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#citizenscience Cosa dovrà riprendere la sonda Juno della NASA nel prossimo flyby? Lo decidete voi!

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L'immagine, frutto di una elaborazione amatorial, è dell'11 dicembre, scattata durante il terzo flyby di Juno, da 24400 chilometri dall'atmosfera del pianeta. Il "citizen scientist" Eric Jorgensen (chiunque può partecipare a questo progetto di "scienza partecipata", citizen science appunto) ha ritagliato una parte dell'immagine originale per mettere in evidenza i vortici delle nubi visibili nella parte di Giove a sudest di una “perla”, una delle otto formazioni che si trovano a 40° S di latitudine su Giove, massicce tempeste note come "collana di perle". Image Credit: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Eric Jorgensen

Citizen science o solo marketing? Più probabilmente entrambe le cose, che male non fa…

Sappiamo già che nella sua missione Juno, che sta studiando l’atmosfera di Giove, la NASA ha volutamente previsto una camera non scientifica. La JunoCam, infatti, è dedicata alla raccolta di immagini per il pubblico, che ha sempre più fame di immagini dal cosmo e che, in questo modo, riesce a seguire una missione complessa e importante come quella in corso attorno al gigante gassoso del nostro Sistema Solare. Anche se comunque, le informazioni tratte dalle immagini andranno a completare i dati raccolti dagli strumenti scientifici.

Ora, per la prima volta, non solo immagini dedicate al pubblico, ma la richiesta di un vero e proprio coinvolgimento diretto: la scelta, tramite votazione pubblica, di dove puntare la camera nei prossimi passaggi ravvicinati della missione!

Dove dovrebbe puntare il suo obiettivo Juno nel prossimo passaggio del 2 febbraio? Per la prima volta si potrà votare: il voto è iniziato ieri 19 gennaio (alle 20:00 ora italiana) e si concluderà il 23 gennaio alle 18:00, sempre ora italiana.

«Non vediamo l’ora di vedere la partecipazione di nuove persone che possano poi diventare parte della comunità e del team di imaging della JunoCam», ha detto Candy Hansen, Juno co-investigator del Planetary Science Institute, Tucson, Arizona. «Stà al pubblico ora decidere la migliore inquadratura per riprendere l’atmosfera di Giove, nel corso del prossimo flyby».

Nella pagina della community di Juno, infatti, non è solo possibile votare le zone da far riprendere a Juno, ma anche: scaricare le immagini grezze e proporre la propria elaborazione (come l’immagine di apertura); rintracciare e discutere dei particolari più interessanti visibili nelle imagini o delle tecniche di elaborazione; oltre che a condividere riprese e dati di Giove raccolti con la propria strumentazione.

La homepage della community di JunoCam, con i vari livelli di partecipazione. Basta registrarsi e dare il proprio contributo in base alla propria esperienza. Dal semplice voto, al fornire dati e riprese del proprio lavoro di astrofilo o astrofotografo esperto.

Chiunque, in base al proprio livello di esperienza, può essere parte di questo progetto di “scienza partecipata”. Basta conoscere un minimo di inglese, unirsi alla comunità… e lasciarsi coinvolgere!

Il sito della community di JunoCam

La pagina di votazione per il flyby  del 2 febbraio

Lo speciale sulla missione Juno su Coelum astronomia 202


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AstronomiAmo – Appuntamenti di Gennaio

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LocandinaCoelumDicembre

26 gennaio: OCCHI AL CIELO – Diretta di aggiornamento

Dettagli: www.astronomiamo.it

Premio Letterario Galileo 2017 per la divulgazione scientifica

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Il 18 gennaio 2017 presso il Centro culturale Altinate San Gaetano a Padova, la Giuria Scientifica del Premio letterario Galileo, presieduta dal chimico e scrittore Dario Bressanini, ha selezionato la cinquina delle opere finaliste che saranno votate nei prossimi mesi dalla Giuria popolare.

«Sono molto soddisfatto dei lavori della Giuria – ha sottolineato il Presidente Dario Bressanini – ne è uscita una cinquina molto legata all’attualità, sia ai problemi del nostro presente sia alle recentissime scoperte della scienza».

La Giuria popolare sarà formata da studenti delle classi IV degli istituti superiori di tutte le province italiane e determinerà, nell’ambito della cinquina, l’opera da premiare. La cerimonia di premiazione del vincitore si terrà, anche questa in forma pubblica, il 5 maggio 2017 a Padova, presso il Palazzo della Ragione a partire dalle ore 16.00.

Questi i cinque volumi scelti:

Info Settore Cultura Turismo Musei e Biblioteche Palazzo Moroni Tel. ++39 49 8205626-5623-5611
Informazioni per le scuole: ++39 49 8204517-5626 E-mail: premiogalileo@comune.padova.it

Pieghevole informativo – Pagina facebook – Padovacultura.padova.net

Ricordiamo poi Recensire la scienza, l’atteso concorso parallelo al Premio Galileo che da anni è seguito e apprezzato da un vastissimo pubblico. Tutti potranno, per una volta, diventare critici letterari e cimentarsi in una recensione dei cinque libri finalisti pubblicando il loro scritto sulla pagina facebook ufficiale del Premio Galileo. I “mi piace” decreteranno i vincitori (regolamento e info a breve alla pagina facebook.com/premio.galileo.padova/).

Incontri con gli autori finalisti e eventi collaterali

Anche quest’anno a partire dal mese di marzo si terranno gli incontri con gli autori dei libri finalisti. Studenti e cittadini avranno la possibilità di conoscere più da vicino i cinque studiosi selezionati dalla giuria scientifica in altrettante giornate dedicate ciascuna ad una pubblicazione con l’ormai sperimentata modalità dei due incontri: quello del mattino dedicato alle scuole superiori della città (trasmesso in diretta streaming per le scuole di tutta Italia) e quello pomeridiano aperto al pubblico.

Gli incontri con gli autori saranno introdotti e accompagnati da sei appuntamenti a cadenza quindicinale in collaborazione con il CICAP:

La scienza dei Mostri “di carta”

Fondamenti scientifici e fantasie irrazionali sulle creature letterarie del mistero

presso il Centro culturale Altinate/San Gaetano, via Altinate, 71 – Padova
Inizio incontri: ore 21.00

  • 1 febbraio: Marco Ciardi “Ippogrifi, draghi e unicorni: scienza e magia da Galileo a Harry Potter”.
  • 15 febbraio: Lorenzo Montali “Leggende, gatti alati e fantasmi: il fascino del mistero”.
  • 8 marzo: Massimo Polidoro “Sherlock Holmes e il mistero di Jack lo Squartatore”.
  • 15 marzo: Lorenzo Rossi “Dal Kraken a Moby Dick: quando i mostri diventano veri”.
  • 5 aprile: Luigi Garlaschelli “Misteri macabri: da Frankenstein agli zombi”.
  • 19 aprile: Andrea Ferrero “Chi ha paura delle streghe?”.

Nelle pagine che seguono le schede dei cinque libri in concorso.
Invitiamo tutti i lettori a leggerli e a esprimere la propria opinione.

Il Premio Letterario Galileo 2016 è promosso dal Comune di Padova, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, della Regione del Veneto, della Fondazione Il Campiello e dell’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti in Padova e in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova.

Il Premio Galileo ha il sostegno della Fondazione Antonveneta.
Con la collaborazione di: APS Advertising, Auriga, Hotel GalileoMorellato – Gioielli da vivere, Promovies, Noleggiami.eu, Cicap, Inaf, Planetario Padova, Education First-Vacanze Studio e Corsi di Lingue all’Estero.. Media sponsor: Rai Radio3, Focus, Coelum, il Bo, il Vivi Padova, Radio Bue.it, Planck.

Un anno intorno al Sole

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Un ritratto al giorno per 366 giorni, sempre alla stessa ora e dalla stessa prospettiva. Una campagna di osservazione che riporta alla mente il progetto fotografico del bizzarro tabaccaio Auggie Wren, sapientemente interpretato da Harvey Keitel in Smoke, pellicola di Wayne Wang co-diretta insieme a Paul Auster.

Soggetto del reportage firmato PROBA-2, non è certamente l’angolo di Brooklyn tra la Terza Strada e la Settimana Avenue, ma la nostra stella, immortalata per tutto il 2016, sempre a mezzanotte in punto. Ogni immagine, montata nel collage finale rilasciato il 16 gennaio scorso dall’ESA, è composta da una raffica di 30 scatti ripresi dalla fotocamera SWAP, strumento specializzato nelle lunghezze d’onda dell’ultravioletto estremo e dedicato allo studio della parte più esterna dell’atmosfera solare, nota come corona.

Il poster al completo. Cliccando è possibile vedere l'immagine a piena risoluzione. Al link: http://www.esa.int/spaceinimages/Images/2017/01/The_Sun_in_2016 è anche possibile scaricare l'immagine in formato non compresso di ben 111 mega! (In formato png). Copyright ESA/Royal Observatory of Belgium

Le immagini, elaborate al fine di esaltare le caratteristiche del disco solare, documentano nel 2016 una tendenza al minimo dell’attività del sole nell’ambito dell’attuale ciclo undecennale. Durante tali periodi viene registrata una diminuzione del numero di macchie solari, di regioni attive e di eruzioni. La regione più attiva registrata nel 2016 è visibile nell’immagine ripresa il 17 luglio. La macchia luminosa più prossima al centro del Sole ha prodotto otto dei 20 brillamenti più potenti verificatisi lo scorso anno.

Il 24 novembre è stato invece osservato, nell’area più settentrionale del Sole, uno dei più grandi buchi coronali. Si tratta di regioni scure che indicano bassi livelli di emissioni ma sono in grado di produrre veloci flussi di vento solare che possono scatenare tempeste geomagnetiche sulla Terra.


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E’ morto Eugene Cernan, “l’ultimo Uomo sulla Luna”

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«We leave as we came, and, God willing, we shall return,
with peace and hope for all mankind».
Capitano Eugene Cernan

Eugene Cernan, l’ultimo uomo ad aver camminato sulla Luna nel dicembre del 1972, ci ha lasciato il 16 gennaio 2017, aveva 82 anni.
Cernan era stato colpito da un ictus diversi mesi fa che lo aveva indebolito. Ha lottato, entrando e uscendo dall’ospedale fino alla fine del 2016. La famiglia ha preferito mantenere il massimo riserbo sulle sue condizioni fino alla fine.

Una magnifica immagine al “chiaro di Terra” di Eugene A. Cernan durante la prima EVA del 12 dicembre 1972, ripreso da Harrison J. “Jack” Schimitt. Crediti: NASA

L’umanità perde l’ennesimo moonwalkers e oggi sono rimasti 6 dei 12 uomini che hanno avuto il privilegio di posare i piedi sul nostro satellite naturale e a vedere la Terra dalla Luna.

Eugene Cernan fu uno dei 14 astronauti selezionati dalla NASA nel mese di ottobre 1963. Fu pilota durante la missione Gemini 9 con il comandante Thomas Stafford – un volo di tre giorni nel giugno 1966 – durante la quale effettuò una complessa EVA (Extra-Vehicular Activity) restando due ore al di fuori della capsula in orbita terrestre. Nel maggio del 1969 effettuò la sua seconda missione come pilota del modulo lunare di Apollo 10, il collaudo generale prima dell’allunaggio di Apollo 11. La missione confermò le prestazioni, la stabilità e l’affidabilità del modulo di comando e servizio Apollo e quella del modulo lunare. La missione scese a poco più di 14 chilometri dalla superficie della luna. In un’intervista di alcuni anni fa, Cernan scherzando, ma non troppo, disse: «Continuo a dire all’amico Neil Armstrong che noi di Apollo 10 abbiamo tracciato quella linea bianca nel cielo, la strada verso la Luna fino a pochi chilometri in modo che lui non potesse perdersi e tutto ciò che doveva fare era solo atterrare».

L'equipaggio dell'Apollo 17 posa, con un Lunar Roving Vehicle (LRV) per l'addestramento, durante il "roll out" del vettore Saturn V (nello sfondo) che il 7 dicembre 1972 alle 05:33:00 UTC li porterà fuori dall'atmosfera terrestre verso la Luna. In piedi da sinistra, il pilota del Modulo di Comando Ron Evans e il pilota del Modulo Lunare Apollo Harrison Schmitt, seduto il Comandante Eugene Cernan. Fu la sesta e ultima missione che portò degli uomini a camminare sulla superficie lunare. Crediti: NASA

Naturalmente la sua missione più importante è stata Apollo 17: con il compagno Harrison “Jack” Smith restò tre giorni sulla Luna effettuando tre uscite extraveicolari molto proficue – mentre il terzo membro dell’equipaggio, Ronald E. Evans, li attese a bordo del Modulo di Comando in orbita lunare. L’utilizzo del lunar rover permise ampie esplorazioni della Taurus-Littrow Valley, la raccolta di numerosi chilogrammi di campioni lunari e diversi esperimenti sul suolo lunare.

Apollo 17 ha stabilito inoltre diversi nuovi record per il volo spaziale umano, tra cui: il più lungo volo con atterraggio lunare (301 ore, 51 minuti); la più lunga attività extraveicolare sulla superficie lunare (22 ore, 6 minuti); il più alto peso totale dei campioni lunari raccolti (111 kg); e il tempo più lungo in orbita lunare (147 ore, 48 minuti).

Al momento di lasciare per l’ultima volta la superfice lunare, Cernan pronunciò questa frase:

«I’m on the surface; and, as I take man’s last step from the surface, back home for some time to come – but we believe not too long into the future – I’d like to just [say] what I believe history will record. That America’s challenge of today has forged man’s destiny of tomorrow. And, as we leave the Moon at Taurus-Littrow, we leave as we came and, God willing, as we shall return: with peace and hope for all mankind. Godspeed the crew of Apollo 17».

(Mentre compio l’ultimo passo umano sulla superficie, per tornare a casa in attesa delle future esplorazioni – ma crediamo non troppo nel futuro – voglio dire ciò che credo la storia ricorderà, che la sfida Americana odierna ha forgiato il destino degli uomini di domani. E, mentre lasciamo Taurus-Littrow sulla Luna, la lasciamo come arrivammo e, Dio volendo, come ritorneremo, in pace e speranza per tutta l’umanità. Dio assista l’equipaggio di Apollo 17).

L'autore con Gene Cernan a San Diego, durante uno dei loro incontri. Foto di Luigi Pizzimenti.

