Lunedì 23 Gennaio, ore 18:30 – IL CIELO NELLA STORIA
GLI STUDI ASTRONOMICI DALL’ETA’ TARDO-ANTICA ALL’ALTO MEDIOEVO Relatore: Paolo Badalotti.
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, Via dei Tominz 4. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
Il 21 gennaio, dopo il tramonto, all’incirca dalle ore 18:00, sarà possibile osservare una congiunzione tripla tra i pianeti Marte (mag. +1,0), Venere (mag. – 4,5) e la stella lambda Aquarii (mag. +3,8), allineati a una trentina di gradi sull’orizzonte sudovest.
Più in basso sempre in linea, a 1° e mezzo circa a sud di lambda Aquarii, sarà osservabile anche il pianeta Nettuno (mag. +7,9), ma solo aiutandosi con un binocolo o un piccolo telescopio, data la sua luminosità sempre troppo bassa per l’osservazione a occhio nudo.
Indice dei contenuti
Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio
Tutti consigli per l’osservazione del cielo di gennaio su Coelum Astronomia 207
Citizen science o solo marketing? Più probabilmente entrambe le cose, che male non fa…
Sappiamo già che nella sua missione Juno, che sta studiando l’atmosfera di Giove, la NASA ha volutamente previsto una camera non scientifica. La JunoCam, infatti, è dedicata alla raccolta di immagini per il pubblico, che ha sempre più fame di immagini dal cosmo e che, in questo modo, riesce a seguire una missione complessa e importante come quella in corso attorno al gigante gassoso del nostro Sistema Solare. Anche se comunque, le informazioni tratte dalle immagini andranno a completare i dati raccolti dagli strumenti scientifici.
Ora, per la prima volta, non solo immagini dedicate al pubblico, ma la richiesta di un vero e proprio coinvolgimento diretto: la scelta, tramite votazione pubblica, di dove puntare la camera nei prossimi passaggi ravvicinati della missione!
Dove dovrebbe puntare il suo obiettivo Juno nel prossimo passaggio del 2 febbraio? Per la prima volta si potrà votare: il voto è iniziato ieri 19 gennaio (alle 20:00 ora italiana) e si concluderà il 23 gennaio alle 18:00, sempre ora italiana.
«Non vediamo l’ora di vedere la partecipazione di nuove persone che possano poi diventare parte della comunità e del team di imaging della JunoCam», ha detto Candy Hansen, Juno co-investigator del Planetary Science Institute, Tucson, Arizona. «Stà al pubblico ora decidere la migliore inquadratura per riprendere l’atmosfera di Giove, nel corso del prossimo flyby».
Nella pagina della community di Juno, infatti, non è solo possibile votare le zone da far riprendere a Juno, ma anche: scaricare le immagini grezze e proporre la propria elaborazione (come l’immagine di apertura); rintracciare e discutere dei particolari più interessanti visibili nelle imagini o delle tecniche di elaborazione; oltre che a condividere riprese e dati di Giove raccolti con la propria strumentazione.
Chiunque, in base al proprio livello di esperienza, può essere parte di questo progetto di “scienza partecipata”. Basta conoscere un minimo di inglese, unirsi alla comunità… e lasciarsi coinvolgere!
Cosa ci aspetta nel 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici da non perdere su Coelum Astronomia di gennaio.
Leggilo subito, in versione digitale e gratuita, semplicemente cliccando qui sotto!
Il 18 gennaio 2017 presso il Centro culturale Altinate San Gaetano a Padova, la Giuria Scientificadel Premio letterario Galileo, presieduta dal chimico e scrittore Dario Bressanini, ha selezionato la cinquina delle opere finaliste che saranno votate nei prossimi mesi dalla Giuria popolare.
«Sono molto soddisfatto dei lavori della Giuria – ha sottolineato il Presidente Dario Bressanini – ne è uscita una cinquina molto legata all’attualità, sia ai problemi del nostro presente sia alle recentissime scoperte della scienza».
La Giuria popolare sarà formata da studenti delle classi IV degli istituti superiori di tutte le province italiane e determinerà, nell’ambito della cinquina, l’opera da premiare. La cerimonia di premiazione del vincitore si terrà, anche questa in forma pubblica, il 5 maggio 2017 a Padova, presso il Palazzo della Ragione a partire dalle ore 16.00.
Info Settore Cultura Turismo Musei e Biblioteche Palazzo Moroni Tel. ++39 49 8205626-5623-5611
Informazioni per le scuole: ++39 49 8204517-5626 E-mail: premiogalileo@comune.padova.it
Ricordiamo poi Recensire la scienza, l’atteso concorso parallelo al Premio Galileo che da anni è seguito e apprezzato da un vastissimo pubblico. Tutti potranno, per una volta, diventare critici letterari e cimentarsi in una recensione dei cinque libri finalisti pubblicando il loro scritto sulla pagina facebook ufficiale del Premio Galileo. I “mi piace” decreteranno i vincitori (regolamento e info a breve alla pagina facebook.com/premio.galileo.padova/).
Incontri con gli autori finalisti e eventi collaterali
Anche quest’anno a partire dal mese di marzo si terranno gli incontri con gli autori dei libri finalisti. Studenti e cittadini avranno la possibilità di conoscere più da vicino i cinque studiosi selezionati dalla giuria scientifica in altrettante giornate dedicate ciascuna ad una pubblicazione con l’ormai sperimentata modalità dei due incontri: quello del mattino dedicato alle scuole superiori della città (trasmesso in diretta streaming per le scuole di tutta Italia) e quello pomeridiano aperto al pubblico.
Gli incontri con gli autori saranno introdotti e accompagnati da sei appuntamenti a cadenza quindicinale in collaborazione con il CICAP:
presso il Centro culturale Altinate/San Gaetano, via Altinate, 71 – Padova Inizio incontri: ore 21.00
1 febbraio: Marco Ciardi “Ippogrifi, draghi e unicorni: scienza e magia da Galileo a Harry Potter”.
15 febbraio: Lorenzo Montali “Leggende, gatti alati e fantasmi: il fascino del mistero”.
8 marzo: Massimo Polidoro “Sherlock Holmes e il mistero di Jack lo Squartatore”.
15 marzo: Lorenzo Rossi “Dal Kraken a Moby Dick: quando i mostri diventano veri”.
5 aprile: Luigi Garlaschelli “Misteri macabri: da Frankenstein agli zombi”.
19 aprile: Andrea Ferrero “Chi ha paura delle streghe?”.
—
Nelle pagine che seguono le schede dei cinque libri in concorso. Invitiamo tutti i lettori a leggerli e a esprimere la propria opinione.
Il Premio Letterario Galileo 2016 è promosso dal Comune di Padova, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, della Regione del Veneto, della Fondazione Il Campiello e dell’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti in Padova e in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova.
Il Premio Galileo ha il sostegno della Fondazione Antonveneta. Con la collaborazione di: APS Advertising, Auriga, Hotel Galileo, Morellato – Gioielli da vivere, Promovies, Noleggiami.eu, Cicap, Inaf, Planetario Padova, Education First-Vacanze Studio e Corsi di Lingue all’Estero.. Media sponsor: Rai Radio3, Focus, Coelum, il Bo, il Vivi Padova, Radio Bue.it, Planck.
Un ritratto al giorno per 366 giorni, sempre alla stessa ora e dalla stessa prospettiva. Una campagna di osservazione che riporta alla mente il progetto fotografico del bizzarro tabaccaio Auggie Wren, sapientemente interpretato da Harvey Keitel in Smoke, pellicola di Wayne Wang co-diretta insieme a Paul Auster.
Soggetto del reportage firmato PROBA-2, non è certamente l’angolo di Brooklyn tra la Terza Strada e la Settimana Avenue, ma la nostra stella, immortalata per tutto il 2016, sempre a mezzanotte in punto. Ogni immagine, montata nel collage finale rilasciato il 16 gennaio scorso dall’ESA, è composta da una raffica di 30 scatti ripresi dalla fotocamera SWAP, strumento specializzato nelle lunghezze d’onda dell’ultravioletto estremo e dedicato allo studio della parte più esterna dell’atmosfera solare, nota come corona.
Le immagini, elaborate al fine di esaltare le caratteristiche del disco solare, documentano nel 2016 una tendenza al minimo dell’attività del sole nell’ambito dell’attuale ciclo undecennale. Durante tali periodi viene registrata una diminuzione del numero di macchie solari, di regioni attive e di eruzioni. La regione più attiva registrata nel 2016 è visibile nell’immagine ripresa il 17 luglio. La macchia luminosa più prossima al centro del Sole ha prodotto otto dei 20 brillamenti più potenti verificatisi lo scorso anno.
Il 24 novembre è stato invece osservato, nell’area più settentrionale del Sole, uno dei più grandi buchi coronali. Si tratta di regioni scure che indicano bassi livelli di emissioni ma sono in grado di produrre veloci flussi di vento solare che possono scatenare tempeste geomagnetiche sulla Terra.
Indice dei contenuti
Cosa ci aspetta nel 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici da non perdere su Coelum Astronomia di gennaio.
Leggilo subito, in versione digitale e gratuita, semplicemente cliccando qui sotto!
«We leave as we came, and, God willing, we shall return, with peace and hope for all mankind». Capitano Eugene Cernan
Eugene Cernan, l’ultimo uomo ad aver camminato sulla Luna nel dicembre del 1972, ci ha lasciato il 16 gennaio 2017, aveva 82 anni.
Cernan era stato colpito da un ictus diversi mesi fa che lo aveva indebolito. Ha lottato, entrando e uscendo dall’ospedale fino alla fine del 2016. La famiglia ha preferito mantenere il massimo riserbo sulle sue condizioni fino alla fine.
L’umanità perde l’ennesimo moonwalkers e oggi sono rimasti 6 dei 12 uomini che hanno avuto il privilegio di posare i piedi sul nostro satellite naturale e a vedere la Terra dalla Luna.
Eugene Cernan fu uno dei 14 astronauti selezionati dalla NASA nel mese di ottobre 1963. Fu pilota durante la missione Gemini 9 con il comandante Thomas Stafford – un volo di tre giorni nel giugno 1966 – durante la quale effettuò una complessa EVA (Extra-Vehicular Activity) restando due ore al di fuori della capsula in orbita terrestre. Nel maggio del 1969 effettuò la sua seconda missione come pilota del modulo lunare di Apollo 10, il collaudo generale prima dell’allunaggio di Apollo 11. La missione confermò le prestazioni, la stabilità e l’affidabilità del modulo di comando e servizio Apollo e quella del modulo lunare. La missione scese a poco più di 14 chilometri dalla superficie della luna. In un’intervista di alcuni anni fa, Cernan scherzando, ma non troppo, disse: «Continuo a dire all’amico Neil Armstrong che noi di Apollo 10 abbiamo tracciato quella linea bianca nel cielo, la strada verso la Luna fino a pochi chilometri in modo che lui non potesse perdersi e tutto ciò che doveva fare era solo atterrare».
