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Accademia delle Stelle

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Febbraio 2017Iniziano a febbraio i due nuovi corsi rivolti a tutti:

Corso completo di Fotografia Astronomica: 10 lezioni teoriche ed esercitazioni pratiche per imparare a fotografare il cielo con qualsiasi strumentazione (che sia una semplice reflex o un telescopio). Il corso copre ogni aspetto della fotografia: dalla teoria all’esperienza sul campo all’elaborazione al computer, per realizzare immagini mozzafiato e di valore scientifico di panorami galattici, pianeti e altri oggetti celesti. Non è richiesto possesso di attrezzatura né una preparazione preliminare.
Il corso si terrà tutti i giovedì sera dalle 21 alle 22.30, le attività pratiche si svolgeranno di sabato e saranno concordate in base al meteo.
Corso teorico di astronomia generale: un ciclo di 9 conferenze che offre uno sguardo su argomenti raramente trattati nei corsi divulgativi. Si vedrà quali leggi fisiche agiscono nei più importanti fenomeni astronomici per comprendere l’universo e la scienza che lo studia: approfondimenti di grandissimo interesse per gli appassionati. Un modulo riguarderà anche la meccanica quantistica.
Gli incontri si svolgeranno tutti i lunedì dalle 21 alle 22.30 presso la nostra sede: sala conferenze San Gregorio Barbarigo, di fronte alla Metro B.
Info: Tel 349 7245167, eventi@ accademiadellestelle.org
Facebook: www.facebook.com/accademia.dellestelle
www. accademiadellestelle.org

Spiritelli blu, folletti rossi e il dio nordico del tuono

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di Marco MazzuccoAstronautinews.it

Di primo acchito potrebbe sembrare l’incipit di una fiaba nordica, in realtà è il filo conduttore che lega uno dei tanti misteri ancora legati alla limitata conoscenza che abbiamo dell’atmosfera.

Stiamo parlando dei blue jets e dei red sprite, fenomeni elettro-ottici legati alla presenza di temporali di forte intensità, soprattutto nelle aree tropicali, per i quali prima del 2015 non esistevano riscontri scientifici ma solo alcuni video ripresi dalla ISS e da aerei commerciali in volo d’alta quota in vista di fronti temporaleschi. Per anni la loro esistenza è stata oggetto di discussioni fra gli scienziati senza che si avessero dati sufficienti ad andare oltre blande ipotesi, mai realmente suffragate da vere e proprie prove scientifiche.

Il quadro generale dei fenomeni elettrici nell’atmosfera – (c) Wikipedia

Folletti e spettri rossi

red sprite sono fenomeni che si sviluppano a quote comprese fra 60 ed 80 km al di sopra di zone temporalesche ed è associato alla ionizzazione dell’aria, cioè presenza di particelle cariche elettricamente.

Consiste di scariche di energia associate ai fulmini: lo spettro rosso va dall’alto verso il basso, in quello opposto i blue jets.

La differente forma dei getti blu e degli spettri rossi rispetto ai fulmini è dovuta alle diverse caratteristiche dell’atmosfera attraversata (composizione, densità, e temperatura). La colorazione è dovuta alla forte presenza nell’atmosfera terrestre dell’azoto, la cui concentrazione aumenta avvicinandosi al suolo.

Ciò spiega il cambiamento di colore degli sprite, che dal rosso passano al viola ed infine al blu verso la troposfera.
red sprite sono tanto enormi quanto deboli, e si manifestano come lampi luminosi che appaiono sopra una cellula temporalesca. La loro intensità luminosa è paragonabile, anche se inferiore, a quella delle aurore boreali.

Solo nell’1% dei casi sono associati a fulmini che non possono essere utilizzati come marker per questi eventi.

La regione più luminosa si trova nella gamma di altitudine 65-75 km, e s’ipotizza un loro coinvolgimento nei meccanismi di scambio di gas ad effetto serra tra la troposfera e la stratosfera.

Blue jets

La scoperta dei blue jets è avvenuta solo da un paio di decenni perché questi fenomeni sono spesso brevi, quasi casuali e nascosti agli osservatori terrestri a causa delle nubi.

Come suggerisce il loro nome, i blue jets sono espulsioni di lampi dalla parte superiore dei nuclei di cellule temporalesche, e possono verificarsi anche senza che un fulmine si sviluppi nella direzione opposta.

Uno cumulonembo ripreso dalla ISS – Crediti: NASA

Dopo la loro uscita dalla parte superiore, si propagano verso l’alto in un cono ampio circa 15 gradi, con velocità verticali di circa 100 km/s (300 volte la velocità del suono), poi si aprono a ventaglio e si dissolvono ad altezze comprese fra 40 e 50 km. Questi fenomeni non sono allineati alle linee di forza del campo magnetico terrestre. L’evento non dura più di qualche millesimo di secondo (3-10 ms) e può anche essere osservato ad occhio nudo purché ci si trovi in condizioni di totale oscurità e ad una distanza ottimale, non superiore ai 200 km.

L’osservazione simultanea di blue jetsred sprite ha suggerito agli scienziati l‘ipotesi che i temporali a più forte intensità, esercitino una maggiore influenza sulla stratosfera in misura maggiore di quanto ipotizzato finora, e ciò ha dato avvio ad una ricerca specifica a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.

L’esperimento THOR a bordo della ISS

Varie missioni ESA e NASA, tra le quali l’esperimento MEIDEX a bordo dello Space Shuttle, il satellite ISUAL e la missione americano-taiwanese ROCSAT-3, hanno provato a studiare questi eventi, ma il loro angolo di visione e le orbite di volo si sono mostrati meno che ideali.

L’esperimento THOR (Turbulence Heating ObserveR), imbarcato sulla ISS, è stato portato avanti tra il 2 e l’11 settembre 2015 durante la missione IRISS del primo astronauta ESA di nazionalità danese, Andreas Mogensen. Gli obiettivi scientifici della sperimentazione erano lo studio della formazione e dell’evoluzione dei cumulonembi, dei processi elettrici ad alta quota, e l’analisi dei fenomeni legati alle condizioni d’instabilità degli intensi moti convettivi interni alle tempeste. Un team scientifico a terra, attraverso modelli matematici di previsioni meteorologiche, aveva il compito di individuare possibili attività temporalesche fino a 3 giorni in anticipo, creando finestre temporali di osservazione per i sorvoli della ISS. Grazie a THOR Andreas Mogensen è riuscito a catturare i misteriosi blue jets mentre sorvolava il golfo del Bengala, nell’oceano Indiano.

I lampi blu che si vedono brillare nelle bellissime immagini raccolte dall’astronauta danese si trovano ad una quota di circa 18 chilometri di altezza, raggiungendo i 40 chilometri di altezza nel caso dei lampi pulsanti. Mogensen ha anche immortalato 245 blue jets originatisi da un cumulonembo alla deriva nella stessa zona.

La fotocamera prescelta è stata una Nikon D4 con sensibilità fissata a 6.400 ISO ed una velocità di scatto di 24 fotogrammi al secondo, con una definizione di 1920 × 1080 pixel. L’ottica installata aveva una focale di 58 mm e diaframma f1.2, dando un campo visivo di 34,4 ° × 19,75 °.

I risultati dell’elaborazione dei dati e le relative conclusioni sono state pubblicate sulla rivista “Geophisical Reasearch Letters“ (Volume 44, Issue 1, 16 gennaio 2017, a firma di Chanrion, Neubert, Mogensen, Yair, Stendel, Singh, Siing) a cura dell’Agenzia Spaziale Danese.

Dalla lettura dell’articolo scientifico si evince che i blue jet ed i red sprite sono manifestazioni di una parte poco conosciuta della fenomenologia e delle dinamiche della nostra atmosfera. I temporali di maggiore intensità sarebbero in grado di raggiungere gli strati più esterni della stratosfera e potrebbero giocare un ruolo fondamentale nella fisica dei meccanismi protettivi della nostra atmosfera dalle radiazioni. Si crede infatti che possano giocare un ruolo importante nelle reazioni chimiche di formazione e circolazione dell’ozono nella mesosfera (50-85 km) e stratosfera (20-50 km).

THOR tornerà a colpire

Naturale prosecuzione dell’esperimento THOR, alla fine del 2017 l’ESA lancerà ASIM (Atmosphere Space Interactions Monitor), esperimento attualmente in fase di test e consistente in un osservatorio climatico progettato per rilevare blue jets, red sprite e lampi gamma di origine terrestre. Una volta giunto a destinazione sulla ISS, ASIM sarà installato al di fuori del modulo europeo Columbus, con il compito di monitorare costantemente i temporali e raccogliere informazioni sugli eventi luminosi transitori grazie ai suoi sensori in grado di rilevare raggi X e gamma.

Le ipotesi sul tavolo degli scienziati concordano sul fatto che questi fenomeni debbano essere osservati non tanto nel contesto di sistemi temporaleschi localizzati, quanto considerando un sistema di fenomeni elettrici a livello globale. Inoltre, se fosse possibile legare i dati raccolti oggi con quelli in possesso dei paleo-climatologi, si potrebbero trovare connessioni con fenomeni climatici avvenuti nel passato remoto del nostro pianeta, o correlazioni con quelli in corso su altri pianeti del nostro Sistema Solare in fase di esplorazione.

Negli studi saranno anche coinvolte l’università di Stanford ed il New Mexico Tech.

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+ (C) Associazione ISAA – Licenza CC BY-NC PLUS


Coelum Astronomia n. 208 di febbraio ora disponibile online
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Congiunzione Luna e Saturno

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Per gli astrofili mattinieri ecco una interessante congiunzione tra una falce di Luna calante (fase del 28%) e Saturno (mag. +0,53),  quest’ultimo visibile al confine tra le costellazioni di Ofiuco e Sagittario, a circa 3° e mezzo a ovest-sudovest della Luna.

I due astri sorgeranno dall’orizzonte est attorno alle 3:30 e all’ora indicata saranno ancora piuttosto bassi, si troveranno a una decina di gradi sull’orizzonte sudest e sarà possibile osservarli fino all’incirca un’ora prima del sorgere del Sole, sia a occhio nudo sia attraverso un binocolo o telescopio, per poterne apprezzare la differente natura.

La stessa porzione di cielo in cui si trovano Saturno e la Luna, poco più in basso, è ricchissima di oggetti deepsky, come ad esempio gli ammassi stellari aperti M 23 e M 24, oppure le nebulose M 8 (Nebulosa Laguna) e M 20 (Nebulosa Trifida), spettacolari se osservati attraverso un telescopio da 20 cm di diametro a 35 ingrandimenti.

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Febbraio

La Luna di febbraio. Osserviamo il mare Crisium

➜ Alla scoperta del cielo, dalle costellazioni alle profondità del cosmo: la Lince (prima parte)


Tutti consigli per l’osservazione del cielo di febbraio su Coelum Astronomia 208

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Asteroid Day 2017. Si parte!

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Questa è la terra al tempo in cui i dinosauri popolavano un pianeta lussureggiante e fertile, ma un asteroide di sei miglia di diametro cambiò tutto per sempre. Colpì con la forza di diecimila testate nucleari… un trilione di tonnellate di frammenti e detriti si innalzò nell’atmosfera, creando una soffocante cortina di polvere che per mille anni il sole non riuscì a penetrare… è avvenuto in passato, avverrà di nuovo, la questione è solo quando.” [dal film Armageddon]


Si è tenuta ieri, 14 febbraio, la conferenza stampa in occasione dell’edizione 2017 di Asteroid Day. In diretta da Città del Lussemburgo, Berlino, Silicon Valley, Bucarest e Londra l’anteprima degli eventi del 2017.

Il rischio che asteroidi precipitino sulla Terra c’è, ma non pensate alle catastrofi che avete visto al cinema: nella realtà non sarà Bruce Willis a portare una squadra sull’asteroide più pericoloso per salvare il pianeta, come accadeva in Armageddon (1998).

Si tratta piuttosto di individuare innanzitutto gli asteroidi a rischio e poi di studiare a livello internazionale una soluzione, che, verosimilmente, preveda la deviazione del corpo roccioso “impazzito”. Per fare questo è necessario uno studio coordinato volto a gestire l’emergenza di un impatto. Pensandoci, possibilmente, molto prima che accada.

Il rischio di impatto è remoto, ma c’è. La minaccia è reale, «meglio non dormire, ma tenerla presente e studiarla». Lo ha spiegato bene Gianluca Masi, astrofisico, ideatore del Virtual Telescope Project e coordinatore per l’Italia dell’International Asteroid Day. Esiste anche un asteroide che porta il suo nome, ma lui ha assicurato che non è “malintenzionato”. Quali sono, allora, gli asteroidi che dobbiamo temere? Come intervenire, allora, in caso di possibile impatto?

La minaccia che arriva dal cielo non è stata ancora identificata in maniera netta. Se infatti è semplice individuare “i pesci grossi”, sono gli asteroidi più piccoli a far temere per la loro pericolosità. Asteroid Day, un movimento globale in continua crescita per proteggere il pianeta, le famiglie, le comunità e le generazioni future dagli asteroid pericolosi, ha tenuto la Conferenza Stampa Globale del 14 febbraio, per annunciare nuovi partner, sponsor, attività e presentare un’anteprima degli eventi di Asteroid Day organizzati nel mondo per il prossimo 30 giugno 2017.

Asteroid Day si tiene infatti ogni anno nell’anniversario del più importante impatto asteroidale sulla Terra nella storia recente, l’evento di Tunguska del 1908, che distrusse un’area di circa 1000 chilometri quadrati in Siberia. La conferenza si svolge invece alla vigilia dell’anniversario dell’evento di Chelyabinsk, il più recente impatto asteroidale, che nel 2013 ferì circa 1500 persone. Asteroid Day è stato co-fondato nel 2014 dal regista Grig Richters, dall’imprenditrice della Silicon Valley Danica Remy, dall’astronauta dell’Apollo 9 Rusty Schweickart e dal Dr. Brian May, astrofisico e chitarrista dei Queen e numerosi altri esponenti della scienza, dell’industria e dello spettacolo (vedi elenco completo).

Dichiarazione delle Nazioni Unite: il 7 dicembre 2016, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha ufficialmente riconosciuto Asteroid Day come un evento annuale, dichiarando il «30 giugno International Asteroid Day per commemorare ogni anno, a livello internazionale, l’anniversario dell’impatto di Tunguska sopra la Siberia, in Russia, del 30 giugno 1908 e incrementare la pubblica consapevolezza del rischio di impatto asteroidale».

Maggiori informazioni su

Asteroid Day Italia
Eventi Asteroid Day
Esperti Asteroid Day
Intervista a Gianluca Masi, astrofisico, ideatore del Virtual Telescope Project e coordinatore per l’Italia dell’International Asteroid Day

Leggi anche

Evento collaterale italiano la Maratona degli Asteroidi che in questi giorni invita alla ripresa dell’asteroide che porterà il nome di Giovanni Battista Lacchini


Esplosive Supernovae su Coelum Astronomia n. 208 di febbraio
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Ore piccole con Luna, Giove e Spica

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I tre astri, Luna, Giove e Spica, sorgeranno dall’orizzonte est attorno alle 22:30 e, all’ora indicata in cartina, si troveranno a un’altezza di circa 10° gradi sull'orizzonte. Si potranno osservare tranquillamente anche a occhio nudo. Saranno quindi visibili per tutta la notte, culminando attorno alle 4:00 (a un’altezza di circa 40°) per svanire nel crepuscolo mattutino, prima di tramontare dietro l’orizzonte ovest.
I tre astri, Luna, Giove e Spica, sorgeranno dall’orizzonte est attorno alle 22:30 e, all’ora indicata in cartina, si troveranno a un’altezza di circa 10° gradi sull'orizzonte. Si potranno osservare tranquillamente anche a occhio nudo. Saranno quindi visibili per tutta la notte, culminando attorno alle 4:00 (a un’altezza di circa 40°) per svanire nel crepuscolo mattutino, prima di tramontare dietro l’orizzonte ovest.