A tu per tu con il Capitano

Il mio rapporto personale con il Capitano era di lunga data. L’ho incontrato in molte occasioni e in varie parti del mondo, anche nella mia città: Milano. Era un uomo con una grande personalità, affabile e naturalmente orgoglioso della sua carriera astronautica. Di seguito alcune delle sue risposte più significative.

Cernan: «Una delle cose che ho osservato è che quasi nessuna delle domande che ricevo riguardano la tecnologia che abbiamo utilizzato. Le persone non chiedono quanto velocemente andavamo mentre orbitavamo intorno alla Luna, le domande che le persone fanno sono sull’umanità di questa esperienza. Che cosa sentivate? Come dormivate? Eravate spaventati? Vogliono sapere dell’esperienza di fare il primo passo sulla Luna. Rispondo che è stato importante per me e nessuno me lo può portare via. Per me i passi memorabili sono stati gli ultimi».

“Blue Marble”. La più classica delle immagini della Terra fotografata dallo spazio è stata scattata il 7 dicembre 1972, proprio durante la missione Apollo 17, nel viaggio che stava portando i tre astronauti verso la Luna. Questo è lo spettacolo che si sono trovati davanti... Crediti: NASA

La sua esperienza è stata solo tecnologica o anche di fede?

Cernan: «Quello che ho visto mentre guardavo la Terra dalla Luna, era tutto troppo bello per essere accaduto per caso. Guardando la Terra, ho avuto la sensazione che fossi seduto sulla veranda di Dio».

Sulla Luna pensavate ai rischi che correvate?

Cernan: «Abbiamo trascorso tre giorni di duro lavoro, avevamo una missione da compiere. Ero consapevole che se fossi caduto e la mia tuta si fosse strappata o se il motore non si fosse riacceso sarei potuto morire, ma non vivevo tutto questo con paura. Siamo stati sempre consapevoli dell’ambiente ostile che ci circondava. Abbiamo scavato trincee e fatto carotaggi, scattato migliaia di foto di quella “magnifica desolazione”. Jack (Schmitt, pilota del modulo lunare) ha fatto un ottimo lavoro come geologo. Era sempre molto concentrato nel suo lavoro. Ho dovuto dirgli: “Jack, prenditi una pausa, lo devi a te stesso, guarda dove sei!”».

Capitano come si torna alla vita di tutti i giorni sulla Terra?

Cernan: «Torni a casa ed è tutto normale. Avevo vissuto sulla luna per 72 ore e poi ero di nuovo nel mondo reale. È talmente incredibile che spesso mi chiedo se ho fatto quello che penso, se è successo davvero. Sono rimasto nel programma spaziale per 13 anni ed è stato come se qualcuno avesse tagliato quegli anni dalla mia vita e mi avesse messo in un mondo diverso – nel caso di Apollo 17 è stato letteralmente così! – e poi mi ha mandato di nuovo al mio mondo originale. È quasi come se avessi vissuto due vite diverse».

Un’immagine simpatica di Cernan e Evans durante la missione Apollo 17 Credits: NASA

Gli astronauti sono delle persone speciali?

Cernan: «Siamo solo la punta della lancia. Con Armstrong, Shepard, Lovell e tutti gli altri abbiamo rappresentato le persone che ci hanno inviato sulla Luna. È importante ricordare che tutti insieme siamo andati sulla Luna. Ecco perché fino a quando ci saremo, andremo ancora in giro a raccontare la nostra avventura, perché abbiamo la responsabilità di ispirare le nuove generazioni».

Per saperne di più

Cernan ha scritto un libro di memorie The Last Man on the Moon, dal quale è stato tratto un documentario omonimo del libro che racconta la sua vita.

Se vi interessa approfondire, ho scritto: Progetto Apollo “Il sogno più grande dell’uomo” dove troverete i dettagli di tutte le missioni, oltre a interviste e immagini inedite.


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Tracce di microbi nelle rocce marziane?

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Perché inviamo sonde verso pianeti lontani e lune ghiacciate? Perché costruiamo telescopi sempre più potenti? Trovare vita intelligente è il sogno di ogni astrofisico. Per adesso gli alieni in carne e ossa ce li possiamo dimenticare, ma gli astrobiologi potrebbero aver invividuato indizi di attività microbiologica passata su Marte, dove un giorno arriverà anche l’uomo. Di recente un gruppo di ricercatori dell’Isafom-Cnr ha pubblicato su International Journal of Astrobiology uno studio in cui vengono evidenziate affinità strutturali tra le microbialiti terrestri – rocce di origine batterica – e i sedimenti marziani non solo sul piano microscopico, ma anche macroscopico.

I due ricercatori italiani Nicola CantasanoVincenzo Rizzo dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Cosenza (Isafom-Cnr) si sono concentrati su delle fotografie delle rocce marziane provenienti dai rover Opportunity, Spirit e Curiosity (della NASA) e hanno rilevato analogie anche nelle tracce attribuibili alla produzione batterica di gas e di gelatine adesive altamente plastiche.

«Attestato già nel 2009 che le lamine sub-millimetriche dei sedimenti marziani e le cosiddette Blueberry (sferule ematitiche di dimensioni millimetriche) non erano omogenee, ma costituite da aggregazioni strutturali di grumi e microsferule più piccole (da 1 a 3 decimi di millimetro), i primi studi si erano concentrati sulla morfologia delle singole microstrutture, individuando altre interessanti aggregazioni, quali polisferule, filamenti e filamenti intrecciati di microsferule», spiega Cantasano. «L’attenzione si è poi spostata sulla dislocazione di tali microstrutture sul piano di osservazione: la tessitura delle immagini è infatti una sorta di marker genetico che dipende dall’ambiente di sedimentazione e dalla attività batterica. Tale analisi, eseguita su un gruppo di circa 40 coppie di immagini, sia dei rover che di microbialiti museali, ha evidenziato l’esistenza di interessanti trame a filamenti intrecciati, con forti parallelismi morfologici alla stessa scala».

Questi parallelismi microtessiturali sono stati rilevati anche da altre ricerche sviluppate negli ultimi anni. «L’Università di Siena ha avviato un’analisi matematica frattale multiparametrica delle coppie di immagini, i cui risultati confermarono che esse sono identiche», aggiunge Rizzo. «Un ulteriore studio morfologico del Laboratorio de Investigaciones Microbiológicas de Lagunas Andinas-LIMLA su campioni di microbialiti viventi provenienti dal deserto di Atacama (Cile) ha permesso di evidenziare grazie alla pigmentazione organica che tali microstrutture e microtessiture esistono e sono un prodotto dell’attività batterica. Tuttavia, poiché le strutture a scala meso e macroscopica sono considerate discriminanti per il riconoscimento di tali rocce, nello studio attuale l’analisi microscopica è stata integrata da osservazioni sistematiche a scala maggiore. La quantità, la varietà e la specificità dei dati raccolti accreditano per la prima volta, in modo consistente, che le analogie non possono essere considerate semplici coincidenze».

La tecnologia va avanti a passi di gigante e gli strumenti sono sempre più avanzati. I ricercatori hanno inventato telescopi giganti e rover per la ricerca di vita nello spazio, ma finora la vita che conosciamo qui sulla Terra non esiste altrove. Abbiamo chiesto un parere a Filippo Giacomo Carrozzo, ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma.

«La probabilità di trovare attività biologica in corso su Marte sono basse perché oggi il pianeta è una Terra piuttosto inospitale. Il problema maggiore sta nella mancanza di uno scudo capace di fermare le radiazioni dannose per la vita. Sui pianeti questo scudo è il campo magnetico che, avvolgendoli, non permette ai raggi cosmici e alle particelle cariche del vento solare di passare. Su Marte questo scudo naturale oggi è praticamente assente, riducendo la superficie ad una Terra sterilizzata», spiega Carrozzo.

Uno dei problemi alla base della mancanza di vita è il freddo, ovviamente dovuto anche alla lontananza dal Sole: «La temperatura media, di gran lunga sotto lo zero, non rappresenta un problema serio; sulla Terra, nelle regioni artiche, alcuni organismi riescono a sopravvivere fino anche a -100°C. Per azionare i processi biologici gli esseri viventi hanno bisogno di energia, sulla Terra la fonte principale è fornita dal Sole. Su Marte, la luce solare arriva con una intensità minore del 56%. Una quantità sufficiente, paragonabile a quella che si ha a poche ore prima del tramonto. Se poi aggiungiamo che esseri viventi possono sopravvivere sfruttando altri tipi di energia come quella chimica, è evidente che questa sul pianeta potrebbe non rappresentare un grosso ostacolo».

Carrozzo sottolinea, inoltre, l’importanza dell’acqua per la vita: «È l’elemento principale, tutti gli organismi viventi ne se sono composti in grandissima parte, il nostro corpo per esempio ne è costituito per il 60% circa. Il detto “dove c’è acqua c’è vita” vale anche per Marte. Sul Pianeta rosso questa molecola, essenziale alla vita, è presente in grande quantità; l’unico ostacolo è rappresentato dal fatto che si presenta sotto forma di ghiaccio o vapore. Tuttavia, la vita dipende in modo decisivo dalla disponibilità di acqua in forma liquida e le condizioni marziane ne permettono l’esistenza in solo per brevissimi istanti. Alla luce di ciò, personalmente credo che, se dobbiamo ricercare la vita su Marte, dobbiamo farlo scavando. È sotto la superficie che potrebbero essersi create delle nicchie di sopravvivenza dove la vita può ancora resistere, lontano dalle estreme condizioni a cui è sottoposta la sua superficie. Le ricerche condotte negli ultimi 30 anni in ambienti estremi sulla Terra hanno mostrato che la vita è in grado di colonizzare praticamente ogni ambiente, basta che sia disponibile energia, acqua liquida e i giusti elementi».

Tornando allo studio del CNR, Carrozzo chiarisce: «Ogni essere vivente è costituito da una moltitudine di biomolecole, ma la maggior parte è composta da pochi elementi: il carbonio, l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, il fosforo e lo zolfo sono gli elementi base per la creazione delle molecole funzionali alla vita. Sulla Terra sono presenti in abbondanza, su Marte molto meno. Tuttavia, non deve essere stato sempre così. La vita, se è nata quasi contemporaneamente sui due pianeti, circa 4 miliardi di anni fa, può aver avuto la stessa occasione di proliferare. L’ambiente marziano, per una serie di motivi, è purtroppo cambiato nel tempo rendendolo ostile e producendo una landa deserta. Quelle tracce potrebbero però essere sopravvissute. La mancanza di una tettonica a placche, che sulla Terra gioca un ruolo importante nel rimodellare la superficie, potrebbe aver conservato meglio i fossili all’interno delle rocce che aspettano solo di essere raccolte. Nel frattempo quello che possiamo fare è studiare il centinaio di meteoriti che sono stati riconosciuti come campioni di suolo marziano. Al loro interno gli scienziati cercano batteri sotto forma di fossili, biomolecole, o strutture riconducili a prodotti di attività biologica come nel caso del lavoro svolto dai ricercatori italiani Rizzo e Cantasano del CNR».

«I due ricercatori dell’Isafom-Cnr di Cosenza sono solo un esempio dei molti colleghi che si occupano di astrobiologia e di esogeologia in Italia, tra cui quelli in forza all’Istituto Nazionale di Astrofisica», continua Carrozzo. «Da decenni l’Italia gioca un ruolo di primissimo piano nella ricerca di vita al di fuori della Terra. I ricercatori italiani sono impegnati nelle più importanti missioni per l’esplorazione del Sistema Solare e nel futuro il contributo del nostro Paese resta una preziosa risorsa per lo studio dei corpi planetari di interesse astrobiologico come Marte, Europa e Titano. Una nuova frontiera che sta destando sempre più interesse nella comunità scientifica è l’analisi dei pianeti extrasolari. L’impiego dei telescopi di nuova generazione sta riducendo la distanza che ci separa nella comprensione di questi sistemi planetari e nei prossimi anni potrebbe fornire delle importanti risposte sulla vita al di fuori del nostro Sistema solare».

Per saperne di più:

Leggi lo studio. “Structural parallels between terrestrial microbialites and Martian sediments: are all cases of ‘Pareidolia’?”International Journal of Astrobiology, di Vincenzo Rizzo e Nicola Cantasano


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Juno riprende la Grande Macchia Rossa

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Image Credit: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Roman Tkachenko

La sonda americana Juno ha catturato una nuova fotografia dell’iconica Grande Macchia Rossa, una massiccia tempesta che imperversa nell’atmosfera di Giove da secoli.

Nell’immagine risultano visibili anche alcune delle cosiddette “perle” di Giove — tempeste ovali e biancastre — e una seconda formazione, situata nelle immediate vicinanze della Grande Macchia Rossa e nota come Ovale BA. Questa tempesta si formò nel 2000, in seguito alla fusione di tre formazioni minori.

L’immagine è stata scattata alle 23:30 ora italiana dell’11 dicembre 2016 da una distanza di 458 800 chilometri dal gigante gassoso. La foto originale è stata leggermente alterata da Roman Tkachenko, nell’ambito del programma promosso dalla NASA al fine di coinvolgere il pubblico nell’elaborazione delle immagini scattate dalla fotocamera Junocam a bordo di Juno.

Leggi anche

La pagina, nel sito della missione, dedicata alla Junocam community, dove la NASA invita il pubblico a partecipare alla missione in vari modi, tra i quali mettendo a disposizione le immagini grezze per l’elaborazione e la trasformazione da parte di chiunque voglia cimentarsi.

Juno è arrivata! Tutto sulla missione alla scoperta dei segreti dell’atmosfera di Giove su Coelum Astronomia di luglio/agosto 2016


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Allineamento Luna, Giove e Spica

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La minima distanza tra Luna e Giove (di poco meno di 2°) verrà raggiunta alle 6:10, i tre corpi celesti saranno allineati e alti circa 38° sull'orizzonte, con Spica a meno di 3° e mezzo a sudest di Giove.
Ecco una bella congiunzione tra la Luna all’Ultimo Quarto, Giove (mag. –2,1) e la stella Spica (mag. +1,1), visibili nella costellazione della Vergine.

Sorgeranno poco dopo la mezzanotte dall’orizzonte est per poi muoversi verso l’orizzonte sud, dove verranno colti dalle prime luci del mattino alti nel cielo (Giove sarà in transito al meridiano, con un’altezza di oltre 40° alle 5:43).

