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Nettuno in Opposizione

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Sopra. L’immagine propone tre riprese di Nettuno realizzate dalla Voyager 2 nel 1989, dal Keck Observatory (sul Mauna Kea) nel 2000 e dal telescopio spaziale Hubble nel 1996.

La cartina mostra il percorso angolare di Nettuno in settembre nella costellazione dell’Acquario. Il pianeta, in opposizione, potrà essere seguito 1,5° a sudovest della stella Lambda Aquarii (+4,7).

Il 2 settembre Nettuno raggiungerà l’opposizione eliaca (diametro apparente 2,4″, mag. +7,8), ovvero la configurazione orbitale che si verifica quando un pianeta esterno si allinea con la Terra e il Sole. In tali condizioni, di conseguenza, si troverà nel momento più favorevole per l’osservazione e la fotografia (minore distanza, massimo diametro angolare e maggiore luminosità) anche se, da un punto di vista osservativo, a beneficiare maggiormente dell’opposizione sono i pianeti poco distanti e con un’alta eccentricità orbitale (come Marte e gli asteroidi) e non quelli più lontani.

Le opposizioni di Nettuno si ripetono in media ogni 367,5 giorni, mentre la distanza raggiunta in tali occasioni è modulata dalla sua posizione lungo la sua orbita: se l’opposizione si verifica quando il pianeta è nei pressi del suo perielio (cosa che avviene ogni 165 anni), allora viene definita “perielica”, con il pianeta che raggiunge la distanza minima assoluta alla Terra.

In pratica, ogni anno, durante una normale opposizione, la distanza Terra-Nettuno arriva in media a 4351 milioni di chilometri, valore che durante l’opposizione perielica si riduce fino ai 4310, come è accaduto nel 1875 e accadrà di nuovo nel 2041. Una differenza molto piccola, come si può vedere, in linea con una eccentricità orbitale (0,01) quasi dieci volte inferiore a quella di Marte; tanto che la differenza di diametro angolare tra le opposizioni al perielio e quelle all’afelio è praticamente impercettibile.

Quest’anno, a 25 anni dal prossimo perielio, la distanza raggiunta durante l’opposizione del 2 settembre sarà di 4330 milioni di chilometri.

Proviamo a Fotografare Nettuno di Daniele Gasparri

Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedi il Cielo di Settembre


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Ultimi sguardi a Giove e Venere

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A cominciare dal giorno 2, all’ora del crepuscolo serale ci sarà la possibilità di seguire una bella ma difficile congiunzione planetaria sull’orizzonte ovest. L’ora consigliata è quella delle 19:45, quando il Sole sarà appena tramontato, consentendo così a Venere (mag. –3,8) e a Giove (–1,7) di rendersi osservabili anche in un cielo ancora molto chiaro. A quell’ora Venere sarà alta circa +10°, mentre Giove, distante 5,8° verso sudovest, sarà alto +7,5°. A movimentare un po’ la scena ci penserà tuttavia un’esilissima falce di Luna crescente situata a +5,5° di altezza, 3° a sudovest di Giove. L’allineamento formato dai tre oggetti permarrà anche la sera seguente, con la Luna che si sposterà però a est di Venere. N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del dischetto lunare è due o tre volte superiore alla giusta scala.

Dopo aver dato spettacolo il 27/28 agosto mostrandosi in congiunzione stretta con Giove, nei giorni successivi Venere proseguirà la sua corsa, arrivando a formare i primi giorni di settembre un triangolo con Giove e Mercurio (quest’ultimo però inosservabile a causa della sua modesta mag. +1,5) sopra l’orizzonte ovest. Inutile dire che l’osservabilità della congiunzione sarà fortemente condizionata dalla trasparenza del cielo e dalla rapidità con cui verranno condotte le ricerche, magari assistite dall’uso di un capace binocolo.

Triangolo che verso le 19:15 del 2 settembre, si arricchirà dell’arrivo di una sottilissima falce di Luna crescente. Molto più in basso (+2,8°) ci sarà anche Mercurio, ma con una magnitudine (+1,5) del tutto insufficiente a renderlo visibile.

Se le condizioni meteo lo permetteranno, regalandoci un cielo limpido adatto all’osservazione di oggetti bassi sull’orizzonte, la sera del 3 settembre, verso le ore 20:00, una sottilissima falce di Luna (fase 6%) avvicinerà il pianeta Venere (la distanza tra i due corpi celesti sarà di circa 2,5°). Entrambi gli astri saranno già piuttosto bassi sull’orizzonte ovest (alti una decina di gradi).

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Trasloco in vista per Dawn: rotta verso una nuova orbita attorno a Cerere

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Dopo aver trascorso più di otto mesi parcheggiata 385 chilometri al di sopra della superficie di Cerere, la sonda americana Dawn è pronta a traslocare. Il 2 settembre, la sonda inizierà un trasferimento verso una nuova orbita a 1460 chilometri di quota.