Naturalmente la sua missione più importante è stata Apollo 17: con il compagno Harrison “Jack” Smith restò tre giorni sulla Luna effettuando tre uscite extraveicolari molto proficue – mentre il terzo membro dell’equipaggio, Ronald E. Evans, li attese a bordo del Modulo di Comando in orbita lunare. L’utilizzo del lunar rover permise ampie esplorazioni della Taurus-Littrow Valley, la raccolta di numerosi chilogrammi di campioni lunari e diversi esperimenti sul suolo lunare.
Apollo 17 ha stabilito inoltre diversi nuovi record per il volo spaziale umano, tra cui: il più lungo volo con atterraggio lunare (301 ore, 51 minuti); la più lunga attività extraveicolare sulla superficie lunare (22 ore, 6 minuti); il più alto peso totale dei campioni lunari raccolti (111 kg); e il tempo più lungo in orbita lunare (147 ore, 48 minuti).
Al momento di lasciare per l’ultima volta la superfice lunare, Cernan pronunciò questa frase:
«I’m on the surface; and, as I take man’s last step from the surface, back home for some time to come – but we believe not too long into the future – I’d like to just [say] what I believe history will record. That America’s challenge of today has forged man’s destiny of tomorrow. And, as we leave the Moon at Taurus-Littrow, we leave as we came and, God willing, as we shall return: with peace and hope for all mankind. Godspeed the crew of Apollo 17».
(Mentre compio l’ultimo passo umano sulla superficie, per tornare a casa in attesa delle future esplorazioni – ma crediamo non troppo nel futuro – voglio dire ciò che credo la storia ricorderà, che la sfida Americana odierna ha forgiato il destino degli uomini di domani. E, mentre lasciamo Taurus-Littrow sulla Luna, la lasciamo come arrivammo e, Dio volendo, come ritorneremo, in pace e speranza per tutta l’umanità. Dio assista l’equipaggio di Apollo 17).
Indice dei contenuti
A tu per tu con il Capitano
Il mio rapporto personale con il Capitano era di lunga data. L’ho incontrato in molte occasioni e in varie parti del mondo, anche nella mia città: Milano. Era un uomo con una grande personalità, affabile e naturalmente orgoglioso della sua carriera astronautica. Di seguito alcune delle sue risposte più significative.
Cernan: «Una delle cose che ho osservato è che quasi nessuna delle domande che ricevo riguardano la tecnologia che abbiamo utilizzato. Le persone non chiedono quanto velocemente andavamo mentre orbitavamo intorno alla Luna, le domande che le persone fanno sono sull’umanità di questa esperienza. Che cosa sentivate? Come dormivate? Eravate spaventati? Vogliono sapere dell’esperienza di fare il primo passo sulla Luna. Rispondo che è stato importante per me e nessuno me lo può portare via. Per me i passi memorabili sono stati gli ultimi».
La sua esperienza è stata solo tecnologica o anche di fede?
Cernan: «Quello che ho visto mentre guardavo la Terra dalla Luna, era tutto troppo bello per essere accaduto per caso. Guardando la Terra, ho avuto la sensazione che fossi seduto sulla veranda di Dio».
Sulla Luna pensavate ai rischi che correvate?
Cernan: «Abbiamo trascorso tre giorni di duro lavoro, avevamo una missione da compiere. Ero consapevole che se fossi caduto e la mia tuta si fosse strappata o se il motore non si fosse riacceso sarei potuto morire, ma non vivevo tutto questo con paura. Siamo stati sempre consapevoli dell’ambiente ostile che ci circondava. Abbiamo scavato trincee e fatto carotaggi, scattato migliaia di foto di quella “magnifica desolazione”. Jack (Schmitt, pilota del modulo lunare) ha fatto un ottimo lavoro come geologo. Era sempre molto concentrato nel suo lavoro. Ho dovuto dirgli: “Jack, prenditi una pausa, lo devi a te stesso, guarda dove sei!”».
Capitano come si torna alla vita di tutti i giorni sulla Terra?
Cernan: «Torni a casa ed è tutto normale. Avevo vissuto sulla luna per 72 ore e poi ero di nuovo nel mondo reale. È talmente incredibile che spesso mi chiedo se ho fatto quello che penso, se è successo davvero. Sono rimasto nel programma spaziale per 13 anni ed è stato come se qualcuno avesse tagliato quegli anni dalla mia vita e mi avesse messo in un mondo diverso – nel caso di Apollo 17 è stato letteralmente così! – e poi mi ha mandato di nuovo al mio mondo originale. È quasi come se avessi vissuto due vite diverse».
Gli astronauti sono delle persone speciali?
Cernan: «Siamo solo la punta della lancia. Con Armstrong, Shepard, Lovell e tutti gli altri abbiamo rappresentato le persone che ci hanno inviato sulla Luna. È importante ricordare che tutti insieme siamo andati sulla Luna. Ecco perché fino a quando ci saremo, andremo ancora in giro a raccontare la nostra avventura, perché abbiamo la responsabilità di ispirare le nuove generazioni».
Cosa ci aspetta nel 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici da non perdere su Coelum Astronomia di gennaio.
Leggilo subito, in versione digitale e gratuita, semplicemente cliccando qui sotto!
Perché inviamo sonde verso pianeti lontani e lune ghiacciate? Perché costruiamo telescopi sempre più potenti? Trovare vita intelligente è il sogno di ogni astrofisico. Per adesso gli alieni in carne e ossa ce li possiamo dimenticare, ma gli astrobiologi potrebbero aver invividuato indizi di attività microbiologica passata su Marte, dove un giorno arriverà anche l’uomo. Di recente un gruppo di ricercatori dell’Isafom-Cnr ha pubblicato su International Journal of Astrobiology uno studio in cui vengono evidenziate affinità strutturali tra le microbialiti terrestri – rocce di origine batterica – e i sedimenti marziani non solo sul piano microscopico, ma anche macroscopico.
I due ricercatori italiani Nicola Cantasano e Vincenzo Rizzo dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Cosenza (Isafom-Cnr) si sono concentrati su delle fotografie delle rocce marziane provenienti dai rover Opportunity, Spirit e Curiosity (della NASA) e hanno rilevato analogie anche nelle tracce attribuibili alla produzione batterica di gas e di gelatine adesive altamente plastiche.
«Attestato già nel 2009 che le lamine sub-millimetriche dei sedimenti marziani e le cosiddette Blueberry (sferule ematitiche di dimensioni millimetriche) non erano omogenee, ma costituite da aggregazioni strutturali di grumi e microsferule più piccole (da 1 a 3 decimi di millimetro), i primi studi si erano concentrati sulla morfologia delle singole microstrutture, individuando altre interessanti aggregazioni, quali polisferule, filamenti e filamenti intrecciati di microsferule», spiega Cantasano. «L’attenzione si è poi spostata sulla dislocazione di tali microstrutture sul piano di osservazione: la tessitura delle immagini è infatti una sorta di marker genetico che dipende dall’ambiente di sedimentazione e dalla attività batterica. Tale analisi, eseguita su un gruppo di circa 40 coppie di immagini, sia dei rover che di microbialiti museali, ha evidenziato l’esistenza di interessanti trame a filamenti intrecciati, con forti parallelismi morfologici alla stessa scala».
Questi parallelismi microtessiturali sono stati rilevati anche da altre ricerche sviluppate negli ultimi anni. «L’Università di Siena ha avviato un’analisi matematica frattale multiparametrica delle coppie di immagini, i cui risultati confermarono che esse sono identiche», aggiunge Rizzo. «Un ulteriore studio morfologico del Laboratorio de Investigaciones Microbiológicas de Lagunas Andinas-LIMLA su campioni di microbialiti viventi provenienti dal deserto di Atacama (Cile) ha permesso di evidenziare grazie alla pigmentazione organica che tali microstrutture e microtessiture esistono e sono un prodotto dell’attività batterica. Tuttavia, poiché le strutture a scala meso e macroscopica sono considerate discriminanti per il riconoscimento di tali rocce, nello studio attuale l’analisi microscopica è stata integrata da osservazioni sistematiche a scala maggiore. La quantità, la varietà e la specificità dei dati raccolti accreditano per la prima volta, in modo consistente, che le analogie non possono essere considerate semplici coincidenze».
La tecnologia va avanti a passi di gigante e gli strumenti sono sempre più avanzati. I ricercatori hanno inventato telescopi giganti e rover per la ricerca di vita nello spazio, ma finora la vita che conosciamo qui sulla Terra non esiste altrove. Abbiamo chiesto un parere a Filippo Giacomo Carrozzo, ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma.
«La probabilità di trovare attività biologica in corso su Marte sono basse perché oggi il pianeta è una Terra piuttosto inospitale. Il problema maggiore sta nella mancanza di uno scudo capace di fermare le radiazioni dannose per la vita. Sui pianeti questo scudo è il campo magnetico che, avvolgendoli, non permette ai raggi cosmici e alle particelle cariche del vento solare di passare. Su Marte questo scudo naturale oggi è praticamente assente, riducendo la superficie ad una Terra sterilizzata», spiega Carrozzo.
Uno dei problemi alla base della mancanza di vita è il freddo, ovviamente dovuto anche alla lontananza dal Sole: «La temperatura media, di gran lunga sotto lo zero, non rappresenta un problema serio; sulla Terra, nelle regioni artiche, alcuni organismi riescono a sopravvivere fino anche a -100°C. Per azionare i processi biologici gli esseri viventi hanno bisogno di energia, sulla Terra la fonte principale è fornita dal Sole. Su Marte, la luce solare arriva con una intensità minore del 56%. Una quantità sufficiente, paragonabile a quella che si ha a poche ore prima del tramonto. Se poi aggiungiamo che esseri viventi possono sopravvivere sfruttando altri tipi di energia come quella chimica, è evidente che questa sul pianeta potrebbe non rappresentare un grosso ostacolo».