Se guarderete tra le stelle della Vergine, in direzione est, durante la notte tra il 15 e il 16 febbraio, potrete notare un oggetto molto luminoso, di mag. –2,3: si tratta del pianeta Giove, protagonista di una bella congiunzione assieme alla Luna e alla stella Spica, la stella alfa della Vergine (mag. +1,0).

I tre astri saranno disposti a formare un triangolo quasi rettangolo, con Giove in corrispondenza del vertice dell’angolo retto, Spica a circa 3° e mezzo da Giove e la Luna a una distanza angolare di poco più di 4° da Giove. La distanza angolare tra la Luna e Spica sarà sui 6° e mezzo.

All’ora indicata la Luna si troverà a circa 10° di altezza sull’orizzonte, un’ottima occasione per scattare delle belle fotografie che coinvolgono il paesaggio. Con il passare dei minuti i tre astri incrementeranno via via la loro altezza.

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Mars 2020: ecco dove verrà raccolto il primo campione di roccia marziana da riportare sulla Terra

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L’agenzia spaziale li ha scelti in una rosa di otto candidati, al termine di un seminario di tre giorni a Monrovia, in California. Il “vincitore” sarà annunciato solo un anno, o due, prima del lancio, attualmente previsto per luglio 2020.

La posizione nella mappa dei tre candidati, che può essere vista anche nell'animazione in apertura. Crediti immagini: NASA. Didascalie delle immagini by Polluce Notizie (http://www.pollucenotizie.net/2017/02/12.html).

I tre finalisti sono: il cratere Jezero, che deve aver ospitato un lago in almeno due occasioni più di 3,5 miliardi di anni fa e potrebbe quindi conservare tracce di vita microbica; la regione nord-est di Syrtis Major Planum, dove l’attività vulcanica creò flussi di acqua calda sotterranei che avrebbero potuto sostenere un ambiente abitabile e Columbia Hills, la zona già esplorata dal Mars Exploration Rover Spirit che, tuttavia, non ha raccolto troppi consensi. Uno dei sostenitori è Matthew Golombek, scienziato planetario del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA: «è l’unico luogo su Marte dove è presente un’antica sorgete idrotermale confermata», ha dichiarato.

Mars 2020 avrà il compito di cercare tracce di vita microbica passata. La NASA, quindi, dovrebbe prediligere un sito di atterraggio dove la presenza dell’acqua nella storia del pianeta sia ormai comprovata, proprio per aumentare le probabilità di scoprire composti organici, biomarcatori o micro-fossili. A Columbia Hills, nel cratere Gusev, Spirit aveva scoperto un terreno ricco minerali formatesi in presenza di acqua idrotermale.

In generale, la destinazione finale sarà scelta secondo i seguenti criteri:

• aver avuto le giuste condizioni ambientali passate per sostenere la vita
• presentare una certa varietà di rocce e terreni; processi storici geologici ed ambientali, incluse interazioni con l’acqua
• presentare tipi di roccia in grado di conservare tracce della vita passata
• consentire di raggiungere tutti gli obiettivi scientifici prefissati per la missione
• essere adatta all’atterraggio e favorire gli spostamenti del rover

Il primo dei tre finalisti è il cratere Gusev, teatro dell'atterraggio del rover Spirit nel 2004. Il cratere, largo 160 chilometri, è dimora delle Columbia Hills, dove Spirit identificò depositi di silice forse dovuti ad un antico sistema idrotermale. Numerosi indizi suggeriscono che il cratere abbia in passato ospitato un bacino di acqua liquida.

Peccato che tra gli esclusi ci sia Nili Fossae, un gruppo di graben concentrici nella zona di Syrtis Major. Qui la superficie è stata modellata dagli impatti e dallo scorrere delle faglie. Dall’orbita sono state rilevate grandi quantità di silice ed argille ma, soprattutto, è uno di quei punti enigmatici in cui le osservazioni terrestri hanno mostrato tracce di metano in atmosfera, un gas la cui presenza su Marte è molto discussa e che potrebbe avere un’origine biologica.

In ogni caso, la missione Mars 2020 deve ancora superare un lungo percorso ad ostacoli.

Secondo un rapporto pubblicato il 30 gennaio dall’Office of Inspector General (OIG) della NASA, il lancio rischia di essere rimandato a causa di una serie di problemi tecnici e di ritardi relativi ai vari contributi realizzati dai partner internazionali.

Il secondo sito è il cratere Jezero, un ottimo esempio della natura episodica e discontinua della presenza di acqua liquida su Marte. Oltre 3,5 miliardi di anni fa, l'esondazione di un sistema di fiumi ricoprì il cratere di acqua, formando un vasto lago e trasportando minerali argillosi e carbonati all'interno del cratere. Dopo essersi asciugato, il cratere venne ricoperto da almeno un'altra esondazione, prima di andare definitivamente in secca.

Lo scoglio più grande sarebbe proprio il sistema di campionamento, il fulcro del programma, che dovrebbe raccogliere e conservare i campioni per rispedirli un domani a Terra, la cui progettazione sembra essere più complessa del previsto. «Rischia di non essere pronto per l’integrazione ed il collaudo a maggio 2019», hanno dichiarato i project manager della missione.

Altre perplessità riguardano, invece, il design del rover, la cui revisione è prevista questo mese nonostante manchino all’appello ancora molti elaborati progettuali.

Il terzo e ultimo sito corrisponde alle propaggini nord-orientali di Syrtis Major Planum. Questa regione era un tempo riscaldata da attività vulcaniche che potrebbero aver alimentato eventi idrotermali, sciogliendo i ghiacci presenti e creando bacini di acqua liquida. La presenza di ricche stratificazioni geologiche offrirebbe agli scienziati un comodo accesso alla cronologia delle interazioni tra l'acqua e i minerali marziani.

Gli ingegneri hanno anche rimesso mano alle ruote nel tentativo di proteggerle dall’usura ed evitare il deterioramento osservato su Curiosity. Quelle di Mars 2020 saranno spesse il doppio, aggiungendo però 10 chilogrammi alla massa del nuovo rover. La massa complessiva dovrà, comunque, risultare inferiore ai 1050 chilogrammi, eventualmente a discapito di altri elementi, come l’eliminazione del piccolo drone che avrebbe dovuto fare da scout per scegliere i percorsi ottimali e scovare luoghi di interesse (potete approfondire l’argomento “Come muoversi meglio su Marte” nell’ultimo articolo di Marco Di Lorenzo).

In ultimo, altri due strumenti, The Mars Oxygen ISRU Experiment (MOXIE)Mars Environmental Dynamics Analyzer (MEDA), hanno sofferto nelle varie fasi: il primo ha visto un aumento dei costi di oltre il 50 per cento rispetto alla stima iniziale; il secondo ha subito ritardi a causa di una “ristrutturazione finanziaria” dell’Instituto Nacional de Tecnica Aeroespacial spagnolo, responsabile per la suite.

La notizia sul sito di MARS 2020 Rover

La notizia su Polluce Notizie da cui sono tratte le didascalie alle immagini


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AstronomiAmo: Corso di astrofotografia on line

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Astronomiamo

16 febbraio: Corso di astrofotografia on line.
23 febbraio: OCCHI AL CIELO – Diretta Streaming

Fotografiamo l’asteroide che porterà il nome di Giovanni Battista Lacchini

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Cinquanta anni fa, a Faenza, moriva Giovanni Battista Lacchini (1884-1967), grande astronomo osservatore e studioso di stelle variabili, tra i soci fondatori dell’AAVSO (American Association Variable Star Observer). Per onorarne la memoria, il Comune di Faenza e il gruppo Astrofili Faentini “G.B. Lacchini”, a partire dal 9 marzo, propongono un nutrito calendario di eventi, che coinvolgeranno gli astrofili, le scuole e gli appassionati tutti.

L’INVITO ALLA FOTOGRAFIA DELL’ASTEROIDE

Gli astrofili che dispongono di una attrezzatura osservativa adeguata (un telescopio con camera CCD di almeno 30 cm, sotto un buon cielo), possono onorare la memoria di Lacchini riprendendo l’asteroide 145962 che lo scopritore, Silvano Casulli, ha proposto alla IAU affinché gli venga attribuita la denominazione ufficiale: “LACCHINI”.

COME TROVARE L’ASTEROIDE?

L’asteroide può essere ripreso già ora e le  effemeridi per rintracciarlo nel periodo osservativo proposto sono scaricabili QUI.

Le immagini andranno poi inviate entro il 26 febbraio a info@asteroidsmarathon.net, utilizzando il servizio gratuito per invii di file pesanti Wetransfer.

Astrofili e astronomi professonisti hanno già iniziato a riprendere le immagini dell’asteroide, fallo anche tu!

Immagine dell’asteroide ottenuta da Andrea Mantero il 29 gennaio scorso al Bernezzo Observatory
L’asteroide fotografato dal Gruppo Astrofili di Schio che ha utilizzato un telescopio in remoto di 43cm posto a Mayhill (USA)

Altri esempi li trovate ai link:

In questa pagina invece verranno caricate tutte le immagini che arriveranno agli organizzatori, in qualsiasi formato vorrete inviarle (immagini, animazioni, dati grezzi, file fits, etc). Le immagini verranno poi elaborate da Paolo Bacci, responsabile della Sezione Asteroidi UAI, e presentate al pubblico durante la serata inaugurale della manifestazione dedicata a G.B. Lacchini.

PARTECIPA ANCHE TU!

Per ulteriori informazioni scrivete a: info@asteroidsmarathon.net
www.asteroidsmarathon.net

Oppure contattate:


E dedicata agli asteroidi è la rubrica di Claudio Pra su Coelum Astronomia.
Questo mese tanti gli asteroidi in opposizione, quale momento migliore per cominciare le tue osservazioni per entrare nel Club dei 100 asteroidi?

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Futuro ‘robotico’ per Europa

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Nel disegno il primo concept di quello che potrebbe essere il lander robotico che atterrerà sulla superficie di Europa. Image credit: NASA/JPL-Caltech

Nei primi mesi del 2016, il Planetary Science Division della NASA ha iniziato una fase preliminare di studio per definire il valore scientifico e studiare la progettazione di una futura missione su Europaluna ghiacciata di Giove.

La NASA, prima dell’inizio di ogni missione, svolge ordinariamente questo tipo di analisi, noto con il nome di Science Definition Team report (SDT), per valutare la fattibilità e il potenziale delle missioni.

Nel mese di giugno 2016, 21 scienziati sono stati incaricati di redigere il SDT report per la futura esplorazione di Europa.

Da allora, la squadra ha individuato tre obiettivi scientifici della missione presentando,  lo scorso 7 febbraio, una relazione alla Nasa.

Europa ripresa dalla sonda della NASA Galileo. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ SETI Institute

L’obiettivo primario è la ricerca di tracce di vita su Europa. Le altre priorità sono la valutazione dell’abitabilità della luna gioviana, attraverso la raccolta e l’analisi del materiale sulla sua superficie, e la descrizione della superficie e del sottosuolo in vista di una futura esplorazione robotica del satellite naturale e del suo mare. Il rapporto descrive anche alcuni strumenti teorici che potrebbero essere utilizzati per svolgere misurazioni a sostegno di tali obiettivi.

Gli scienziati sono concordi nel ritenere che Europa, leggermente più piccola della Luna della Terra, abbia un oceano di acqua salata sotto la sua superficie ghiacciata, con almeno il doppio dell’acqua di tutta quella racchiusa negli oceani terrestri, il che rafforzerebbe l’ipotesi di condizioni favorevoli per la vita.

Europa – insieme a Encelado, luna di Saturno – rappresentano gli unici due luoghi del sistema solare in cui un oceano sembrerebbe in contatto con un fondale roccioso. Questa rara circostanza rende la luna gioviana uno degli obiettivi prioritari della ricerca di tracce vita oltre la Terra.

Data la sottile atmosfera di Europa, il team, lavorando a stretto contatto con gli ingegneri, ha elaborato un sistema di atterraggio della futura sonda robot sulla superficie ghiacciata senza il supporto tecnologico di scudi termici o paracadute.

Il mosaico mostra le più dettagliate immagini della superficie di Europa riprese dalla sonda Galileo della NASA. I singoli fotogrammi hanno una risoluzione di 12 metri per pixel, ma il primo in alto è l'immagine a più alta risoluzione ottenuta dalla missione (6 metri per pixel), la riga nera al centro del fotogramma è il risultato di dati persi, non trasmessi dalla sonda. Al link, sul sito del JPL, trovate l'immagine scaricabile a piena risoluzione: http://www.jpl.nasa.gov/spaceimages/details.php?id=PIA21431 Image credit: NASA/JPL-Caltech


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Due periodiche protagoniste

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Il percorso della cometa 45P/Honda - Mrkos - Pajdusakova durante il mese di febbraio. Si noti il suo notevole moto da est verso nordovest che le permetterà ben presto di alzarsi in cielo, fino a culminare poco dopo mezzanotte a fine mese. La sua velocissima corsa mensile avrà inizio dalla costellazione dell’Aquila per terminare nel Leone dopo oltre 130° di spostamento attraverso ben 9 costellazioni!
La cometa 45P ripresa la sera del 22 dicembre da Rolando Ligustri e Fabrizio Romanello, la foto è stata fatta dall'Osservatorio di Circolo Astrofili Talmassons CAST. strumenti: NW 500/1620 ottica Fausto Giacometti ccd STXL11002 in bin 2 L=2z2' RGB=1' campo inq 46'x80' La cometa è visibile molto bassa sull'orizzonte e in una finestra temporale molto stretta, nella ripresa la cometa era soli 7 gradi sull'orizzonte, con enormi problemi di seeing ed estinzione atmosferica... ma come vedete, può dare soddisfazione anche alle nostre latitudini.

45P/Honda – Mrkos – Pajdusakova

Il percorso della cometa 45P/Honda - Mrkos - Pajdusakova durante il mese di febbraio. Si noti il suo notevole moto da est verso nordovest che le permetterà ben presto di alzarsi in cielo, fino a culminare poco dopo mezzanotte a fine mese. La sua velocissima corsa mensile avrà inizio dalla costellazione dell’Aquila per terminare nel Leone dopo oltre 130° di spostamento attraverso ben 9 costellazioni!

Cominciamo con la 45P/Honda- Mrkos-Pajdusakova, che a fine dicembre è passata al perielio ed è stata valutata attorno alla settima magnitudine. In seguito è scomparsa alla nostra vista, fagocitata dalla luce solare che ha nascosto il suo avvicinamento al nostro pianeta. La ritroveremo però al termine della notte astronomica nei primissimi giorni di febbraio, bassissima sull’orizzonte orientale. Il suo notevole moto da est verso nord ovest le permetterà ben presto di alzarsi in cielo, fino a culminare poco dopo mezzanotte a fine mese. L’11 febbraio passerà a 0,084 UA dal nostro pianeta, toccando la distanza minima. In quell’istante dovrebbe aver raggiunto il massimo splendore di questa apparizione (si prevede che possa raggiungere la sesta magnitudine). [continua a leggere]

Una finestra sul cielo per osservare la cometa ce la offre SLOOH a partire dalle ore 04:30 del giorno 11 (solo lingua inglese).