Portandosi a una distanza maggiore dal pianeta nano, Dawn potrà ridurre il suo consumo di idrazina, il propellente utilizzato per modificare l’assetto della sonda. L’idrazina, al momento, è l’unica risorsa che preoccupa gli scienziati. Essendosi Dawn aggiudicata un’estensione il 30 giugno, la priorità degli scienziati ora è far sì che la sonda possa sopravvivere il più a lungo possibile. Qualora dovesse esaurire la sua idrazina, Dawn non sarebbe più in grado di puntare i suoi strumenti verso la superficie di Cerere, i suoi pannelli solari in direzione del Sole o la sua antenna verso la Terra.

«Molte sonde non sarebbero in grado di cambiare la loro altitudine orbitale con così tanta facilità», spiega Marc Rayman della NASA. «Grazie al sistema di propulsione a ioni di Dawn, possiamo manovrarla in modo da ottenere quante più misurazioni scientifiche possibile».

Tra agosto e ottobre 2015, la sonda era nella cosiddetta High Altitude Mapping Orbit (HAMO, alta orbita di mappatura), a 1460 chilometri da Cerere. Nonostante sia più o meno alla stessa altitudine, la prossima orbita di Dawn sarà caratterizzata da una geometria diversa (nello specifico, cambierà l’angolo tra il piano orbitale e il vettore verso il Sole). Ciò consentirà alla sonda di avere un punto di vista del tutto inedito sulla superficie di questo mondo alieno.

Leggi lo speciale dedicato alla missione Dawn, a Vesta e a Cerere nell’ultimo numero di Coelum Astronomia – come sempre, completamente gratuito e in formato digitale consultabile da qualsiasi dispositivo!


Il cielo di settembre 2016

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Cartina del cielo di settembre
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 settembre > 23:00 15 settembre > 23:00 30 settembre > 23:00
Cartina del cielo di settembre
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 settembre > 23:00 15 settembre > 23:00 30 settembre > 23:00

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Verso ponente saranno ancora visibili, ma ormai declinanti e prossime al tramonto, le estese costellazioni della tarda primavera (Boote con la brillante Arturo, Ofiuco, Ercole e il Serpente), mentre verso sudovest sarà già quasi tramontato lo Scorpione portando con sé Saturno e Marte (alti sull’orizzonte solo +10°).

Con il passare del tempo il cielo muterà completamente aspetto: prima della mezzanotte saranno già visibili le Pleiadi sull’orizzonte nordest, e nella seconda parte della notte si potrà godere della presenza contemporanea della nebulosa M42 in Orione e della Nebulosa Velo nel Cigno. In mezzo, solo spazi silenti e rarefatti, ma anche imponenti visioni, come quelle di M31 in Andromeda e del Doppio Ammasso nel Perseo.

IL SOLE

L’evento più importante del mese per la nostra stella sarà ovviamente il passaggio al nodo discendente sull’equatore celeste il giorno 22, quando in pratica il Sole avrà declinazione pari a zero e si verificherà l’Equinozio d’Autunno, ovvero l’istante in cui inizia l’autunno astronomico (la primavera per l’emisfero Sud). Il punto di intersezione fra l’eclittica, nel suo ramo discendente (il percorso apparente del Sole sulla volta celeste), e l’equatore celeste prende anche il nome di punto omega, o “Primo punto della Bilancia” (così chiamato perché un tempo si proiettava in quella costellazione, mentre ora – a causa dei moti di precessione  – si trova nella regione occidentale della Vergine, tra le stelle eta e beta Virginis).

Per quanto possa sembrare strano, la data “classica” del 21 settembre è proprio quella in cui l’equinozio d’autunno non si verifica mai (con due piccolissime eccezioni nel 2092 e 2096, calcolando però l’orario in Tempo Universale).

Per il resto, le date canoniche dell’equinozio autunnale sono quelle del 22 e 23 settembre, anche se può sporadicamente accadere che l’autunno inizi addirittura il 24 settembre!

L’ultima volta è successo da noi nel 1935 (equinozio alle 0:30 del 24), e per la prossima bisognerà aspettare addirittura il 2303. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, la data dell’equinozio non è quella in cui le ore di luce e di buio sono equamente divise… Per questioni principalmente legate alla rifrazione atmosferica – che all’alba anticipa il sorgere del Sole e al tramonto lo ritarda – alle nostre latitudini la parità viene infatti raggiunta solo due o tre giorni dopo l’equinozio di autunno (e prima di quello di primavera): quest’anno cade il 25 settembre.

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Segnali da una civiltà extraterrestre?

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Il radio telescopio RATAN-600 in Zelenchukskaya, da cui è stato rilevato il segnale. Credit: nat-geo.ru
Il radio telescopio RATAN-600 in Zelenchukskaya, da cui è stato rilevato il segnale. Credit: wikipedia.org

In questi giorni numerosissime fonti d’informazione di tutto il mondo hanno riportato — con termini spesso esagerati e talvolta assurdi — la notizia diffusa dal sito centauri-dreams.org del rilevamento da parte di un team russo di un potente segnale radio proveniente da una stella posta a un centinaio di anni luce di distanza da noi. Si tratta davvero del tanto atteso segnale che testimonia la presenza di una civiltà extraterrestre intelligente?

Poiché, purtroppo, internet si è dimostrata molto spesso cassa di risonanza di informazioni errate, imprecise o di vere e proprie “bufale” (nella cui rete sono talvolta cadute anche prestigiose testate giornalistiche), risulta indispensabile fare delle precisazioni e chiarire la situazione per capire come stanno realmente le cose.