Carrozzo sottolinea, inoltre, l’importanza dell’acqua per la vita: «È l’elemento principale, tutti gli organismi viventi ne se sono composti in grandissima parte, il nostro corpo per esempio ne è costituito per il 60% circa. Il detto “dove c’è acqua c’è vita” vale anche per Marte. Sul Pianeta rosso questa molecola, essenziale alla vita, è presente in grande quantità; l’unico ostacolo è rappresentato dal fatto che si presenta sotto forma di ghiaccio o vapore. Tuttavia, la vita dipende in modo decisivo dalla disponibilità di acqua in forma liquida e le condizioni marziane ne permettono l’esistenza in solo per brevissimi istanti. Alla luce di ciò, personalmente credo che, se dobbiamo ricercare la vita su Marte, dobbiamo farlo scavando. È sotto la superficie che potrebbero essersi create delle nicchie di sopravvivenza dove la vita può ancora resistere, lontano dalle estreme condizioni a cui è sottoposta la sua superficie. Le ricerche condotte negli ultimi 30 anni in ambienti estremi sulla Terra hanno mostrato che la vita è in grado di colonizzare praticamente ogni ambiente, basta che sia disponibile energia, acqua liquida e i giusti elementi».
Tornando allo studio del CNR, Carrozzo chiarisce: «Ogni essere vivente è costituito da una moltitudine di biomolecole, ma la maggior parte è composta da pochi elementi: il carbonio, l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, il fosforo e lo zolfo sono gli elementi base per la creazione delle molecole funzionali alla vita. Sulla Terra sono presenti in abbondanza, su Marte molto meno. Tuttavia, non deve essere stato sempre così. La vita, se è nata quasi contemporaneamente sui due pianeti, circa 4 miliardi di anni fa, può aver avuto la stessa occasione di proliferare. L’ambiente marziano, per una serie di motivi, è purtroppo cambiato nel tempo rendendolo ostile e producendo una landa deserta. Quelle tracce potrebbero però essere sopravvissute. La mancanza di una tettonica a placche, che sulla Terra gioca un ruolo importante nel rimodellare la superficie, potrebbe aver conservato meglio i fossili all’interno delle rocce che aspettano solo di essere raccolte. Nel frattempo quello che possiamo fare è studiare il centinaio di meteoriti che sono stati riconosciuti come campioni di suolo marziano. Al loro interno gli scienziati cercano batteri sotto forma di fossili, biomolecole, o strutture riconducili a prodotti di attività biologica come nel caso del lavoro svolto dai ricercatori italiani Rizzo e Cantasano del CNR».
«I due ricercatori dell’Isafom-Cnr di Cosenza sono solo un esempio dei molti colleghi che si occupano di astrobiologia e di esogeologia in Italia, tra cui quelli in forza all’Istituto Nazionale di Astrofisica», continua Carrozzo. «Da decenni l’Italia gioca un ruolo di primissimo piano nella ricerca di vita al di fuori della Terra. I ricercatori italiani sono impegnati nelle più importanti missioni per l’esplorazione del Sistema Solare e nel futuro il contributo del nostro Paese resta una preziosa risorsa per lo studio dei corpi planetari di interesse astrobiologico come Marte, Europa e Titano. Una nuova frontiera che sta destando sempre più interesse nella comunità scientifica è l’analisi dei pianeti extrasolari. L’impiego dei telescopi di nuova generazione sta riducendo la distanza che ci separa nella comprensione di questi sistemi planetari e nei prossimi anni potrebbe fornire delle importanti risposte sulla vita al di fuori del nostro Sistema solare».
Cosa ci aspetta nel 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici da non perdere su Coelum Astronomia di gennaio.
Leggilo subito, in versione digitale e gratuita, semplicemente cliccando qui sotto!
La sonda americana Juno ha catturato una nuova fotografia dell’iconica Grande Macchia Rossa, una massiccia tempesta che imperversa nell’atmosfera di Giove da secoli.
Nell’immagine risultano visibili anche alcune delle cosiddette “perle” di Giove — tempeste ovali e biancastre — e una seconda formazione, situata nelle immediate vicinanze della Grande Macchia Rossa e nota come Ovale BA. Questa tempesta si formò nel 2000, in seguito alla fusione di tre formazioni minori.
L’immagine è stata scattata alle 23:30 ora italiana dell’11 dicembre 2016 da una distanza di 458 800 chilometri dal gigante gassoso. La foto originale è stata leggermente alterata da Roman Tkachenko, nell’ambito del programma promosso dalla NASA al fine di coinvolgere il pubblico nell’elaborazione delle immagini scattate dalla fotocamera Junocam a bordo di Juno.
Indice dei contenuti
Leggi anche
La pagina, nel sito della missione, dedicata alla Junocam community, dove la NASA invita il pubblico a partecipare alla missione in vari modi, tra i quali mettendo a disposizione le immagini grezze per l’elaborazione e la trasformazione da parte di chiunque voglia cimentarsi.
Cosa ci aspetta nel 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici da non perdere su Coelum Astronomia di gennaio.
Leggilo subito, in versione digitale e gratuita, semplicemente cliccando qui sotto!
Ecco una bella congiunzione tra la Luna all’Ultimo Quarto, Giove (mag. –2,1) e la stella Spica (mag. +1,1), visibili nella costellazione della Vergine.
Sorgeranno poco dopo la mezzanotte dall’orizzonte est per poi muoversi verso l’orizzonte sud, dove verranno colti dalle prime luci del mattino alti nel cielo (Giove sarà in transito al meridiano, con un’altezza di oltre 40° alle 5:43).
Indice dei contenuti
Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio
Leggi anche:
➜Il Cielo del 2017.Tutti i principali eventi dell’anno che verrà! di Giovanna Ranotto su Coelum di gennaio 2017
➜ La Luna di Gennaio. Osserviamo i crateri Theophilus, Cyrillus e Catharinadi Francesco Badalotti su Coelum di gennaio 2017
LE STELLE PIU’ GRANDI Relatore: Stefano Schirinzi (Circolo Culturale Astrofili Trieste).
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, Via dei Tominz 4. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
Mercurio e Saturno, visibili in coppia al mattino bassi sull’orizzonte sudest per quasi tutto il mese, avranno un motivo in più per essere osservati la mattina del 16 gennaio, quando, attorno alle 6:40 si troveranno in prossimità dell’ultimo tratto del passaggio della Stazione Spaziale Internazionale, che subito dopo sparirà sotto l’orizzonte.
Il Centro e il Sud Italia saranno avvantaggiati per la luminosità della Stazione Spaziale, che brillerà di magnitudine circa –3,2, e per il passaggio ravvicinato ai due pianeti (dal Centro Italia si vedrà passare proprio in mezzo, dal Sud poco a est di Mercurio).
Il Nord Italia invece vedrà una ISS meno luminosa (mag. –2,6) ma potrà osservarla, nel primo tratto del suo percorso, passare nei pressi prima della Luna e quindi di Giove, per poi tramontare sempre a pochi gradi di distanza a ovest di Saturno e Mercurio.
Le stelle sono tante, milioni di milioni, ma quelle di neutroni sono anche difficili da scovare. Soprattutto se si va a “spigolare” là dove si è già rastrellato quasi tutto quel che aveva da offrire il campo celeste. Un articolo appena pubblicato su Astrophysical Journal presenta ora il nuovo raccolto realizzato grazie al progetto di calcolo distribuito Einstein@Home nell’archivio dati del telescopio spaziale Fermi, il satellite della NASA dedicato allo studio della radiazione gamma di alta e altissima energia, cui l’Italia collabora con ASI, INAF e INFN.
Un’analisi che avrebbe preso più di un migliaio di anni su un singolo computer, in meno di un anno ha infatti permesso di trovare più di un dozzina di nuove pulsar – stelle di neutroni in rapida rotazione – nei dati di Fermi. Grazie alla potenza di calcolo donata da volontari di Einstein@Home, un’equipe internazionale guidata da ricercatori dell’Istituto Max Planck per la fisica gravitazionale di Hannover, in Germania, ha setacciato l’archivio alla ricerca della periodicità, caratteristica rivelatrice di una pulsar, in 118 sorgenti gamma di natura sconosciuta rilevate da Fermi.
Al centro di 13 di queste sorgenti è stata individuata una pulsar. Tutte queste stelle superdense sono risultate giovani, astronomicamente parlando, con età comprese tra decine e centinaia di migliaia di anni. Due ruotano in modo sorprendentemente lento, più lento rispetto a qualsiasi altra pulsar in raggi gamma nota. Un’altra ha fatto registrare un “sobbalzo”, un cambiamento improvviso di origine sconosciuta nella sua rotazione, altrimenti regolare.
«Abbiamo scoperto tante nuove pulsar per tre ragioni principali: l’enorme potenza di calcolo fornita da Einstein@Home, lo sviluppo di nuovi e più efficienti metodi di ricerca, e l’utilizzo di dati Fermi-LAT recentemente migliorati», commenta Colin Clark dell’Istituto Max Planck, primo autore della nuova ricerca. «L’insieme di questi tre elementi ha fornito una sensibilità senza precedenti per il nostro grande campionamento su oltre 100 sorgenti del catalogo Fermi-LAT».
Le stelle di neutroni sono i residui compatti di esplosioni di supernova e consistono di materia estremamente densa. A causa dei loro intensi campi magnetici e della rotazione estremamente veloce, emettono fasci di onde radio e di raggi gamma, che, se sono sufficientemente direzionati verso la Terra, rendono visibile la stella di neutroni una o due volte per rotazione, da cui il nome pulsar.
Rintracciare queste pulsazioni periodiche è molto difficile per le pulsar in raggi gamma. In media solo una decina di fotoni gamma al giorno sono rilevati per una pulsar tipica dal Large Area Telescope, strumento a bordo di Fermi. Per determinare la periodicità, devono essere analizzati anni di dati, durante i quali la pulsar ruota miliardi di volte. Per ogni fotone si deve determinare esattamente quando, durante una singola rotazione di una frazione di secondo, è stata inviato. Si può facilmente intuire come la potenza di calcolo necessaria per queste ricerche “alla cieca”, quando poche o nessuna informazione sulla pulsar è nota in anticipo, sia enorme. Grazie al progetto Einstein@Home, negli ultimi quattro anni sono state scoperte 21 pulsar in raggi gamma, più di un terzo di tutte quelle scoperte con tecniche di blind search.
«All’inizio della missione Fermi, quando l’unica pulsar gamma senza emissione radio era Geminga, mi era sembrato impossibile che fosse così facile scoprire, solo grazie ai dati gamma, una dozzina di nuove pulsar» commenta Patrizia Caraveo, responsabile per INAF dello sfruttamento scientifico dei dati Fermi LAT e direttrice dell’Istituto di Fisica Cosmica dell’INAF di Milano. «Ma era solo la prima scrematura, che aveva evidenziato gli oggetti più brillanti. Poi il lavoro è continuato e, quando il tasso di scoperta è stato rallentato dalla limitazione della potenza di calcolo, i colleghi tedeschi hanno iniziato a sfruttare le potenzialità del calcolo distribuito organizzato nel sistema Einstein@Home. I risultati sono stati strabilianti e, con l’ultimo annuncio di 13 nuove pulsar gamma senza emissione radio, la famiglia delle sorgenti simili a Geminga tocca quota 70. Un numero che non avrei mai osato nemmeno immaginare».
