, dall’ottico all’infrarosso all’X, per cui la quantità di dati che abbiamo ottenuto – dati di altissima qualità – sta permettendo di vincolare i modelli», spiega Orlando. «Io e i miei colleghi, in particolare, abbiamo prodotto un modello numerico – dal quale poi è stata tratta anche l’animazione dello Hubble Stsci – che ci ha permesso, da una parte, di ricostruire la struttura e la geometria del mezzo ambiente, e dall’altra ci sta dando informazioni sulla fisica della supernova. Quindi, da un lato le osservazioni e dall’altro i modelli, ci ha permesso di vincolare – occasione davvero unica – la fisica che governa l’intero fenomeno».
Guarda l’animazione e ascolta l’intervista nel servizio di Inaf Tv:
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Tutti consigli per l’osservazione del cielo di febbraio su Coelum Astronomia 208
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Ed ecco la notizia, che ormai quasi di regola si è rimbalzata tra embarghi rispettati e meno, hanno annunciato in conferenza stampa dai quartier generali della NASA a Washington.
Dopo solo un anno dalla scoperta di tre pianeti attorno alla stella TRAPPIST-1, utilizzando il telescopio TRAPPIST-Sud dell’ESO di La Silla, il Very Large Telescope (VLT) al Paranal e il telescopio spaziale NASA Spitzer, e numerosi altri telescopi in tutto il mondo, gli astronomi hanno confermato che i pianeti in orbita attorno alla fredda nana rossa sono almeno sette. Tutti i pianeti, etichettati TRAPPIST-1b, c, d, e, f, g e h (in ordine crescente di distanza dalla loro stella madre), hanno dimensioni simili alla Terra.
Cali di luminosità della luce proveniente dalla stella, causate da ciascuno dei sette pianeti in transito di fronte ad essa, hanno permesso di dedurre informazioni sulle loro dimensioni, la loro composizione e orbita. Così si è scoperto anche che almeno sei dei sette pianeti sono paragonabili, per dimensioni e temperatura, alla Terra.
L’autore dello studio, pubblicato oggi su Nature, Michaël Gillon dell’Istituto STAR presso l’Università di Liegi, in Belgio, è chiaramente felice del risultati:
«Si tratta di un sistema planetario incredibile – non solo perché abbiamo trovato così tanti pianeti, ma perché sono tutti sorprendentemente simili per dimensioni a Terra!»
Con solo l’8% della massa del Sole, TRAPPIST-1 è una stella molto piccola – solo di poco più grande del pianeta Giove – e anche se a soli 40 anni luce da noi, nella costellazione dell’Acquario, ci appare molto debole. Ci si aspettava che tali nane rosse potessero ospitare pianeti delle dimensioni della Terra in orbite molto strette, e sono per questo diventate bersagli promettenti per la ricerca di vita extraterrestre, ma TRAPPIST-1 è il primo sistema del genere a essere stato fin’ora osservato.
Co-autore dello studio è Amaury Triaud: «La produzione di energia di stelle nane come TRAPPIST-1 è molto più debole di quella del nostro Sole. I pianeti hanno bisogno di essere in orbite molto più vicine di quanto accade nel Sistema solare, perché possa esserci acqua in superficie. Fortunatamente, sembra che questo tipo di configurazione compatta sia proprio quello che abbiamo visto attorno a TRAPPIST-1!».
Tutti i pianeti individuati in questo nuovo sistema stellare sono di dimensioni simili alla Terra e Venere e le misurazioni di densità suggeriscono che almeno i sei più interni siano con molta probabilità di natura rocciosa.
Le orbite sono non più grandi di quelle del sistema di lune galileiane di Giove, e molto più piccole rispetto all’orbita di Mercurio. Tuttavia, le piccole dimensioni di TRAPPIST-1 e la sua bassa temperatura portano a far avere ai suoi pianeti energia comparabile a quella che il Sole offre ai nostri pianeti interni. In particolare TRAPPIST-1c, d e f ricevono una quantità di energia simile a quella che ricevono Venere, Terra e Marte, rispettivamente.
Sebbene tutti e sette i pianeti potrebbero potenzialmente avere acqua allo stato liquido sulla loro superficie, i modelli climatici suggeriscono che i pianeti più interni, TRAPPIST-1b, c, d, siano con ogni probabilità troppo caldi, mentre quello più esterno, TRAPPIST-1h, troppo distante e freddo – sempre assumendo l’assenza di processi di riscaldamento alternativi.
TRAPPIST-1e, f, g, invece, rappresentano il Santo Graal per gli astronomi a caccia di pianeti abitabili: orbitano nella zona di abitabilità della stella e potrebbero quindi ospitare oceani di acqua di superficie.