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio

Leggi anche:

Il Cielo del 2017. Tutti i principali eventi dell’anno che verrà! di Giovanna Ranotto su Coelum di gennaio 2017

➜  La Luna di Gennaio. Osserviamo i crateri Theophilus, Cyrillus e Catharina di Francesco Badalotti su Coelum di gennaio 2017

Fotografare la luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum di gennaio 2017


Tutti consigli per l’osservazione del cielo di gennaio su Coelum Astronomia 207

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VIAGGIO NEL COSMO Appunti di Astronomia all’esplorazione di pianeti, stelle e galassie

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Flyer_2017_GEN

Lunedì 16 Gennaio, ore 18:30 – NELLA GALASSIA

LE STELLE PIU’ GRANDI Relatore: Stefano Schirinzi (Circolo Culturale Astrofili Trieste).

Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, Via dei Tominz 4. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste

tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it

Circolo Culturale Astrofili Trieste
web: www.astrofilitrieste.it
mail: info@astrofilitrieste.it

Passaggio della ISS nei pressi di Saturno e Mercurio… ma non solo!

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Nella cartina il tragitto della ISS nell’ultimo tratto del suo passaggio quando passerà, vista da una località posta nel Centro Italia (long. 42°N lat. 12°E), tra i due pianeti del mattino: Mercurio (mag. –0,2) e Saturno (mag. +0,5). In questo ultimo tratto sarà possibile inquadrare l’evento con il paesaggio circostante, grazie alla ridotta altezza sull’orizzonte e al campo in cui si muoveranno i tre astri, inferiore ai 20° (per il Nord la ISS passerà a meno di 10° a ovest di Saturno, per il Sud a meno di 3° a est di Mercurio). Consigliamo di controllare le corrette circostanze inserendo il riferimento alla vostra località al link https://goo.gl/jm41S0. Cliccando poi sull’orario sarà visibile anche la cartina del cielo con la traiettoria precisa dal vostro punto di osservazione.
Nella cartina il tragitto della ISS nell’ultimo tratto del suo passaggio quando passerà, vista da una località posta nel Centro Italia (long. 42°N lat. 12°E), tra i due pianeti del mattino: Mercurio (mag. –0,2) e Saturno (mag. +0,5). In questo ultimo tratto sarà possibile inquadrare l’evento con il paesaggio circostante, grazie alla ridotta altezza sull’orizzonte e al campo in cui si muoveranno i tre astri, inferiore ai 20° (per il Nord la ISS passerà a meno di 10° a ovest di Saturno, per il Sud a meno di 3° a est di Mercurio). Consigliamo di controllare le corrette circostanze inserendo il riferimento alla vostra località al link https://goo.gl/jm41S0. Cliccando poi sull’orario sarà visibile anche la cartina del cielo con la traiettoria precisa dal vostro punto di osservazione.

Mercurio e Saturno, visibili in coppia al mattino bassi sull’orizzonte sudest per quasi tutto il mese, avranno un motivo in più per essere osservati la mattina del 16 gennaio, quando, attorno alle 6:40 si troveranno in prossimità dell’ultimo tratto del passaggio della Stazione Spaziale Internazionale, che subito dopo sparirà sotto l’orizzonte.

Il dettaglio del passaggio della ISS per le coordinate classiche di una località posta in Centro Italia a Lat. 42°N - Long. 12°E. Consigliamo di controllare le corrette circostanze inserendo il riferimento alla vostra località al link https://goo.gl/jm41S0.

Il Centro e il Sud Italia saranno avvantaggiati per la luminosità della Stazione Spaziale, che brillerà di magnitudine circa –3,2, e per il passaggio ravvicinato ai due pianeti (dal Centro Italia si vedrà passare proprio in mezzo, dal Sud poco a est di Mercurio).

Il Nord Italia invece vedrà una ISS meno luminosa (mag. –2,6) ma potrà osservarla, nel primo tratto del suo percorso, passare nei pressi prima della Luna e quindi di Giove, per poi tramontare sempre a pochi gradi di distanza a ovest di Saturno e Mercurio.

Per pochi fortunati dell’estremo Nord sarà anche un transito sul disco lunare! Controllate le circostanze esatte dalla vostra posizione.

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#citizenscience: Einstein@Home trova nuove pulsar gamma

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L’intero cielo come visto da Fermi e le 13 pulsar scoperte da Einstein@Home. Il campo sotto ogni riquadro indica il nome della pulsar e la sua frequenza di rotazione, mentre le bandierine mostrano le nazionalità dei volontari i cui computer hanno trovato le Pulsar. Crediti: Knispel/Clark/Max Planck Institute for Gravitational Physics/NASA/DOE/Fermi LAT Collaboration

Le stelle sono tante, milioni di milioni, ma quelle di neutroni sono anche difficili da scovare. Soprattutto se si va a “spigolare” là dove si è già rastrellato quasi tutto quel che aveva da offrire il campo celeste. Un articolo appena pubblicato su Astrophysical Journal presenta ora il nuovo raccolto realizzato grazie al progetto di calcolo distribuito Einstein@Home nell’archivio dati del telescopio spaziale Fermi, il satellite della NASA dedicato allo studio della radiazione gamma di alta e altissima energia, cui l’Italia collabora con ASI, INAF e INFN.

Un’analisi che avrebbe preso più di un migliaio di anni su un singolo computer, in meno di un anno ha infatti permesso di trovare più di un dozzina di nuove pulsar – stelle di neutroni in rapida rotazione – nei dati di Fermi. Grazie alla potenza di calcolo donata da volontari di Einstein@Home, un’equipe internazionale guidata da ricercatori dell’Istituto Max Planck per la fisica gravitazionale di Hannover, in Germania, ha setacciato l’archivio alla ricerca della periodicità, caratteristica rivelatrice di una pulsar, in 118 sorgenti gamma di natura sconosciuta rilevate da Fermi.

Una pulsar in raggi gamma è una stella di neutroni compatta che accelera le particelle cariche a velocità relativistiche nel suo campo magnetico estremamente intenso. Questo processo produce radiazioni gamma (viola) molto al di sopra della superficie della stella, mentre le onde radio (verde) vengono emesse sopra i poli magnetici sotto forma di fasci. La rotazione fa muovere le regioni di emissione lungo la linea di vista terrestre, facendo sì che la pulsar brilli periodicamente nel cielo. Crediti: NASA/Fermi/Cruz de Wilde

Al centro di 13 di queste sorgenti è stata individuata una pulsar. Tutte queste stelle superdense sono risultate giovani, astronomicamente parlando, con età comprese tra decine e centinaia di migliaia di anni. Due ruotano in modo sorprendentemente lento, più lento rispetto a qualsiasi altra pulsar in raggi gamma nota. Un’altra ha fatto registrare un “sobbalzo”, un cambiamento improvviso di origine sconosciuta nella sua rotazione, altrimenti regolare.

«Abbiamo scoperto tante nuove pulsar per tre ragioni principali: l’enorme potenza di calcolo fornita da Einstein@Home, lo sviluppo di nuovi e più efficienti metodi di ricerca, e l’utilizzo di dati Fermi-LAT recentemente migliorati», commenta Colin Clark dell’Istituto Max Planck, primo autore della nuova ricerca. «L’insieme di questi tre elementi ha fornito una sensibilità senza precedenti per il nostro grande campionamento su oltre 100 sorgenti del catalogo Fermi-LAT».

Le stelle di neutroni sono i residui compatti di esplosioni di supernova e consistono di materia estremamente densa. A causa dei loro intensi campi magnetici e della rotazione estremamente veloce, emettono fasci di onde radio e di raggi gamma, che, se sono sufficientemente direzionati verso la Terra, rendono visibile la stella di neutroni una o due volte per rotazione, da cui il nome pulsar.

Rintracciare queste pulsazioni periodiche è molto difficile per le pulsar in raggi gamma. In media solo una decina di fotoni gamma al giorno sono rilevati per una pulsar tipica dal Large Area Telescope, strumento a bordo di Fermi. Per determinare la periodicità, devono essere analizzati anni di dati, durante i quali la pulsar ruota miliardi di volte. Per ogni fotone si deve determinare esattamente quando, durante una singola rotazione di una frazione di secondo, è stata inviato. Si può facilmente intuire come la potenza di calcolo necessaria per queste ricerche “alla cieca”, quando poche o nessuna informazione sulla pulsar è nota in anticipo, sia enorme. Grazie al progetto Einstein@Home, negli ultimi quattro anni sono state scoperte 21 pulsar in raggi gamma, più di un terzo di tutte quelle scoperte con tecniche di blind search.

«All’inizio della missione Fermi, quando l’unica pulsar gamma senza emissione radio era Geminga, mi era sembrato impossibile che fosse così facile scoprire, solo grazie ai dati gamma, una dozzina di nuove pulsar» commenta Patrizia Caraveo, responsabile per INAF dello sfruttamento scientifico dei dati Fermi LAT e direttrice dell’Istituto di Fisica Cosmica dell’INAF di Milano. «Ma era solo la prima scrematura, che aveva evidenziato gli oggetti più brillanti. Poi il lavoro è continuato e, quando il tasso di scoperta è stato rallentato dalla limitazione della potenza di calcolo, i colleghi tedeschi hanno iniziato a sfruttare le potenzialità  del calcolo distribuito organizzato nel sistema Einstein@Home. I risultati sono stati strabilianti e, con l’ultimo annuncio di 13 nuove pulsar gamma  senza emissione radio, la famiglia delle sorgenti simili a Geminga tocca quota 70. Un numero che non avrei mai osato nemmeno immaginare».


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Congiunzione Venere e Nettuno

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Nell'immagine la distanza apparente dei due astri in un campo di 2 gradi.
Nell'immagine la distanza apparente dei due astri osservati in un campo di 2 gradi.

La sera del 12 gennaio alle ore 20:25 il pianeta Venere (mag. –4,4) e il remoto Nettuno (mag. +7,9) si incontreranno (ovviamente da un punto di vista puramente prospettico, si intende) in una bella e stretta congiunzione.

Nettuno sarà osservabile solo attraverso l’uso di uno strumento, per la sua bassa luminosità, ma lo si troverà a soli 24′ da Venere.

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Nella costellazione del Cigno comparirà una nuova stella

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"Light Echo" così è chiamata questa immagine che mostra le polveri illuminate attorno alla supegigante V838 Monocerotis (V838 Mon). L'immagine in formato originale può essere scaricata qui: https://www.flickr.com/photos/gsfc/4399421610/
Un modello del sistema binario di KIC 9832227. Crediti: Calvin College/Cara Alexander, Daniel Van Noord, Chris Spedden, and Larry Molnar

Le stelle, come tutto l’Universo, sono in continua evoluzione anche se noi esseri umani, che a malapena viviamo 100 anni, molto raramente possiamo assistere a evidenti cambiamenti del nostro cielo. È ancora più raro poi riuscire a prevedere con precisione dove e quando possa avvenire una di quelle trasformazioni sconvolgenti che in pochi secondi possono segnare il destino di una stella e l’aspetto di una costellazione. L’emblema di questa snervante incertezza è rappresentato da Betelgeuse, brillante supergigante rossa della costellazione di Orione, la migliore candidata a esplodere come supernova. Tutta la comunità scientifica è infatti d’accordo nell’affermare che la terribile esplosione che porrà fine alla sua vita è imminente e sarà tanto energetica da rendersi visibile per mesi, persino di giorno, come fosse un secondo, lontano Sole. Imminente, però, significa che può accadere in ogni momento da qui ad almeno 50 mila anni nel futuro. Se per l’Universo è un battito di ciglia, per noi diventa un tempo difficile da tollerare.

Per nostra fortuna la scienza non smette di fare passi in avanti e le cose stanno lentamente cambiando. Non siamo in grado di dire a che ora esploderà Betelgeuse, ma sembra che possiamo rimettere l’orologio su un evento che, se si verificherà, sarà di certo la spettacolare conferma dell’avanzamento delle nostre conoscenze dei sistemi binari e ci regalerà per qualche mese una nuova, brillante stella nel cielo.

Il cerchio rosso indica la posizione del sistema Cygnus KIC9832227. Cliccare sull'immagine per ingrandire.

Nella costellazione dei Cigno, in quel campo di centinaia di migliaia di stelle osservate in 3 anni dal telescopio spaziale Kepler, alla caccia di pianeti extrasolari di taglia terrestre, è stato trovato un sistema molto raro e altrettanto interessante. Chiamato secondo la sterile nomenclatura scientifica KIC 9832227, è un sistema formato da due stelle di massa simile che orbitano vicinissime le une alle altre. E vicinissime vuol dire che le orbite sono tanto strette che gli astri condividono già l’atmosfera e parte degli strati superficiali; tanto vicine che la reciproca forza mareale è così forte da averle allungate come se fossero una goccia d’acqua in bilico su un fiore che si guarda allo specchio prima di cadere. Nel gergo scientifico sono dette binarie a contatto, sistemi abbastanza comuni, ma queste sono talmente in contatto che il loro destino sembra già ben delineato con una precisione che fino a questo momento non ha avuto problemi.

Una simulazione di una binaria a contatto.

I due astri ruotano attorno al comune centro di massa, quel punto che tanto cerchiamo quando vogliamo tenere in equilibro un cucchiaio sul nostro dito. Le orbite, però, non sono più stabili. Le atmosfere stellari in contatto stanno rallentando il moto di entrambe le componenti, così che la distanza reciproca diminuisce velocemente nel tempo. A un certo punto si arriverà al contatto finale: le due stelle entreranno in collisione con gli strati più densi e quando questo accadrà i due sistemi si fonderanno in un unico oggetto. Questo raro evento di fusione tra due astri centinaia di volte più grandi del nostro pianeta innescherà dei violenti processi di fusione nucleare, nient’altro che una gigantesca esplosione, o una serie di esplosioni miliardi di miliardi di volte più potenti della più terribile bomba termonucleare mai concepita dall’uomo. Il fenomeno è chiamato nova rossa (red nova in inglese) ed è ancora avvolto dal mistero poiché sono pochissimi i fenomeni osservati associabili a un evento del genere.