Indice dei contenuti
Cosa ci aspetta nel 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici da non perdere su Coelum Astronomia di gennaio.
Leggilo subito, in versione digitale e gratuita, semplicemente cliccando qui sotto!
La sera del 12 gennaio alle ore 20:25 il pianeta Venere (mag. –4,4) e il remoto Nettuno (mag. +7,9) si incontreranno (ovviamente da un punto di vista puramente prospettico, si intende) in una bella e stretta congiunzione.
Nettuno sarà osservabile solo attraverso l’uso di uno strumento, per la sua bassa luminosità, ma lo si troverà a soli 24′ da Venere.
Indice dei contenuti
Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio
Leggi anche:
➜Il Cielo del 2017.Tutti i principali eventi dell’anno che verrà! di Giovanna Ranotto su Coelum di gennaio 2017
Tutti consigli per l’osservazione del cielo di gennaio su Coelum Astronomia 207
Le stelle, come tutto l’Universo, sono in continua evoluzione anche se noi esseri umani, che a malapena viviamo 100 anni, molto raramente possiamo assistere a evidenti cambiamenti del nostro cielo. È ancora più raro poi riuscire a prevedere con precisione dove e quando possa avvenire una di quelle trasformazioni sconvolgenti che in pochi secondi possono segnare il destino di una stella e l’aspetto di una costellazione. L’emblema di questa snervante incertezza è rappresentato da Betelgeuse, brillante supergigante rossa della costellazione di Orione, la migliore candidata a esplodere come supernova. Tutta la comunità scientifica è infatti d’accordo nell’affermare che la terribile esplosione che porrà fine alla sua vita è imminente e sarà tanto energetica da rendersi visibile per mesi, persino di giorno, come fosse un secondo, lontano Sole. Imminente, però, significa che può accadere in ogni momento da qui ad almeno 50 mila anni nel futuro. Se per l’Universo è un battito di ciglia, per noi diventa un tempo difficile da tollerare.
Per nostra fortuna la scienza non smette di fare passi in avanti e le cose stanno lentamente cambiando. Non siamo in grado di dire a che ora esploderà Betelgeuse, ma sembra che possiamo rimettere l’orologio su un evento che, se si verificherà, sarà di certo la spettacolare conferma dell’avanzamento delle nostre conoscenze dei sistemi binari e ci regalerà per qualche mese una nuova, brillante stella nel cielo.
Nella costellazione dei Cigno, in quel campo di centinaia di migliaia di stelle osservate in 3 anni dal telescopio spaziale Kepler, alla caccia di pianeti extrasolari di taglia terrestre, è stato trovato un sistema molto raro e altrettanto interessante. Chiamato secondo la sterile nomenclatura scientifica KIC 9832227, è un sistema formato da due stelle di massa simile che orbitano vicinissime le une alle altre. E vicinissime vuol dire che le orbite sono tanto strette che gli astri condividono già l’atmosfera e parte degli strati superficiali; tanto vicine che la reciproca forza mareale è così forte da averle allungate come se fossero una goccia d’acqua in bilico su un fiore che si guarda allo specchio prima di cadere. Nel gergo scientifico sono dette binarie a contatto, sistemi abbastanza comuni, ma queste sono talmente in contatto che il loro destino sembra già ben delineato con una precisione che fino a questo momento non ha avuto problemi.
I due astri ruotano attorno al comune centro di massa, quel punto che tanto cerchiamo quando vogliamo tenere in equilibro un cucchiaio sul nostro dito. Le orbite, però, non sono più stabili. Le atmosfere stellari in contatto stanno rallentando il moto di entrambe le componenti, così che la distanza reciproca diminuisce velocemente nel tempo. A un certo punto si arriverà al contatto finale: le due stelle entreranno in collisione con gli strati più densi e quando questo accadrà i due sistemi si fonderanno in un unico oggetto. Questo raro evento di fusione tra due astri centinaia di volte più grandi del nostro pianeta innescherà dei violenti processi di fusione nucleare, nient’altro che una gigantesca esplosione, o una serie di esplosioni miliardi di miliardi di volte più potenti della più terribile bomba termonucleare mai concepita dall’uomo. Il fenomeno è chiamato nova rossa (red nova in inglese) ed è ancora avvolto dal mistero poiché sono pochissimi i fenomeni osservati associabili a un evento del genere.
Quello che sembra probabile è che la fusione di due stelle inneschi un’esplosione la cui luminosità è inferiore a quella di una supernova ma superiore a quella di una nova classica. Le novae, ben conosciute e studiate, sono nane bianche che accrescono materia da parte di una stella compagna vicina. Quando sulla superficie della nana bianca se ne accumula in quantità sufficiente, questa si fonde tutta insieme, producendo una violenta esplosione termonucleare. La nana bianca non viene distrutta e continua di solito a risucchiare materia, quindi il fenomeno di nova è in genere periodico. Una nova rossa, invece, è un evento che avviene una sola volta per un sistema e produce una luce dal colore rosso.
Sebbene avvolte nel mistero, quello che più interessa a chi si vuole godere lo spettacolo non è poi così misterioso. Nel 2008 è stata osservata una rara nova rossa a seguito della fusione delle stelle del sistema V1309 Scorpii. L’aumento di luminosità è stato di circa 10 magnitudini, ovvero 10 mila volte. KIC 9832227 è distante circa 1700 anni luce a al momento brilla di magnitudine 12. Se durante la fusione e l’esplosione come nova rossa aumenterà la sua luminosità come V1309 Scorpii, potrebbe diventare luminosa quanto la stella polare. In pratica, per qualche mese in cielo avremo una stella nuova che ridisegnerà i connotati della costellazione del Cigno.
Quando è prevista la comparsa di questa luminosa “stella” temporanea?
Qui il capolavoro è tutto scientifico. Osservando per anni questo peculiare oggetto e le variazioni nel periodo orbitale delle due stelle, Larry Molnar e i suoi colleghi del Calvin College in Grand Rapids, Michigan, hanno concluso che nel febbraio del 2022 le due stelle si fonderanno e innescheranno la grande esplosione chiamata nova rossa. L’incertezza nella predizione è di circa 6 mesi, un errore accettabile per le nostre vite, non come quella che accompagna la fine di Betelgeuse! Molnar e colleghi hanno sottoposto il loro studio completo ad Astrophysical Journal. Per chi fosse curioso di capire meglio cosa sono queste ancora misteriose novae rosse e come hanno operato i ricercatori per arrivare a questa intrigante predizione, consiglio di consultare l’articolo. Anche se lungo e difficile da comprendere, rappresenta sempre un’ottima occasione per capire come opera la scienza, proponendo ferree prove oggettive e verificabili nella spiegazione di qualsiasi evento. Non è, forse, un operato che ci tornerebbe molto utile anche nella vita di tutti i giorni, invece di scatenare guerre d’opinione basate sul nulla?
Scriviamo quindi un bel promemoria da qualche parte ma restiamo aggiornati. I calcoli di Molnar sembrano al momento corretti, ma non possiamo avere la certezza che abbia ragione, perché non conosciamo a fondo le caratteristiche del sistema KIC 9832227, né come reagiscono due astri che stanno sul punto di fondersi. In ogni caso, a meno di avere una sfortuna colossale, tra qualche anno avremo per qualche tempo una nuova stella e sarà un evento unico. Non ricapiterà mai più nella storia della Terra, figuriamoci quindi nella nostra, assistere alla comparsa di una nova rossa tanto brillante da decorare come un prezioso rubino celeste l’ala destra della meravigliosa costellazione del Cigno.
Il poster di presentazione, sempre sul sito del Calvin College, delle principali evidenze che hanno portato a considerare KIC 9832227 candidata nova rossa
Per approfondire le vostre conoscenze in astronomia, sia come scienza che come pratica amatoriale, non possiamo che consigliare la lettura dei libri dell’autore di questo articolo, Daniele Gasparri ➜nel suo blog un’offerta da non perdere!
Cosa ci aspetta nel 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici da non perdere su Coelum Astronomia di gennaio.
Leggilo subito, in versione digitale e gratuita, semplicemente cliccando qui sotto!
Mentre le Voyager proseguono il loro incredibile viaggio, iniziato quarant’anni fa, oltre il Sistema Solare, il telescopio spaziale Hubble mappa la strada che le sonde si troveranno davanti. La combinazione dei dati forniti dalle due missioni sta fornendo importanti indizi su come il nostre Sole viaggia attraverso lo spazio interstellare.
«Si tratta di una grande opportunità per confrontare i dati delle misure in situ delle Voyager con quelli di Hubble», ha detto Seth Redfield della Wesleyan University di Middletown (Connecticut), a capo della ricerca.
«Le Voyager stanno campionando piccole regioni dello spazio nel loro viaggio, ma non abbiamo idea se le caratteristiche di queste aree sono tipiche o rare. Hubble ci fornisce una visione d’insieme e contestualizza i dati delle Voyager». Con le osservazioni di Hubble si spera quindi di arrivare a caratterizzare le proprietà fisiche del mezzo interstellare locale.
Le due sonde veterane dello spazio stanno ora attraversando il bordo più esterno dell’eliosfera, al confine del dominio solare.
La Voyager 1 è in testa, per così dire, e ha iniziato ad assaggiare lo spazio interstellare, la regione tra le stelle piena di gas, polvere e materiale espulso durante gli eventi catastrofici. La navicella si trova a più di 20 miliardi di chilometri dalla Terra ed è di fatto l’oggetto più lontano costruito dall’uomo. Tra 40.000 anni circa, quando ormai non sarà più operativa, passerà a 1,6 anni luce della stella Gliese 445 nella costellazione Giraffa.
La gemella Voyager 2, invece, si trova a 17 miliardi di chilometri dalla Terra. Punta in direzione della stella Ross 248, nella costellazione di Andromeda, dalla quale passerà a 1,7 anni luce sempre tra 40.000 anni circa mentre tra 296.000 anni raggiungerà Sirio, la stella più brillante dei nostri cieli.
Ma intanto, per i prossimi 10 anni le sonde misureranno, lungo il loro percorso, il mezzo interstellare, i campi magnetici e i raggi cosmici, mentre Hubble completerà queste informazioni mappando la struttura interstellare dell’itinerario, analizzando con lo spettrografo di bordo come il mezzo interstellare assorbe la luce proveniente dalle stelle di sfondo.