Gli autori stessi della scoperta, guidati da Nikolai Bursov del Russian Academy of Sciences’ Special Astrophysical Observatory, hanno semplicemente dichiarato che «è necessario il monitoraggio permanente di questo obiettivo», chiarendo la natura di “candidato” del segnale e la necessità di ulteriori indagini.

A venirci in aiuto, però, è il comunicato firmato da Seth Shostak, astronomo senior del SETI Institute (Search for Extra-Terrestrial Intelligence, Ricerca di Intelligenza Extraterrestre), con sede a Mountain View (California), istituto che dal 1974 si dedica alla ricerca di segnali intelligenti di origine extraterrestre, conducendo campagne sottoposte a protocolli rigorosamente scientifici.

Tornando al “candidate signal”, la presunta scoperta è opera di un gruppo di astronomi russi, che avrebbero rilevato il segnale grazie al radiotelescopio RATAN-600 in Zelenchukskaya, alle pendici settentrionali della Catena del Caucaso. Il sistema solare origine del segnale è HD 164595, nella costellazione di Ercole e che dista da noi 94 anni luce, e che è diventato, tutto d’un tratto, il probabile candidato a ospitare esseri extraterresti intelligenti.

Questo sistema solare presenta una stella di dimensioni e luminosità paragonabili a quelle del Sole, seppure risulti più vecchio di qualche miliardo di anni rispetto al nostro, ed è noto per ospitare un pianeta extrasolare dalle dimensioni simili a quelle del nostro Nettuno. Il pianeta è situato però in un’orbita molto vicina alla stella centrale, il che lo rende quindi un luogo poco adatto a ospitare la vita. Tuttavia, potrebbero esserci altri pianeti in questo sistema, ancora da scoprire.

Anche se è stato reso noto soltanto ora, il segnale è stato ricevuto in realtà il 15 maggio 2015 alla lunghezza d’onda di 2,7 centimetri (cioè una frequenza di circa 11 GHz), con un’ampiezza stimata di 750 mJy.
L’identificazione di questo segnale radio sarebbe stata comunicata in una presentazione alla quale hanno aderito diversi astronomi russi, nonché un ricercatore italiano, Claudio Maccone, presidente dell’Accademia Internazionale di Astronautica del Comitato Permanente SETI.

Quello che ci si chiede è: potrebbe trattarsi davvero di una trasmissione proveniente da una società tecnologicamente avanzata? Per rispondere è necessario attenersi solo a ciò che è noto finora, e questo richiede ovviamente una spiegazione tecnica.

In primo luogo, il segnale rilevato proviene effettivamente dalla direzione del sistema di HD 164595?

Il RATAN-600, il radiotelescopio che lo ha captato, ha un disegno particolare (un anello sul terreno di 577 metri di diametro) e un’insolita “beam shape” (ossia la fascia di cielo su cui lavora), molto allungata in direzione nord-sud e stretta in direzione est-ovest. Considerando le caratteristiche del segnale rilevato (2,7 cm di lunghezza d’onda), la fascia risulta avere dimensioni di 20 secondi d’arco per 2 minuti d’arco.

Il punto da cui il segnale sembrerebbe provenire è quindi posto in direzione est-ovest (la parte stretta della fascia) con le coordinate celesti corrispondenti a HD 164695, il che farebbe supporre agli scopritori che il segnale probabilmente arrivi proprio da quel sistema solare. Ma, naturalmente, potrebbe anche non essere esatto.

In secondo luogo, si deve tener conto delle caratteristiche del segnale stesso.

Le osservazioni sono state condotte con un ricevitore caratterizzato da una larghezza di banda di 1 GHz, un miliardo di volte più ampia rispetto alle larghezze di banda tradizionalmente utilizzate dalle ricerche SETI e 200 volte più ampia di quella di un comune segnale televisivo.

Il segnale grezzo proveniente dalla zona di cielo del sistema HD 164595 rilevato dal team russo a confronto con quello atteso di una sorgente puntiforme posta alle stesse coordinate. Credit: Bursov et al.

La potenza del segnale era di soli 0,75 Jansky, che, in parole povere, può essere definito “debole”. Ma è debole solo a causa della distanza di HD 164595 o la sua debolezza è dovuta alla “diluizione” del segnale causata dalla larghezza di banda del ricevitore russo? Un ricevitore a banda larga può infatti diluire l’intensità dei segnali a banda stretta, anche se inizialmente erano relativamente forti; un po’ come quando si prepara una piatto con numerosi ingredienti e nell’insieme risulta difficile distinguere il sapore dei singoli componenti.

Visto che è possibile calcolare quanto potente dovrebbe essere un trasmettitore radio alieno, in grado di generare il segnale ricevuto, partendo proprio dal valore della sua intensità, considerando come luogo di origine della trasmissione una qualsiasi posizione in prossimità di HD 164595, volendo sostenere l’ipotesi aliena si presenterebbero due casi:

1. Gli alieni decidono di trasmettere il segnale in tutte le direzioni.

In questo caso la potenza richiesta risulterebbe di 10^20 watt, cioè 100 miliardi di miliardi di watt, ovvero centinaia di volte la quantità totale di energia solare che investe la Terra! Il che richiederebbe una fonte di energia ben al di là della nostra portata.