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Dal Progetto Manhattan, indizi per la Luna

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Fotogramma della “palla di fuoco” del Trinity Test scattato 25 ms dopo l’esplosione. Crediti: US Govt. Defense Threat Reduction Agency
Fotogramma della “palla di fuoco” del Trinity Test scattato 25 ms dopo l’esplosione. Crediti: US Govt. Defense Threat Reduction Agency

Lunedì 16 luglio 1945, ore 05:29. Per la prima volta nella storia dell’umanità, viene fatto esplodere un ordigno nucleare: una bomba al plutonio, identica a quella che nemmeno un mese più tardi sarà sganciata su Nagasaki. Il luogo è un lembo di deserto noto come Jornada del Muerto, nella contea di Alamogordo, in New Mexico. E il nome in codice del test – scelto personalmente da J. Robert Oppenheimer – è Trinity.

Ora, a distanza di oltre settant’anni dall’alba di quel lunedì, che segnò uno spartiacque tanto di successo per il Progetto Manhattan quanto tragico per la storia dell’uomo, un team di ricercatori guidato da James Day, geochimico alla Ucsd (University of California, San Diego), è tornato sul luogo del delitto per raccogliere indizi utili a chiarire i contorni di un altro evento devastante – questa volta, però, del tutto naturale – avvenuto più o meno 4,5 miliardi di anni fa: il gigantesco impatto fra la proto-Terra e un corpo celeste dalle dimensioni simili a quelle di Marte. Impatto dal quale, stando a una fra le teorie più accreditate, ebbe origine la Luna.

James Day al lavoro nello Scripps Isotope Geochemistry Laboratory. Crediti: Scripps Institution of Oceanography / UC San Diego

Cos’avrebbero in comune il Giant Impact e il Trinity Test è presto detto: un analogo frazionamento isotopico, vale a dire “firme” simili per quanto riguarda l’abbondanza di alcuni isotopi – per esempio quelli dello zinco. Firme che i ricercatori di Ucsd hanno rinvenuto, da una parte, sui campioni di rocce lunari, e dall’altra, appunto, nei residui vetrosi raccolti a Jornada del Muerto nei dintorni del sito del test, il Trinity site. Come illustrato nello studio pubblicato oggi da Day e colleghi su Science Advances, la composizione del materiale di questi frammenti, noto fra gli esperti come trinitite, varia a seconda della loro distanza dal punto esatto dell’esplosione. Più ci si avvicina a ground zero, più i frammenti vetrosi risultano carenti di elementi volatili, come se fossero stati “asciugati”. Lo zinco, in particolare, mostra anche un’abbondanza isotopica relativamente ai suoi isotopi più pesanti, con un frazionamento che riflette la distanza dal punto in cui esplose quel primo ordigno atomico.

«I risultati mostrano che l’evaporazione a temperature elevate, simili a quelle presenti all’origine della formazione dei pianeti, conduce – nei residui lasciati dall’evento – alla perdita di elementi volatili e all’arricchimento in isotopi pesanti», spiega Day. «Un esito suggerito anche dal senso comune, ma del quale abbiamo ora una prova sperimentale».

Il fatto che un’analoga abbondanza isotopica e l’assenza di liquidi – acqua in testa – caratterizzino anche le rocce lunari suggerisce, dicono i ricercatori, che il materiale della Luna sia stato oggetto di trasformazioni simili. I campioni analizzati mostrano come gli elementi volatili subiscano identiche reazioni chimiche durante eventi nei quali si raggiungono temperature e pressioni estreme, sia che avvengano sulla Terra sia nello spazio esterno. Risultati che depongono, dunque, a favore della teoria dell’impatto gigante.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video su Inaf Tv:


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Viaggio nel Cosmo

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viaggio nel cosmo

viaggio nel cosmoFondazione Culturale Hermann Geiger
Piazza Guerrazzi 32, Cecina (LI)
Tutti i giorni dalle 16 alle 20. Ingresso libero
Un percorso alla scoperta dell’Universo, inteso come luogo reale e come frontiera del fantastico. La mostra, organizzata dalla Fondazione Culturale Hermann Geiger, percorre la storia dell’astronomia attraverso l’esposizione di strumenti scientifici e antiche mappe celesti e di opere letterarie, cinematografiche e artistiche ispirate dall’immaginario sullo spazio, prima ancora che l’uomo potesse davvero raggiungerlo. Nell’ultima sezione presenta invece la conquista fisica delle frontiere del cosmo, dimostrando che talvolta la realtà raggiunge e supera le aspettative della fantasia.
11.02, ore 18:00: “L’esplorazione del Sistema solare e la scoperta dei pianeti che ruotano intorno a stelle lontane”. Relatore: Ruggero Stanga. Presso il Palazzetto dei Congressi.
Con la collaborazione di Osservatorio EGO dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare all’Osservatorio
Astrofisico di Arcetri; MUFANT, Museo del Fantastico e della Fantascienza di Torino; Maison d’Ailleurs di
Yverdon-les-Bains (Svizzera).
Per informazioni: info@fondazionegeiger.org / 0586 635011

L’enigma del cratere Gale

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Il mosaico qui sopra, ottenuto da immagini riprese dalla MastCam a bordo di Curiosity, mostra le formazioni geologiche della Yellowknife Bay, all'interno del Cratere Gale. Lo studio di queste rocce ha portato alla nascita di un paradosso, indicano senz'altro che era presente un lago, ma l'anidride carbonica nell'aria era troppo poca per poter mantenere l'acqua del lago liquida. L'immagine è solo una porzione di un mosaico ottenuto con 111 immagini acquisite il 24 dicembre 2012 (137 SOL per Curiosity). Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS

È al centro dell’attenzione da quando Curiosity ha toccato la superficie di Marte, il 6 agosto 2012, e ora, dopo le nuove analisi effettuate dal rover della NASA, si sta presentando come un rompicapo per gli studiosi che cercano di chiarire la sua condizione nel lontano passato del pianeta.
Si tratta del Gale Crater, i cui sedimenti, in base alle ultime indagini, non mostrano segni di biossido di carbonio nella quantità minima indispensabile per sostenere, anticamente, la presenza di acqua liquida.

Il responso dell’attività investigativa in situ di Curiosity ha suscitato non pochi interrogativi, dato che precedenti analisi di quest’area avevano messo in rilievo tracce di minerali – quali argille e solfati – riconducibili invece ad una condizione ambientale che implicava acqua liquida a contatto con il suolo.

I ricercatori hanno tentato di dare una risposta a questa discrepanza e il frutto delle loro conclusioni è l’articolo “Low Hesperian PCO2 constrained from in situ mineralogical analysis at Gale Crater, Mars”, pubblicato ieri sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences  of the United States of America).

Il team di ricerca, coordinato da Thomas Bristow della NASA (Principal Investigator dello strumento CheMin di Curiosity), ha supposto che, 3 miliardi e mezzo di anni fa, il livello del biossido di carbonio nell’atmosfera di Marte doveva essere troppo basso per poter creare dei depositi sedimentari. L’esistenza di acqua liquida, ipotizzata in base alle tracce di argille e solfati, ha fatto tuttavia pensare a una situazione climatica caratterizzata da temperature calde connesse alla presenza di CO2 nell’atmosfera.
Di conseguenza, secondo gli studiosi, i sedimenti del cratere Gale dovrebbero essersi formati quando il clima del Pianeta Rosso era molto rigido e il livello di biossido di carbonio era inferiore tra 10 a 100 volte rispetto al minimo necessario perché vi fossero le condizioni per la presenza di acqua liquida.

Il gruppo di lavoro, quindi, ritiene che nel remoto passato di Marte il Gale Crater dovesse ospitare un lago ghiacciato, anche se al momento il rover non ha individuato formazioni geologiche caratteristiche di questo genere di bacini. Tuttavia, per il team della ricerca doveva essere presente anche acqua allo stato liquido: la formazione di argille e solfati si sarebbe verificata a seconda del variare delle stagioni oppure in laghi ricoperti da una coltre glaciale.

Per Curiosity, la cui missione ha avuto inizio con il lancio del 26 novembre 2011, si prospettano quindi ulteriori scenari di ricerca, ‘a caccia’ degli ambienti umidi marziani e dei loro segreti.


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I Venerdì dell’Universo 2017

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venerdi UniversoTornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.

03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.

10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.

24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.

10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.

24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.

31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.

Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.itwww.fe.infn.it

Le conferenze possono essere seguite anche in streaming dal sito dell’Università: www.fe.infn.it/venerdi/streaming

Eccezionale bolide illumina a giorno il cielo del Midwest

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Jim Dexter of the Lisle Police Department in Lisle, Illinois saw a meteor moving through the sky, and quickly turned on the dashboard camera in his car to capture the event. Credit: Lisle Police Department

Una meteora eccezionalmente luminosa ha attraversato i cieli sul lago Michigan negli Stati Uniti, intorno alle 8:25 (ora italiana) del 6 febbraio, 2017. Qui sopra i due video ripresi da Jim Dexter, del Dipartimento di Polizia di Lisle e da una webcam sul tetto dell’Università del Wisconsin-Madison. Cliccare sull’immagine per far partire il video. Crediti: Lisle, IL Police Department/Space Science and Engineering Center (SSEC) and Department of Atmospheric and Oceanic Sciences, University of Wisconsin-Madison/mash mix: Space.com

Un bolide dalla brillante luce verde ha illuminato letteralmente a giorno il cielo appena a nord di Milwaukee, la mattina del 6 febbraio, e sembrerebbe che si sia disgregato in una pioggia di meteoriti caduta nel lago Michigan. Secondo Mike Hankey, dell’American Meteorological Society (AMS), la meteora è bruciata nel cielo da 16 a 32 chilometri circa a nord di Milwaukee, 160 km a nord di Chicago.

Più di 220 persone hanno inviato segnalazioni all’AMS indicando come orario dell’evento le 01:25 am CST (8:25 ora italiana), in accordo con la pagina Facebook della NASA Meteor Watch.

La maggior parte delle testimonianze oculari sono arrivate da persone tra Chicago e Milwaukee, e nei loro dintorni, ma si hanno segnalazioni anche da Michigan, Indiana, Ohio, Iowa, New York, Kentucky, Minnesota e Ontario. Almeno una dozzina di video della corsa della palla di fuoco attraverso il cielo sono apparsi online o sono stati inviati all’AMS. [5 video stupefacenti del bolide]

Jim Dexter del Dipartimento di Lisle (Illinois) ha visto le meteora attraversare il cielo e, velocemente, ha acceso la camera sul cruscotto della sua auto per riprenderla. Credit: Lisle Police Department

Due straordinari video del bolide, che vedete in apertura, sono stati catturati da Jim Dexter, del Dipartimento di Polizia di Lisle (Illinois). Dexter ha visto il lampo luminoso muoversi attraverso il cielo e ha rapidamente acceso la fotocamera sul cruscotto della sua auto per catturare l’evento. Il secondo video della firball che attraversa il cielo è stato invece ripreso da una telecamera sul tetto della University of Wisconsin-Madison’s atmospheric, oceanic and space sciences.

I vari video dell’evento mostrano una meteora eccezionalmente luminosa, tanto da meritarsi la qualifica di “fireball” (palla di fuoco) e la NASA Meteor Watch scrive in un post: «Le telecamere nella regione mostrano che la meteora è diventata visibile all’incirca 100 km sopra West Bend, Wisconsin, e ha viaggiato verso nordest a circa 61 mila chilometri all’ora». In seguito la meteora si è disgregata in parti più piccole «circa 34 km sopra il Lago Michigan, a circa 14 km a est della città di Newton».

La fireball è stata qui catturata da una camera del campus dell'Università del Wisconsin-Madison. Credit: Space Science and Engineering Center (SSEC) and Department of Atmospheric and Oceanic Sciences, University of Wisconsin-Madison.

E’ sempre Mike Hankey a raccontarci che la palla di fuoco nella sua corsa ha anche prodotto un boom sonico, suono che si verifica quando un oggetto si muove più velocemente delle onde sonore nell’atmosfera terrestre. Solitamente le fireball non danno luogo a boom sonici, perché si disintegrano o si frammentano in piccoli pezzi nella alta atmosfera, mentre per creare un boom sonico l’oggetto deve sopravvivere intatto abbastanza a lungo da arrivare a quote relativamente basse, dove l’atmosfera terrestre è sufficientemente densa. Ma in questo caso, sempre secondo la pagina NASA Meteor Watch, il boom sonico è stato «registrato da una stazione di infrasuoni in Manitoba [Canada], a circa 965 km di distanza» e indica che l’esplosione della meteora ha rilasciato un’energia energia equivalente ad almeno 10 tonnellate di TNT (non tutte le segnalazioni arrivate, ci fa notare Hankey, sono di chi ha sentito il boom sonico, chi stava osservando l’evento può invece aver sentito l’esplosione della meteora).

Tutte le informazioni raccolte hanno dato modo ai ricercatori di ricostruire la traiettoria e fare ipotesi sulla natura della meteora prima di entrare nella nostra atmosfera. Si è probabilmente trattato di un frammento di asteroide «del peso di almeno 272 kg e di 60 cm di diametro». Questo secondo la pagina NASA Meteor Watch, mentre Hankey ritiene possa essere più grande.

Animazione della presunta orbita e dell’avvicinamento della fireball del 6 febbraio 2017.

Sulla base delle rilevazioni radar, è probabile che i pezzi della meteora (meteoriti) siano arrivati a terra. Tuttavia, le rocce spaziali sarebbero piovute sul lago Michigan, e quindi non potranno essere raccolte per essere studiate.

Il fenomeno però “fortunatamente” (finché accade in zone lontane dai centri abitati) non è rarissimo, è sempre Mike Hankey a dirci che una meteora grande abbastanza da lasciare meteoriti sul terreno arriva sugli Stati Uniti circa tre o quattro volte l’anno.

La meteora potrebbe anche essere stata individuata via radar dall’ufficio del National Weather Service di Milwaukee. Sul loro profilo twitter si può vedere un’immagine radar che mostra la probabile posizione della meteora sul lago Michigan, alle 01:31 CST. Sarah Marquardt, meteorologo presso l’ufficio di Milwaukee, spiega che la loro strumentazione radar è utilizzata per rivelare le gocce d’acqua nell’atmosfera, in questo caso i piccoli oggetti identificati nell’area non erano né ghiaccio né acqua, quindi, con molta probabilità indicano la posizione della meteora nel momento in cui si è disintegrata in pezzi molto piccoli.

Articolo originale di Calla Cofield su Space.com
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Astronomiamo: LIFT-OFF – Diretta Streaming

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Astronomiamo

9 febbraio: LIFT-OFF – Diretta Streaming.
16 febbraio: Corso di astrofotografia on line.
23 febbraio: OCCHI AL CIELO – Diretta Streaming

Eclisse Lunare di Penombra

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Da notare inoltre che la magnitudine penombrale di questa eclisse (0,988) sarà leggermente maggiore rispetto alla precedente del 16/09/2016 (0,908) (vedi il Cielo del Mese di Coelum Astronomia n.203 a pagina 116) e quindi dovrebbe risultare discreta la percezione della differenza di luminosità, in modo particolare in prossimità della fase massima di questo evento, fase in cui si potranno concentrare le osservazioni visuali e riprese fotografiche.
Circostanze per una località post in Centro Italia. Da notare inoltre che la magnitudine penombrale di questa eclisse (0,988) sarà leggermente maggiore rispetto alla precedente del 16/09/2016 (0,908) e quindi dovrebbe risultare discreta la percezione della differenza di luminosità, in modo particolare in prossimità della fase massima di questo evento, fase in cui si potranno concentrare le osservazioni visuali e riprese fotografiche.

Fra la tarda serata del 10 febbraio e le prime ore dell’11 febbraio l’appuntamento da non perdere sarà con una nuova eclisse lunare parziale di penombra perfettamente osservabile in tutte le sue fasi da tutta l’Italia.

Infatti, considerando la latitudine di Roma, l’inizio della penombra è previsto per le ore 23:32 con altezza della Luna di 59°, la fase massima la notte successiva alle ore 01:43 con la Luna a 56°, mentre alle ore 03:55 dell’11 febbraio col nostro satellite a un’altezza di 36° è prevista la fine di questa eclisse parziale di penombra con una durata complessiva di 4 ore 23 minuti.