Hubble ha scoperto che la Voyager 2 finirà fuori dalla nube interstellare che circonda il Sistema Solare in un paio di migliaia di anni. In base a questi dati, gli astronomi prevedono che il veicolo spaziale trascorrerà 90.000 anni in una seconda nuvola per passare poi in una terza. Le informazioni che la sonda potrebbe raccogliere sarebbero estremamente utili e rivelare variazioni negli elementi chimici e origini diverse.
Una prima analisi della composizione delle nubi, infatti, rivela lievi variazioni nella percentuale di elementi chimici presenti. «Queste variazioni potrebbero significare che le nubi interstellari si formano in modi diversi, o in aree diverse per poi riunirsi» ha detto Redfield.
Dai dati di Hubble i ricercatori ipotizzano che il Sole stia passando attraverso un agglomerato di materiale che potrebbe influenzare la sua eliosfera, quella grande “bolla” che contiene il nostro Sistema solare e che viene prodotta dal potente vento solare della nostra stella. Al confine dell’eliosfera, chiamato eliopausa, il vento solare continua a spingere verso l’esterno contro il mezzo interstellare.
Le osservazioni di Hubble e Voyager 1 si stanno spingendo oltre questo confine, dove è presumibile che l’ambiente interestellare sia influenzato dai venti provenienti da altre stelle: «Sono davvero incuriosito dall’interazione tra le stelle e l’ambiente interstellare», confida Redfield, «questi tipi di interazioni si verificano intorno a gran parte delle stelle e si tratta di un processo dinamico». La nostra eliosfera infatti si comprime quando il Sole si muove attraverso una zona di mezzo interstellare più denso, e si espande quando invece si trova in una zona meno densa, variazioni dovute anche alla pressione del vento stellare esterno e alla composizione del mezzo interstellare attorno alle altre stelle.
Cosa ci aspetta per il 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici su Coelum Astronomia di gennaio.
Leggilo subito, in versione digitale e gratuita, semplicemente cliccando qui sotto!
Il 9 gennaio alle ore 17:50 il nostro satellite naturale si avvicinerà alla stella Aldebaran (alfa Tauri; mag. +0,9) dando vita a una congiunzione piuttosto stretta: i due corpi celesti si troveranno a una distanza reciproca di circa 2,3°. La Luna, che all’ora indicata sarà alta circa 35° sull’orizzonte est, avrà fase del 90% e la stella Aldebaran sarà immersa nel suo chiarore.
La nuova immagine della survey VISION (Vienna Survey in Orion, in inglese) è un montaggio di varie immagini prese nella banda dello spettro elettromagnetico del vicino infrarosso dal telescopio per survey VISTA all’Osservatorio dell’ESO al Paranal in Cile. Copre l’intera estensione della nube molecolare Orione A, una delle due due nubi molecolari giganti nel complesso di Orione (OMC). Orione A si estende per circa otto gradi a sud dell’asterismo di Orione comunemente noto come la spada.
VISTA è il più grande telescopio del mondo dedicato alle survey, con un grande campo di vista ripreso da rivelatori infrarossi molto sensibili, caratteristiche che ne hanno fatto lo strumento ideale per ottenere le immagini infrarosse profonde e di alta qualità necessarie per questa ambiziosa survey che ha prodotto un catalogo di quasi 800 000 stelle identificate, di giovani oggetti stellari e di galassie distanti: la più ampia e profonda copertura di qualsiasi altra survey di questa regione finora prodotta, tenendo conto che la survey completa contiente una regione ancora più ampia di quella mostrata qui, per un totale di 39 578 x 23 069 pixels!
VISTA vede luce che l’occhio umano non vede, permettendo così agli astronomi di indentificare oggetti altrimenti nascosti all’interno delle incubatrici stellari. Stelle giovanissime che non possono essere viste nelle immagini in luce visibile, vengono invece esposte se osservate nella banda di luce di lunghezza d’onda maggiore, l’infrarosso, dove la polvere che le avvolge diventa più trasparente.
Questa nuova immagine è un passo avanti, verso un quadro completo del processo di formazione stellare di stelle di grande e piccola massa in Orione A. L’oggetto più spettacolare è la magnifica Nebulosa di Orione, nota anche come Messier 42, a sinistra nell’immagine. Questa regione è parte della spada della famosa e brillante costellazione di Orione. Il catalogo di VISTA comprende sia gli oggetti familiari che nuove scoperte, tra cui cinque nuovi candidati giovani oggetti stellari e dieci candidati ammassi di galassie.
In altre zone dell’immagine vediamo le scure nubi molecolari di Orione A e possiamo scovare tesori nascosti, come i dischi di materiale che potrebbero dar vita a nuove stelle (dischi pre-stellari), le nebulosità associate alle stelle appena nate (oggetti Herbig-Haro), i piccoli ammassi stellari e anche alcuni ammassi di galassie che si trovano molto al di là della Via Lattea. La survey VISION permette di studiare in modo sistematico le primissime fasi evolutive delle giovani stelle all’interno dei complessi di nubi molecolari.
Questa immagine così dettagliata di Orione A stabilsce un nuovo fondamento osservativo per ulteriori studi di formazione di stelle e di ammassi e ancora una volta sottolinea, se ce ne fosse bisogno, la potenza del telescopio VISTA nel produrre immagini di vaste aree di cielo nella banda infrarossa dello spettro sia in profondità che rapidamente.
Cosa ci aspetta per il 2017? Tutte le missioni spaziali che segneranno l’anno che verrà, e i principali eventi astronomici su Coelum Astronomia di gennaio.
Leggilo subito, in versione digitale e gratuita, semplicemente cliccando qui sotto!
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, Via dei Tominz 4. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
10 – 17 gennaio: Corso sulla Relatività Generale ON LINE (P.Pani – La Sapienza) Dall’11 gennaio:CORSO DI ASTRONOMIA A FROSINONE – ALTRE STELLE E OLTRE
Quattro incontri per iniziare a conoscere l’Universo: 11/01/2017: Stelle e Sistemi Stellari 18/01/2017: Pianeti e esopianeti 25/01/2017: Le nebulose 01/02/2017: Galassie e ammassi galattici
Il Corso si svolgerà dalle ore 20 alle ore 21:30 a Frosinone presso la sede del Centro Inter Arte, Via De Gasperi 59.
12 gennaio: LIFT-OFF – Diretta di astronautica 26 gennaio: OCCHI AL CIELO – Diretta di aggiornamento
Durante il mese di gennaio l’Accedemia delle Stelle propone eventi gratuiti con osservazioni del cielo e conferenze pubbliche. Sul sito e sulla pagina Facebook trovate gli appuntamenti.
A febbraio cominceranno i due nuovi corsi divulgativi:
– Corso Teorico di Astronomia, Astrofisica e Cosmologia: per conoscere le leggi fisiche che stanno dietro ai più importanti fenomeni astronomici;
– Corso Completo di Fotografia Astronomica: Per imparare a fotografare il cielo con qualsiasi strumentazione dalla refrex al telescopio.
Informazioni e prenotazioni: evento@accademiadellestelle.org
Dopo il tramonto, verso le ore 18, guardando a sudovest si potrà ammirare una sottilissima falce di Luna crescente, da poco uscita dal Novilunio che, seguendo l’eclittica, darà luogo a una serie di spettacolari congiunzioni con i pianeti Marte (mag. +0,9) e Venere (mag. –4,4), a una ventina di gradi sopra l’orizzonte in mezzo alle stelle dell’Acquario.
Nelle immediate vicinanze di Marte si potrà osservare anche il pianeta Nettuno — purché si disponga di un telescopio di almeno 25 cm di apertura — che la mattina del primo dell’anno sarà in congiunzione alla minima distanza (vedi circostanze nelle pagine degli eventi di Coelum di gennaio) mentre a quest’ora si troverà a circa 18 primi dal Pianeta Rosso.
Indice dei contenuti
Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio
Leggi anche:
➜Il Cielo del 2017.Tutti i principali eventi dell’anno che verrà! di Giovanna Ranotto su Coelum di gennaio 2017
➜ La Luna di Gennaio. Osserviamo i crateri Theophilus, Cyrillus e Catharinadi Francesco Badalotti su Coelum di gennaio 2017
Le numerose ore di buio permettono in questo periodo di spaziare – in prima serata – dalle costellazioni autunnali più orientali (come i Pesci, il Pegaso, la Balena…) fino alle regioni ricche di nebulose e ammassi del cielo invernale, per terminare nella seconda parte della notte con le prime avvisaglie della grande concentrazione di galassie del cielo primaverile (nelle costellazioni della Vergine e del Leone per esempio).
Per quanto riguarda i pianeti, dopo il tramonto del Sole sarà Venere ad attirare l’attenzione, brillando in cielo. La prima parte della notte consentirà di osservare Marte, mentre Giove dominerà la scena nella seconda parte della notte nella costellazione della Vergine.
SOLE
Dopo essere arrivato alla minima declinazione durante il Solstizio dello scorso dicembre, il Sole ha iniziato subito a risalire l’eclittica; la sua altezza sull’orizzonte al momento del passaggio in meridiano sarà in gennaio ancora molto modesta (in media +27°), ma l’arco descritto nel cielo tenderà a divenire ogni giorno più ampio. Ciò comporterà ovviamente un modesto aumento delle ore di luce, di circa 45 minuti, così che in gennaio la notte astronomica inizierà in media alle 18:45, mentre il mattino terminerà alle 6:00.
Nelle primissime ore del giorno 4, inoltre, il nostro pianeta raggiungerà il perielio, ovvero la minima distanza dal Sole, pari a circa 147,1 milioni di chilometri (0,983 UA).
Il fatto potrebbe sembrare paradossale, considerando che nel nostro emisfero è questo il periodo più freddo dell’anno, ma si deve considerare che l’incremento di irradiazione pari a circa il 7% rispetto a quella che si registra all’afelio (distanza Terra-Sole di 152,1 milioni di chilometri), viene più che compensato dalla minore inclinazione dei raggi solari e dal ridotto numero di ore d’insolazione.
…e in questi giorni attenzione alla cometa 45P! Non un spettacolo da osservare a occhio nudo, ma può dare soddisfazioni agli astrofotografi più esperti.