2. Gli alieni scelgono deliberatamente di puntare la loro trasmissione verso di noi.

Ciò permetterebbe di ridurre considerevolmente la richiesta di energia ma anche utilizzando un’antenna delle dimensioni del radiotelescopio di Arecibo (poco più di 300 metri di diametro), l’energia necessaria per l’alimentazione dell’apparecchio risulterebbe di un trilione di watt, comunque enorme, equivalente all’incirca all’intero consumo energetico di tutta l’umanità!

Entrambi i casi presuppongono uno sforzo decisamente, e di molto, superiore a ciò che noi potremmo fare ma, soprattutto nel secondo caso, è difficile immaginare perché una civiltà aliena possa aver scelto proprio il nostro sistema solare come destinazione di un segnale di tale natura. La nostra stella è molto lontana da HD164595 e gli ipotetici alieni non avrebbero ancora potuto ricevere alcun segnale radio (TV o radar) proveniente dal nostro sistema, da poter dar loro un indizio della nostra presenza.

La possibilità che quello rilevato sia realmente un segnale proveniente da una civiltà extraterrestre sembra pertanto piuttosto esigua e, per la verità, anche gli stessi scopritori sembrano piuttosto dubbiosi. Tuttavia, vista l’importanza dell’argomento, è giusto vagliare e controllare tutte le possibilità ragionevoli.

L’Allen Telescope Array è un radiotelescopio multiplo interferometrico situato in California, frutto di una collaborazione tra il SETI e l’Università di Berkeley. Dopo la rivelazione della notizia, l’ATA è stato puntato in direzione di HD 164595 dal 28 agosto 2016. La campagna di analisi condotta non ha però rilevato alcunché, anche se è stata coperta (al 30 agosto) tutta la gamma di frequenze osservata dagli astronomi russi. Non è stato osservato alcun segnale di potenza superiore ai 0,1 Jansky nella banda dei 100MHz e pertanto si può affermare che non vi è conferma del segnale rilevato dal RATAN-600.

Un fatto particolarmente degno di nota, che ha stupito la comunità scientifica in campo, è il ritardo nella comunicazione della scoperta del segnale. Secondo sia la pratica sia il protocollo scientifico, se un segnale sembra avere un’origine deliberata ed extraterrestre, una delle prime procedure da adottare è quella di informare gli altri ricercatori, per avere subito una conferma osservativa. Cosa che (essendo l’unico segnale rilevato nel maggio del 2015) in questo caso, non è stata fatta.

Eric Korpela, astrobiologo e astrofisico, scienziato del progetto seti@home, ha commentato la notizia sul forum del progetto stesso, spiegando tra l’altro i requisiti minimi perché un segnale possa essere preso in considerazione come candidato:

Deve essere persistente. Quindi apparire nello stesso punto del cielo in più osservazioni.

Deve provenire da un solo punto specifico.

Se ri-osservato il target, il segnale deve essere ancora lì.

Altre considerazioni che possono aggiungere credibilità alla scoperta sono:

• La frequenza/periodo/ritardo non corrispondono a frequenze di interferenze note.

• L’effetto Doppler indica una frequenza stabile all’interno del centro di massa del sistema solare a cui viene associato il segnale.

• Le sue proprietà (larghezza di banda, velocità, codifica) indicano un’origine intelligente.

«Sfortunatamente — sottolinea Korpela — il metodo di osservazione utilizzato dalla squadra russa non soddisfa molti di questi punti: il segnale non era persistente; non è stato ritrovato quando il bersaglio è stato nuovamente osservato; la frequenza, il periodo o il ritardo non sono stati determinati; lo spostamento Doppler è sconosciuto; molte fonti di interferenza, anche satellitare, sono presenti nella banda di osservazione».

In definitiva, qual è la conclusione che possiamo trarre? È plausibile che un società aliena stia effettivamente inviando un segnale verso di noi?

Possiamo chiudere con le parole stesse di Seth Shostak: «Naturalmente si, è possibile. Tuttavia, ci sono molte altre spiegazioni per l’origine di questo segnale, incluso che si tratti di interferenza di origine terrestre. Senza un’ulteriore conferma della sua esistenza, l’unica cosa che possiamo dire a riguardo è che… è “interessante”».


Leggi anche: SE L’UNIVERSO brulica di alieni… dove sono tutti quanti?