Pur non potendo dare per scontato che davvero almeno uno dei sette pianeti risulti simile alla Terra, sono comunque tutti elementi che rendono TRAPPIST-1 un obiettivo estremamente importante per i prossimi studi sulla ricerca di esopianeti e vita extraterrestre.
Il Telescopio Spaziale Hubble (ESA/NASA) è già allo studio delle atmosfere dei pianeti e il team guidato da Emmanuel Jehin è comprensibilmente entusiasta: «Con la prossima generazione di telescopi, come l’European Extremely Large Telescope dell’ESO e il James Webb Space Telescope di NASA/ESA/CSA, saremo presto in grado di cercare evidenze della presenza di acqua e, forse, anche la prova dell’esistenza di forme di vita su questi mondi».
Il nome del progetto europeoJumping Jive che prende ufficialmente il via oggi a Leiden, in Olanda, si ispira a una musica scatenata di fine anni ‘30, che metteva le ali piedi a virtuosi ballerini di tip tap, infracchettati come da prammatica. Più posati e informali risultano certamente i radioastronomi provenienti da 8 diversi paesi, tra cui l’Italia, che si sono messi di buona lena per far fare un salto qualitativo allo European Vlbi Network (Evn), una rete mondiale di radiotelescopi, distribuiti tra un cuore europeo, diverse propaggini asiatiche e un avamposto sudafricano, oltre a una rappresentanza americana. Il network Evn è gestito dal Jive, il Joint Institute for Vlbi Eric, situato a Dwingeloo, sempre in Olanda.
Nonostante si trovino collocati anche molto distanti tra loro – anzi, proprio grazie a questo – i radiotelescopi partecipanti a questa rete possono funzionare come se fossero un’unica grande antenna, sfruttando una tecnica di sincronizzazione denominata interferometria su lunghissima base (Vlbi). Il progetto Jumping Jive, dal valore complessivo attorno ai 3 milioni di euro, nasce per migliorare ulteriormente i risultati ottenibili con questo lavoro di squadra, e la sua parola d’ordine è globalizzazione, secondo diverse declinazioni.
Come riferisce a Media Inaf, direttamente da Leiden, Tiziana Venturi, dell’Istituto di Radioastronomia Inaf di Bologna, responsabile nel progetto del work package sul futuro Vlbi. «Questo progetto ha l’ambizione di espandere la rete Vlbi battendo diverse strade», spiega Venturi. «Innanzitutto, cercando nuovi partner; poi, facendo un lavoro di training sia scientifico che tecnologico e operativo al personale che farà funzionare le antenne della futura Avn, la rete Vlbi africana; ancora, creando fin da ora un link con Ska».
Ska, lo Square kilometre array, è il progetto – da realizzare nel prossimo decennio – per il più grande radiotelescopio al mondo, dislocato tra i deserti dell’Australia occidentale e dell’Africa meridionale. Lo sviluppo della rete africana di singole parabole da mettere in rete Vlbi è considerato propedeutico a Ska; la prossima antenna a entrare in funzione, riconvertita dall’uso per telecomunicazioni, dovrebbe essere la parabola da 32 metri del Ghana, del tutto simile a quella Inaf in funzione dal 1983 a Medicina, vicino Bologna.
«Un altro scopo fondamentale del progetto», prosegue Venturi, «è quello di implementare piattaforme comuni di software ai vari radiotelescopi, nonché di iniziare un intenso lavoro di divulgazione sull’argomento, rivolto sia al grande pubblico, che alla platea di astronomi non specialisti del campo. Last but not least, cruciale in questo progetto sarà ridisegnare la roadmap della scienza Vlbi per il decennio 2020-2030, quando si entrerà a pieno regime nella fase Ska e si avranno a disposizione ormai buona parte delle antenne Avn».
Progetti scientifici come questo, che guardano al futuro, sono scossi da brividi di puro terrore di fronte ad altri progetti, altrettanto innovativi ma che mettono in forse la possibilità stessa di tenere accesi i radiotelescopi. Come l’ambizioso programma della società spaziale SpaceX di Elon Musk per fornire una copertura wifi globale tramite una miriade di satelliti, accecando le frequenze radio utilizzate dalla radioastronomia.
«Sì, questa eventualità è molto preoccupante», conferma Marcello Giroletti, dello stesso istituto Inaf e coinvolto nel progetto Jumping Jive. «Se davvero quest’ipotesi diventasse realtà, le idee di sviluppo della radioastronomia che sono al cuore di Jumping Jive perderebbero completamente di significato. Ma ancor peggio, temo che ci sarebbe ben poco da salvare per la radioastronomia in toto».
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Tornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.
03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.
10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.
24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.
10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.
24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.
31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.
Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.it – www.fe.infn.it
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