Come spesso accade per articoli scientifici che descrivono progressi straordinari, il titolo del paper pubblicato oggi, lunedì 19 dicembre 2016, su Nature è a dir poco sobrio: “Observation of the 1S–2S transition in trapped antihydrogen”. Ma a un occhio appena un poco attento la portata di questa scoperta balza subito agli occhi. La transizione 1S-2S alla quale si riferisce, è vero, altro non è se non il passaggio dallo stato fondamentale al secondo stato eccitato. Ma la novità, in questo caso, sta nel “soggetto”: il passaggio di che cosa? Ebbene, fino a oggi quella che veniva misurata era l’energia assorbita – o emessa – da un elettrone di un atomo. Ciò che sono riusciti ora a fare, al CERN, gli scienziati dell’esperimento ALPHA è la stessa misura ma relativa all’energia assorbita da un positrone (dunque, un anti-elettrone) di un “anti-atomo”. Per l’esattezza, un anti-idrogeno. Detto altrimenti: antimateria. E ciò che hanno visto, per la prima volta nella storia, è dunque la riga di uno spettro di antimateria: una “anti-riga” di un “anti-spettro”.
Un risultato inseguito per anni senza mai riuscire a raggiungerlo, fino a oggi. Un risultato eccezionale dal punto di vista tecnologico, come vedremo. Ma, soprattutto, un risultato che spalanca le porte a possibilità inedite per lo studio dell’antimateria, offrendoci per la prima volta la possibilità di mettere a confronto uno spettro con un “anti-spettro”. Confronto i cui risultati preliminari, mostrando come – entro i limiti sperimentali – vi sia consistenza fra le osservazioni condotte sugli atomi di anti–idrogeno e quelle sugli atomi di idrogeno, confermano quanto previsto dal Modello standard circa la perfetta simmetria fra materia e antimateria: ovvero, che il livelli energetici sono identici, come richiesto dalla cosiddetta simmetria CPT, dove ‘C’ sta per carica, ‘P’ per parità e ‘T’ per tempo.
Una conferma cruciale, questa: una differenza significativa fra spettro e “anti-spettro” implicherebbe infatti una revisione radicale di molti principi basilari della fisica. Ma potrebbe al tempo stesso offrire una spiegazione a quell’enigma ancora insoluto che è il disequilibrio che si registra nell’universo fra la quantità di materia e quella di antimateria: benché dovessero essere presenti in parti uguali all’epoca del big bang, sembrano oggi essere onnipresente la prima, pressoché introvabile la seconda.
«Usare un laser per osservare una transizione in un atomo di antidrogeno e confrontarla con quella in un atomo di idrogeno per vedere se obbediscono alle stesse leggi della fisica è stato da sempre un obiettivo chiave della ricerca nel campo dell’antimateria», dice Jeffrey Hangst, portavoce della collaborazione ALPHA. Crediti: Maximilien Brice / CERN
Un grande risultato tecnologico, dicevamo, che giunge al termine d’un inseguimento durato vent’anni. La difficoltà più grande non è stata tanto quella di creare anti-atomi di anti-idrogeno, attività nella quale ALPHA eccelle, bensì di mantenerli intrappolati un tempo sufficiente a condurre l’esperimento, in questo caso l’illuminazione con un raggio laser.
«Spostare e intrappolare antiprotoni o positroni è facile, perché sono particelle cariche», spiega il portavoce della collaborazione ALPHA Jeffrey Hangst. «I problemi cominciano quando si combinano i due per ottenere un atomo di anti-idrogeno neutro, molto più difficile da intrappolare. Per riuscirci, abbiamo progettato una trappola magnetica molto speciale, sfruttando il fatto che antidrogeno è leggermente magnetico».
Qualche cifra può aiutare a comprendere gli ostacoli che i ricercatori hanno dovuto superare. Ogni tentativo parte da un plasma contenente circa 90mila antiprotoni, dai quali si ottengono grosso modo 25mila anti-idrogeni. Da questi, fino a ieri, se ne riuscivano a intrappolare in media appena 1,2. Ebbene, con la nuova tecnica si è passati a 14 anti-atomi, mantenuti intrappolati in una camera a vuoto cilindrica – lunga 280 mm e con un diametro di 44 mm – per un intervallo sufficiente a essere illuminati dal laser e osservare la transizione 1S-2S. Facendoci così vedere per la prima volta una caratteristica, ampiamente prevista ma mai verificata sperimentalmente, del mondo “anti”.
Per saperne di più:
Leggi su Nature l’articolo “Observation of the 1S–2S transition in trapped antihydrogen“, di M. Ahmadi, B. X. R. Alves, C. J. Baker, W. Bertsche, E. Butler, A. Capra, C. Carruth, C. L. Cesar, M. Charlton, S. Cohen, R. Collister, S. Eriksson, A. Evans, N. Evetts, J. Fajans, T. Friesen, M. C. Fujiwara, D. R. Gill, A. Gutierrez, J. S. Hangst, W. N. Hardy, M. E. Hayden, C. A. Isaac, A. Ishida, M. A. Johnson, S. A. Jones, S. Jonsell, L. Kurchaninov, N. Madsen, M. Mathers, D. Maxwell, J. T. K. McKenna, S. Menary, J. M. Michan, T. Momose, J. J. Munich, P. Nolan, K. Olchanski, A. Olin, P. Pusa, C. Ø. Rasmussen, F. Robicheaux, R. L. Sacramento, M. Sameed, E. Sarid, D. M. Silveira, S. Stracka, G. Stutter, C. So, T. D. Tharp, J. E. Thompson, R. I. Thompson, D. P. van der Werf e J. S. Wurtele
E se la Luna assomigliasse un po’ alle Hawaii? Il paragone non è certo immediato, ma è più calzante di quanto potremmo pensare.
L’arcipelago nel Pacifico ospita infatti spettacolari strutture di origine vulcanica scavate nella roccia: sono i cosiddetti tubi di lava, veri e propri tunnel alti parecchi metri e spesso visitabili.
Viaggiando dalle Hawaii alla Luna, ecco che troviamo esattamente le stesse conformazioni: resti dell’antico vulcanismo lunare, che ha creato sul nostro satellite enormi strutture cave.
È quanto rivelano i dati raccolti da GRAIL, missione NASA di esplorazione lunare iniziata e conclusa nel 2012 ma ancora miniera d’oro di informazioni.
Ora un nuovo studio pubblicato su Icarus confermerebbe l’esistenza di questi tubi di lava sulla Luna. GRAIL ha infatti registrato una leggera variazione nella spinta gravitazionale del nostro satellite, dato che ha suggerito una differenza di densità sotto la sua superficie.
Il team di ricerca, coordinato dalla Purdue University, ha analizzato questa variazione di gravità inserendola in un modello computazionale geologico che integra i dati di GRAIL con le informazioni disponibili sui tubi di lava terrestri.
I risultati confermerebbero la presenza di strutture cave nei sotterranei lunari, corrispondenti appunto ai tunnel di lava.
Secondo gli astronomi queste imponenti gallerie nel suolo della Luna potrebbero essere utilizzate per costruire basi di esplorazione e laboratori in grado di ospitare gli astronauti, fino ad arrivare addirittura a intere città. Rendendo così un giorno abitabile il nostro satellite.
Premio Letterario Galileo per la divulgazione scientifica XI edizione Dario Bressanini presidente della giuria scientifica
Al via l’edizione 2017 del Premio Galileo, organizzato dal Comune di Padova, che decreta la migliore pubblicazione nell’ambito della divulgazione scientifica e che lo scorso anno ha celebrato il decennale di attività con una partecipazione sempre più interessata degli editori e delle scuole italiane.
Il Premio Galileo si inserisce in un programma di diffusione della cultura scientifica che il Comune di Padova promuove da 11 anni facendosi interprete di iniziative in grado di valorizzare le tradizioni di eccellenza che la città vanta nel campo della ricerca scientifica, a partire proprio da Galileo Galilei che insegnò all’Università patavina.
Come da tradizione, il Premio prevede due fasi che condurranno alla scelta dell’opera vincitrice. Nella prima fase la Giuria scientifica, composta da personalità di indiscusso valore in campo culturale e scientifico, individuerà la cinquina delle opere finaliste fra i testi di divulgazione scientifica pubblicati in Italia negli ultimi due anni.
Per questa undicesima edizione la giuria sarà presieduta dal chimico e scrittore Dario Bressanini, autore di numerosi libri scientifici sull’alimentazione, che sfatano molte delle nostre credenze sul cibo sano e naturale, e del seguitissimo blog “La scienza in cucina”.
La selezione, aperta al pubblico, si terrà il 18 gennaio 2017a Padova, presso l’Auditorium del Centro culturale Altinate San Gaetano, a partire dalle ore 10.00. Nella seconda fase, una Giuria popolare, formata da studenti delle classi IV degli istituti superiori di tutte le province italiane determinerà, nell’ambito della cinquina, l’opera da premiare.
La cerimonia di premiazione si terrà, anche questa in forma pubblica, il 5 maggio 2017a Padova, presso il Palazzo della Ragione a partire dalle ore 16.00.
Nell’ambito dell’undicesima edizione del Premio Galileo si terranno, poi, diversi incontri con gli autori dei libri finalisti. Studenti e cittadini avranno la possibilità di conoscere più da vicino i cinque studiosi selezionati dalla giuria scientifica in altrettante giornate dedicate ciascuna ad una pubblicazione. Nei mesi di marzo e aprile saranno organizzati gli appuntamenti con l’ormai sperimentata modalità del doppio incontro, la mattina dedicata alle scuole superiori della città (e in streaming di tutta Italia) e il pomeriggio al pubblico generico.
Ancora in tema di incontri e approfondimenti, si terranno poi due appuntamenti al mese, da febbraio ad aprile, con gli esperti del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) per approfondire con i metodi della scienza la magia e i fenomeni paranormali.
Torna, infine, anche Recensire la scienza, l’atteso concorso parallelo al Premio Galileo che da anni è seguito e apprezzato da un vastissimo pubblico. Tutti potranno, per una volta, diventare critici letterari e cimentarsi in una recensione dei cinque libri finalisti pubblicando il loro scritto sulla pagina facebook ufficiale del Premio Galileo. I “mi piace” decreteranno i vincitori (regolamento e info a breve alla pagina facebook.com/premio.galileo.padova/).
Il Premio Letterario Galileo 2016 è promosso dal Comune di Padova, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, della Regione del Veneto, della Fondazione Il Campiello e dell’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti in Padova e in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova.
Il Premio Galileo ha il sostegno della Fondazione Antonveneta. Con la collaborazione di: APS Advertising, Auriga, Hotel Galileo, Morellato – Gioielli da vivere, Promovies, Noleggiami.eu, Cicap, Inaf, Planetario Padova, Education First-Vacanze Studio e Corsi di Lingue all’Estero.. Media sponsor: Rai Radio3, Focus, Coelum, il Bo, il Vivi Padova, Radio Bue.it, Planck.
Coelum non è solo l’ultimo numero!