Ovvero, una selezione delle migliori congetture formulate per rispondere al famoso interrogativo di Enrico Fermi. Ecco di seguito quelle pubblicate fino ad ora:

non hanno avuto il tempo di raggiungerci,

non abbiamo ascoltato abbastanza a lungo,

non sono qui perché una civiltà tecnologica ha una vita molto breve,

le stelle sono lontane,

stanno inviando dei segnali, ma non sappiamo come ascoltare,

stiamo sbagliando la strategia di ricerca,

tutti ascoltano, e nessuno trasmette…

il segnale è già in mezzo ai dati,

stanno trasmettendo ma non riconosciamo il segnale



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All’improvviso passò l’asteroide 2016 QA2

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Animazione ottenuta da una serie di pose di 3 secondi dell’asteroide 2016 Q2A effettuate dal team del Gruppo Astrofili Montelupo guidato da Maura Tombelli
Animazione ottenuta da una serie di pose di 3 secondi dell’asteroide 2016 Q2A effettuate dal team del Gruppo Astrofili Montelupo guidato da Maura Tombelli

Non è il caso di dire che l’abbiamo scampata bella, ma una gocciolina di sudore freddo a imperlare la fronte ci può stare. Domenica 28 agosto 2016 l’asteroide denominato 2016 QA2 ha compiuto un passaggio in prossimità della Terra. Un passaggio che, nel momento del perigeo – cioè il punto più vicino al nostro pianeta – avvenuto alle 3:24 ora italiana, è stato molto ravvicinato, il più ravvicinato degli ultimi anni.

Scoperto solo poche ore prima dall’osservatorio amatoriale SONEAR in Brasile, 2016 QA2 è passato sopra le nostre teste a circa 88 mila km di distanza, che corrispondono approssimativamente ad appena un quinto della distanza Terra-Luna. Le dimensioni del nuovo vagabondo spaziale, dedotte dalla sola magnitudine assoluta, sono stimate tra i 18 e i 57 metri. Un diametro presumibilmente almeno doppio, per fare un paragone, rispetto al bolide da 15 metri che scompigliò la vita agli abitanti di Čeljabinsk nel 2013.

Tra i primi a confermare l’avvistamento di questo NEO (near-Earth object, come vengono definiti gli oggetti del Sistema solare la cui orbita può intersecare quella della Terra) anche gli appassionati del Gruppo Astrofili Montelupo, capitanati da Maura Tombelli, che Media INAF ha intervistato.

Allora Tombelli, ci racconti com’è andata…

«Nell’ambito del nostro programma osservativo sui NEA (near-Earth asteroids), consultando la pagina del Minor Planet Center dell’Unione astronomica internazionale sugli oggetti da confermare, abbiamo visto questo asteroide di magnitudine 14 che avremmo potuto osservare tranquillamente anche noi. Solo che era nell’emisfero sud, allora abbiamo attivato il telescopio remoto MPC Q62 a Siding Spring, in Australia, a cui abbiamo possibilità di accedere e con il quale, appunto, abbiamo confermato l’asteroide 2016 QA2. Sulla circolare di scoperta compaiono infatti le nostre misure».

Ma non è finita qui, vero?

«Sì, è stata una doppia sorpresa. Per coincidenza avevamo stabilito di fare proprio quella sera le prime osservazioni in astrometria dal nostro nuovo osservatorio di Montelupo, per potere ottenere il codice dal Minor Planet Center. Visto che tutto funzionava bene e visto che l’asteroide era diventato visibile anche da nord, l’abbiamo puntato, ottenendo una serie di immagini “da paura”, dalle quali stiamo ancora misurando le posizioni».

Crediti: Gruppo Astrofili Montelupo

Perché è importante questo asteroide?

«È importante perché è passato molto vicino. Era un sasso di qualche decina di metri che, se ci avesse preso, sarebbe stato non dico devastante, però dove cascava sicuramente faceva dei danni. Le misure effettuate serviranno per determinarne l’orbita precisa, per vedere se questo asteroide sarà pericoloso nel futuro».

Che cos’è l’astrometria?

«Fare astrometria vuol dire misurare la posizione assoluta in cielo all’ora esatta per determinare l’orbita degli asteroidi. Io, prima, principalmente scoprivo asteroidi, e mi piaceva perché, visto che all’epoca non lo faceva nessuno, mi sono ritrovata con un grosso numero di asteroidi scoperti. Gli asteroidi venivano scoperti su lastre fotografiche ottenute all’osservatorio di Asiago, poi con il mio telescopio da 30 cm da casa riuscivo a fare il follw-up di quasi tutti quelli che scoprivo».

Dov’è il vostro osservatorio?

«L’Osservatorio Astronomico “Beppe Forti” si trova in località Camaioni a Montelupo Fiorentino, a 7 km da Empoli, in provincia di Firenze. Lo stiamo completando; ora come ora, cerchiamo soldi per fare la cupola».

Leggi anche:

Sull’osservazione di asteroidi e sugli asteroidi pericolosi: Asteroid Day – La Maratona degli Asteroidi e il Club degli Asteroidi illustri su Coelum 203 di settembre 2016

Sul caso Čeljabinsk: Pioggia di meteoriti in pieno giorno sul cielo della Russia


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A CIELO NUDO… D’ARTISTA

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cielo nudoLa mostra “A cielo nudo. Gli astri con l’occhio d’artista” prende spunto dai corpi e dai fenomeni celesti visibili ad occhio nudo. A questi astri e a questi eventi si sono ispirati gli artisti che espongono le loro
opere nel secondo allestimento di “Arte e astronomia” organizzato dall’Osservatorio astronomico Serafino Zani (Lumezzane). La mostra è allestita all’Osservatorio fino al 17 settembre ed è aperta ogni sabato (escluso l’ultimo sabato del mese) dalle ore 21.
È possibile visionare la raccolta completa delle opere attraverso la proiezione power point dedicata all’intera esposizione disponibile sul sito www.tesorivicini.it.
Le opere sono disponibili anche per mostre in altre sedi. Gli enti interessati possono scrivere a:
osservatorio@serafinozani.it

Festival della mente 2/3/4 settembre 2016 a Sarzana (La Spezia)

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festival della mente

festival della mentePromosso dalla Fondazione Carispezia e dal Comune di Sarzana, il festival animerà il centro storico della cittadina ligure con una quarantina di incontri: scrittori, fotografi, scienziati, psicanalisti, psicologi, architetti, filosofi, storici e sociologi approfondiranno, attraverso un linguaggio accessibile a tutti, le tematiche della creatività e dei processi creativi, ricollegandosi tutti al
tema dello spazio, filo conduttore di questa edizione del festival.