Quello che sembra probabile è che la fusione di due stelle inneschi un’esplosione la cui luminosità è inferiore a quella di una supernova ma superiore a quella di una nova classica. Le novae, ben conosciute e studiate, sono nane bianche che accrescono materia da parte di una stella compagna vicina. Quando sulla superficie della nana bianca se ne accumula in quantità sufficiente, questa si fonde tutta insieme, producendo una violenta esplosione termonucleare. La nana bianca non viene distrutta e continua di solito a risucchiare materia, quindi il fenomeno di nova è in genere periodico. Una nova rossa, invece, è un evento che avviene una sola volta per un sistema e produce una luce dal colore rosso.

Sebbene avvolte nel mistero, quello che più interessa a chi si vuole godere lo spettacolo non è poi così misterioso. Nel 2008 è stata osservata una rara nova rossa a seguito della fusione delle stelle del sistema V1309 Scorpii. L’aumento di luminosità è stato di circa 10 magnitudini, ovvero 10 mila volte. KIC 9832227 è distante circa 1700 anni luce a al momento brilla di magnitudine 12. Se durante la fusione e l’esplosione come nova rossa aumenterà la sua luminosità come V1309 Scorpii, potrebbe diventare luminosa quanto la stella polare. In pratica, per qualche mese in cielo avremo una stella nuova che ridisegnerà i connotati della costellazione del Cigno.

"Light Echo" così è chiamata la nebulosa formata dalle polveri illuminate attorno alla supergigante rossa V838 Monocerotis (V838 Mon), un'altra nova rossa della quale è stata osservata la formazione, tra le cui ipotesi di formazione c'è anche la fusione di un sistema binario. L'ultima immagine in formato originale può essere scaricata al link che segue, dalle pagine flickr del NASA Goddard Space Flight Center: https://www.flickr.com/photos/gsfc/4399421610/

Quando è prevista la comparsa di questa luminosa “stella” temporanea?

Qui il capolavoro è tutto scientifico. Osservando per anni questo peculiare oggetto e le variazioni nel periodo orbitale delle due stelle, Larry Molnar e i suoi colleghi del Calvin College in Grand Rapids, Michigan, hanno concluso che nel febbraio del 2022 le due stelle si fonderanno e innescheranno la grande esplosione chiamata nova rossa. L’incertezza nella predizione è di circa 6 mesi, un errore accettabile per le nostre vite, non come quella che accompagna la fine di Betelgeuse! Molnar e colleghi hanno sottoposto il loro studio completo ad Astrophysical Journal. Per chi fosse curioso di capire meglio cosa sono queste ancora misteriose novae rosse e come hanno operato i ricercatori per arrivare a questa intrigante predizione, consiglio di consultare l’articolo. Anche se lungo e difficile da comprendere, rappresenta sempre un’ottima occasione per capire come opera la scienza, proponendo ferree prove oggettive e verificabili nella spiegazione di qualsiasi evento. Non è, forse, un operato che ci tornerebbe molto utile anche nella vita di tutti i giorni, invece di scatenare guerre d’opinione basate sul nulla?

Scriviamo quindi un bel promemoria da qualche parte ma restiamo aggiornati. I calcoli di Molnar sembrano al momento corretti, ma non possiamo avere la certezza che abbia ragione, perché non conosciamo a fondo le caratteristiche del sistema KIC 9832227, né come reagiscono due astri che stanno sul punto di fondersi. In ogni caso, a meno di avere una sfortuna colossale, tra qualche anno avremo per qualche tempo una nuova stella e sarà un evento unico. Non ricapiterà mai più nella storia della Terra, figuriamoci quindi nella nostra, assistere alla comparsa di una nova rossa tanto brillante da decorare come un prezioso rubino celeste l’ala destra della meravigliosa costellazione del Cigno.

Per saperne di più

Lo studio pubblicato sul sito del Calvin College, e sottoposto all’Astrophysical Journal

Il  poster di presentazione, sempre sul sito del Calvin College, delle principali evidenze che hanno portato a considerare KIC 9832227 candidata nova rossa

Per approfondire le vostre conoscenze in astronomia, sia come scienza che come pratica amatoriale, non possiamo che consigliare la lettura dei libri dell’autore di questo articolo, Daniele Gasparri ➜ nel suo blog un’offerta da non perdere!


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Hubble e le Voyager uniscono le forze

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In questa impressione artistica, il Sistema solare visto da Voyager 1, ora a quasi 21 miliardi di km dalla Terra, al confine dello spazio interstellare. Crediti: NASA, ESA e G. Bacon (STScI)

Mentre le Voyager proseguono il loro incredibile viaggio, iniziato quarant’anni fa, oltre il Sistema Solare, il telescopio spaziale Hubble mappa la strada che le sonde si troveranno davanti. La combinazione dei dati forniti dalle due missioni sta fornendo importanti indizi su come il nostre Sole viaggia attraverso lo spazio interstellare.

«Si tratta di una grande opportunità per confrontare i dati delle misure in situ delle Voyager con quelli di Hubble», ha detto Seth Redfield della Wesleyan University di Middletown (Connecticut), a capo della ricerca.
«Le Voyager stanno campionando piccole regioni dello spazio nel loro viaggio, ma non abbiamo idea se le caratteristiche di queste aree sono tipiche o rare. Hubble ci fornisce una visione d’insieme e contestualizza i dati delle Voyager». Con le osservazioni di Hubble si spera quindi di arrivare a caratterizzare le proprietà fisiche del mezzo interstellare locale.

Le due sonde veterane dello spazio stanno ora attraversando il bordo più esterno dell’eliosfera, al confine del dominio solare.
La Voyager 1 è in testa, per così dire, e ha iniziato ad assaggiare lo spazio interstellare, la regione tra le stelle piena di gas, polvere e materiale espulso durante gli eventi catastrofici. La navicella si trova a più di 20 miliardi di chilometri dalla Terra ed è di fatto l’oggetto più lontano costruito dall’uomo. Tra 40.000 anni circa, quando ormai non sarà più operativa, passerà a 1,6 anni luce della stella Gliese 445 nella costellazione Giraffa.

La gemella Voyager 2, invece, si trova a 17 miliardi di chilometri dalla Terra. Punta in direzione della stella Ross 248, nella costellazione di Andromeda, dalla quale passerà a 1,7 anni luce sempre tra 40.000 anni circa mentre tra 296.000 anni raggiungerà Sirio, la stella più brillante dei nostri cieli.

Nella grafica, orientata lungo il piano dell'eclittica, come il telescopio spaziale Hubble della NASA osserva il cammino delle sonde Voyager 1 e 2 nel loro viaggio ai confini del Sistema solare, verso lo spazio interstellare. Lo scopo è quello di tracciare una mappa della struttura interstellare nel cammino delle due sonde, ognuno dei due stretti coni di vista centrati sulle sonde si allunga fino a diversi anni luce verso le stelle vicine. Crediti: NASA, ESA, e Z. Levay (STScI)

Ma intanto, per i prossimi 10 anni le sonde misureranno, lungo il loro percorso, il mezzo interstellare, i campi magnetici e i raggi cosmici, mentre Hubble completerà queste informazioni mappando la struttura interstellare dell’itinerario, analizzando con lo spettrografo di bordo come il mezzo interstellare assorbe la luce proveniente dalle stelle di sfondo.

Hubble ha scoperto che la Voyager 2 finirà fuori dalla nube interstellare che circonda il Sistema Solare in un paio di migliaia di anni. In base a questi dati, gli astronomi prevedono che il veicolo spaziale trascorrerà 90.000 anni in una seconda nuvola per passare poi in una terza. Le informazioni che la sonda potrebbe raccogliere sarebbero estremamente utili e rivelare variazioni negli elementi chimici e origini diverse.

Una prima analisi della composizione delle nubi, infatti, rivela lievi variazioni nella percentuale di elementi chimici presenti. «Queste variazioni potrebbero significare che le nubi interstellari si formano in modi diversi, o in aree diverse per poi riunirsi» ha detto Redfield.

Dai dati di Hubble i ricercatori ipotizzano che il Sole stia passando attraverso un agglomerato di materiale che potrebbe influenzare la sua eliosfera, quella grande “bolla” che contiene il nostro Sistema solare e che viene prodotta dal potente vento solare della nostra stella. Al confine dell’eliosfera, chiamato eliopausa, il vento solare continua a spingere verso l’esterno contro il mezzo interstellare.

Le osservazioni di Hubble e Voyager 1 si stanno spingendo oltre questo confine, dove è presumibile che l’ambiente interestellare sia influenzato dai venti provenienti da altre stelle:  «Sono davvero incuriosito dall’interazione tra le stelle e l’ambiente interstellare», confida Redfield, «questi tipi di interazioni si verificano intorno a gran parte delle stelle e si tratta di un processo dinamico». La nostra eliosfera infatti si comprime quando il Sole si muove attraverso una zona di mezzo interstellare più denso, e si espande quando invece si trova in una zona meno densa, variazioni dovute anche alla pressione del vento stellare esterno e alla composizione  del mezzo interstellare attorno alle altre stelle.

Fonte NASA


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Congiunzione Luna e Aldebaran

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L’immagine mostra come si presenta la congiunzione tra la Luna e la stella Aldebaran (Alfa Tauri). Aldebaran, così come le Iadi, saranno immerse nel chiarore della Luna con fase dell’89,5%.
L’immagine mostra come si presenta la congiunzione tra la Luna e la stella Aldebaran (Alfa Tauri). Aldebaran, così come le Iadi, saranno immerse nel chiarore della Luna con fase del 90%.
Il 9 gennaio alle ore 17:50 il nostro satellite naturale si avvicinerà alla stella Aldebaran (alfa Tauri; mag. +0,9) dando vita a una congiunzione piuttosto stretta: i due corpi celesti si troveranno a una distanza reciproca di circa 2,3°. La Luna, che all’ora indicata sarà alta circa 35° sull’orizzonte est, avrà fase del 90% e la stella Aldebaran sarà immersa nel suo chiarore.
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I segreti nascosti delle Nubi di Orione

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Questa nuova, spettacolare immagine è uno dei più grandi mosaici ad alta risoluzione nel vicino infrarosso della nube molecolare Orione A, la più vicina fabbrica stellare massiccia che si conosca, a circa 1350 anni luce dalla Terra. L'immagine è stata ottenuta dal telescopio infrarosso per survey VISTA, all'Osservatorio dell'ESO al Paranal, nel Cile settentrionale, e rivela molte giovani stelle e altri oggetti di solito nascosti all'interno di nubi di polvere.
Questa nuova, spettacolare immagine è uno dei più grandi mosaici ad alta risoluzione nel vicino infrarosso della nube molecolare Orione A, la più vicina fabbrica stellare massiccia che si conosca, a circa 1350 anni luce dalla Terra. L'immagine è un mosaico di riprese ottenute dalla survey VISION, del telescopio infrarosso per survey VISTA all'Osservatorio dell'ESO al Paranal, nel Cile settentrionale, e rivela molte giovani stelle e altri oggetti di solito nascosti all'interno di nubi di polvere. La survey VISION copre all'incirca 18,3 gradi quadrati con una scala di circa un terzo di arcosecondo per pixel.

La nuova immagine della survey VISION (Vienna Survey in Orion, in inglese) è un montaggio di varie immagini prese nella banda dello spettro elettromagnetico del vicino infrarosso dal telescopio per survey VISTA all’Osservatorio dell’ESO al Paranal in Cile. Copre l’intera estensione della nube molecolare Orione A, una delle due due nubi molecolari giganti nel complesso di Orione (OMC). Orione A si estende per circa otto gradi a sud dell’asterismo di Orione comunemente noto come la spada.

VISTA è il più grande telescopio del mondo dedicato alle survey, con un grande campo di vista ripreso da rivelatori infrarossi molto sensibili, caratteristiche che ne hanno fatto lo strumento ideale per ottenere le immagini infrarosse profonde e di alta qualità necessarie per questa ambiziosa survey che ha prodotto un catalogo di quasi 800 000 stelle identificate, di giovani oggetti stellari e di galassie distanti: la più ampia e profonda copertura di qualsiasi altra survey di questa regione finora prodotta, tenendo conto che la survey completa contiente una regione ancora più ampia di quella mostrata qui, per un totale di  39 578 x 23 069 pixels!

VISTA vede luce che l’occhio umano non vede, permettendo così agli astronomi di indentificare oggetti altrimenti nascosti all’interno delle incubatrici stellari. Stelle giovanissime che non possono essere viste nelle immagini in luce visibile, vengono invece esposte se osservate nella banda di luce di lunghezza d’onda maggiore, l’infrarosso, dove la polvere che le avvolge diventa più trasparente.

Questa nuova immagine è un passo avanti, verso un quadro completo del processo di formazione stellare di stelle di grande e piccola massa in Orione A. L’oggetto più spettacolare è la magnifica Nebulosa di Orione, nota anche come Messier 42, a sinistra nell’immagine. Questa regione è parte della spada della famosa e brillante costellazione di Orione. Il catalogo di VISTA comprende sia gli oggetti familiari che nuove scoperte, tra cui cinque nuovi candidati giovani oggetti stellari e dieci candidati ammassi di galassie.

In altre zone dell’immagine vediamo le scure nubi molecolari di Orione A e possiamo scovare tesori nascosti, come i dischi di materiale che potrebbero dar vita a nuove stelle (dischi pre-stellari), le nebulosità associate alle stelle appena nate (oggetti Herbig-Haro), i piccoli ammassi stellari e anche alcuni ammassi di galassie che si trovano molto al di là della Via Lattea. La survey VISION permette di studiare in modo sistematico le primissime fasi evolutive delle giovani stelle all’interno dei complessi di nubi molecolari.

Questa raccolta mette in evidenza alcune piccole zone di cielo nella nuova immagine infrarossa della nube molecoalre Orione A ottenuta dal telescopio VISTA: si vedono molte strutture curiose, tra cui i getti rossi di stelle molto giovani, nubi scure di polvere ma anche minuscole immagini di galassie distanti. Crediti: ESO/VISION survey

Questa immagine così dettagliata di Orione A stabilsce un nuovo fondamento osservativo per ulteriori studi di formazione di stelle e di ammassi e ancora una volta sottolinea, se ce ne fosse bisogno, la potenza del telescopio VISTA nel produrre immagini di vaste aree di cielo nella banda infrarossa dello spettro sia in profondità che rapidamente.

Ulteriori informazioni

Questo lavoro è stato presentato nell’articolo intitolato “VISION – Vienna survey in Orion I. VISTA Orion A Survey”, di S. Meingast et al., pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics.