Scegli l’argomento che preferisci e inizia a leggere! E’ gratis…
La mattina prima della Vigilia di Natale, la Luna sorgerà attorno alle 2 dall’orizzonte est seguendo Giove a 4,7° verso nordovest, e anticipando Spica (alfa Virginis, mag. +1,1), che sorgerà circa venti minuti dopo a 5,5° a sudovest. I tre astri formeranno un triangolo quasi equilatero e potranno essere seguiti nelle ore successive fino al sorgere del Sole, che li sorprenderà a un’altezza di circa 40° sull’orizzonte sud.
Approfittiamone anche per imparare a conoscere meglio il Cielo di Dicembre con laguida di Giorgio Bianciardi (UAI).
Indice dei contenuti
Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre
Leggi anche:
➜ I gioielli del cielo invernale I migliori oggetti celesti da osservare durante la stagione invernale di Giuseppe Petricca su Coelum di dicembre 2016
NUOVI RISULTATI DALLA MISSIONE DAWN
Ghiaccio nei crateri di Cerere
I ricercatori della missione Dawn della NASA hanno presentato in questi giorni, al meeting dell’American Geophysical Union, nuovi risultati sulla presenza di ghiaccio su Cerere. «Questi studi sono basati sull’ipotesi che il ghiaccio si sia separato dalla roccia nella storia recente di Cerere, e che nel lungo periodo di formazione del Sistema solare sia rimasto in superficie», ha detto Carol Raymond, del Jet Propulsion Laboratory NASA a Pasadena, in California.
La missione Dawn è nota per aver osservato gli asteroidi Vesta e Cerere, due protopianeti, situati nella fascia principale degli asteroidi tra Marte e Giove. Diversi per forme, caratteristiche morfologiche e natura geologica della superficie, i due corpi popolavano la fascia di detriti intorno alla nostra stella, il Sole, alle origini del Sistema solare. Per questa ragione rappresentano la teca che nasconde i segreti sulla storia della vita e del Sistema solare.
Cerere non sembrava avere ghiaccio: l’oscurità dei suoi crateri pareva essere rischiarata dal biancore di sali altamente riflettenti. Ma non secondo le nuove evidenze. «La presenza di ghiaccio su altri corpi planetari è importante, perché l’acqua è un ingrediente essenziale per la vita così come noi la conosciamo. Se si trovano corpi che sono stati ricchi di acqua in un lontano passato, abbiamo indizi utili per capire dove la vita può essere stata presente nel sistema solare», ha aggiunto Raymond.
«Su Cerere il ghiaccio non è localizzato solo in alcuni crateri. È presente ovunque, vicino alla superficie, alle latitudini più elevate», ha detto Thomas Prettyman, ricercatore dell’Istituto di Scienze planetarie di Tucson, Arizona, grazie allo studio dei dati dello strumento GRaND, le cui risultanze sono pubblicate su Science. Con questo rilevatore si sono potute determinare le concentrazioni di idrogeno, ferro e potassio nella superficie di Cerere, misurando inoltre un gran quantità di energia da raggi gamma e neutroni emessi dal protopianeta.
I neutroni sono prodotti dai raggi cosmici galattici che interagiscono con la superficie di Cerere. Alcuni di essi vengono assorbiti dal protopianeta mentre altri sfuggono. Gli scienziati sanno che l’idrogeno rallenta i neutroni, quindi il minor numero di neutroni in fuga renderebbe plausibile l’ipotesi che ci sia idrogeno in grande quantità, probabilmente in forma di acqua ghiacciata (che è fatta di due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno).
«Questi risultati confermano le previsioni fatte quasi tre decenni fa, basandosi sul presupposto che il ghiaccio può sopravvivere per miliardi di anni appena sotto la superficie di Cerere, e rafforza l’ipotesi che anche altri asteroidi della fascia principali possano presentare ghiaccio sotto la superficie», ha commentato Prettyman.
Un vero e proprio rompicapo per gli scienziati, che confrontano i risultati ottenuti per Cerere anche con le meteoriti. Infatti l’alta concentrazione di ferro, idrogeno, potassio e carbonio forniscono ulteriori prove che lo strato superiore di materiale di rivestimento di Cerere sia stato alterato da acqua liquida proveniente dall’interno del protopianeta. Gli scienziati teorizzano che il decadimento di elementi radioattivi all’interno abbia prodotto calore che ha guidato questo processo di alterazione, e che spiegherebbe la distinzione tra un interno di roccia non ghiacciata e il ghiaccio in superficie. Questa separazione tra ghiaccio e roccia potrebbe essere una spiegazione alla differente composizione chimica tra la parte superficiale e quella interna.
Ma anche le condriti carbonacee, un tipo di meteoriti, sono state modificate dall’acqua, e il confronto con Cerere apre nuovi scenari. Queste meteoriti probabilmente provengono da corpi che erano più piccoli di Cerere, che ha più idrogeno e meno ferro rispetto a questi altri corpi celesti. Una spiegazione potrebbe essere che le particelle più dense sono in zone più profonde, mentre le altre con presenza di sali sono risalite in superficie. In alternativa, Cerere potrebbe essersi formata in una regione diversa del Sistema solare rispetto alle meteoriti.
Ma non è finita qui. Un secondo studio, condotto da Thomas Platz del Max Planck Institute di Gottinga in Germania e pubblicato sulla rivista Nature Astronomy, ha cercato una spiegazione al perché della concentrazione di ghiaccio nelle cosiddette “trappole a freddo” (vedi animazione), dove si registrano temperatura di 110 gradi Kelvin (-163 gradi). Sono veri e propri depositi di materiale riflettente riscontrati in almeno 10 crateri. In particolare in uno di questi, parzialmente soleggiato, lo spettrometro ha confermato la presenza di ghiaccio.
Anche su Mercurio e sulla Luna è stato rilevato ghiaccio in trappole a fredde, ma quelle di Cerere sono più misteriose. Mentre sulla Luna e su Mercurio la spiegazione sta nell’asse di rotazione, che lascia alcuni crateri costantemente in ombra, per Cerere questa spiegazione non si applica. «Siamo interessati a capire come questo ghiaccio sia arrivato e come sia riuscito a durare così a lungo», ha detto il co-autore Norbert Schorghofer, della Università delle Hawaii. «Potrebbe provenire dalla crosta di Cerere o dallo spazio».
Ma, indipendentemente dalla sua origine, gli scienziati sanno che le molecole di acqua su Cerere hanno la possibilità di “saltellare” da regioni più calde e concentrarsi nelle trappole a freddo. Infatti altre osservazioni eseguite negli anni 2012-2013 con Herschel, il telescopio spaziale per l’infrarosso dell’Agenzia Spaziale Europea, hanno reso evidente la presenza di vapore acqueo. Molecole d’acqua che lasciano la superficie, disperdendosi in parte e in parte cumulandosi all’interno dei crateri.
Una simulazione (vedi il video qui sotto) realizzata dal Centro aerospaziale tedesco (DLR) ricostruisce un sorvolo di Occator, il cratere misterioso di Cerere, noto per le sue macchie brillanti. La simulazione utilizza i dati della missione Nasa Dawn per una visione topografica di Occator negli spettri del rosso e del blu, che ricondurrebbe il brillamento alla presenza di sali e non di ghiaccio. Occator, 92 km di cratere con una regione centrale brillante che include una cupola con fratture, recentemente nominata Cerealia Facula, mentre le macchie della parte del cratere meno riflettente a est del centro sono chiamate Vinalia Facula. «L’interno unico di Occator potrebbe essersi formato in una combinazione di processi che stiamo indagando», ha dichiarato Ralf Jaumann, scienziato planetario e co-ricercatore presso DLR per la missione Dawn. «L’impatto che ha creato il cratere potrebbe aver innescato la risalita del liquido dall’interno Cerere, lasciandosi dietro i sali».
Lunedì 19 dicembre, ore 18.30: SISTEMA SOLARE – NUOVE SCOPERTE SUGLI ANELLI DI SATURNO.
Relatore: Giovanni Chelleri (Circolo Culturale Astrofili Trieste).
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, Via dei Tominz, 4 – ingresso libero fino a esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste:
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
Tra il 9 e il 20 febbraio, OSIRIS-REx attiverà le sue tre fotocamere e andrà alla ricerca degli elusivi asteroidi troiani.
Sei degli otto pianeti del Sistema Solare, ovvero Giove, Nettuno, Marte, Venere, Urano e la Terra, hanno almeno un asteroide troiano — oltre seimila, nel caso di Giove. Questi asteroidi condividono l’orbita del pianeta a cui sono legati gravitazionalmente, ma lo precedono lungo la sua traiettoria eliocentrica (oppure lo seguono) di circa 60 gradi, ovvero stazionano nei pressi dei punti lagrangiani L4 ed L5.
La Terra ha un solo asteroide troiano conosciuto — 2010 TK7, individuato dalla missione NEOWISE nel 2010. Ma gli scienziati sospettano che la popolazione di troiani terrestri sia molto più ampia; tuttavia, questi oggetti si troverebbero prospetticamente molto vicini al Sole osservati da Terra e sarebbero dunque difficili da individuare.
A febbraio 2017, OSIRIS-REx sarà in una posizione perfetta per effettuare un censimento della popolazione di asteroidi troiani situati lungo l’orbita del nostro pianeta. Al momento delle osservazioni, infatti, la sonda si troverà tra il Sole e il punto L4.
In una finestra di 12 giorni, la sonda userà la sua fotocamera MapCam per studiare le regioni dove questi asteroidi potrebbero nascondersi. La fotocamera userà una tecnica molto simile per cercare eventuali satelliti naturali in orbita attorno a Bennu durante il suo avvicinamento all’asteroide.
«La ricerca di asteroidi troiani della Terra offre un grande vantaggio alla missione,» spiega Dante Lauretta, a capo di OSIRIS-REx. «Non solo avremo l’opportunità di scoprire nuovi membri di una famiglia asteroidale, ma potremo anche fare le prove per alcune operazioni critiche prima del nostro arrivo attorno a Bennu».
OSIRIS-REx si trova attualmente a 74.1 milioni di chilometri dalla Terra.
Il 18 dicembre la Luna sorgerà dall’orizzonte est a circa 2,8° da Regolo (stella alfa del Leone, mag. +1,4).
I due astri si allontaneranno lentamente man mano che la coppia aumenterà la sua altezza sull’orizzonte. Il consiglio è di fotografarli verso le 22:30 quando raggiungeranno un’altezza di circa 10° e saranno distanti poco più di 3° e mezzo. Il fenomeno potrà essere inserito in riprese paesaggistiche notturne a grande campo.