Per l’evento del 10/11 febbraio la frazione oscurata del disco lunare (definita “magnitudine di penombra”) sarà di 0,988 [continua a leggere].

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La Luna di febbraio. Osserviamo il mare Crisium di Francesco Badalotti

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Cielo di Febbraio di Coelum n. 208: tutti i principali eventi da non perdere!

Alla scoperta del cielo, dalle costellazioni alle profondità del cosmo: la Lince (prima parte)

I principali passaggi della ISS

Le Comete del periodo

Il Club dei 100 asteroidi: tanti gli asteroidi in opposizione a febbraio, quale momento migliore per unirsi al Club?!


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Spirali sul Polo Nord di Marte

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La caratteristica forma a spirale della calotta di ghiaccio al Polo Nord di Marte, vista in prospettiva. Le immagini vengono dalla sonda Mars Express dell'ESA, le informazioni altimetriche per ottenere l'immagine in prospettiva provengono invece dal Mars Orbiter Laser Altimeter (MOLA) a bordo della sonda Mars Global Surveyor della NASA. Copyright ESA/DLR/FU Berlin; NASA MGS MOLA Science Team

Un nuovo mosaico di immagini arriva dalla sonda Mars Express dell’ESA, e ci mostra la calotta polare nord del pianeta rosso con le sue caratteristiche depressioni a spirale.  Generato dall’elaborazione di 32 “strisce” catturate tra il 2004 e il 2010, ricopre una superficie di circa un milione di chilometri quadrati. L’immagine di apertura, che ci mostra la superficie del Polo Nord visto in prospettiva, è stata ottenuta combinando le immagini stereografiche di Mars Express (vedi sotto) con i dati altimetrici dalla sonda Mars Global Surveyor (MGS) della NASA.

L'immagine mostra l'estensione della calotta polare di ghiaccio nell'emisfero nord i Marte. Copre una regione di approssimarivamente 0°–360°E e 78°–90° N. La riga gialla indica l'area ripresa nell'immagine più in basso (vista dall'alto della calotta), mentre quella bianca la superficie ripresa nelle 32 immagini utilizzate per il mosaico. Copyright NASA MGS MOLA Science Team

La calotta di ghiaccio del Pianeta Rosso è una struttura permanente, ma nella stagione invernale – in cui ci troviamo ora, per tutti i primi mesi del 2017 – le temperature sono abbastanza basse da far precipitare su di essa circa il 30 per cento del biossido di carbonio presente nell’atmosfera del pianeta, creando una copertura “stagionale” che arriva fino a un metro di spessore.

Durante i mesi estivi più caldi invece, la maggior parte del ghiaccio di anidride carbonica si trasforma direttamente in gas e fuoriesce nell’atmosfera, lasciando solo gli strati di ghiaccio d’acqua.

La calotta di ghiaccio è stata modellata nel tempo probabilmente dai forti venti che soffiano dal centro più elevato, verso i bordi inferiori, con un movimento a spirale dovuto alla stessa forza di Coriolis che provoca gli uragani sulla Terra.

Il mosaico a colori della calotta di ghiaccio del Polo Nord marziano. Per generarlo sono state utilizzate 32 "strisce orbitali" catturate tra il 2004 e il 2010 dalla High Resolution Stereo Camera a bordo di Mars Express. Copyright ESA/DLR/FU Berlin, CC BY-SA 3.0 IGO

Una caratteristica particolarmente evidente è una trincea di 500 km di lunghezza, e 2 km di profondità,  che taglia la calotta quasi in due.

Il profondo canyon, noto come Chasma Boreale, si pensa sia una caratteristica relativamente antica, che sembra essersi formata prima delle caratteristiche spirali di ghiaccio, e in continua crescita (come profondità) man mano che nuovi depositi di ghiaccio si formano attorno ad essa…

Le rilevazioni radar, della superficie sottostante a quella visibile eseguite dagli strumenti a bordo di Mars Express e Mars Reconnaissance Orbiter, hanno rivelato che la calotta di ghiaccio è costituita da più strati di ghiaccio e polvere che si estendono fino a una profondità di circa 2 km.

Si tratta di una preziosa testimonianza per comprendere come i cambiamenti climatici del pianeta abbiano influito nelle modifiche, ad esempio, dell’inclinazione e dell’orbita del pianeta, che sappiamo essere variate nel corso di centinaia di migliaia di anni.

Il profondo canyon Chasma Boreal che divide praticamente in due la calotta polare, visto in prospettiva. Anche questa immagine è stata ottenuta combinando le immagini di Mars Express dell'ESA con i dati altimetrici della Mars Global Surveyor della NASA. Copyright ESA/DLR/FU Berlin; NASA MGS MOLA Science Team

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Accademia delle Stelle

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Febbraio 2017

Febbraio 2017Iniziano a febbraio i due nuovi corsi rivolti a tutti:

Corso completo di Fotografia Astronomica: 10 lezioni teoriche ed esercitazioni pratiche per imparare a fotografare il cielo con qualsiasi strumentazione (che sia una semplice reflex o un telescopio). Il corso copre ogni aspetto della fotografia: dalla teoria all’esperienza sul campo all’elaborazione al computer, per realizzare immagini mozzafiato e di valore scientifico di panorami galattici, pianeti e altri oggetti celesti. Non è richiesto possesso di attrezzatura né una preparazione preliminare.
Il corso si terrà tutti i giovedì sera dalle 21 alle 22.30, le attività pratiche si svolgeranno di sabato e saranno concordate in base al meteo.
Corso teorico di astronomia generale: un ciclo di 9 conferenze che offre uno sguardo su argomenti raramente trattati nei corsi divulgativi. Si vedrà quali leggi fisiche agiscono nei più importanti fenomeni astronomici per comprendere l’universo e la scienza che lo studia: approfondimenti di grandissimo interesse per gli appassionati. Un modulo riguarderà anche la meccanica quantistica.
Gli incontri si svolgeranno tutti i lunedì dalle 21 alle 22.30 presso la nostra sede: sala conferenze San Gregorio Barbarigo, di fronte alla Metro B.
Info: Tel 349 7245167, eventi@ accademiadellestelle.org
Facebook: www.facebook.com/accademia.dellestelle
www. accademiadellestelle.org

Juno pronta per il suo primo perigiovio del 2017

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This false color view of Jupiter’s polar haze was created by citizen scientist Gerald Eichstädt using data from the JunoCam instrument on NASA’s Juno spacecraft. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Gerald Eichstädt Full image and caption
Un'immagine a falsi colori di Giove, elaborata da Gerald Eichstädt, un amatore nell'ambito del progetto di citizen science proposto dalla NASA. Chiunque può infatti scaricare le immagini grezze provenienti dalla JunoCam, elaborarle e proporle alla comunità (vedi in calce all'articolo i link). L'immagine è stata ripresa l'11 dicembre quando la sonda si trovava a 459 mila chilometri dal pianeta. I falsi colori sono stati ottenuti combinando le riprese del metano nel vicino infrarosso con quelle nel visibile, dando così risalto alle strutture più alte dell'atmosfera di Giove (come la grande macchia rossa, e l'ovale BA, ricnoscibili dal colore giallo chiaro brillante) normalmente velate dalle nebbie superficiali del polo sud del pianeta. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Gerald Eichstädt Full image and caption.
Questa foto, scattata alle 17:47 ora italiana dell'11 dicembre 2016, mostra la "Piccola Macchia Rossa", la terza più vasta tempesta anticiclonica che imperversa nell'atmosfera di Giove. Al momento dello scatto, la sonda americana si trovava circa 16600 chilometri al di sopra delle nubi del gigante gassoso. Anche questa immagine proviene dall'elaborazione delle immagini raw di Juno da parte di due "scienziati cittadini" Gerald Eichstaedt e John Rogers. Image Credit: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Gerald Eichstaedt/John Rogers

La sonda americana Juno si sta preparando al suo quarto sorvolo scientifico delle nubi di Giove. Juno doppierà il perigiovio della propria traiettoria alle 13:57 ora italiana di oggi, quando la sonda si troverà appena 4300 chilometri al di sopra delle nubi gioviane, sfrecciando a oltre 208 mila chilometri orari. Durante il sorvolo, tutti e otto gli strumenti scientifici a bordo di Juno saranno operativi.

Nel perigiovio precedente, eseguito l’11 dicembre, lo strumento italiano JIRAM era stato disattivo a causa di un aggiornamento al software.

Le analisi preliminari dei dati raccolti durante i primi sorvoli rivelano che il campo magnetico e le aurore di Giove sono ben più vasti ed energetici di quanto previsto; inoltre, la divisione in fasce e bande che avvolgono il pianeta si estende molto in profondità, all’interno dell’atmosfera di Giove.

Juno si trova ancora nella sua traiettoria di cattura, caratterizzata da un periodo orbitale di 53 giorni. La manovra di riduzione del periodo che avrebbe dovuto inaugurare la campagna scientifica vera e propria di Juno, inizialmente prevista per il 19 ottobre 2016, è stata posticipata a data da definirsi a causa di vari problemi riscontrati dai sistemi di bordo.

La homepage della community di JunoCam, con i vari livelli di partecipazione. Basta registrarsi e dare il proprio contributo in base alla propria esperienza. Dal semplice voto, al fornire dati e riprese del proprio lavoro di astrofilo o astrofotografo esperto.

Lo speciale sulla missione Juno su Coelum astronomia 202


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Gattini (…e aragoste) anche tra le stelle!

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http://www.eso.org/public/italy/images/eso1705a/
Questa immagine spettacolare ottenuta dal telescopio VST (VLT Survey Telescope) mostra la nebulosa Zampa di Gatto (NGC 6334, in alto a destra) e la nebulosa Aragosta (NGC 6357, in basso a sinistra). Due straordinare regioni di attiva formazione stellare in cui le giovani stelle fanno brillare di rosso l'idrogeno gassoso circostante. Il ricco campo di vista comprende anche scure nubi di polvere. Con i suoi quasi due miliardi di pixel, questa è una delle più grandi immagini mai rilasciate dall'ESO. Qui si può vedere una versione ingrandibile dell'immagine: https://www.eso.org/public/italy/images/eso1705a/zoomable/

NGC 6334, la nebulosa Zampa di Gatto, si trova a circa 5500 anni luce dalla Terra, mentre l’Aragosta, NGC 6357, è più distante, a circa 8000 anni luce. Entrambe appartengono alla costellazione dello Scorpione e si trovano nei pressi dell’aculeo velenoso della coda.

Questo grafico della brillante costellazione dello Scorpione mostra le stelle visibili a occhio nudo in una notte buia e serena. È questa una zona di cielo molto ricca che ospita ammassi stellari, rilucenti nubi di gas e scure nubi di polvere. Le due regioni di formazione stellare: NGC 6334 (la nebulosa Zampa di Gatto) e NGC 6357 (la nebulosa Aragosta) sono indicate da un cerchio rosso. Anche se appaiono con forme spettacolari nelle fotografie, sono in realtà molto deboli e difficili da vedere nella banda visibile, anche con un grande telescopio. Crediti: ESO

Fu lo scienzato britannico John Herschel a vedere le prime tracce dei due oggetti, in notti consecutive nel giugno 1837, durante la sua spedizione di tre anni al Capo di Buona Speranza in Sud Africa. La potenza limitata dei telescopi a disposizione di Herschel, che osservava nella banda del visibile, gli permise di individuare solo l’impronta di un’unghia, la più brillante, della nebulosa Zampa di Gatto. Dovranno trascorrere molti decenni perché la vera forma delle nebulose divenga chiara nelle fotografie – e nascano così i loro nomi popolari.

Le tre impronte visibili della Zampa di Gatto, così come la zona delle chele nella nebulosa Aragosta, sono zone di gas – soprattutto idrogeno – eccitato dalla luce delle brillanti stelle neonate. Con una massa di circa 10 volte quella del Sole, queste stelle calde irraggiano soprattutto intensa luce ultravioletta. Quando questa luce incontra gli atomi di idrogeno rimasti nell’incubatrice stellare che ha prodotto le stelle, gli atomi si ionizzano facendo risplendere gli ampi oggetti nebulari, chiamati per questo nebulose a emissione.

Grazie alla potenza della camera OmegaCAM da 256 megapixel, questa nuova immagine del VST (Very Large Telescope Survey Telescope) rivela tentacoli di polvere oscura che si incuneano tra le due nebulose. Con la sua dimensione di 49511 x 39136 pixel, questa è una delle immagini più grandi mai rilasciate dall’ESO.

Nonostante gli strumenti d’avanguardia usati per osservare questi fenomeni, la polvere di queste nebulose è così fitta che la maggior parte del suo contenuto rimane nascosto alla vista. La nebulosa Zampa di Gatto è una delle incubatrici stellari più attive del cielo notturno: nutre migliaia di giovani stelle calde la cui luce visibile non può raggiungerci. Tuttavia i telescopi come VISTA dell’ESO, osservando in luce infrarossa, possono scrutare attraverso la polvere e rivelare l’attività di formazione stellare all’interno.

Questo montaggio mostra alcuni particolari dell'immagine spettacolare della Nebulosa Zampa di Gatto (NGC 6334) e della Nebulosa Aragosta (NGC 6357) ottenuta dal telescopio VST (VLT Survey Telescope). Questa zona di cielo contiene regioni di attiva formazione stellare in cui le giovani stelle fanno brillare di un rosso caratteristico l'idrogeno gassoso circostante. Il ricco paesaggio celeste mostra anche scure nubi di polvere. Crediti: ESO

Alla fine degli anni Novanta, alcuni scienziati che lavoravano con il satellite Midcourse Space Experiment (MSX), notarono che la parte occidentale più brillante di NGC 6357 sembrava una colomba, mentre la parte orientale aveva il profilo di un teschio, se osservata in luce infrarossa. Per questo la battezzarono “Nebulosa Guerra e Pace”.

Osservando le nebulose in lunghezze d’onda (colori) diversi possiamo trovare somiglianze differenti. Per esempio, dal momento che, vista alle lunghezze d’onda più lunghe della luce infrarossa una parte di NGC 6357 sembra una colomba, mentre l’altra un teschio, la nebulosa si è guadagnata il nome aggiuntivo di nebulosa Guerra e Pace.


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Brillamenti nascosti, ma non troppo

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Questi tre brillamenti solari sono stati ripresi nell’estremo ultravioletto dai satelliti STEREO della NASA, che monitoravano la faccia del sole opposta a quella rivolta verso la Terra. Tutti e tre gli eventi sono stati associati a espulsioni di massa coronale (CME) veloci. Crediti: NASA/STEREO
Questi tre brillamenti solari sono stati ripresi nell’estremo ultravioletto dai satelliti STEREO della NASA, che monitoravano la faccia del sole opposta a quella rivolta verso la Terra. Tutti e tre gli eventi sono stati associati a espulsioni di massa coronale (CME) veloci. Crediti: NASA/STEREO

Fermi, il satellite della Nasa che studia i fotoni gamma nello spazio, cui l’Italia partecipa con l’Infn, l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), ha rivelato nuovi brillamenti solari ad altissima energia, che hanno avuto origine nella faccia non visibile del Sole.

La luce che deriva da queste violente eruzioni avvenute nel lato a noi nascosto della nostra stella, dovrebbe venire bloccata senza giungere a noi. Invece, gli scienziati della collaborazione Fermi sono riusciti a osservarla perché gli ioni prodotti e accelerati nei brillamenti, essendo elettricamente carichi, viaggiano lungo le linee del campo magnetico solare, che connettono il luogo dove è avvenuto il brillamento con parti anche distanti del Sole. Questi ioni interagiscono nelle zone più dense della superficie della nostra stella, producendo pioni che a loro volta decadono in raggi gamma: i fotoni di altissima energia, che sono stati, appunto, rivelati da Fermi grazie allo strumento LAT (Large Area Telescope) collocato a bordo del satellite.