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VIAGGIO NEL COSMO Appunti di Astronomia all’esplorazione di pianeti, stelle e galassie

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Flyer_2017_GEN

Flyer_2017_GEN

Lunedì 9 Gennaio, ore 18:30 – STRUMENTI E TECNICHE

ESISTE L’OCULARE IDEALE? Relatore: Muzio Bobbio (Circolo Culturale Astrofili Trieste).

Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, Via dei Tominz 4. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste

tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it

Circolo Culturale Astrofili Trieste
web: www.astrofilitrieste.it
mail: info@astrofilitrieste.it

AstronomiAmo – Appuntamenti di Gennaio

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LocandinaCoelumDicembre

LocandinaCoelumDicembre

10 – 17 gennaio: Corso sulla Relatività Generale ON LINE (P.Pani – La Sapienza)
Dall’11 gennaio: CORSO DI ASTRONOMIA A FROSINONE – ALTRE STELLE E OLTRE
Quattro incontri per iniziare a conoscere l’Universo:
11/01/2017: Stelle e Sistemi Stellari
18/01/2017: Pianeti e esopianeti
25/01/2017: Le nebulose
01/02/2017: Galassie e ammassi galattici
Il Corso si svolgerà dalle ore 20 alle ore 21:30 a Frosinone presso la sede del Centro Inter Arte, Via De Gasperi 59.

12 gennaio: LIFT-OFF – Diretta di astronautica
26 gennaio: OCCHI AL CIELO – Diretta di aggiornamento

Dettagli: www.astronomiamo.it

Accademia delle Stelle

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Coelum AdS Gennaio2017

Coelum AdS Gennaio2017Durante il mese di gennaio l’Accedemia delle Stelle propone eventi gratuiti con osservazioni del cielo e conferenze pubbliche. Sul sito e sulla pagina Facebook trovate gli appuntamenti.

A febbraio cominceranno i due nuovi corsi divulgativi:

Corso Teorico di Astronomia, Astrofisica e Cosmologia: per conoscere le leggi fisiche che stanno dietro ai più importanti fenomeni astronomici;

Corso Completo di Fotografia Astronomica: Per imparare a fotografare il cielo con qualsiasi strumentazione dalla refrex al telescopio.

Informazioni e prenotazioni: evento@accademiadellestelle.org

https://www.facebook.com/accademia.dellestelle

https://www.accademiadellestelle.org

Ritratti Celesti – Mostra fotografica astronomica

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ritrattiCelestiFattinnanzi

ritrattiCelestiFattinnanziDal 28 dicembre all’8 gennaio (tranne 1 e 6 gennaio).

Info: Cristian: 3336992575

Un buon inizio anno con Luna, Venere, Marte e… Nettuno

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Nella cartina la posizione indicativa di Marte e Venere alle ore 19:30, quando i due astri saranno un po’ più bassi sull’orizzonte sudovest e potranno più agevolmente essere ripresi con elementi del paesaggio. Saranno distanti all’incirca 11 gradi e mezzo uno dall’altro, mentre Nettuno sarà a 18' da Marte il primo gennaio e la giovane Luna sarà a circa 8° da Venere il primo del mese, 4° da Venere il giorno 2 e poco più di 5° gradi da Marte il giorno 3. N.B. Le dimensioni della Luna sono fuori scala rispetto alla scena: sono state incrementate per esigenze grafiche.

Nella cartina la posizione indicativa di Marte e Venere alle ore 19:30, quando i due astri saranno un po’ più bassi sull’orizzonte sudovest e potranno più agevolmente essere ripresi con elementi del paesaggio. Saranno distanti all’incirca 11 gradi e mezzo uno dall’altro, mentre Nettuno sarà a 18' da Marte il primo gennaio e la giovane Luna sarà a circa 8° da Venere il primo del mese, 4° da Venere il giorno 2 e poco più di 5° gradi da Marte il giorno 3. N.B. Le dimensioni della Luna sono fuori scala rispetto alla scena: sono state incrementate per esigenze grafiche.

Dopo il tramonto, verso le ore 18, guardando a sudovest si potrà ammirare una sottilissima falce di Luna crescente, da poco uscita dal Novilunio che, seguendo l’eclittica, darà luogo a una serie di spettacolari congiunzioni con i pianeti Marte (mag. +0,9) e Venere (mag. –4,4), a una ventina di gradi sopra l’orizzonte in mezzo alle stelle dell’Acquario.

Nelle immediate vicinanze di Marte si potrà osservare anche il pianeta Nettuno — purché si disponga di un telescopio di almeno 25 cm di apertura — che la mattina del primo dell’anno sarà in congiunzione alla minima distanza (vedi circostanze nelle pagine degli eventi di Coelum di gennaio) mentre a quest’ora si troverà a circa 18 primi dal Pianeta Rosso.

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio

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➜  La Luna di Gennaio. Osserviamo i crateri Theophilus, Cyrillus e Catharina di Francesco Badalotti su Coelum di gennaio 2017

Fotografare la luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum di gennaio 2017


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Cielo di Gennaio 2017

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 gennaio > 21:00; 15 gennaio > 22:00; 31 gennaio > 23:00

EFFEMERIDI
(ott. 2016 – mar. 2017)

Luna

Sole e Pianeti

Cometa 45P

Le numerose ore di buio permettono in questo periodo di spaziare – in prima serata – dalle costellazioni autunnali più orientali (come i Pesci, il Pegaso, la Balena…) fino alle regioni ricche di nebulose e ammassi del cielo invernale, per terminare nella seconda parte della notte con le prime avvisaglie della grande concentrazione di galassie del cielo primaverile (nelle costellazioni della Vergine e del Leone per esempio).

Per quanto riguarda i pianeti, dopo il tramonto del Sole sarà Venere ad attirare l’attenzione, brillando in cielo. La prima parte della notte consentirà di osservare Marte, mentre Giove dominerà la scena nella seconda parte della notte nella costellazione della Vergine.

SOLE

Dopo essere arrivato alla minima declinazione durante il Solstizio dello scorso dicembre, il Sole ha iniziato subito a risalire l’eclittica; la sua altezza sull’orizzonte al momento del passaggio in meridiano sarà in gennaio ancora molto modesta (in media +27°), ma l’arco descritto nel cielo tenderà a divenire ogni giorno più ampio. Ciò comporterà ovviamente un modesto aumento delle ore di luce, di circa 45 minuti, così che in gennaio la notte astronomica inizierà in media alle 18:45, mentre il mattino terminerà alle 6:00.

Nelle primissime ore del giorno 4, inoltre, il nostro pianeta raggiungerà il perielio, ovvero la minima distanza dal Sole, pari a circa 147,1 milioni di chilometri (0,983 UA).

Il fatto potrebbe sembrare paradossale, considerando che nel nostro emisfero è questo il periodo più freddo dell’anno, ma si deve considerare che l’incremento di irradiazione pari a circa il 7% rispetto a quella che si registra all’afelio (distanza Terra-Sole di 152,1 milioni di chilometri), viene più che compensato dalla minore inclinazione dei raggi solari e dal ridotto numero di ore d’insolazione.

…e in questi giorni attenzione alla cometa 45P! Non un spettacolo da osservare a occhio nudo, ma può dare soddisfazioni agli astrofotografi più esperti.

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Alla scoperta del cielo, dalle costellazioni alle profondità del cosmo: l’Ariete (seconda parte)

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Calendario degli eventi giorno per giorno

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Ecco lo spettro dell’antimateria

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L’esperimento ALPHA per lo studio dell’antimateria, al CERN, dove è stata misurata una transizione fra stati energetici in un atomo di anti-idrogeno. Crediti: Maximilien Brice / CERN

Come spesso accade per articoli scientifici che descrivono progressi straordinari, il titolo del paper pubblicato oggi, lunedì 19 dicembre 2016, su Nature è a dir poco sobrio: “Observation of the 1S–2S transition in trapped antihydrogen”. Ma a un occhio appena un poco attento la portata di questa scoperta balza subito agli occhi. La transizione 1S-2S alla quale si riferisce, è vero, altro non è se non il passaggio dallo stato fondamentale al secondo stato eccitato. Ma la novità, in questo caso, sta nel “soggetto”: il passaggio di che cosa? Ebbene, fino a oggi quella che veniva misurata era l’energia assorbita – o emessa – da un elettrone di un atomo. Ciò che sono riusciti ora a fare, al CERN, gli scienziati dell’esperimento ALPHA è la stessa misura ma relativa all’energia assorbita da un positrone (dunque, un anti-elettrone) di un “anti-atomo”. Per l’esattezza, un anti-idrogeno. Detto altrimenti: antimateria. E ciò che hanno visto, per la prima volta nella storia, è dunque la riga di uno spettro di antimateria: una “anti-riga” di un “anti-spettro”.

Un risultato inseguito per anni senza mai riuscire a raggiungerlo, fino a oggi. Un risultato eccezionale dal punto di vista tecnologico, come vedremo. Ma, soprattutto, un risultato che spalanca le porte a possibilità inedite per lo studio dell’antimateria, offrendoci per la prima volta la possibilità di mettere a confronto uno spettro con un “anti-spettro”. Confronto i cui risultati preliminari, mostrando come – entro i limiti sperimentali –  vi sia consistenza fra le osservazioni condotte sugli atomi di anti–idrogeno e quelle sugli atomi di idrogeno, confermano quanto previsto dal Modello standard circa la perfetta simmetria fra materia e antimateria: ovvero, che il livelli energetici sono identici, come richiesto dalla cosiddetta simmetria CPT, dove ‘C’ sta per carica, ‘P’ per parità e ‘T’ per tempo.

Una conferma cruciale, questa: una differenza significativa fra spettro e “anti-spettro” implicherebbe infatti una revisione radicale di molti principi basilari della fisica. Ma potrebbe al tempo stesso offrire una spiegazione a quell’enigma ancora insoluto che è il disequilibrio che si registra nell’universo fra la quantità di materia e quella di antimateria: benché dovessero essere presenti in parti uguali all’epoca del big bang, sembrano oggi essere onnipresente la prima, pressoché introvabile la seconda.

«Usare un laser per osservare una transizione in un atomo di antidrogeno e confrontarla con quella in un atomo di idrogeno per vedere se obbediscono alle stesse leggi della fisica è stato da sempre un obiettivo chiave della ricerca nel campo dell’antimateria», dice Jeffrey Hangst, portavoce della collaborazione ALPHA. Crediti: Maximilien Brice / CERN

«Usare un laser per osservare una transizione in un atomo di antidrogeno e confrontarla con quella in un atomo di idrogeno per vedere se obbediscono alle stesse leggi della fisica è stato da sempre un obiettivo chiave della ricerca nel campo dell’antimateria», dice Jeffrey Hangst, portavoce della collaborazione ALPHA. Crediti: Maximilien Brice / CERN

Un grande risultato tecnologico, dicevamo, che giunge al termine d’un inseguimento durato vent’anni. La difficoltà più grande non è stata tanto quella di creare anti-atomi di anti-idrogeno, attività nella quale ALPHA eccelle, bensì di mantenerli intrappolati un tempo sufficiente a condurre l’esperimento, in questo caso l’illuminazione con un raggio laser.

«Spostare e intrappolare antiprotoni o positroni è facile, perché sono particelle cariche», spiega il portavoce della collaborazione ALPHA Jeffrey Hangst. «I problemi cominciano quando si combinano i due per ottenere un atomo di anti-idrogeno neutro, molto più difficile da intrappolare. Per riuscirci, abbiamo progettato una trappola magnetica molto speciale, sfruttando il fatto che antidrogeno è leggermente magnetico».

Qualche cifra può aiutare a comprendere gli ostacoli che i ricercatori hanno dovuto superare. Ogni tentativo parte da un plasma contenente circa 90mila antiprotoni, dai quali si ottengono grosso modo 25mila anti-idrogeni. Da questi, fino a ieri, se ne riuscivano a intrappolare in media appena 1,2. Ebbene, con la nuova tecnica si è passati a 14 anti-atomi, mantenuti intrappolati in una camera a vuoto cilindrica – lunga 280 mm e con un diametro di 44 mm – per un intervallo sufficiente a essere illuminati dal laser e osservare la transizione 1S-2S. Facendoci così vedere per la prima volta una caratteristica, ampiamente prevista ma mai verificata sperimentalmente, del mondo “anti”.

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “Observation of the 1S–2S transition in trapped antihydrogen“, di  M. Ahmadi, B. X. R. Alves, C. J. Baker, W. Bertsche, E. Butler, A. Capra, C. Carruth, C. L. Cesar, M. Charlton, S. Cohen, R. Collister, S. Eriksson, A. Evans, N. Evetts, J. Fajans, T. Friesen, M. C. Fujiwara, D. R. Gill, A. Gutierrez, J. S. Hangst, W. N. Hardy, M. E. Hayden, C. A. Isaac, A. Ishida, M. A. Johnson, S. A. Jones, S. Jonsell, L. Kurchaninov, N. Madsen, M. Mathers, D. Maxwell, J. T. K. McKenna, S. Menary, J. M. Michan, T. Momose, J. J. Munich, P. Nolan, K. Olchanski, A. Olin, P. Pusa, C. Ø. Rasmussen, F. Robicheaux, R. L. Sacramento, M. Sameed, E. Sarid, D. M. Silveira, S. Stracka, G. Stutter, C. So, T. D. Tharp, J. E. Thompson, R. I. Thompson, D. P. van der Werf e J. S. Wurtele

Guarda il video del CERN:


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I tunnel della Luna

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La mappa mostra il campo gravitazionale della Luna misurato dalla missione GRAIL della NASA, dal quale lo studio in esame ha dedotto i suoi risultati. La prospettiva di visualizzazione, nota come proiezione di Mercatore, mostra il lato lontano della luna nel centro e quello vicino (quello visibile dalla Terra) sui due lati. L'unità di misura nella scala sopra l'immagine è il milliGalileo, mGal, unità di misura dell'accelerazione di gravità (1 Galileo = 1 cm/s^2 = 0,01 m/s^2). La colorazione rossa corrisponde a un eccesso di massa che indica aree con una maggiore gravità locale, in blu invece la mancanza di massa e quindi le aree con una minore gravità locale. Image credit: NASA / JPL-Caltech / GSFC / MIT
Tunnel di lava di Thurston, Hawaii Volcanoes National Park, Big Island of Hawaii, U.S.A. by Frank Schulenburg - Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18646118

E se la Luna assomigliasse un po’ alle Hawaii? Il paragone non è certo immediato, ma è più calzante di quanto potremmo pensare.