Tra i numerosi eventi in programma segnaliamo:
02.09, ore 21:30: “La nascita dello Spazio (e del tempo)” con Guido Tonelli.
03.09, ore 16:45: “Dalle stelle alla vita: una, cento, mille Terre” con Giovanni Fabrizio Bignami.

Per il programma completo e la mappa delle location visitare il sito.
http://www.festivaldellamente.it/it/

Juno completa con successo il suo primo sorvolo operativo di Giove

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Jupiter's north polar region is coming into view as NASA's Juno spacecraft approaches the giant planet. This view of Jupiter was taken on August 27, when Juno was 437,000 miles (703,000 kilometers) away. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS
Le regioni del polo nord di Giove in vista di Juno, mentre si avvicina per il primo (di 36 programmati) flyby orbitale del 27 agosto. Questa immagine è stata presa proprio il 27, ma quando la sonda si trovava ancora a 703 mila chilometri dal pianeta. Nelle ore successive si avvicinerà fino a 4200 chilometri! Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS

La sonda americana Juno ha doppiato con successo il primo perigiovio operativo della sua missione. Alle 15:44 ora italiana del 27 agsoto, la sonda ha sorvolato Giove, calandosi fino a 4200 chilometri dalla sommità delle nubi e sfrecciando a 208 mila chilometri orari.

Mai la sonda si era avvicinata così tanto al pianeta — la manovra di inserimento orbitale del 5 luglio, infatti, era stata eseguita 460 chilometri più in alto — e mai si riporterà a distanze così ravvicinate nell’arco della sua missione primaria.

«I primi dati di telemetria indicano che tutto ha funzionato come previsto», spiega Rick Nybakken della NASA. Quello di ieri è stato il primo perigiovio di Juno a strumenti accesi; gli scienziati hanno così potuto ottenere un’anteprima del genere di misurazioni che Juno sarà in grado di realizzare una volta inaugurata la sua campagna scientifica vera e propria. La fase operativa di Juno inizierà con la manovra di riduzione del periodo orbitale, prevista per il 19 ottobre.

Da qui alla fine della missione, programmata per febbraio 2018, Juno eseguirà altri 35 sorvoli di Giove.

«Stiamo ottenendo dei primi dati molto interessanti proprio in questo momento», spiega Scott Bolton, a capo della missione. «Ci vorranno un po’ di giorni per scaricare tutti i dati raccolti durante il sorvolo e molti altri per comprendere ciò che Juno sta tentando di dirci. Siamo in un’orbita su cui nessuno è mai stato, e queste immagini ci daranno una prospettiva del tutto nuova su questo mondo gigante».

In attesa che arrivino le prime immagini dal sorvolo, la NASA ha pubblicato una foto del polo gioviano immortalato dal punto di vista inedito di Juno a 703 mila chilometri di quota.

Risorse online

Leggi anche Missione Juno. Nuovo incontro ravvicinato con Giove in vista su Coelum 203 di settembre.

Coelum 202 luglio agosto

A questo link potete trovare tutte le immagini raw che verranno rilasciate durante la missione

Il sito della missione

Volete scoprire di più su Juno e Giove?
Non perdetevi il nostro ampio speciale (con interviste agli scienziati della missione) su Coelum Astronomia.

Potete sfogliare la rivista, completamente gratuita e in formato digitale.


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Domani il primo perigiovio di Juno a strumenti accesi

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Nell'immagine, Giove visto da Junocam il 23 agosto da 4,4 milioni di chilometri di distanza. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS
Nell'immagine, Giove visto da Junocam il 23 agosto da 4,4 milioni di chilometri di distanza. Sulla sinistra l'immagine composita a colori in luce visibile, sulla destra quella ripresa in luce infrarossa, sensibile all'abbondanza di metano nell'atmosfera Gioviana (le parti più chiare sono quelle più alte nell'atmosfera, che subiscono di meno l'assorbimento di radiazione da parte del metano, come la Grande Macchia Rossa). Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS

La sonda americana Juno sta per tornare nelle immediate vicinanze di Giove. Alle 14:51 ora italiana di domani, la sonda si calerà fino a 4200 chilometri dalla sommità delle nubi gioviane, raggiungendo così il secondo perigiovio della sua missione, dopo quello della manovra di inserimento orbitale del 5 luglio. Stavolta, però, gli otto strumenti scientifici a bordo di Juno — più la fotocamera Junocam — saranno del tutto operativi, e potranno così raccogliere i loro primi dati in prossimità del gigante gassoso.