La loro osservazione rappresenta quindi un’occasione unica per studiare come vengono accelerati gli ioni durante i brillamenti solari sul lato nascosto del Sole (chiamati in inglese behind-the-limb flaresbtl).

«L’aspetto affascinante di queste misure fatte con il Fermi-Lat – spiega Melissa Pesce-Rollins ricercatrice della Sezione INFN di Pisa e membro della collaborazione Fermi-Lat –  è proprio il fatto che è stato possibile per la prima volta osservare l’emissione gamma da altissima energia prodotta dagli ioni, che hanno viaggiato più di 500 mila km prima di interagire sulla faccia a noi visibile del Sole». Grazie al Fermi-Lat è stato possibile raddoppiare il numero di osservazioni di questi rari fenomeni: infatti, dagli anni ’80 del secolo scorso fino al lancio di Fermi nel 2008 erano stati rivelati solo 3 btl ma tutti con energie sotto i 100 MeV (megaelettronvolt, cioè 106 elettronvolt). Mentre nei primi 8 anni in orbita, Fermi ne ha rivelati altri tre con emissione fino ai GeV (gigaelettronvolt, 109 eV). Le osservazioni sono avvenute l’11 ottobre del 2013, il 6 gennaio e il 1° settembre 2014.

«Fermi ha rivelato decine di brillamenti solari caratterizzati da emissione gamma impulsiva con durata che spazia dai minuti alle ore, quasi un giorno nel caso più spettacolare» dice Patrizia Caraveo, responsabile per INAF dello sfruttamento scientifico dei dati Fermi Late direttrice dell’Istituto di Fisica Cosmica dell’Inaf di Milano. «Non c’è una chiara relazione tra la “classe” del brillamento (debole-medio-forte e fortissimo) e l’emissione gamma. Mentre tutti i brillamenti molto intensi  generano emissione gamma, spesso Fermi rivela flusso gamma anche in corrispondenza  di brillamenti medio-piccoli.  Ancora più sorprendente è rivelare un flusso gamma impulsivo anche in assenza di un brillamento. C’è voluta un po’ di fantasia per immaginare la soluzione del mistero. Il brillamento si era effettivamente verificato, ma aveva avuto luogo nella parte del disco solare non visibile dalla Terra (ma sotto l’occhio attento delle missioni spaziali). Le particelle accelerate dal brillamento avevano cavalcato le linee di forza del campo magnetico fino a raggiungere la parte del Sole visibile dalla Terra e lì avevano dato spettacolo. Un fenomeno sorprendente e affascinante, come la nostra stella che non smette mai di stupirci».

I risultati dei tre btl visti con Fermi-Lat sono stati presentati il 30 gennaio nel corso della conferenza dell’Americal Physical Society (Aps) a Washington D.C., e pubblicati su The Astrophysical Journal il 31 gennaio.


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La Luna occulta Aldebaran

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La tabella qui sopra mostra, per alcune località italiane, i tempi di entrata e di uscita di Aldebaran dal lembo lunare (arrotondati per difetto), con indicata l’altezza della Luna nei due istanti e la durata del fenomeno. L’immagine a destra propone graficamente lo svolgersi dell’evento per alcune città d’Italia.
L’immagine in alto propone graficamente lo svolgersi dell’evento per alcune città d’Italia. La tabella qui sotto a destra(cliccare per ingrandire) mostra gli orari per alcune delle principali località italiane, si consiglia di utilizzare un software planetario per conoscere le circostanze precise dell’evento in relazione alla propria posizione geografica.
La tabella (cliccare per ingrandire) mostra, per alcune località italiane, i tempi di entrata e di uscita di Aldebaran dal lembo lunare (arrotondati per difetto), con indicata l’altezza della Luna nei due istanti e la durata del fenomeno.

La notte del 5 febbraio, tra le 23:15 e 23:30 circa a seconda della località, Aldebaran (mag. +0,85 stella alfa del Toro) sparirà dietro il lembo in ombra della falce di Luna crescente.

È l’occasione per mettere in pratica i consigli di Giorgia Hofer, che questo mese ci spiega proprio come cogliere il massimo, astrofotograficamente parlando, da questo tipo di fenomeno.

L’evento sarà visibile anche a occhio nudo, essendo Aldebaran una delle stelle più brillanti del nostro cielo e immergendosi nel lato in ombra di una Luna in fase del 70%. Un’accorgimento sarà quello di coprire la parte più brillante della Luna con un dito per continuare a seguire Aldebaran fino alla scomparsa.

Particolarmente suggestivo sarà proprio vedersi “spegnere” la stella nel momento di ingresso nel lembo oscuro del nostro satellite, dal quale riemergerà dal lembo illuminato dopo un periodo che dipende dalla vostra zona di osservazione.

Con un binocolo o con un telescopio l’evento sarà ancora più suggestivo, la brillante e arancione stella spegnersi e poi riapparire dal bordo frastagliato della Luna.

Si consiglia di seguire l’evento con un certo anticipo rispetto al momento di occultazione, e quindi della sua emersione, in modo da non mancare i due momenti principali.

Nelle ore precedenti, la Luna occulterà anche tutta una serie di stelline tra la terza e la sesta magnitudine, per le circostanze vedere gli eventi del mese giorno per giorno.

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Febbraio

Fotografare l’occultazione di Aldebaran da parte della Luna di Giorgia Hofer

La Luna di febbraio. Osserviamo il mare Crisium di Francesco Badalotti

➜ Calendario degli eventi giorno per giorno


Tutti consigli per l’osservazione del cielo di febbraio su Coelum Astronomia 208

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AstronomiAmo: Occhi alla Luna e serata astronomica al Castello dei Conti di Ceccano.

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Astronomiamo

Astronomiamo
3 febbraio: Occhi alla Luna (Organizzazione DFM Roma Tre).
4 febbraio: Serata astronomica al Castello dei Conti di Ceccano.
9 febbraio: LIFT-OFF – Diretta Streaming.
16 febbraio: Corso di astrofotografia on line.
23 febbraio: OCCHI AL CIELO – Diretta Streaming.

Galileo Galilei Serata dedicata al padre della Scienza Moderna

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Serata dedicata al padre della Scienza Moderna Galileo Galilei

Serata dedicata al padre della Scienza Moderna Galileo GalileiL’appuntamento di sabato 11 febbraio 2017 è un’occasione molto particolare per conoscere la vita di un grande maestro.
Nei giorni dell’anniversario della sua nascita si parlerà di Galileo Galilei presso la Casa Della Partecipazione a Maccarese. Una conferenza tenuta da Gabriele Spaziani porterà tutti i partecipanti in un viaggio attraverso gesti, scoperte, curiosità e sorprese che lo scienziato italiano ha regalato al mondo intero. A seguire si potrà osservare la Luna attraverso una fedele riproduzione in cartone del telescopio storico che Galileo costruì nel 1610, facendo vivere a tutti coloro che vorranno essere presenti, l’emozione di guardare con i propri occhi proprio come egli faceva.
A seguire ci sarà la possibilità di osservare attraverso i telescopi moderni del Gruppo Astrofili Palidoro la Luna e altre meraviglie dell’Universo.
L’evento è patrocinato dal Comune di Fiumicino ed ha come media sponsor Coelum Astronomia e Frascati Scienza. L’appuntamento dunque è per sabato 11 febbraio 2017 alle ore 20.00. Per qualunque info è possibile scrivere gli astrofili alla mail info@astrofilipalidoro.it oppure chiamando il numero 3475010985 o ancora collegandosi al sito web www.astrofilipalidoro.it

L’ipnotica danza di quattro pianeti extrasolari

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The era of directly imaging exoplanets has only just begun, but the science and viewing pleasures to come are appealingly apparent.
L'era delle immagini dirette di pianeti extrasolari è appena iniziata, ma già possiamo immaginare quanto affascinanti saranno le immagini, e la scienza, in arrivo! In questa animazione, quattro pianeti più massicci di Giove orbitano attorno alla giovane stella HR 8799. Si tratta di una composizione di immagini raccolte in oltre sette anni di osservazioni dall'Osservatorio W.M. Keck alle Hawaii. (Crediti: Marc Kaufman http://www.manyworlds.space/index.php/2017/01/24/a-four-planet-system-in-orbit-directly-imaged-and-remarkable/)

Moltissimi pianeti extrasolari, o esopianeti, sono tanto deboli e vicini alle proprie stelle da non essere visibili nemmeno con i più potenti telescopi. Per mettere in evidenza la loro presenza e scoprire le loro proprietà, quindi, ci si affida ai metodi indiretti che, a dispetto del nome poco rassicurante, sono molto precisi e affidabili. In pratica, si studiano le variazioni di velocità e/o luminosità che la stella subisce a causa dell’eventuale presenza di uno o più corpi celesti che le orbitano attorno. È tutto molto bello, elegante e funzionante ma anche l’occhio a volte vuole la sua parte e non sarebbe male riuscire a fotografare in modo diretto questi lontani mondi.

Un'immagine in falsi colori traccia il moto del pianeta Fomalhaut b, attorno alla sua stella. Un'altra immagine diretta di un pianeta extrasolare, annunciata lo stesso giorno dell'annuncio della scoperta di tre dei quattro pianeti attorno a HR8799 (NASA, ESA, and P. Kalas, University of California, Berkeley and SETI Institute).

Per capire quanto è difficile riuscire a rubare un’immagine di un pianeta extrasolare, possiamo fare un paragone con il nostro Sistema Solare e il gigante dei pianeti: Giove. Ebbene, se osservato alla distanza di appena 30 anni luce (molto vicino!) apparirebbe separato dal Sole di appena mezzo secondo d’arco – circa le dimensioni apparenti di una moneta da due euro vista a più di 8 chilometri di distanza. Ma questa è solo una parte del problema, che diventa ancora più complicato se consideriamo la differenza di luminosità tra il Sole e Giove: diversi milioni di volte. In queste condizioni risulta quasi impossibile, con l’attuale generazione di telescopi, riuscire a osservare la debole luce del pianeta, che sarà soffocata dalla luminosità della stella. Meglio non pensare, allora, a come possa essere la situazione per i corpi più piccoli e interni (e interessanti) come Marte o, peggio, la Terra.

Non tutti i pianeti extrasolari, però, sono oltre le possibilità dei nostri migliori telescopi e un bell’esempio è rappresentato dalla stella HR8799, un astro nella costellazione di Pegaso, 1,5 volte più massiccio del Sole, formatosi solo 60 milioni di anni fa e distante circa 130 anni luce dalla Terra. Attorno a questa stella sono stati scoperti, con il metodo diretto, ben quattro pianeti giganti, con una massa dalle 7 alle 10 volte superiore a quella di Giove. Questi corpi celesti orbitano a grande distanza dalla propria stella, da 14,5 unità astronomiche per il più interno a 68 unità astrnomiche per il più esterno, vale a dire da 2 miliardi a 10 miliardi di chilometri, una distanza ben superiore a quella che nel Sistema Solare è occupata da pianeti (Nettuno, il più esterno, arriva a 4,5 miliardi di chilometri). Stiamo osservando quindi un sistema molto particolare, che non ha niente in comune con il nostro, sia per quanto riguarda la massa dei pianeti che la loro distanza. Meglio non pensare nemmeno a eventuali forme di vita perché questi oggetti potrebbero somigliare più a una debole stella che a un pianeta come siamo abituati a considerarlo.

Questi quattro pianeti giganti sono stati scoperti e seguiti con il telescopio Keck situato nelle Hawaii, un grande strumento dotato di ottiche adattive che riescono ad attenuare la turbolenza atmosferica della Terra muovendo diverse volte al secondo i tasselli che compongono lo specchio primario. Con particolari tecniche di elaborazione si è ridotto l’enorme disturbo della luce stellare e, come per magia, attorno a quest’anonima stellina sono comparsi quattro deboli punti.

Jason Wang, studente in astronomia alla Berkeley, Università della California, che ha composto le immagini per ottenere l'animazione dei quattro pianeti.

Sono pianeti o stelle che sembrano prospetticamente vicine? Per scoprirlo, senza l’ausilio dei metodi indiretti, l’unico modo è seguirne il movimento: se questi quattro deboli punti ruotano attorno alla stella centrale allora non c’è dubbio: sono dei pianeti. La conferma della natura planetaria è arrivata poco dopo la loro scoperta ma ora, a distanza di oltre 7 anni da quella prima, spettacolare, foto, è trascorso sufficiente tempo per vedere un’altra piccola parte di Universo evolvere. L’animazione, composta dallo studente Jason Wang dell’Università della California, raccoglie le immagini acquisite al telescopio Keck dal 2009 al 2016 da parte di Christian Marois del National Research Council of Canada’s Herzberg Istitute of Astrophysics e mostra il lento ma evidente moto di questi lontanissimi mondi. I periodi di rivoluzione sono di circa 40 anni per il più interno e di 400 anni per il più esterno: servirà ancora molto tempo per osservare un’orbita completa ma questa animazione rappresenta un altro piccolo, e fondamentale, tassello della storia della nostra conoscenza del Cosmo.

Christian Marois l'astronomo primo a riprendere immagini dirette di pianeti extrasolari, scoprendo il sistema di HR 8799, utilizzando tecniche avanzate di elaborazione delle immagini.

Siamo ancora lontani dall’osservare pianeti di taglia terrestre vicini alle proprie stelle, e probabilmente sarà impossibile riuscire a risolvere il disco di questi oggetti e scrutare quindi la loro superficie (servirebbero telescopi ottici di centinaia, migliaia di chilometri di diametro), ma non c’è dubbio che in questo caso l’occhio è stato accontentato. Questi pianeti, anche per i più scettici, ora esistono, si possono osservare e se ne può tracciare il moto attorno alla stella.

Non sarà l’animazione più bella del mondo; non ci sono colori, sfumature, contrasti degni di spettacolari opere d’arte che inondano gli occhi di meraviglia, ma nonostante questo non riesco a smettere di osservarla, ipnotizzato dall’Universo in movimento, da quei mondi lontani centinaia di migliaia di miliardi di chilometri che obbediscono alle stesse leggi della fisica che permettono alla Terra di vivere tranquilla attorno alla nostra Stella.

Un'altra animazione mostra Beta Pictoris b, attorno alla stella Beta Pictoris. Ripreso sempre in modo diretto, tra il novembre 2013 e l'aprile 2015, con il GPI – Gemini Planet Imager, team del quale fa parte anche Marois, partecipando anche all'ideazione e alla progettazione – al Gemini South Telescope in Cile. Crediti: M. Millar-Blanchaer, University of Toronto; F. Marchis, SETI Institute.

Quei mondi sono reali, ci stanno comunicando la loro esistenza, le loro proprietà, il loro moto, così come appariva circa 130 anni fa. Quando la luce che stiamo osservando è partita da quel sistema, non avevamo ancora idea che nell’Universo ci fossero altri pianeti, persino altre galassie. Non eravamo neanche in grado di volare nell’aria, figuriamoci nello spazio.

Il tempo che la luce ha impiegato ad attraversare un centomillesimo del diametro della Galassia, uno schiocco di dita per l’Universo, è stato sufficiente per trasformarci da una società che usava i cavalli per spostarsi a una specie che ha camminato sulla Luna e ha esplorato tutti i pianeti del Sistema Solare. Una specie che ha costruito una mastodontica stazione spaziale a 400 km dalla superficie e che anche grazie a questa ha fatto immensi progressi in ogni ambito della scienza, dalla medicina all’astrofisica, dalla biologia alla geologia.