L’arcipelago nel Pacifico ospita infatti spettacolari strutture di origine vulcanica scavate nella roccia: sono i cosiddetti tubi di lava, veri e propri tunnel alti parecchi metri e spesso visitabili.

Viaggiando dalle Hawaii alla Luna, ecco che troviamo esattamente le stesse conformazioni: resti dell’antico vulcanismo lunare, che ha creato sul nostro satellite enormi strutture cave.

È quanto rivelano i dati raccolti da GRAIL, missione NASA di esplorazione lunare iniziata e conclusa nel 2012 ma ancora miniera d’oro di informazioni.

Mappa della gravità lunare creata dal GRAIL. Image credit: NASA/JPL-Caltech/MIT/GSFC

Ora un nuovo studio pubblicato su Icarus confermerebbe l’esistenza di questi tubi di lava sulla Luna. GRAIL ha infatti registrato una leggera variazione nella spinta gravitazionale del nostro satellite, dato che ha suggerito una differenza di densità sotto la sua superficie.

Il team di ricerca, coordinato dalla Purdue University, ha analizzato questa variazione di gravità inserendola in un modello computazionale geologico che integra i dati di GRAIL con le informazioni disponibili sui tubi di lava terrestri.

I risultati confermerebbero la presenza di strutture cave nei sotterranei lunari, corrispondenti appunto ai tunnel di lava.

Secondo gli astronomi queste imponenti gallerie nel suolo della Luna potrebbero essere utilizzate per costruire basi di esplorazione e laboratori in grado di ospitare gli astronauti, fino ad arrivare addirittura a intere città. Rendendo così un giorno abitabile il nostro satellite.


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Premio Galileo 2017. Primo appuntamento il 18 gennaio 2017.

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Premio Letterario Galileo per la divulgazione scientifica
XI edizione
Dario Bressanini presidente della giuria scientifica

Al via l’edizione 2017 del Premio Galileo, organizzato dal Comune di Padova, che decreta la migliore pubblicazione nell’ambito della divulgazione scientifica e che lo scorso anno ha celebrato il decennale di attività con una partecipazione sempre più interessata degli editori e delle scuole italiane.

Il Premio Galileo si inserisce in un programma di diffusione della cultura scientifica che il Comune di Padova promuove da 11 anni facendosi interprete di iniziative in grado di valorizzare le tradizioni di eccellenza che la città vanta nel campo della ricerca scientifica, a partire proprio da Galileo Galilei che insegnò all’Università patavina.

Come da tradizione, il Premio prevede due fasi che condurranno alla scelta dell’opera vincitrice. Nella prima fase la Giuria scientifica, composta da personalità di indiscusso valore in campo culturale e scientifico, individuerà la cinquina delle opere finaliste fra i testi di divulgazione scientifica pubblicati in Italia negli ultimi due anni.

Per questa undicesima edizione la giuria sarà presieduta dal chimico e scrittore Dario Bressanini, autore di numerosi libri scientifici sull’alimentazione, che sfatano molte delle nostre credenze sul cibo sano e naturale, e del seguitissimo blog “La scienza in cucina”.

La selezione, aperta al pubblico, si terrà il 18 gennaio 2017 a Padova, presso l’Auditorium del Centro culturale Altinate San Gaetano, a partire dalle ore 10.00. Nella seconda fase, una Giuria popolare, formata da studenti delle classi IV degli istituti superiori di tutte le province italiane determinerà, nell’ambito della cinquina, l’opera da premiare.

La cerimonia di premiazione si terrà, anche questa in forma pubblica, il 5 maggio 2017 a Padova, presso il Palazzo della Ragione a partire dalle ore 16.00.

Nell’ambito dell’undicesima edizione del Premio Galileo si terranno, poi, diversi incontri con gli autori dei libri finalisti. Studenti e cittadini avranno la possibilità di conoscere più da vicino i cinque studiosi selezionati dalla giuria scientifica in altrettante giornate dedicate ciascuna ad una pubblicazione. Nei mesi di marzo e aprile saranno organizzati gli appuntamenti con l’ormai sperimentata modalità del doppio incontro, la mattina dedicata alle scuole superiori della città (e in streaming di tutta Italia) e il pomeriggio al pubblico generico.

Ancora in tema di incontri e approfondimenti, si terranno poi due appuntamenti al mese, da febbraio ad aprile, con gli esperti del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) per approfondire con i metodi della scienza la magia e i fenomeni paranormali.

Torna, infine, anche Recensire la scienza, l’atteso concorso parallelo al Premio Galileo che da anni è seguito e apprezzato da un vastissimo pubblico. Tutti potranno, per una volta, diventare critici letterari e cimentarsi in una recensione dei cinque libri finalisti pubblicando il loro scritto sulla pagina facebook ufficiale del Premio Galileo. I “mi piace” decreteranno i vincitori (regolamento e info a breve alla pagina facebook.com/premio.galileo.padova/).

La giuria scientifica 2017

Pieghevole informativo

Info Settore Cultura Turismo Musei e Biblioteche Palazzo Moroni Tel. ++39 49 8205626-5623-5611

Informazioni per le scuole: ++39 49 8204517-5626 E-mail: premiogalileo@comune.padova.it

Pagina facebook ufficiale del Premio

Padovacultura.padova.net

Il Premio Letterario Galileo 2016 è promosso dal Comune di Padova, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, della Regione del Veneto, della Fondazione Il Campiello e dell’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti in Padova e in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova.

Il Premio Galileo ha il sostegno della Fondazione Antonveneta.
Con la collaborazione di: APS Advertising, Auriga, Hotel GalileoMorellato – Gioielli da vivere, Promovies, Noleggiami.eu, Cicap, Inaf, Planetario Padova, Education First-Vacanze Studio e Corsi di Lingue all’Estero.. Media sponsor: Rai Radio3, Focus, Coelum, il Bo, il Vivi Padova, Radio Bue.it, Planck.


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Un triangolo Luna, Giove e Spica

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Una bella congiunzione a tre tra una sottile falce di Luna (fase 31%), Giove (mag. –1,9) e la brillante Spica (mag. +1,1). I momenti migliori per fotografarla saranno dalle 3:00 in poi, quando i tre astri raggiungeranno l’altezza “comoda” di almeno 10° per essere fotografati con gli elementi del paesaggio. Crediti: Coelum Astronomia CC by-nc-nd

La mattina prima della Vigilia di Natale, la Luna sorgerà attorno alle 2 dall’orizzonte est seguendo Giove a 4,7° verso nordovest, e anticipando Spica (alfa Virginis, mag. +1,1), che sorgerà circa venti minuti dopo a 5,5° a sudovest. I tre astri formeranno un triangolo quasi equilatero e potranno essere seguiti nelle ore successive fino al sorgere del Sole, che li sorprenderà a un’altezza di circa 40° sull’orizzonte sud.
Approfittiamone anche per imparare a conoscere meglio il Cielo di Dicembre con la guida di Giorgio Bianciardi (UAI).

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre

Leggi anche:

I gioielli del cielo invernale I migliori oggetti celesti da osservare durante la stagione invernale di Giuseppe Petricca su Coelum di dicembre 2016

➜  La Luna di dicembre. Guida all’osservazione del quartetto dei crateri
Schickard, Nasmyth, Wargentin, Phocylides
su Coelum di dicembre 2016

Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum di novembre 2016


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Missione Dawn. Cerere, un pianeta nano ricco di ghiaccio d’acqua

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La missione Dawn della Nasa ha rilevato la presenza di idrogeno sulla superficie di Cerere. Maggiore concertazione di idrogeno per il blu e minore per il rosso. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI

NUOVI RISULTATI DALLA MISSIONE DAWN
Ghiaccio nei crateri di Cerere

I ricercatori della missione Dawn della NASA hanno presentato in questi giorni, al meeting dell’American Geophysical Union, nuovi risultati sulla presenza di ghiaccio su Cerere. «Questi studi sono basati sull’ipotesi che il ghiaccio si sia separato dalla roccia nella storia recente di Cerere, e che nel lungo periodo di formazione del Sistema solare sia rimasto in superficie», ha detto Carol Raymond, del Jet Propulsion Laboratory NASA a Pasadena, in California.

La missione Dawn è nota per aver osservato gli asteroidi VestaCerere, due protopianeti, situati nella fascia principale degli asteroidi tra Marte e Giove. Diversi per forme, caratteristiche morfologiche e natura geologica della superficie, i due corpi popolavano la fascia di detriti intorno alla nostra stella, il Sole, alle origini del Sistema solare. Per questa ragione rappresentano la teca che nasconde i segreti sulla storia della vita e del Sistema solare.

Cerere non sembrava avere ghiaccio: l’oscurità dei suoi crateri pareva essere rischiarata dal biancore di sali altamente riflettenti. Ma non secondo le nuove evidenze. «La presenza di ghiaccio su altri corpi planetari è importante, perché l’acqua è un ingrediente essenziale per la vita così come noi la conosciamo. Se si trovano corpi che sono stati ricchi di acqua in un lontano passato, abbiamo indizi utili per capire dove la vita può essere stata presente nel sistema solare», ha aggiunto Raymond.

«Su Cerere il ghiaccio non è localizzato solo in alcuni crateri. È presente ovunque, vicino alla superficie, alle latitudini più elevate», ha detto Thomas Prettyman, ricercatore dell’Istituto di Scienze planetarie di Tucson, Arizona, grazie allo studio dei dati dello strumento GRaND, le cui risultanze sono pubblicate su Science. Con questo rilevatore si sono potute determinare le concentrazioni di idrogeno, ferro e potassio nella superficie di Cerere, misurando inoltre un gran quantità di energia da raggi gamma e neutroni emessi dal protopianeta.

I neutroni sono prodotti dai raggi cosmici galattici che interagiscono con la superficie di Cerere. Alcuni di essi vengono assorbiti dal protopianeta mentre altri sfuggono. Gli scienziati sanno che l’idrogeno rallenta i neutroni, quindi il minor numero di neutroni in fuga renderebbe plausibile l’ipotesi che ci sia idrogeno in grande quantità, probabilmente in forma di acqua ghiacciata (che è fatta di due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno).

«Questi risultati confermano le previsioni fatte quasi tre decenni fa, basandosi sul presupposto che il ghiaccio può sopravvivere per miliardi di anni appena sotto la superficie di Cerere, e rafforza l’ipotesi che anche altri asteroidi della fascia principali possano presentare ghiaccio sotto la superficie», ha commentato Prettyman.

Un vero e proprio rompicapo per gli scienziati, che confrontano i risultati ottenuti per Cerere anche con le meteoriti. Infatti l’alta concentrazione di ferro, idrogeno, potassio e carbonio forniscono ulteriori prove che lo strato superiore di materiale di rivestimento di Cerere sia stato alterato da acqua liquida proveniente dall’interno del protopianeta. Gli scienziati teorizzano che il decadimento di elementi radioattivi all’interno abbia prodotto calore che ha guidato questo processo di alterazione, e che spiegherebbe la distinzione tra un interno di roccia non ghiacciata e il ghiaccio in superficie. Questa separazione tra ghiaccio e roccia potrebbe essere una spiegazione alla differente composizione chimica tra la parte superficiale e quella interna.

Ma anche le condriti carbonacee, un tipo di meteoriti, sono state modificate dall’acqua, e il confronto con Cerere apre nuovi scenari. Queste meteoriti probabilmente provengono da corpi che erano più piccoli di Cerere, che ha più idrogeno e meno ferro rispetto a questi altri corpi celesti. Una spiegazione potrebbe essere che le particelle più dense sono in zone più profonde, mentre le altre con presenza di sali sono risalite in superficie. In alternativa, Cerere potrebbe essersi formata in una regione diversa del Sistema solare rispetto alle meteoriti.

Video di una “trappola fredda” su Cerere. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Ma non è finita qui. Un secondo studio, condotto da Thomas Platz del Max Planck Institute di Gottinga in Germania e pubblicato sulla rivista Nature Astronomy, ha cercato una spiegazione al perché della concentrazione di ghiaccio nelle cosiddette “trappole a freddo” (vedi animazione), dove si registrano temperatura di 110 gradi Kelvin (-163 gradi). Sono veri e propri depositi di materiale riflettente riscontrati in almeno 10 crateri. In particolare in uno di questi, parzialmente soleggiato, lo spettrometro ha confermato la presenza di ghiaccio.

Anche su Mercurio e sulla Luna è stato rilevato ghiaccio in trappole a fredde, ma quelle di Cerere sono più misteriose. Mentre sulla Luna e su Mercurio la spiegazione sta nell’asse di rotazione, che lascia alcuni crateri costantemente in ombra, per Cerere questa spiegazione non si applica. «Siamo interessati a capire come questo ghiaccio sia arrivato e come sia riuscito a durare così a lungo», ha detto il co-autore Norbert Schorghofer, della Università delle Hawaii. «Potrebbe provenire dalla crosta di Cerere o dallo spazio».

Nella grafica i percorsi che seguirebbero le molecole d'acqua su Cerere. Alcune di queste cadrebbero e si accumulerebbero dentro i freddi e scuri crateri chiamati "cold traps", trappole fredde, dove solo una piccola quantità del ghiaccio depositato riuscirebbe ad evaporare, anche nell'arco di un miliardo d'anni. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Ma, indipendentemente dalla sua origine, gli scienziati sanno che le molecole di acqua su Cerere hanno la possibilità di “saltellare” da regioni più calde e concentrarsi nelle trappole a freddo. Infatti altre osservazioni eseguite negli anni 2012-2013 con Herschel, il telescopio spaziale per l’infrarosso dell’Agenzia Spaziale Europea, hanno reso evidente la presenza di vapore acqueo. Molecole d’acqua che lasciano la superficie, disperdendosi in parte e in parte cumulandosi all’interno dei crateri.