La sonda americana Juno ha immortalato una delle tempeste note come “perle” — violente bufere ovali e biancastre — che imperversano nell’atmosfera di Giove. Avvistate per la prima volta nel 1986, queste tempeste variano in numero da sei a nove; attualmente, ve ne sono otto nell’emisfero meridionale, e quella fotografata è la settima di una formazione chiamata “string of perls” (filo di perle).
Le immagini sono state scattate alle 18:27 ora italiana dell’11 dicembre, mentre la sonda era impegnata nel suo terzo sorvolo operativo del gigante gassoso. Al momento dello scatto, la sonda si trovava a 24 600 chilometri dal pianeta e aveva superato il perigiovio della sua orbita da poco più di una ventina di minuti.
Il concorso “Cassini Scientist for a Day” è una gara internazionale, indetta dalla NASA e promossa in europa dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), rivolta ai ragazzi di scuole medie e superiori.
Ogni anno i ragazzi hanno la possibilità di avvicinarsi al lavoro dello scienziato studiando tre immagini prodotte dalla missione Cassini, che si trova in orbita attorno a Saturno dal luglio del 2004.
Se gli strumenti a bordo della sonda potessero essere puntati soltanto su uno di questi target, quale sceglieresti? È questa la domanda rivolta agli studenti di scuole medie e superiori che dovranno rispondere con un elaborato di 500 parole. Ecco i tre target:
È possibile partecipare individualmente o in un gruppo, formato al massimo da 4 ragazzi fino alle 23:59 del 3 aprile 2017 mandando l’elaborato all’indirizzo email cassinisfditaly@gmail.com.
In palio ci sono gadget della missione Cassini, forniti direttamente da NASA ed ESA, e la pubblicazione dei migliori elaborati sui loro siti web. Ci saranno vincitori per ciascun target e per ciascuna delle tre fasce d’età (10–13 anni,14–15 anni e 16–18 anni).
Il 14 giugno 2015, il campionamento a tutto cielo per rilevare supernove denominato ASAS-SN, dall’inglese All Sky Automated Survey for SuperNovae, rilevò l’accensione di un puntino luminoso all’interno di un’anonima galassia a 3.8 miliardi di anni luce. Un evento transiente di inusuale potenza, denominato ASASSN-15lh e classificato come una supernova superluminosa (o ipernova), l’esplosione cioè di una stella molto massiccia alla fine della propria vita. La sua luminosità di picco risultò 20 volte maggiore della luce totale prodotta dalla Via Lattea, il doppio del precedente record, facendo di ASASSN-15lh la supernova più brillante mai osservata. Un recentissimo studio a partecipazione INAF ha poi identificato come possibile motore per tale sorprendente fenomeno l’energia rotazionale di un buco nero rotante (o di Kerr)
Un nuovo studio, comparso oggi sulla neonata rivista Nature Astronomy, riporta come una folta collaborazione internazionale, guidata da Giorgos Leloudas del Weizmann Institute of Science, Israele, e del Dark Cosmology Centre, Danimarca, abbia effettuato ulteriori 10 mesi di osservazioni dopo della distante galassia in cui è avvenuta l’esplosione, proponendo quindi una diversa spiegazione per l’evento straordinario, causato più probabilmente da un buco nero supermassiccio in rapida rotazione che ha distrutto una stella di piccola massa.
«Questo è un risultato unico e molto importante», commenta a Media INAF Nancy Elias-Rosa, «ASASSN-15lh fu classificata, poco dopo la sua scoperta, come una supernova superluminosa. Tuttavia, grazie alla lunga campagna d’osservazione e alla collaborazione internazionale di molti scienziati, abbiamo trovato che molti aspetti del suo comportamento suggeriscono invece che questo oggetto sia uno dei più luminosi eventi di distruzione mareale di una stella mai scoperti».
In questo scenario, le forze gravitazionali estreme del buco nero supermassiccio, nel centro della galassia ospite, hanno dilaniato una stella simile al Sole che gli si è avvicinata troppo.
Questa simulazione mostra la stella distrutta dalle onde gravitazionali del buco nero supermassiccio. La stella viene spaghettizzata e dopo diverse orbite crea un disco di accrescimento, liberando l’energia che spiegherebbe l’origine dell’evento superluminoso ASASSN-15lh. Sulla sinistra la simulazione vista di faccia, a destra vista di lato. Crediti: ESO, ESA/Hubble, N. Stone, K. Hayasaki
Un evento cosiddetto di distruzione mareale, finora osservato solo in una decina di casi. Nel processo, la stella è stata “spaghettificata” e le onde d’urto sviluppate tra i detriti della collisione, assieme al caloreprodotto dall’accrescimento, hanno prodotto un lampo di luce. Ciò ha dato all’evento l’aspetto di un’esplosione di supernova molto brillante, anche se la stella aveva una massa troppo piccola per poter mai aspirare di diventare una supernova.
«Oggetti come questi sono rari», aggiunge Elias-Rosa, «e vengono osservati principalmente ad alte frequenze, perché è in quei domini che emettono il massimo di luminosità. Da qui l’importanza delle osservazioni di ASASSN-15lh fatte nella banda ottica. Con le future survey, LSST in particolare, ci aspettiamo che il numero di scoperte di questi oggetti aumenti esponenzialmente, dandoci così modo di caratterizzarle correttamente».
Il gruppo di ricerca ha basato le proprie conclusioni su osservazioni realizzate da un certo numero di telescopi, sia da terra che dallo spazio, tra cui potenti telescopi ottici come il VLT (Very Large Telescope) all’Osservatorio di Paranal dell’ESO, l’NTT (New Technology Telescope) all’Osservatorio di La Silla dell’ESO e il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA.
I dati hanno rivelato che, nel corso dei dieci mesi di osservazioni, l’evento ha attraversato tre diverse fasi, riconducibili più a ciò che ci si aspetta da un evento di distruzione mareale che a una supernova. Ad esempio, l’aumento della luminosità in luce ultravioletta e l’aumento della temperatura riducono la probabilità che si sia trattato di un evento simile a una supernova. Inoltre, l’ubicazione dell’evento – una galassia rossa, massiccia e passiva – non è il luogo in cui di solito ci sia aspetta un’esplosione superluminosa di supernova, ovvero una galassia nanablu, caratterizzata da alta formazione stellare.
Ma c’è un altro punto da chiarire. La massa della galassia ospite in questione implica che il buco nero supermassiccio al centro abbia una massa di almeno 100 milioni di volte quella del Sole. Un buco nero di questa massa non sarebbe di per sé in grado di distruggere una stella al di fuori del proprio orizzonte degli eventi, il limite entro il quale nulla può sfuggire alla sua attrazione gravitazionale. Ma se il buco nero è di un tipo particolare, cioè in rapida rotazione – un cosiddetto buco nero di Kerr – la situazione cambia e il limite non si applica più. Quindi, sostengono gli autori, ASASSN-15lh deve essere stato prodotto dall’interazione con un buco nero di Kerr.
«Anche usando tutti i dati raccolti finora, non possiamo stabilire con certezza assoluta che ASASSN-15lh sia stato un evento di distruzione mareale», dice in conclusione Leloudas. «Ma per il momento è la spiegazione di gran lunga più probabile».
«L’unica cosa certa è che ASASSN-15lh è un oggetto straordinario, ed è quindi naturale che abbia attirato l’attenzione di numerosi team e dato adito a interpretazioni diverse», commenta Massimo Della Valle dell’INAF di Napoli, non direttamente coinvolto in questo studio ma autore di altre ricerche sull’argomento. «La straordinarietà di questa sorgente risiede nell’incredibile quantità di energia emessa, qualcosa come 1052 erg dissipati in energia cinetica ed energia luminosa in poche settimane».
«L’idea di un stella tipo Sole ingoiata dal buco nero centrale supermassiccio della galassia, proposta dagli autori di questo lavoro, è certamente accattivante», continua Della Valle, «e spiega bene due aspetti osservativi di ASASSN-15lh: la location dell’evento, nelle zone centrali della galassia, e il flash UV osservato nelle fasi iniziali dell’emissione. Qualche difficoltà invece incontra nello spiegare la morfologia della curva di luce, che viene invece ben interpretata dall’idea dello spinning down di un buco nero di Kerr stellare. La situazione è ancora molto fluida e solo l’osservazione di altri fenomeni di questo tipo, assieme allo studio dell’ambiente nel quale si manifestano, potranno fornirci maggiori dettagli».
Per saperne di più:
Leggi il preprint dell’articolo pubblicato su Nature Astronomy “The Superluminous Transient ASASSN-15lh as a Tidal Disruption Event from a Kerr Black Hole”, di G. Leloudas, M. Fraser, N. C. Stone, S. van Velzen, P. G. Jonker, I. Arcavi, C. Fremling, J. R. Maund, S. J. Smartt, T. Kruhler, J. C. A. Miller-Jones, P. M. Vreeswijk, A. Gal-Yam, P. A. Mazzali, A. De Cia, D. A. Howell, C. Inserra, F. Patat, A. de Ugarte Postigo, O. Yaron, C. Ashall, I. Bar, H. Campbell, T.-W. Chen, M. Childress, N. Elias-Rosa, J. Harmanen, G. Hosseinzadeh, J. Johansson, T. Kangas, E. Kankare, S. Kim, H. Kuncarayakti, J. Lyman, M. R. Magee, K. Maguire, D. Malesani, S. Mattila, C. V. McCully, M. Nicholl, S. Prentice, C. Romero-Canizales, S. Schulze, K. W. Smith, J. Sollerman, M. Sullivan, B. E. Tucker, S. Valenti, J. C. Wheeler e D. R. Young
Lo sciame meteorico delle Geminidi è uno dei più attivi oggi noti: quest’anno il suo periodo di attività sarà dal 4 al 16 dicembre, e il picco sarà atteso per le 3:00 del 14 dicembre, con uno ZHR di circa 90 meteore all’ora, anche se già il giorno prima e quello successivo si attende una discreta attività.
Quest’anno purtroppo però la presenza della Luna piena, in transito poco distante dal radiante, disturberà l’osservazione di questo sciame meteorico, ma ciò non toglie che si possa tentarne comunque l’osservazione; il modo migliore è senz’altro a occhio nudo, ma si potranno anche riprendere le scie attraverso una macchina fotografica con un obiettivo grandangolare orientata verso il radiante, che si trova nelle vicinanze della stella Castore a queste coordinate: AR 7h 30, DEC +32° 30′ al momento del picco. …e se proprio non riusciremo a vederne, ci sarà sempre una Luna magnifica da osservare (assolutamente simile a occhio nudo alla “Super Luna” del 14 novembre scorso).
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.