Questo, e molto altro, ci comunicano le immagini dell’Universo, se si guarda oltre la mera bellezza che colpisce la retina. Perché vedere attraverso gli occhi è bello, ma riuscire a osservare con la mente regala un’estasi ben più duratura e profonda di qualsiasi bella immagine.

Per approfondire: https://astrobiology.nasa.gov/news/a-four-planet-system-in-orbit-directly-imaged-and-remarkable/


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Allineamento Luna, Marte e Venere

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La cartina mostra la situazione alle ore 20:30, quando i tre astri saranno sufficientemente bassi sull’orizzonte per essere ripresi immersi nel paesaggio circostante. A quest’ora la Luna disterà da Marte (mag. +1,1) circa 8° e mezzo, mentre Venere (mag. –4,7) 5° e mezzo. Più in alto, poco più di 10° a nord della Luna, è possibile rintracciare Urano (mag. +5,9), al limite della visibilità a occhio nudo da cieli tersi e bui (si consiglia l’uso di uno strumento).

La congiunzione avvenuta il 31 gennaio si trasforma e, mentre il lento moto apparente dei pianeti li mantiene all’incirca nella stessa posizione, la più veloce falce di Luna (fase = 17%) si sposterà lungo l’eclittica passando 8° e mezzo a nordovest di Marte (mag. +1,1), creando così il 1 febbraio un suggestivo allineamento a tre con Venere (mag. –4,7) poco più in basso.

I tre astri saranno visibili alti nel cielo già prima del crepuscolo (Marte, il più debole, sarà visibile per ultimo), e tramonteranno (Venere per primo) dietro l’orizzonte ovest a partire dalle 21:15 circa.

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Fotografare la luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum di gennaio 2017

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Hubble ricalcola la costante di Hubble

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Cinque dei migliori quasar osservati grazie alla tecnica della lente gravitazionale. Crediti: ESA, NASA, Suyu et al.
Cinque dei migliori quasar osservati grazie alla tecnica della lente gravitazionale. Crediti: ESA, NASA, Suyu et al.

L’Universo si espande velocemente, ma quanto? C’è un parametro fondamentale nella cosmologia moderna che misura proprio questo valore, cioè l’accelerazione dell’Universo, ed è la costante di Hubble. Un gruppo internazionale di astronomi della collaborazione H0LiCOW, guidata da Sherry Suyu, ha utilizzato Hubble di NASA ed ESA e altri telescopi per cercare di definire questa costante tramite l’effetto gravitazionale di 5 galassie.

HE0435-1223 è tra i cinque lensed quasar (cioè osservati tramite lente gravitazionale) più dettagliati scoperti fino a oggi. La galassia in primo piano (lente gravitazionale) crea quattro immagini del quasar quasi equamente distribuite. Cliccare per vedere questa straoirdinaria immagine alla sua piena risoluzione. Crediti: ESA/Hubble, NASA, Suyu et al.

La lente gravitazionale è uno dei metodi indiretti per osservare oggetti talmente lontani da essere impossibili da osservare con gli strumenti da terra o dallo spazio. È il fenomeno per cui la luce di una galassia distante è deviata dall’influenza gravitazionale di una galassia più vicina a chi osserva, che agisce appunto come una lente e fa apparire la galassia (o un altro oggetto spaziale) alle sue spalle più grande e più luminosa. Per ottenere questo risultato è necessario che la galassia più distante sia quasi perfettamente situata dietro la “galassia lente”.

Le 5 galassie studiate dai ricercatori sono posizionate esattamente tra la Terra e altrettanti quasar (nuclei galattici attivi molto luminosi) distanti da noi. La luce proveniente da questi quasar viene piegata attorno alla massa delle galassie lenti a causa della forte attrazione gravitazionale. Come risultato vengono prodotte numerose immagini di quasar sullo sfondo, alcuni dei quali sembrano formare degli archi luminosi.

I valori ottenuti dal team di Suyu sono diversi da quelli misurati con il satellite Planck, che in ogni caso misura la costante di Hubble osservando la radiazione cosmica di fondo e non galassie, stelle e quasar. La velocità dell’espansione dell’Universo viene misurata in modi diversi con precisione sempre più accurata, e le eventuali discrepanze tra le diverse teorie potranno portare la fisica al di là della nostra attuale conoscenza dell’Universo, ha spiegato Suyu.

Dato che le galassie non creano distorsioni perfettamente sferiche e le lenti gravitazionali e i quasar non sono esattamente allineati, la luce dei diversi quasar di sfondo segue percorsi luminosi con lunghezze leggermente diverse. La luminosità dei quasar varia col tempo e i ricercatori possono vedere le diverse immagini con ritardi che dipendono dalle lunghezze dei percorsi adottati dalla luce.

Questi ritardi sono direttamente collegati al valore della costante di Hubble. «Il nostro metodo è il modo più semplice e diretto per misurare la costante di Hubble, in quanto utilizza solo la geometria e la relatività generale, non altre ipotesi», ha spiegato Frédéric Courbin dell’EPFL, in Svizzera. Sfruttando questi ritardi si è arrivati a determinare la costante di Hubble con una precisione di circa il 3,8 per cento. Il risultato ottenuto dal team H0LiCOW è di 71.9 ± 2.7 chilometri al secondo per megaparsec: un valore di velocità d’espansione dell’universo superiore a quello derivato da Planck (66.93 ± 0.62 km/s per megaparsec) misurando la radiazione del fondo cosmico.

Suyu ha concluso dicendo che «la costante di Hubble è fondamentale per l’astronomia moderna, perché può aiutare a verificare se la nostra immagine dell’Universo – composto da energia oscura, materia oscura e materia normale – è corretta o se, al contrario, manca qualcosa di fondamentale».

Per saperne di più:

Guarda il servizio video su INAF-TV:


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Cielo di Febbraio 2017

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 febbraio > 21:00 15 febbraio > 22:00 1 marzo > 22:00
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 febbraio > 21:00 15 febbraio > 22:00 1 marzo > 22:00

EFFEMERIDI
(ott. 2016 – mar. 2017)

Luna

Sole e Pianeti

Cometa 45P

Per quanto riguarda l’aspetto del cielo, nella prima parte della notte predomineranno ancora le costellazioni invernali, verso le 20:30 saranno infatti in meridiano il Cane Maggiore e Orione, con l’Auriga allo zenit. A ovest staranno invece già tramontando Pegaso e la Balena, mentre a est il cielo sarà già occupato dagli asterismi primaverili, tra cui saranno facilmente riconoscibili il Leone e le prime propaggini della Vergine. Più tardi sorgerà anche la brillante Arturo nel Boote, mentre a ovest comincerà a essere evidente il declino di Orione verso l’orizzonte. Molto più in alto, quasi immobile a nord, il Grande Carro sembrerà in procinto di rovesciarsi. Marte e Venere saranno sicuramente i pianeti più facili da osservare, già nelle prime ore della sera, mentre Giove sorgerà solo più tardi, nel cielo della Vergine. Per vedere Saturno nell’Ofiuco bisognerà invece attendere la seconda parte della notte.

➜ Scopri le costellazioni del cielo di febbraio con la UAI

Sole

Il 16 febbraio il Sole si sposterà dal Capricorno all’Acquario (ovviamente stiamo parlando di costellazioni, non di “segni astrologici”), proseguendo nel contempo la “risalita” dell’eclittica a una velocità media in declinazione di circa 20 primi al giorno: partendo dai –17°,4 di inizio mese supererà i –10° alla fine. Da questo ne deriverà un corrispondente aumento dell’altezza sull’orizzonte al momento del passaggio in meridiano. Aumenteranno così anche le ore di luce, tanto che la sera, in media, si potrà iniziare a osservare con il massimo contrasto non prima delle 19:15, fino alle 5:30 del mattino dopo. La durata della notte astronomica, in continua diminuzione, in febbraio sarà in sostanza in media di poco superiore alle 10 ore.

Questo mese gli eventi da non perdere sono due: L’eclissi penombrale di Luna del 10 febbraio e l’occultazione di Aldebaran del 5 febbraio da parte della Luna. A quest’ultimo evento è dedicata anche la rubrica di astrofotografia Uno scatto al mese di Giorgia Hofer!

I dettagli degli eventi li trovi su

Cielo di Febbraio di Coelum n. 208: tutti i principali eventi da non perdere!

Alla scoperta del cielo, dalle costellazioni alle profondità del cosmo: la Lince (prima parte)

La Luna di febbraio. Osserviamo il mare Crisium

I principali passaggi della ISS

Le Comete del periodo

Il Club dei 100 asteroidi: tanti gli asteroidi in opposizione a febbraio, quale momento migliore per unirsi al Club?!

Calendario degli eventi giorno per giorno

E le Supernovae? Oltre alla rubrica mensile, beh… questo mese tutto il numero è dedicato alle Supernovae!


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VIAGGIO NEL COSMO Appunti di Astronomia all’esplorazione di pianeti, stelle e galassie

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Lunedì 30 Gennaio, ore 18:30 – EVOLUZIONE DELL’UNIVERSO

LA COSMOLOGIA PUO’ AVERE FINE? Relatore: Prof. Edoardo Bogatec (Circolo Culturale Astrofili Trieste).

Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, Via dei Tominz 4. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste

tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it

Circolo Culturale Astrofili Trieste
web: www.astrofilitrieste.it
mail: info@astrofilitrieste.it

Apollo 1 – 50 anni fa la tragedia

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Ed White, Gus Grissom, e Roger Chaffee posano con il modellino del modulo Apollo 1. Credits: NASA

Era il 27 gennaio del 1967, esattamente 50 anni fa. Tre uomini, tre astronauti, il primo equipaggio per la nuova capsula Apollo, perirono a causa di un incendio scoppiato improvvisamente durante la missione Apollo 1 (ex Apollo 204).

Virgil “Gus” Grissom, Ed White e Roger Chaffee, furuno i primi tre astronauti americani a morire nell’ambito di un programma spaziale NASA.

«È altrettanto importante considerare l’Apollo 1 come un lancio che non ha avuto luogo, ma che è stato, per molti versi, più importante di qualsiasi altro che ha volato. Ha rallentato le cose, ma ci ha dato modo di raggiungere una maggiore affidabilità». Mike Collins (astronauta, missioni Gemini 10 e Apollo 11).

L’incidente di Apollo 1 fu provocato da una serie di sfortunati eventi a catena. In breve, l’atmosfera all’interno della capsula, costituita da ossigeno puro e portata a 14kpa sopra la pressione atmosferica terrestre, accelerò e amplificò l’incendio, innescato da una scintilla elettrica partita da un cavo di rame rimasto privo della propria guaina isolante per l’usura generata dalle continue aperture e chiusure del portello di entrata.
Tutti i materiali all’interno della capsula avevano proprietà ignifughe, ma non per le condizioni che erano state create in cabina, appunto, l’ossigeno puro e la pressione così alta.

Benché le fiamme sviluppate avessero avvolto gli astronauti iniziando a fondere le tute e tutto quello che si poteva fondere all’interno del capsula, gli astronauti non morirono di ustioni, bensì per l’inalazione venefica dei fumi e del monossido di carbonio generati dalla combustione.
Tutto avvenne in soli 17 secondi, secondi interminabili preceduti dalle grida di dolore degli astronauti.

«Dalle ceneri del fuoco dell’Apollo 1 è arrivata la dura lezione che la NASA ha dovuto imparare per riuscire ad arrivare con successo sulla Luna e in seguito all’esplorazione dello spazio. Sono davvero orgogliosa di essere qui oggi con tutti voi per rendere omaggio a mio padre, ai suoi compagni e tutti gli astronauti caduti, ricordati sullo Space Mirror Memorial».
Sheryl Chaffee (figlia di Roger Chaffee, ha lavorato anche lei alla NASA per 33 anni).

Alle 18,31 ora locale Grissom esclamò qualcosa come “hey” o “fire” e due secondi dopo Roger Chaffie dette l’allarme con la storica e agghiacciante frase: “Fire! We’ve got fire in the cockpit!” cioè “Fuoco! C’è del fuoco nella cabina!”
Le procedure di emergenza per liberare la cabina richiedevano 90 secondi, troppi per rispondere ad una situazione del tutto nuova e imprevista.

Il modulo Apollo 1 dopo il tragico incidente. Credit: NASA

Il portellone della capsula, concepito per aprirsi verso l’interno e solo a cabina depressurizzata condannò i tre uomini alla morte e li consegnò alla storia come i primi (e purtroppo non ultimi) astronauti NASA deceduti in missione (sebbene quella di Apollo 1 fosse in realtà un’esercitazione, poi trasformata in missione ufficiale per onorare la memoria del terzetto).

L’incidente gettò molti dubbi sulla possibilità di realizzare l’obiettivo fissato dal compianto Presidente Kennedy di raggiungere la Luna prima della fine del 69. La NASA sequestrò ogni cosa intorno all’area di lancio e istituì una commissione per fare luce sulle cause dell’incidente.
La capsula Apollo fu riprogettata nuovamente e vennero risolti 1407 problemi di collegamento, la pressurizzazione non fu più di 14 kpa sopra il valore di pressione atmosferica, ogni cavo, elettrico o idraulico fu rivestito di isolante e tutti quello che poteva incendiarsi venne sostituito con materiali totalmente ignifughi e soprattutto il portellone di accesso fu riprogettato per aprirsi verso l’esterno.

© 2017 by Paolo Miniussi – Octobersky.it  (http://www.octobersky.it). Distribuzione libera, purché sia inclusa la presente dicitura.

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Ecco a voi l’idrogeno metallico

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Fotografie della transizione dell’idrogeno compresso, all’aumentare della pressione, da trasparente a nero molecolare a atomico molecolare. Crediti: R. Dias e I.F. Silvera
Fotografie della transizione dell’idrogeno compresso, all’aumentare della pressione, da trasparente a nero molecolare a atomico molecolare. Crediti: R. Dias e I.F. Silvera

Isaac SilveraRanga Dias, ricercatori del Lyman Laboratory of Physics alla Harvard University di Cambridge, negli USA, attraverso una speciale morsa con punte di diamante sono riusciti a creare idrogeno metallico, quello che viene considerato come il “sacro Graal” della fisica delle altissime pressioni, essendo stato teorizzato quasi un secolo fa ma finora mai dimostrato in maniera inequivocabile, anche se studi recenti (come questo dell’Università di Edimburgo) ci erano andati molto vicino.

Ranga Dias e Isaac Silvera, ricercatori del Lyman Laboratory of Physics alla Harvard University di Cambridge. Crediti: Harvard University.

Oltre a consentire agli scienziati di rispondere a quesiti fondamentali sulla natura stessa della materia, si ritiene che questo materiale  possa avere un’ampia gamma di applicazioni pratiche, compresa la realizzazione di superconduttori a temperatura ambiente. Il procedimento con cui Silvera e Dias hanno ottenuto questo materiale – certamente il più raro sulla faccia della Terra e, potenzialmente, uno dei più preziosi – è descritto sull’ultimo numero della rivista Science.

Per crearlo in laboratorio, i due ricercatori hanno torchiato all’inverosimile un minuscolo campione di idrogeno, imprimendogli una pressione di 495 gigaPascal, un livello che non si sperimenta nemmeno al centro della Terra. A tali pressioni estreme l’idrogeno molecolare solido – che consiste di molecole disposte nel reticolo tipico dei solidi – si rompe, e le molecole si dissociano per trasformarsi in idrogeno atomico, che è un metallo.

«Una previsione molto importante è che l’idrogeno metallico sia meta-stabile», dice Silvera. «Ciò significa che rimarrà metallico anche quando si smette di esercitare la pressione, come i diamanti sintetici prodotti sottoponendo la grafite ad alte temperature e pressioni». Se il materiale rimane stabile, si potrà quindi verificare se effettivamente l’idrogeno metallico agisca come un superconduttore a temperatura ambiente. «Che sarebbe rivoluzionario», aggiunge Silvera, «visto che, con un conduttore tradizionale, il 15 per cento dell’energia elettrica viene persa dalla dissipazione durante la trasmissione».