Una simulazione (vedi il video qui sotto) realizzata dal Centro aerospaziale tedesco (DLR) ricostruisce un sorvolo di Occator, il cratere misterioso di Cerere, noto per le sue macchie brillanti. La simulazione utilizza i dati della missione Nasa Dawn per una visione topografica di Occator negli spettri del rosso e del blu, che ricondurrebbe il brillamento alla presenza di sali e non di ghiaccio. Occator, 92 km di cratere con una regione centrale brillante che include una cupola con fratture, recentemente nominata Cerealia Facula, mentre le macchie della parte del cratere meno riflettente a est del centro sono chiamate Vinalia Facula. «L’interno unico di Occator potrebbe essersi formato in una combinazione di processi che stiamo indagando», ha dichiarato Ralf Jaumann, scienziato planetario e co-ricercatore presso DLR per la missione Dawn. «L’impatto che ha creato il cratere potrebbe aver innescato la risalita del liquido dall’interno Cerere, lasciandosi dietro i sali».

Leggi anche

Per una panoramica sulla missione, il Report di Pietro Capuozzo: Missione Dawn: tutta l’attenzione su Cerere su Coelum 203 di settembre 2016.



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AstronomiAmo – Appuntamenti di Dicembre

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LocandinaCoelum

21 dicembre 2016: ASTRO-TOMBOLA per bambini in diretta
Dettagli: http://www.astronomiamo.it

Viaggio nel Cosmo

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Flyer_DIC_provaProgramma conferenze di dicembre 2016

Lunedì 19 dicembre, ore 18.30: SISTEMA SOLARE – NUOVE SCOPERTE SUGLI ANELLI DI SATURNO.
Relatore: Giovanni Chelleri (Circolo Culturale Astrofili Trieste).

Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, Via dei Tominz, 4 – ingresso libero fino a esaurimento posti.

INFO:

Museo Civico di Storia Naturale di Trieste:
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it

Circolo Culturale Astrofili Trieste:
web: www.astrofilitrieste.it
mail: info@astrofilitrieste.it

OSIRIS-REx va a caccia di asteroidi troiani della Terra

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In February 2017, the OSIRIS-REx spacecraft will undertake a search for Earth-Trojan asteroids while on its outbound journey to the asteroid Bennu. Earth Trojans are asteroids that share an orbit with Earth while remaining near a stable point 60 degrees in front of or behind the planet. Credit: University of Arizona/Heather Roper
Il 17 febbraio, nel suo viaggio verso Bennu, la sonda OSIRIS-REx si impegnerà nella ricerca di asteroidi troiani della Terra. Si tratta di asteroidi che viaggiano nell'orbita terrestre rimanendo vicini ad un punto stabile a 60° più avanti o più indietro rispetto alla Terra. Nell'immagine in arancione il percorso della sonda e in verde l'orbita terrestre. Credit: University of Arizona/Heather Roper

Tra il 9 e il 20 febbraio, OSIRIS-REx attiverà le sue tre fotocamere e andrà alla ricerca degli elusivi asteroidi troiani.

Sei degli otto pianeti del Sistema Solare, ovvero Giove, Nettuno, Marte, Venere, Urano e la Terra, hanno almeno un asteroide troiano — oltre seimila, nel caso di Giove. Questi asteroidi condividono l’orbita del pianeta a cui sono legati gravitazionalmente, ma lo precedono lungo la sua traiettoria eliocentrica (oppure lo seguono) di circa 60 gradi, ovvero stazionano nei pressi dei punti lagrangiani L4 ed L5.

Una vista dall'alto del percorso della sonda all'interno dell'orbita terrestre, di passaggio vicino al punto lagrangiano dove potrebbero trovarsi altri troiani.

La Terra ha un solo asteroide troiano conosciuto — 2010 TK7, individuato dalla missione NEOWISE nel 2010. Ma gli scienziati sospettano che la popolazione di troiani terrestri sia molto più ampia; tuttavia, questi oggetti si troverebbero prospetticamente molto vicini al Sole osservati da Terra e sarebbero dunque difficili da individuare.

A febbraio 2017, OSIRIS-REx sarà in una posizione perfetta per effettuare un censimento della popolazione di asteroidi troiani situati lungo l’orbita del nostro pianeta. Al momento delle osservazioni, infatti, la sonda si troverà tra il Sole e il punto L4.

In una finestra di 12 giorni, la sonda userà la sua fotocamera MapCam per studiare le regioni dove questi asteroidi potrebbero nascondersi. La fotocamera userà una tecnica molto simile per cercare eventuali satelliti naturali in orbita attorno a Bennu durante il suo avvicinamento all’asteroide.

«La ricerca di asteroidi troiani della Terra offre un grande vantaggio alla missione,» spiega Dante Lauretta, a capo di OSIRIS-REx. «Non solo avremo l’opportunità di scoprire nuovi membri di una famiglia asteroidale, ma potremo anche fare le prove per alcune operazioni critiche prima del nostro arrivo attorno a Bennu».

OSIRIS-REx si trova attualmente a 74.1 milioni di chilometri dalla Terra.

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Tutti i dettagli sulla missione e sui suoi obiettivi scientifici.


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AstronomiAmo – Appuntamenti di Dicembre

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LocandinaCoelum

15 dicembre: LIFT-OFF: Diretta di astronomia

Dettagli: http://www.astronomiamo.it

Congiunzione Luna – Regolo (alfa Leo)

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Il 18 dicembre la Luna sorgerà dall’orizzonte est a circa 2,8° da Regolo (stella alfa del Leone, mag. +1,4).

I due astri si allontaneranno lentamente man mano che la coppia aumenterà la sua altezza sull’orizzonte. Il consiglio è di fotografarli verso le 22:30 quando raggiungeranno un’altezza di circa 10° e saranno distanti poco più di 3° e mezzo. Il fenomeno potrà essere inserito in riprese paesaggistiche notturne a grande campo.

Approfittiamone anche per imparare a conoscere meglio il Cielo di Dicembre con la guida di Giorgio Bianciardi (UAI).

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre

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Schickard, Nasmyth, Wargentin, Phocylides
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Juno. Un filo di perle nell’atmosfera di Giove

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Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS
L'immagine è stata ripresa dalla JunoCam a bordo della sonda, una camera fotografica a colori in luce visibile progettata appositamente per catturare immagini spettacolari dei poli di Giove e delle nubi sulla superifice dell'atmosfera del pianeta. Lo scopo di queste immagini è quasi puramente estetico, con il fine di coinvolgere il pubblico durante tutto lo svolgimento della missione. JunoCam non è infatti considerata uno strumento scientifico della missione (nonostante le sue immagini potranno comunque essere utili per il team scientifico, associate ai dati raccolti dal resto della strumentazione). Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS

La sonda americana Juno ha immortalato una delle tempeste note come “perle” — violente bufere ovali e biancastre — che imperversano nell’atmosfera di Giove. Avvistate per la prima volta nel 1986, queste tempeste variano in numero da sei a nove; attualmente, ve ne sono otto nell’emisfero meridionale, e quella fotografata è la settima di una formazione chiamata “string of perls” (filo di perle).

Le immagini sono state scattate alle 18:27 ora italiana dell’11 dicembre, mentre la sonda era impegnata nel suo terzo sorvolo operativo del gigante gassoso. Al momento dello scatto, la sonda si trovava a 24 600 chilometri dal pianeta e aveva superato il perigiovio della sua orbita da poco più di una ventina di minuti.

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CASSINI SCIENTIST FOR A DAY

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Il concorso Cassini Scientist for a Day è una gara internazionale, indetta dalla NASA e promossa in europa dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), rivolta ai ragazzi di scuole medie e superiori.

Ogni anno i ragazzi hanno la possibilità di avvicinarsi al lavoro dello scienziato studiando tre immagini prodotte dalla missione Cassini, che si trova in orbita attorno a Saturno dal luglio del 2004.

Se gli strumenti a bordo della sonda potessero essere puntati soltanto su uno di questi target, quale sceglieresti? È questa la domanda rivolta agli studenti di scuole medie e superiori che dovranno rispondere con un elaborato di 500 parole. Ecco i tre target:

Dettaglio del polo sud di Encelado Titano, la più grande luna di Saturno Saturno

È possibile partecipare individualmente o in un gruppo, formato al massimo da 4 ragazzi fino alle 23:59 del 3 aprile 2017 mandando l’elaborato all’indirizzo email cassinisfditaly@gmail.com.

In palio ci sono gadget della missione Cassini, forniti direttamente da NASA ed ESA, e la pubblicazione dei migliori elaborati sui loro siti web. Ci saranno vincitori per ciascun target e per ciascuna delle tre fasce d’età (10–13 anni,14–15 anni e 16–18 anni).

Per maggiori dettagli, consultate il regolamento del concorso

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Saturno va in scena! su Coelum di giugno 2016



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La stella che cadde nel buco nero rotante

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Questa rappresentazione artistica mostra una stella simile al Sole vicina a un buco nero supermassiccio in rapida rotazione, con una massa di circa 100 milioni di volte la massa del Sole, nel centro di una galassia lontana. La sua grande massa curva la traiettoria della luce proveniente dalle stelle e dal gas che si trovano al di là. Nonostante sia molto più massiccio della stella, il buco nero supermassiccio ha un orizzonte degli eventi solo 200 volte più grande della dimensione della stella. La sua rotazione veloce ne cambia la forma in uno sferoide oblato. L'attrazione gravitazione del buco nero supermassiccio riduce la stella in brandelli: si verifica un evento di distruzione mareale. Durante il processo, la stella viene "spaghettificata" e le onde d'urto prodotte nei detriti collisionali della stella così come il calore generato dall'accrescimento producono un lampo di luce. Crediti: ESO, ESA/Hubble, M. Kornmesser
Rappresentazione artistica d’un buco nero supermassiccio in rapida rotazione, circondato da un sottile disco di materia in rotazione, che rappresenta ciò che rimane di una stella ridotta in brandelli dalle forze mareali del buco nero. Crediti: ESO, ESA/Hubble, M. Kornmesser

Il 14 giugno 2015, il campionamento a tutto cielo per rilevare supernove denominato ASAS-SN, dall’inglese All Sky Automated Survey for SuperNovae, rilevò l’accensione di un puntino luminoso all’interno di un’anonima galassia a 3.8 miliardi di anni luce. Un evento transiente di inusuale potenza, denominato ASASSN-15lh e classificato come una supernova superluminosa (o ipernova), l’esplosione cioè di una stella molto massiccia alla fine della propria vita. La sua luminosità di picco risultò 20 volte maggiore della luce totale prodotta dalla Via Lattea, il doppio del precedente record, facendo di ASASSN-15lh la supernova più brillante mai osservataUn recentissimo studio a partecipazione INAF ha poi identificato come possibile motore per tale sorprendente fenomeno l’energia rotazionale di un buco nero rotante (o di Kerr)

Un nuovo studio, comparso oggi sulla neonata rivista Nature Astronomy, riporta come una folta collaborazione internazionale, guidata da Giorgos Leloudas del Weizmann Institute of Science, Israele, e del Dark Cosmology Centre, Danimarca, abbia effettuato ulteriori 10 mesi di osservazioni dopo della distante galassia in cui è avvenuta l’esplosione, proponendo quindi una diversa spiegazione per l’evento straordinario, causato più probabilmente da un buco nero supermassiccio in rapida rotazione che ha distrutto una stella di piccola massa.

Nancy Elias-Rosa, coautrice del nuovo studio, ricercatrice di origine spagnola che da anni si occupa di supernove e oggetti transienti all’INAF di Padova.

«Questo è un risultato unico e molto importante», commenta a Media INAF Nancy Elias-Rosa, «ASASSN-15lh fu classificata, poco dopo la sua scoperta, come una supernova superluminosa. Tuttavia, grazie alla lunga campagna d’osservazione e alla collaborazione internazionale di molti scienziati, abbiamo trovato che molti aspetti del suo comportamento suggeriscono invece che questo oggetto sia uno dei più luminosi eventi di distruzione mareale di una stella mai scoperti».

In questo scenario, le forze gravitazionali estreme del buco nero supermassiccio, nel centro della galassia ospite, hanno dilaniato una stella simile al Sole che gli si è avvicinata troppo.


Questa simulazione mostra la stella distrutta dalle onde gravitazionali del buco nero supermassiccio. La stella viene spaghettizzata e dopo diverse orbite crea un disco di accrescimento, liberando l’energia che spiegherebbe l’origine dell’evento superluminoso ASASSN-15lh. Sulla sinistra la simulazione vista di faccia, a destra vista di lato. Crediti: ESO, ESA/Hubble, N. Stone, K. Hayasaki

Un evento cosiddetto di distruzione mareale, finora osservato solo in una decina di casi. Nel processo, la stella è stata “spaghettificata” e le onde d’urto sviluppate tra i detriti della collisione, assieme al caloreprodotto dall’accrescimento, hanno prodotto un lampo di luce. Ciò ha dato all’evento l’aspetto di un’esplosione di supernova molto brillante, anche se la stella aveva una massa troppo piccola per poter mai aspirare di diventare una supernova.

«Oggetti come questi sono rari», aggiunge Elias-Rosa, «e vengono osservati principalmente ad alte frequenze, perché è in quei domini che emettono il massimo di luminosità. Da qui l’importanza delle osservazioni di ASASSN-15lh fatte nella banda ottica. Con le future survey, LSST in particolare, ci aspettiamo che il numero di scoperte di questi oggetti aumenti esponenzialmente, dandoci così modo di caratterizzarle correttamente».

Il gruppo di ricerca ha basato le proprie conclusioni su osservazioni realizzate da un certo numero di telescopi, sia da terra che dallo spazio, tra cui potenti telescopi ottici come il VLT (Very Large Telescope) all’Osservatorio di Paranal dell’ESO, l’NTT (New Technology Telescope) all’Osservatorio di La Silla dell’ESO e il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA.

I dati hanno rivelato che, nel corso dei dieci mesi di osservazioni, l’evento ha attraversato tre diverse fasi, riconducibili più a ciò che ci si aspetta da un evento di distruzione mareale che a una supernova. Ad esempio, l’aumento della luminosità in luce ultravioletta e l’aumento della temperatura riducono la probabilità che si sia trattato di un evento simile a una supernova. Inoltre, l’ubicazione dell’evento – una galassia rossa, massiccia e passiva – non è il luogo in cui di solito ci sia aspetta un’esplosione superluminosa di supernova, ovvero una galassia nana blu, caratterizzata da alta formazione stellare.