Doppiando il perigiovio della sua orbita, Juno viaggerà a una velocità relativa rispetto a Giove pari a 208 mila chilometri orari. Il piano di volo prevede oltre 35 perigiovi; quello di domani, tuttavia, sarà il più ravvicinato.

«Sarà la prima volta che saremo così vicini a Giove da quando siamo entrati in orbita il 4 luglio,» spiega Scott Bolton, a capo della missione. «In quell’occasione, tutti i nostri strumenti erano spenti per assicurare che il motore rallentasse Juno in un’orbita attorno a Giove. Da allora, abbiamo analizzato la sonda da cima a fondo più volte. Abbiamo ancora degli ultimi test da completare, ma siamo fiduciosi che tutto stia lavorando alla perfezione; per questo prossimo flyby, dunque, gli occhi e le orecchie di Juno saranno tutti aperti».

Il flyby consentirà agli scienziati di avere un assaggio delle indagini scientifiche che Juno svolgerà una volta inaugurata la sua campagna scientifica vera e propria. Juno si porterà sulla sua prima orbita scientifica il 19 ottobre, in seguito a una manovra di riduzione del periodo orbitale.

«Questa sarà la nostra prima opportunità per dare un’occhiata davvero ravvicinata al re del sistema solare e iniziare a capire come funzioni,» prosegue Bolton.
L’orbita attuale di Juno è molto ellittica, con un periodo di 53,5 giorni, un apogiovio di 8 029 000 chilometri e un’inclinazione di 89,8 gradi.

«Nessun’altra sonda ha mai orbitato intorno a Giove a distanze così ravvicinate, o sorvolato i poli,» spiega Steve Levin della NASA. «Questa sarà la nostra prima opportunità ed è inevitabile che troveremo delle sorprese. Avremo bisogno di un po’ di tempo per accertarci della validità delle nostre conclusioni.»

Risorse online

Leggi anche Missione Juno. Nuovo incontro ravvicinato con Giove in vista su Coelum 203 di settembre.

Coelum 202 luglio agosto

A questo link potete trovare tutte le immagini raw che verranno rilasciate durante la missione

Il sito della missione

Volete scoprire di più su Juno e Giove?
Non perdetevi il nostro ampio speciale (con interviste agli scienziati della missione) su Coelum Astronomia.

Potete sfogliare la rivista, completamente gratuita e in formato digitale.


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Venere raggiunge Giove nella congiunzione più interessante del mese

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Verso le 20:00 del 27 e 28 agosto, poco dopo il tramonto del Sole, Venere completerà la sua lunga rincorsa e raggiungerà Giove, avvicinandosi fino a una distanza osservabile di 12' il giorno 27 e di 49' il 28. A quell’ora, l’altezza dei due oggetti sull’orizzonte ovest sarà però soltanto di +8° e come al solito bisognerà sperare in condizioni meteo molto favorevoli. Come i lettori ricorderanno, lo scorso anno, il 30 giugno, si verificò una congiunzione simile, ma quella volta la separazione minima tra Giove e Venere si fermò a 22'.
Verso le 20:00 del 27 e 28 agosto, poco dopo il tramonto del Sole, Venere completerà la sua lunga rincorsa e raggiungerà Giove, avvicinandosi fino a una distanza osservabile di 12' il giorno 27 e di 49' il 28. A quell’ora, l’altezza dei due oggetti sull’orizzonte ovest sarà però soltanto di +8° e come al solito bisognerà sperare in condizioni meteo molto favorevoli. Come i lettori ricorderanno, lo scorso anno, il 30 giugno, si verificò una congiunzione simile, ma quella volta la separazione minima tra Giove e Venere si fermò a 22'.

Tra il 27 e 28 agosto, infatti, grazie al suo più veloce moto apparente Venere raggiungerà Giove, avvicinandosi il giorno 27 fino a una distanza osservabile di 12′ alle ore 20:00.
La luminosità dei due pianeti sarà molto buona, ma l’altezza sull’orizzonte ovest sarà soltanto di +8°, il che significa che l’osservazione potrà andare a buon fine (aiutandosi con un binocolo o anche con un telescopio) solo in condizioni di visibilità eccellenti. La sera dopo, sempre alla stessa ora, Venere sarà passato a est di Giove, superandolo di 49′.

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Un pianeta potenzialmente abitabile attorno a Proxima Centauri

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Usando il potente occhio robotico del telescopio cileno di La Silla (il telescopio ASH2 all’Osservatorio Celestial Explorations di San Pedro de Atacama in Cile e aiutati dalla rete di telescopi dell’Osservatorio di Las Cumbres), un gruppo di astronomi è riuscito a rilevare gli effetti gravitazionali dovuti alla presenza di un pianeta roccioso situato nella fascia abitabile attorno al sistema stellare di Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole.

Le analisi preliminari indicano che il pianeta, conosciuto come Proxima b, è caratterizzato da una massa minima di 1,09 – 1,45 masse terrestri (in media, 1,27), il che suggerisce che si tratti di un pianeta roccioso. Proxima b risulta inoltre situato nella fascia abitabile del proprio sistema, orbitando a una distanza media di 7 milioni di chilometri dalla stella (appena però 0,0485 unità astronomiche, quindi molto più vicino in realtà alla sua stella rispetto a quanto la Terra al Sole). La fascia abitabile di un sistema planetario è definita come l’intervallo di distanze a cui un pianeta si deve trovare dalla propria stella per avere temperature tali da rendere l’acqua liquida stabile sulla sua superficie.