Non solo risparmio energetico, ma una pletora di applicazioni pratiche trarrebbe beneficio da un siffatto materiale, ad esempio rendendo possibili sistemi di trasporto a levitazione magnetica, aumentando l’efficienza delle vetture elettriche e migliorando, in generale, le prestazioni di molti dispositivi elettronici e dei sistemi di produzione e immagazzinamento dell’energia.

L’idrogeno metallico è poi, in sé, un’incredibile riserva di energia, proporzionale all’enorme quantità di energia necessaria a crearlo. Questo lo renderebbe perfetto come propellente per razzi spaziali, molto più potente degli attuali, rendendo l’esplorazione spaziale più abbordabile di quanto lo sia ora.

Rappresentazione di un’incudine di diamante che comprime idrogeno molecolare fino a convertirlo in idrogeno atomico. Crediti: R. Dias e I.F. Silvera

Per creare il nuovo materiale, Silvera e Dias hanno utilizzato un dispositivo noto come cella a incudine di diamante, dove sono utilizzati diamanti sintetici, accuratamente lucidati mediante un processo di corrosione reattiva mediante ioni e poi ricoperti da un sottilissimo strato di ossido d’alluminio per impedire che l’idrogeno penetri nella loro struttura cristallina.

Dopo più di quarant’anni di esperimenti sull’idrogeno metallico, e molti più decenni dalla sua teorizzazione, vedere il materiale per la prima volta, è stata un’enorme emozione per i ricercatori. «Quando Ranga, che conduceva l’esperimento in laboratorio, mi ha chiamato dicendomi “Il campione risplende”, sono immediatamente corso di sotto, ed era effettivamente idrogeno metallico», ricorda Silvera. «È un risultato straordinario, e, anche se al momento esiste solo all’interno di questa cella a incudine di diamante ad alta pressione, è una scoperta fondamentale e molto innovativa».

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Un nuovo tassello da NuSTAR per comprendere l’evoluzione dell’enigmatica Supernova Camaleonte

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In questa immagine, a tre colori nei raggi X (rosso, verde e blu sono usati rispettivamente per rendere raggi X a bassa, media e alta energia), ripresa dal telescopio spaziale Chandra, mostra l'inusuale supernova "camaleonte" SN 2014C. Indicata dal riquadro, è stata scoperta nel 2014 in una galassia a spirale, NGC 7331, a 46 milioni di anni luce di distanza. Credits: NASA/CXC/CIERA/R.Margutti et al

«We’re made of star stuff»
Carl Sagan

“Siamo fatti di materia di stella”, diceva l’astronomo Carl Sagan, di “polvere di stelle”… Intendeva ovviamente letteralmente! Le reazioni nucleari, infatti, che sono avvenute nelle stelle più antiche hanno generato gran parte degli elementi che compongono il nostro Universo, il nostro Sistema Solare, il nostro pianeta e quindi anche noi stessi. Ed è quando stelle massicce muoiono di morte violenta, esplodendo come supernove, che questo materiale viene espulso e disperso nello spazio.

Una supernova in particolare rappresenta ancora una sfida per gli astronomi, i loro modelli non riescono a spiegare del tutto il modo in cui i suoi resti si sono dispersi e il materiale che li compone.

Qui invece un'immagine della galassia opsite nel visibile, dalla survey Sloan Digital Sky, con indicata la posizione di SN 2014C. Credits: X-ray images: NASA/CXC/CIERA/R.Margutti et al; Optical image: SDSS

Si tratta della supernova Camaleonte, SN 2014C, il cui aspetto è cambiato drasticamente nel corso di un anno, al di fuori di qualsiasi classificazione. L’ipotesi principale ad oggi è che la stella che le ha dato origine abbia espulso il suo materiale in modo estremamente massiccio verso la fine della sua vita, prima di esplodere come supernova, andando contro tutti i modelli che spiegano questo tipo di esplosioni. Per spiegare quanto osservato, si dovrebbero però rivedere alcune delle idee ormai consolidate sull’evoluzione della fine vita di stelle di grande massa.

Cos’è una supernova, come nasce, come viene riconosciuta e classificata, QUI su Coelum 208 di febbraio 2017, in formato digitale completamente gratuito.

«La  supernova camaleonte può rappresentare un nuovo meccanismo di come le stelle massicce rilasciano gli elementi creati nei loro nuclei al resto dell’Universo», ci dice Raffaella Margutti – assistente professore di fisica e astronomia presso la Northwestern University di Evanston, Illinois – a capo di uno studio sulla SN 2014C, pubblicato questa settimana su The Astrophysical Journal.

Solitamente (vedi al link indicato sopra) le supernovae vengono classificate di Tipo I o II in base alla quantità di idrogeno trovata nei loro resti (molto poca nelle Tipo I, più rilevante nelle più rare di Tipo II). Ma per SN 2014C questo non è stato sufficiente.

Osservandola da diversi telescopi terrestri, gli astronomi hanno concluso che la camaleonte si è trasformata da una supernova di Tipo I a una di supernova di Tipo II, dopo il collasso del suo nucleo, come riportato in uno studio condotto da Dan Milisavljevic nel 2015 (Harvard- Smithsonian center for Astrophysics di Cambridge, Massachusetts). Nelle osservazioni iniziali, infatti, non è stata vista la classica riga di assorbimento dell’idrogeno, che caratterizza le Tipo II, ma dopo circa un anno, le tracce di idrogeno erano più che evidenti: le onde d’urto che si propagano dall’esplosione stavano colpendo un guscio di materiale dominato dall’idrogeno al di fuori della stella. Da dove è arrivato tutto questo idrogeno?

Nel nuovo studio, il telescopio spaziale della NASA NuSTAR (Nuclear Spectroscopic Telescope Array, per l’osservazione nei raggi X ad alta energia), ha permesso agli scienziati di rilevare come la temperatura degli elettroni, accelerati dall’esplosione della supernova, sia cambiata nel corso del tempo. Usando questa misura hanno stimato la velocità con la supernova si è espansa e quanto del suo materiale si trova ora nel guscio esterno.

Ed è proprio qui, in come ha creato questo suo guscio, che SN 2014C ha fatto qualcosa di veramente misterioso: ha espulso un sacco di materiale – principalmente  idrogeno, ma anche elementi più pesanti – da decenni a secoli prima di esplodere. Ha espulso l’equivalente di una massa solare, cosa che normalmente le stelle non fanno negli ultimi anni di vita.

E anche gli Osservatori Chandra e Swift sono stati utilizzati per dipingere ulteriormente il quadro dell’evoluzione di questa supernova. Grazie alle loro osservazioni è infatti emerso che, a sorpresa, la supernova si era illuminata in raggi X proprio dopo l’esplosione iniziale, indizio in più che doveva già esserci un guscio di materiale colpito dalle onde d’urto dell’esplosione.

Ma perché la stella ha espluso così tanto idrogeno prima di esplodere? È possibile che ci manchi ancora qualche tassello nella comprensione delle reazioni nucleari che avvengono nei nuclei di stelle massicce possibili supernovae. Oppure può essere che la stella non sia morta da sola: una stella compagna in un sistema binario può aver influenzato l’evoluzione e portato a tale insolita morte la progenitrice di SN 2014C. Una teoria, questa, che  si accompagnerebbe al fatto che circa sette stelle massicce su dieci hanno effettivamente una compagna.

A questo punto si dovrà focalizzare ulteriormente lo studio delle fasi finali della vita di queste stelle, con il vantaggio di poter continuare a studiare “in diretta” le conseguenze di questa supernova sconcertante.

«L’idea che una stella possa espellere una così grande quantità di materia in un breve intervallo di tempo è un concetto completamente nuovo», ci spiega Fiona Harrison, NUSTAR pricipal investigator al Caltech di Pasadena. «Mette alla prova i nostri fondamenti sull’evoluzione di stelle massicce, e su come eventualmente esplodono, disperdendo gli elementi chimici necessari alla vita».

Per ulteriori informazioni su NUSTAR, visitare i siti: www.nasa.gov/nustarhttp –  www.nustar.caltech.edu

Marte – Incontri ravvicinati con il Pianeta Rosso

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Mostra Marte

Mostra MarteSempre al centro dell’attenzione per le numerose missioni esplorative, tra cui ExoMars, che vede la collaborazione di ESA e Roscomsos e la significativa partecipazione del nostro Paese attraverso l’ASI, il pianeta Marte è il protagonista di una mostra organizzata a Roma dall’ASI in partenariato con il Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo.

La rassegna sarà aperta al pubblico, con ingresso libero, presso l’Aula Ottagona del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano (Via Giuseppe Romita 8, Roma).

La mostra unisce, con un coerente filo conduttore, il passato di Roma, con le statue che rappresentano il Dio della Guerra, al futuro, attraverso le prossime missioni marziane e la colonizzazione del Pianeta Rosso. Un futuro che, come per il passato, vedrà l’Italia protagonista. Tra questi due estremi, la storia, la cultura e la scienza, i primi studi di Schiaparelli e i disegni dei ‘suoi’ canali, il cinema di fantascienza e l’impresa dell’uomo di conoscere il gemello del proprio pianeta.

A questa esposizione hanno fornito il loro prezioso contributo, l’Agenzia Spaziale Europea, l’Istituto Nazionale di Astrofisica, oltre a Leonardo Finmeccanica, Thales Alenia Space e National Geographic Channel.

Un meteorite e fango secco per Curiosity?

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Il rover Curiosity, impegnato nell’esplorazione dell’area alle pendici del Monte Sharp, si è nuovamente imbattuto in alcune conformazioni geologiche che hanno destato l’interesse dei ricercatori.

Curiosity sol 1566, 31 dicembre 2016 - rete di fratture in una lastra di roccia marziana chiamata "Old Soaker". L'immagine, da sinistra a destra, riprende un'area di circa 1,2 metri. L'affioramento è stato ripreso dal MAHLI da una distanza di 90 centimetri. Colori elaborati per far risaltare i particolari. Credit: NASA/JPL-Caltech - Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today

In una delle immagini raccolte dal rover lo scorso 12 gennaio e rese pubbliche dalla NASA, appare evidente la presenza di un tozzo frammento metallico levigato: si tratta di un nuovo meteorite ferroso? Ricordiamo che l’ultimo analogo ritrovamento risale solo allo scorso novembre (leggi Coelum News https://www.coelum.com/news/curiosity-meteorite-ferroso). La notizia non è ancora stata confermata dalla NASA ma il lucido oggetto di colore grigio scuro, con i suoi riflessi metallici e le forme levigate tipiche di una roccia che abbia subito il rovente passaggio attraverso l’atmosfera, è del tutto simile ai frammenti meteorici già trovati in precedenza. La coincidenza è interessante, soprattutto se teniamo in considerazione che dei reperti meteorici trovati sulla Terra, appena l’1% è di composizione ferrosa. Nessuna ipotesi è ancora esclusa, compresa quella che si possa trattare di un masso marziano, levigato e lucidato dalla lenta ma inesorabile attività dei venti e della polvere del pianeta.

L’ipotetico frammento di origine meteorica fotografato lo scorso 12 gennaio (Sol 1577) dal rover NASA Curiosity Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS.

Il secondo ritrovamento è interessante perché costituirebbe un ulteriore indizio per ricostruire la storia climatica del pianeta, un tempo forse bagnato dall’acqua: si tratta di una lastra di roccia che presenta una “ragnatela” di sedimenti e forme poligonali a quattro o cinque lati simili a quelli riscontrabili qui sulla Terra su un terreno fangoso essiccato. Secondo i rilevamenti, tali strutture si sarebbero formate circa tre miliardi di anni fa in seguito a un processo di evaporazione o sotto la pressione degli strati rocciosi superiori. Le vene visibili nell’immagine potrebbero essere le crepe originali, poi colmate dalla polvere o da minerali trasportati dalle falde sotterranee. L’azione erosiva dei venti avrebbe poi lasciato esposta la superficie dell’affioramento, rimuovendo via via gli strati superficiali più soffici. Questi dati secondo Ashwin Vasavada, Project Scientist della missione, concordano con gli altri indizi che supportano la tesi della presenza di antichi laghi nel cratere Gale che «variavano in profondità e durata temporale, talvolta, scomparendo del tutto».


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Dalla NASA alla vita quotidiana

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La sezione del sito della NASA dedicata alle ricadute tecnologiche del 2016

Spesso ci si chiede se valga davvero la pena investire miliardi di dollari nelle missioni spaziali e nella ricerca nel campo della fisica e dell’astrofisica. Allo stesso tempo in molti non sanno che decine e decine di invenzioni pensate per lo spazio e create (nella maggior parte dei casi) da ricercatori della NASA vengono utilizzate da anni nella nostra vita quotidiana. Dal rivestimento antigraffio degli occhiali (in origine dedicato alle visiere dei caschi degli astronauti) al materiale memory foam di cui molti materassi sono fatti (utilizzato nello spazio per proteggere dagli urti gli astronauti), passando per i dispositivi senza filo a batteria (la tecnologia risale a quando nel 1960 la Black & Decker e la Nasa idearono la prima trivella usata sulla Luna) e gli apparecchi ortodontici “invisibili” (il materiale TPA – translucent polycrystalline alumina – è stato sviluppato dal NASA Industrial Application Center).

La lista è molto lunga e ogni anno (dal 1976) viene aggiornata dall’agenzia spaziale statunitense in un catalogo con cui vengono presentati i 50 brevetti tecnologici che hanno avuto le maggiori ricadute nella nostra vita negli ultimi 12 mesi (vai al sito NASA Spinoff), dalla medicina ai trasporti, dall’ambiente alla sicurezza pubblica. Nelle 237 pagine del report 2017 troviamo diverse invenzioni interessanti. Ne abbiamo selezionate una dozzina.

Tubi termici in grado di dissipare il calore o spostarlo dove è necessario

CONDOTTI TERMICI PER OPERAZIONI NEUROCHIRURGICHE – La NASA ha contribuito a lanciare sul mercato i prodotti della Thermacore, un’azienda leader nella produzione di condotti termici, cioè tubi utilizzati per “controllare” il calore in modo che si possa disperdere in modo sicuro. Tutto grazie al vapore e al materiale di cui sono fatti, cioè il rame. Le applicazioni di questi condotti sono state diverse negli ultimi decenni nel settore spaziale soprattutto su satelliti e sonde: le differenze di temperatura nei satelliti non rotanti tra il lato rivolto verso il Sole e il lato all’ombra causavano errori nelle parti elettroniche, per questo sono stati installati i tubo termici che hanno aiutato a portare il calore verso gli apparati più freddi. Le applicazioni sulla Terra sono importanti in campo medico: nelle operazioni al cervello i neurochirurghi utilizzano delle pinze bipolari, che sfruttano l’elettricità per tagliare e cauterizzare il tessuto con precisione assoluta. La tecnologia Thermacore permette di dissipare il calore prodotto dall’energia elettrica per garantire la sicurezza del paziente.

Abbigliamento termico utilizzato nei reparti maternità di regioni disagiate del mondo.

ABBIGLIAMENTO TERMICO, DA CALDO A FREDDO E VICEVERSA – La NASA e le aziende di tutto il mondo collaborano da anni per portare sulla Stazione spaziale internazionale e nella vita di tutti i giorni materiali in grado di proteggere da temperature eccessivamente fredde ed eccessivamente calde. Le tute spaziali devono garantire agli astronauti un’adeguata protezione termica durante le famose “passeggiate” nello spazio. La tecnologia utilizzata da decenni nella produzione di abbigliamento termico spaziale viene utilizzata oggi per prevenire i danni cerebrali dopo gli attacchi di cuore o ictus, migliorare le prestazioni sportive, per il trattamento di traumi, ed evitare il surriscaldamento sotto pesanti strati di equipaggiamento anche sui posti di lavoro. In questo settore sono popolari i materiali a cambiamento di fase, che assorbono calore passando dallo stato solido a quello liquido (come il ghiaccio in una bevanda calda) e, se esposti a temperature più fredde, rilasciano calore tornando allo stato solido. Il concetto alla base di questi materiali è stato utilizzato nella produzione di coperte termiche utilizzate nei reparti di maternità (soprattutto in regioni disagiate del mondo) per la cura dei bimbi appena nati.