Questa rappresentazione artistica mostra una stella simile al Sole vicina a un buco nero supermassiccio in rapida rotazione, con una massa di circa 100 milioni di volte la massa del Sole, nel centro di una galassia lontana. La sua grande massa curva la traiettoria della luce proveniente dalle stelle e dal gas che si trovano al di là. Nonostante sia molto più massiccio della stella, il buco nero supermassiccio ha un orizzonte degli eventi solo 200 volte più grande della dimensione della stella. La sua rotazione veloce ne cambia la forma in uno sferoide oblato. Crediti: ESO, ESA/Hubble, M. Kornmesser Crediti: ESO, ESA/Hubble, M. Kornmesser

Ma c’è un altro punto da chiarire. La massa della galassia ospite in questione implica che il buco nero supermassiccio al centro abbia una massa di almeno 100 milioni di volte quella del Sole. Un buco nero di questa massa non sarebbe di per sé in grado di distruggere una stella al di fuori del proprio orizzonte degli eventi, il limite entro il quale nulla può sfuggire alla sua attrazione gravitazionale. Ma se il buco nero è di un tipo particolare, cioè in rapida rotazione – un cosiddetto buco nero di Kerr – la situazione cambia e il limite non si applica più. Quindi, sostengono gli autori, ASASSN-15lh deve essere stato prodotto dall’interazione con un buco nero di Kerr.

«Anche usando tutti i dati raccolti finora, non possiamo stabilire con certezza assoluta che ASASSN-15lh sia stato un evento di distruzione mareale», dice in conclusione Leloudas. «Ma per il momento è la spiegazione di gran lunga più probabile».

«L’unica cosa certa è che ASASSN-15lh è un oggetto straordinario, ed è quindi naturale che abbia attirato l’attenzione di numerosi team e dato adito a interpretazioni diverse», commenta Massimo Della Valle dell’INAF di Napoli, non direttamente coinvolto in questo studio ma autore di altre ricerche sull’argomento. «La straordinarietà  di questa sorgente risiede nell’incredibile quantità di energia emessa, qualcosa come 1052 erg dissipati in energia cinetica ed energia luminosa in poche settimane».

Valori di queste dimensioni hanno portato a studiare scenari alternativi a quello della supernova superluminosa, come appunto un buco nero in rapida rotazione che “accende” la supernova, oppure un’esotica Quark Nova, la transizione esplosiva da stella di neutroni a stella di quark.

«L’idea di un stella tipo Sole ingoiata dal buco nero centrale supermassiccio della galassia, proposta dagli autori di questo lavoro, è certamente accattivante», continua Della Valle, «e spiega bene due aspetti osservativi di ASASSN-15lh: la location dell’evento, nelle zone centrali della galassia, e il flash UV osservato nelle fasi iniziali dell’emissione. Qualche difficoltà invece incontra nello spiegare la morfologia della curva di luce, che viene invece ben interpretata dall’idea dello spinning down di un buco nero di Kerr stellare. La situazione è ancora molto fluida e solo l’osservazione di altri fenomeni di questo tipo, assieme allo studio dell’ambiente nel quale si manifestano, potranno fornirci maggiori dettagli».

Per saperne di più:

  • Leggi il preprint dell’articolo pubblicato su Nature AstronomyThe Superluminous Transient ASASSN-15lh as a Tidal Disruption Event from a Kerr Black Hole”, di G. Leloudas, M. Fraser, N. C. Stone, S. van Velzen, P. G. Jonker, I. Arcavi, C. Fremling, J. R. Maund, S. J. Smartt, T. Kruhler, J. C. A. Miller-Jones, P. M. Vreeswijk, A. Gal-Yam, P. A. Mazzali, A. De Cia, D. A. Howell, C. Inserra, F. Patat, A. de Ugarte Postigo, O. Yaron, C. Ashall, I. Bar, H. Campbell, T.-W. Chen, M. Childress, N. Elias-Rosa, J. Harmanen, G. Hosseinzadeh, J. Johansson, T. Kangas, E. Kankare, S. Kim, H. Kuncarayakti, J. Lyman, M. R. Magee, K. Maguire, D. Malesani, S. Mattila, C. V. McCully, M. Nicholl, S. Prentice, C. Romero-Canizales, S. Schulze, K. W. Smith, J. Sollerman, M. Sullivan, B. E. Tucker, S. Valenti, J. C. Wheeler e D. R. Young

Fonte: ESO


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GEMINIDI: picco il 14 dicembre alle 3:00… in compagnia della Luna!

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Il circoletto giallo nella cartina indica la posizione del radiante, nella costellazione dei gemelli. All'ora indicata si troverà altissimo in cielo, a circa 75° sull'orizzonte ovest-sudovest. Crediti: Coelum Astronomia CC by-nc-nd

Lo sciame meteorico delle Geminidi è uno dei più attivi oggi noti: quest’anno il suo periodo di attività sarà dal 4 al 16 dicembre, e il picco sarà atteso per le 3:00 del 14 dicembre, con uno ZHR di circa 90 meteore all’ora, anche se già il giorno prima e quello successivo si attende una discreta attività.

Quest’anno purtroppo però la presenza della Luna piena, in transito poco distante dal radiante, disturberà l’osservazione di questo sciame meteorico, ma ciò non toglie che si possa tentarne comunque l’osservazione; il modo migliore è senz’altro a occhio nudo, ma si potranno anche riprendere le scie attraverso una macchina fotografica con un obiettivo grandangolare orientata verso il radiante, che si trova nelle vicinanze della stella Castore a queste coordinate: AR 7h 30, DEC +32° 30′ al momento del picco. …e se proprio non riusciremo a vederne, ci sarà sempre una Luna magnifica da osservare (assolutamente simile a occhio nudo alla “Super Luna” del 14 novembre scorso).

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AstronomiAmo – Appuntamenti di Dicembre

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13 dicembre: YOUASTRONOMY: La ricerca della vita.

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La Luna Piena tra le corna del Toro

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La cartina mostra la situazione alle 4:30, con la Luna in cammino tra le due stelle, con Aldebaran a solo poco più di 1° dal bordo lunare, e i tre astri ancora abbastanza alti (circa 18° sull'orizzonte ovest) da essere osservati con comodità da tutta Italia.

Durante la notte tra il 12 e il  13 dicembre si verificherà una spettacolare congiunzione tra la Luna piena e le stelle Aldebaran (mag. +1,0) e Hyadum 1 (gamma Tauri, mag. +3,7).

Alle 23:20 del 12 dicembre la Luna (h = 64°; fase = 98%) passerà a soli 17’ a nord di Hyadum 1.

Verso l’1:00 del 13 la distanza tra la Luna e Aldebaran raggiungerà all’incirca i 3°, mentre quella tra la Luna e gamma Tauri sarà di poco più di 2°. I tre astri saranno altissimi in cielo sull’orizzonte ovest-sudovest e potranno essere fotografati attraverso un obiettivo a grande campo.

Il fenomeno evolverà poi nel corso della notte vedendo un progressivo avvicinamento della Luna ad Aldebaran: alle ore 5:24 la Luna passerà a circa 55’ dalla stella, per poi occultarla ma solo dopo essere scesa sotto l’orizzonte.

Curiosità: si tratterà praticamente di una Quasi Super Luna, essendo passata al perigeo meno di 24 ore prima (alle 23:05 del 12 dicembre: minima distanza dalla Terra 352 734 km; diam. = 33′ 52″), a occhio nudo quindi (ma anche per le riprese) sarà assolutamente identica a quella del mese scorso…

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La materia oscura potrebbere essere più regolare del previsto

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Questa mappa della materia oscura dell'Universo è stata ottenuta dai dati della survey KiDS, usando il telescopio per survey del VLT all'Osservatorio dell'ESO al Paranal in Cile. Rivela una rete estesa di regioni dense (di colore chiaro) e vuote (di colore scuro). Questa è una delle cinque zone di cielo osservate da KiDS. La materia oscura, invisibile, è resa con una colorazione rosata, che copre un'area di cielo di circa 420 volte la dimensione della Luna piena. La ricostruzione dell'immagine è stata fatta analizzando la luce raccolta da più di tre milioni di galassie distanti, a più di 6 milliardi di anni luce da noi. Le immagini delle galassie osservate sono state deformate dall'attrazione gravitazionale della materia oscura mentre la loro luce ha viaggiato nell'Universo. Alcune regioni scure, con margini netti, sono chiaramente identificabili nell'immagine: corrispondono alle posizioni di stelle brillanti e altri oggetti vicini, che si interpongono alla nostra osservazione delle galassie più lontane e vengono perciò mascherate nelle mappe poichè non permettono la misura del segnale di lente gravitazionale in queste aree. Crediti: Kilo-Degree Survey Collaboration/H. Hildebrandt & B. Giblin/ESO
Nell'immagine la mappa della materia oscura, di una delle cinque zone di cielo osservate dal team della survey KiDS (regione G12), usando il telescopio per survey del VLT all'Osservatorio dell'ESO al Paranal in Cile. Rivela una rete estesa di regioni dense (di colore chiaro) e vuote (di colore scuro), la materia oscura, invisibile, è resa con una colorazione rosata. Le immagini delle galassie osservate sono state deformate dall'attrazione gravitazionale della materia oscura mentre la loro luce ha viaggiato nell'Universo. Alcune regioni scure, con margini netti chiaramente identificabili nell'immagine, corrispondono alle posizioni di stelle brillanti e altri oggetti vicini, che si interpongono alla nostra osservazione delle galassie più lontane e vengono perciò mascherate per permettere la misura del più debole segnale di lente gravitazionale in queste aree. Crediti: Kilo-Degree Survey Collaboration/H. Hildebrandt & B. Giblin/ESO

Hendrik Hildebrandt, dell’Argelander-Institut für Astronomie di Bonn, Germania, e Massimo Viola, del Leiden Observatory, Paesi Bassi, sono a capo di un’equipe di astronomi di vari istituti in tutto il mondo, che hanno elaborato le immagini della survey KiDS (Kilo Degree Survey, o survey da un migliaio di gradi), eseguita con il telescopio per survey del VLT dell’ESO (VST) in Cile. Per l’analisi, hanno usato immagini della survey che coprono cinque diverse aree di cielo, per un totale che corrisponde circa a 2200 volte la dimensione della Luna piena (di 450 gradi quadrati, poco più dell’1% dell’intero cielo), e che contengono circa 15 milioni di galassie.

Mappa di materia oscura della regione G9. Crediti: Kilo-Degree Survey Collaboration/H. Hildebrandt & B. Giblin/ESO

Sfruttando la squisita qualità delle immagini del VST al sito del Paranal e usando un software innovativo, l’equipe ha potuto condurre una delle misure più precise mai fatte di un effetto noto come “shear cosmico” o forza di taglio cosmica. Questa è una leggera variante dell’effetto di lente gravitazionale debole, in cui la luce emessa da galassie distanti viene lievemente deviata dall’effetto gravitazionale di una grande quantità di materia, come un ammasso di galassie.

Nello “shear cosmico” non sono gli ammassi di galassie, ma le strutture a larga scala dell’Universo a distorcere la luce, cosa che produce un effetto ancora più piccolo. Sono necessarie survey molto ampie e profonde, come KiDS, per garantire che il segnale molto debole dovuto allo “shear cosmico” sia misurabile e possa essere utilizzato dagli astronomi per mappare la distribuzione della  materia che produce gravità. Questo studio considera la più grande area totale di cielo mai mappata finora con questa tecnica.

Mappa di materia oscura della regione G15 della survey KiDS, mostra un risultato omogeneo rispetto alle altre zone osservate. Crediti: Kilo-Degree Survey Collaboration/H. Hildebrandt & B. Giblin/ESO.

È curioso che i risultati di questa analisi appaiano in contrasto con quanto dedotto dalle osservazioni del satellite Planck dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), la principale missione spaziale che indaga sulle proprietà fondamentali dell’Universo. In particolare, la misura dell’equipe KiDS di quanto sia addensata la materia nell’Universo — un parametro cosmologico fondamentale — è significativamente più piccola del valore derivato dai dati di Planck.

Massimo Viola spiega: «Quest’ultimo risultato indica che la materia oscura nella rete cosmica, che costituisce circa un quarto di tutto il contenuto dell’Universo, è meno disomogenea di quanto ci si aspettasse».

La materia oscura rimane elusiva: la sua presenza viene dedotta solo attraverso gli effetti gravitazionali che produce. Gli studi analoghi a questo sono al momento il miglior modo per determinare la forma, le dimensioni e la distribuzione di questa materia invisibile.



Questo video mostra l’ubicazione della regione G12, una delle zone osservate con il telescopio per survey del VLT (VST) all’Osservatorio dell’ESO al Paranal in Cile. Questa regione copre una vasta area di cielo lungo l’equatore celeste nelle costellazioni del Leone e della Vergine. La ricostruzione dell’immagine è stata fatta analizzando la luce raccolta da più di tre milioni di galassie distanti, a più di 6 milliardi di anni luce da noi. Crediti: Kilo-Degree Survey Collaboration/H. Hildebrandt & B. Giblin/ESO/N. Risinger (skysurvey.org). Music: Konstantino Polizois (soundcloud.com/konstantino-polizois).

Il risultato sorprendente di questo studio ha anche delle implicazioni per la nostra comprensione più ampia dell’Universo e di come sia evoluto durante la sua storia di quasi 14 miliardi di anni. Questo apparente disaccordo con i risultati già stabiliti da Planck significa che gli astronomi probabilmente devono riformulare la loro spiegazione di alcuni aspetti fondamentali dello sviluppo dell’Universo.

Hendrik Hildebrandt commenta: «Le nostre scoperte aiuteranno a raffinare i modelli teorici che spiegano come l’Universo sia cresciuto dalla sua nascita fino ad oggi».

L’analisi KiDS dei dati del VST è un passo importante, ma i futuri telescopi costruiranno survey del cielo ancora più grandi e più profonde.

Catherine Heymans, dell’Università di Edinburgo nel Regno Unito, anch’essa a capo dello studio, aggiunge: «Dipanare tutti i fatti accaduti dal momento del Big Bang è una sfida complessa, ma continuando a studiare i cieli distanti possiamo costruire un modello di come si sia evoluto il nostro moderno Universo».

«Vediamo una discrepanza avvincente con la cosmologia di Planck, in questo momento. Le missioni future come il satellite Euclid e LSST (Large Synoptic Survey Telescope) ci permetteranno di ripetere queste misure e capire meglio che cosa l’Universo ci sta veramente dicendo», conclude Konrad Kuijken (Leiden Observatory, Paesi Bassi), investigatore principale della survey KiDS.


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