Un’auto durante un crash test

DA ORION ALLE FOTOCAMERE DEI CRASH TEST – Ricordate il lancio dell’Orion Deep Space? Per monitorare le diverse fasi test di volo della capsula progettata per il volo umano nello spazio profondo, gli ingegneri del Johnson Space Center della NASA hanno utilizzato una speciale camera ultraleggera e ad alta velocità in grado di memorizzare una quantità incredibile di dati in tempo reale, supportando allo stesso tempo tutti i traumi di volo, dal decollo al rientro atmosferico fino all’ammaraggio. Si tratta di un dispositivo della Integrated Design Tools (IDT), specializzata in videocamere costruite per utilizzi scientifici e industriali soprattutto durante i crash test (anche delle auto). La videocamera è in grado di memorizzare dai 10 ai 12 Gb di dati al secondo e le sue peculiarità tecniche e di resistenza le rendono perfette per lo spazio ma anche per utilizzi militari, quando le missioni sono troppo pericolose per gli esseri umani.

Gli ingegneri della NASA Rob Berry e Jeff Lindner al lavoro sullo smorzatore progettato nell’ambito del programma di lancio Ares 1.

MENO VIBRAZIONI, PIÙ SICUREZZA SISMICA – Troppe vibrazioni durante il lancio dei razzi? La NASA anni fa trovò una soluzione per evitare i rischi dovuti a questa problematica: utilizzare un “ammortizzatore” ultraleggero (nello specifico uno smorzatore a massa risonante) a basso costo che dissipasse l’energia delle vibrazioni su una massa secondaria utilizzando un combustibile liquido. Oggi questi dispositivi (in gergo tecnico vengono chiamati anche assorbitori armonici) sono lo standard nel settore edile, dai ponti ai grattacieli che devono resistere a oscillazioni e vibrazioni dovute a vento e terremoti.

Il sensore della NASA per monitorare le nuvole

MONITORARE LE FREDDE NUVOLE DA LASSÙ – La NASA, come sappiamo, non si occupa solo di spazio, ma monitora anche il nostro pianeta e il cielo tramite satelliti e strumenti direttamente a terra. Gli ingegneri dell’agenzia spaziale americana, in collaborazione con diverse aziende, hanno progettato un sensore particolare per monitorare le nubi fredde che potrebbero creare disagi, soprattutto agli aerei in volo a causa del ghiaccio. Il sensore, low-cost e ultraleggero, è alla base di un network che allerta le compagnie aree in caso di condizioni meteo proibitive. Adesso il dispositivo è stato venduto anche fuori dagli Stati Uniti.

La popolare GoPro, videocamera/fotocamera resistente all'acqua e ad urti, considerate parte della fotografia d'avventura.

ECCO IL SEGRETO DELLE FOTOCAMERE HD – La tecnologia che ci permette di avere sui nostri cellulari fotocamere sempre più ad alta definizione e all’avanguardia è nata – ma guarda un po’! – alla NASA, per la precisione presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL). Gli ingegneri hanno progettato anni fa leggeri dispositivi di imaging (destinati a scopi scientifici) utilizzando la tecnologia dei CMOS complementary metal-oxide semiconductor) per creare quelli che oggi conosciamo come sensori a pixel attivi (APS o active pixel sensor). I sensori CMOS sono diventati in pochi anni più compatti, affidabili e meno costosi e quindi perfetti per essere integrati nei dispositivi mobili (oltre che in macchine altamente professionali e complesse) tanto da scalzare completamente dal mercato i dispositivi ad accoppiamento di carica (CCD o charge-coupled device) per anni utilizzati per la fotografia astronomica. Oggi le famose GoPro, quelle piccole telecamerine che si possono montare sui caschi delle biciclette o indossare sopra i vestiti, si basano proprio sulla tecnologia CMOS, il cui mercato nel 2015 ha raggiunto il fatturato di 10 miliardi di dollari.

Occhiali da sole da sci, che proteggono gli occhi anche dalla forte luce riflessa dalla neve, migliorando la visibilità degli ostacoli.

I FILTRI BLU CHE PROTEGGONO GLI OCCHI – L’occhio umano, a differenze di altre specie animali, è in grado di percepire tutti i colori dello spettro elettromagnetico ma è molto sensibile al blu e al verde. Negli anni novanta, uno scienziato dell’Ames Research Center (con fondi NASA) ha sviluppato dei filtri ottici per bloccare la luce blu e verde, consentendo alle altre tonalità di distinguersi e di rendere gli oggetti mimetizzati più visibili nelle foreste. Il suo lavoro è stato successivamente commercializzato attraverso un accordo con NASTEK. Di recente la Optic Nerve Inc. ha creato una linea di occhiali da sci che filtrano circa il 95 per cento della luce blu, che diffusa dalle molecole d’aria crea una particolare foschia intorno alle montagne e agli oggetti in particolari condizioni meteorologiche (come la neve) interferendo con la visione umana. La tecnologia di filtraggio ottica sviluppata dalla NASA permette agli sciatori di aumentare la capacità di distinguere gli oggetti del 12-15%.

La batteria argento-zinco sviluppata dalla Zinc Matrix Powe

APPARECCHI ACUSTICI A LUNGA DURATA – La NASA ha passato anni a perfezionare la tecnologia delle batterie argento-zinco, accoppiata a quanto pare perfetta per garantire una lunga durata delle volgarmente chiamate “pile”, però con scarsi risultati nell’utilizzo spaziale. L’azienda californiana ZPower ha preso il brevetto del Glenn Research Center della NASA per farne un successo commerciale: per la prima volta dopo anni di tentativi, sul mercato si trovano delle batterie ricaricabili perfette per gli apparecchi acustici. Pensate che queste batterie possono durare tutto il giorno con una carica!

Il trattore che viene guidato a distanza tramite il GPS

I TRATTORI COL PILOTA AUTOMATICO – C’è un altro brevetto proveniente dal JPL che ha un importante utilizzo nella vita quotidiana, anche in agricoltura. Si tratta – forse – di uno dei maggiori contributi all’umanità che la NASA abbia mai dato: la tecnologia GPS (Global Positioning System). In questo caso specifico non parliamo di navigatori di grido, bensì di trattori automatizzati e autonomi che si servono della tecnologia GPS e della correzione satellitare per essere spostati, monitorati e controllati a distanza in tutta sicurezza. I ricevitori che permettono la guida remota dei trattori sono poco costosi e non richiedono la presenza di antenne radio nelle vicinanze, e per questo possono essere utilizzati in tutto il mondo. La guida automatizzata riduce il tempo e le risorse necessarie per la cura dei campi e aumenta la resa delle colture.

I fertilizzanti a lento rilascio permettono di controllare il rilascio dei nutrienti per evitare il deflusso massimizzando il beneficio per la pianta.

FERTILIZZANTI A LENTO RILASCIO – Per andare su Marte bisogna prima di tutto cercare di procacciarsi il cibo in loco. Per questo sulla ISS tre anni fa è partito il programma Veggie, un sistema di produzione per alimenti freschi in schiera che utilizza LED rossi e blu e un particolare fertilizzante a rilascio lento. In particolare, il fertilizzante utilizzato dagli astronauti sulla Stazione spaziale internazionale si chiama Florikan ed è il frutto della collaborazione di un’azienda della Florida con la NASA. Florikan permette di controllare il rilascio dei nutrienti per evitare il deflusso massimizzando il beneficio per la pianta. Il fertilizzante utilizzato sulla ISS e oggi in tutto il mondo ha un rapporto azoto-fosfato-potassio di 14-4-14 che sembra perfetto se applicato ogni 100 o 180 giorni.

Collina di Tara, Irlanda

LIDAR, IL LASER DELLA NASA AMICO DEGLI ARCHEOLOGI – Chi l’avrebbe mai detto che l’astrofisica e l’archeologia fossero due discipline così vicine! LIDAR, la tecnologia sviluppata dalla NASA per misurare le distanze astronomiche grazie alla luce laser, è uno dei brevetti più utilizzati oggi nella ricerca di oggetti provenienti da epoche passate. Si tratta di sensori laser che permettono agli archeologi di localizzare più facilmente fossili e ossa nascosti sotto terra. Anche se chi ha sviluppato LIDAR inizialmente andava in cerca di qualcosa di diverso e di molto più lontano, come pianeti, lune e asteroidi. La società che produce questi scanner laser usati in archeologia ne ha di recente montato uno su OSIRIS-REx, la sonda NASA che dovrebbe riportare sulla Terra il primo campione di un asteroide prelevato in loco.

Trasformare la cenere prodotta dalla combustione del carbone in calcestruzzo, presto disponibile anche per l'edilizia civile.

CENERE AL CEMENTO, CEMENTO ALLA CENERE – Il lancio di un razzo non è una passeggiata e come abbiamo già visto, gli ingegneri cercano metodi e tecnologie sempre più innovative che garantiscano sicurezza in fase operativa. Un team di ricercatori e ingegneri della Louisiana Tech University ha progettato quello che può essere considerato il cemento del futuro: un calcestruzzo geopolimerico realizzato con ceneri volanti prodotte dalla combustione del carbone. I test hanno confermato una forte resistenza del materiale al calore e alla corrosione. Presto la cenere di scarto verrà trasformata in cemento in tutti gli Stati Uniti per essere utilizzato non solo nelle basi di lancio ma anche per l’edilizia civile.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video su INAF-TV:


Cosa ci aspetta nel 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici da non perdere su Coelum Astronomia di gennaio.

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A disposizione del pubblico il Calendario meccanico universale di Giovanni Plana

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Il calendario perpetuo del Plana ora fruibile al pubblico in visita alla Cappella dei Mercanti.

Pochi sanno che nel cuore di Torino è custodito un vero e proprio tesoro ingegneristico: il Calendario meccanico Universale (detto anche della Ressurrezione) di Plana.

Giovanni Antonio Amedeo Plana (1781-1864) era un insigne astronomo torinese vissuto a cavallo tra il diciottesimo e diciannovesimo secolo, padre dell’Osservatorio Astronomico di Torino e interessato al moto della Luna. In particolare diede un grande impulso all’informatica moderna dei calcolatori: invitò il famoso scienziato “proto-informatico”, che per primo ebbe l’idea di un calcolatore programmabile, Charles Babbage a Torino e realizzò un proprio calendario perpetuo nel 1831 in due esemplari, ma tenne per se il suo funzionamento. Non lo espose in alcuna conferenza o trattato ed è rimasto sconosciuto fino al 2015, quando il calendario è stato analizzato nel dettaglio e riprodotto per la prima volta da quattro team di studenti del Politecnico di Torino.

Il team vincitore (da sx, Meysam Nasiri e Roberto Cappato) il modello è ora a disposizione dei visitatori della Cappella dei Mercanti (fonte foto gravita-zero.org).

Il Calendario della Ressurrezione è ora visibile a Torino nella sagrestia della appena restaurata Cappella dei Mercanti di Torino. In mezzo a diversi oggetti sacri, potrete ora ammirare il Calendario e, di fronte, il modello in scala 2:3 realizzato dagli studenti primi classificati tra i quattro team impegnati nell’analisi e nella scoperta del suo funzionamento.

L’apparente semplicità del lato frontale scompare alla vista del lato posteriore, dotato di numerosi tamburi, dischi, nastri scorrevoli, catene, ruote dentate e viti senza fine in legno, tela e metallo. I nove cilindri (ovvero, gli elementi di “memoria a sola lettura”) riportano i ben 46.000 numeri del calendario visualizzati frontalmente.

Il retro del calendario, funzionando come un vero e proprio computer, è composto da nove memorie a tamburo (cilindri su cui sono scritti dati in forma numerica), a disco e a nastro in grado di memorizzare oltre 46.000 dati. Foto dell'autore.

Il calendario fornisce tutte le informazioni sul giorno della settimana, comprese le festività liturgiche cattoliche (periodiche e non periodiche, comprese le festività mobili come la Pasqua, forse la più complessa) per ogni anno su un lasso di tempo di ben 4 mila anni dall’anno 1 D.C. Sono comprese le differenze tra il calendario giuliano (fino al 1582) e quello successivo, gregoriano: la differenza di durata tra anno solare e anno gregoriano (il primo 11 minuti più lungo) ha fatto sì che la loro risincronizzazione abbia fatto “sparire” i giorni compresi tra il giovedì 4 e il venerdì 15 ottobre 1582, assenti dai dati.

L’input fornito in ingresso è l’anno: il quadrante frontale visualizza tutte le informazioni relative ai giorni e ai mesi di quell’anno, giorni della settimana, lettere domenicali, e l’Epatta – ovvero l’età della Luna nel suo ciclo di lunazione, rilevante proprio nel calcolo della Pasqua.

Ma rimandiamo la trattazione sulla storia e il funzionamento del Calendario perpetuo a un articolo più approfondito su uno dei prossimi numeri di Coelum Astronomia! Restate sintonizzati…

Per il momento non perdete l’opportunità di vedere da vicino questo gioiello del calcolo astronomico esposto nella sagrestia della Cappella dei Mercanti, finalmente aperta al pubblico dopo il restauro.

Per prenotare una visita alla Cappella dei Mercanti di Torino qui tutte le informazioni.

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Luna, Marte e Venere e passaggio della ISS

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La cartina mostra la situazione alle ore 20:30 circa, quando i tre astri saranno sufficientemente bassi sull’orizzonte per essere ripresi immersi nel paesaggio circostante. Alle 18:15, nella ripresa a grande campo potrà essere immortalato anche il passaggio della ISS, che si muoverà (in particolare per gli osservatori del Centro Italia) nei pressi della congiunzione di Luna, Marte (m = +1,1) e Venere (m = – 4,6) tra le 18:15 e le 18:19 circa. Come sempre, date le differenze di orari e traiettoria, in base al luogo di osservazione e all’anticipo con vengono calcolati, si consiglia di di controllare le corrette circostanze inserendo il riferimento alla vostra località al link https://goo. gl/jm41S0.
La cartina mostra la situazione alle ore 20:30 circa, quando i tre astri saranno sufficientemente bassi sull’orizzonte per essere ripresi immersi nel paesaggio circostante. Alle 18:15, nella ripresa a grande campo potrà essere immortalato anche il passaggio della ISS, che si muoverà (in particolare per gli osservatori del Centro Italia) nei pressi della congiunzione di Luna, Marte (m = +1,1) e Venere (m = – 4,6) tra le 18:15 e le 18:19 circa. Come sempre, date le differenze di orari e traiettoria in base al luogo di osservazione e all’anticipo con vengono calcolati, si consiglia di di controllare le corrette circostanze inserendo il riferimento alla vostra località al link https://goo. gl/jm41S0.

Gennaio ci saluta con un’altra stupenda congiunzione tripla.

Una sottile falce di Luna (fase del 15%) si troverà al crepuscolo a un’altezza di circa 30° sull’orizzonte sudovest, a formare un brillante triangolo con Marte (a circa 6° a nord) e Venere (a circa 4° a  sudovest).

I tre astri si muoveranno poi in formazione fino a tramontare sotto l’orizzonte ovest attorno tra le 21:15 e le 21:30.

Osservata dal Centro Italia la congiunzione si arricchirà anche dell’ultimo passaggio del mese (e il primo serale) della Stazione Spaziale Internazionale.

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