La scoperta è stata consentita dal metodo delle velocità radiali, una delle tecniche di individuazione planetaria più usate negli ultimi decenni. La tecnica si basa sulla misurazione delle oscillazioni che una stella —lievemente strattonata di qua e di là dalla gravità di un pianeta in orbita — compie attorno al baricentro gravitazionale del proprio sistema.

Il metodo delle velocità radiali. Credits: Polluce Notizie

Non è del tutto esatto, infatti, dire che un pianeta orbita intorno a una stella: in realtà, entrambi i corpi orbitano attorno a un punto comune, il baricentro del sistema, il quale è spesso contenuto all’interno della stella stessa (essendo solitamente di massa molto più grande), pur non coincidendo con il suo centro fisico.

La curva di velocità radiale di Proxima Centauri. Credit: ESO/G. Anglada-Escudé

Questa oscillazione da parte dell’astro si traduce in continui cambiamenti nella frequenza delle sue radiazioni; tramite accurate analisi spettroscopiche, questi continui spostamenti — prima verso il blu, quando la stella si avvicina alla Terra, e poi verso il rosso, quando si allontana — possono essere usati per smascherare la presenza di un oggetto di massa planetaria in orbita attorno alla stella. Tali spostamenti spettrali sono dovuti al cosiddetto effetto Doppler. Nel caso di Proxima Centauri, l’oscillazione risulta di 1,4 metri al secondo (circa 5 chilometri orari), e si ripete periodicamente ogni 11,186 giorni — che coincide con il periodo orbitale di Proxima b.

Il metodo delle velocità radiali ha un’unica limitazione, di natura prettamente tecnologica. Rilevare le oscillazioni di una stella, infatti, è un’impresa assai ardua: le oscillazioni del nostro Sole dovute alla presenza gravitazionale della Terra, ad esempio, ammontano ad appena 9 centimetri al secondo (!). Non deve sorprendere, quindi, il fatto che molti dei pianeti individuati con questo metodo appartengono alla famiglia dei gioviani caldi, ovvero siano pianeti simili in massa a Giove ma su orbite paragonabili a quella di Mercurio. Nel caso di Proxima Centauri, la vicinanza della stella — appena 4,23 anni luce dalla Terra — ha contribuito enormemente alla capacità degli strumenti di rilevare un pianeta così leggero.

Le analisi non sono state ancora in grado di escludere la presenza di acqua liquida sulla sua superficie. Nel caso di una rotazione sincrona, tali bacini potrebbero trovarsi sul volto perennemente illuminato del pianeta; oppure, nel caso di una rotazione 3:2, attorno alle fasce tropicali.

"Terra gemella" è ancora presto a dirsi, le dimensioni in gioco nel sistema, che possono determinare formazione, evoluzione e stato del pianeta, sono nettamente diverse. In questa grafica vediamo paragonate le dimensioni del nostro Sole e alcuni suoi pianeti, e quella che dovrebbe essere la dimensione di Proxima b e del suo sole, Proxima Centauri.

Orbitando attorno a una stella particolarmente irrequieta, inoltre, è probabile che il clima di Proxima b sia molto diverso da quello della Terra.
Le abbondanti radiazioni elettromagnetiche che inondando costantemente il pianeta, soprattutto alle lunghezze d’onda dei raggi-X e dell’ultravioletto, potrebbero aver plasmato nel tempo un’atmosfera molto diversa da quella che avvolge la Terra, secondo i ricercatori. Attualmente, il pianeta riceve 60 volte più radiazioni della Terra; nell’arco della sua storia, potrebbe averne ricevute da 7 a 16 volte più del nostro pianeta.

E non è ancora chiaro il meccanismo che ha portato alla formazione del pianeta: i modelli, infatti, prevedono che i dischi protoplanetari attorno a una stella come Proxima Centauri contengano meno di una massa terrestre di materiale nel raggio di un’unità astronomica dalla stella. Gli scienziati sospettano che il pianeta si sia formato a distanze maggiori e che si sia poi spostato verso Proxima Centauri, oppure che a migrare siano stati gli stessi embrioni planetari o planetesimi, che poi si sarebbero aggregati a formare il pianeta.

Proxima Centauri appartiene a un sistema stellare triplo, assieme alla coppia di Alpha Centauri. La stella si trova a 0,24 anni luce dalle due compagne, e i suoi legami gravitazionali all’interno del sistema non sono ancora del tutto chiari. Nel 2012, l’ESO aveva annunciato la scoperta di un pianeta attorno a Proxima Centauri B, anche in quell’occasione in seguito ad analisi delle velocità radiali. Nel 2015, altri ricercatori avevano dimostrato che, rimuovendo l’attività stellare dai dati, il già debole segnale del pianeta scompariva quasi del tutto, indicando che molti altri scenari dinamici avrebbero potuto ricreare le condizioni osservate dagli scienziati tre anni prima.

Come sempre, saranno necessari ulteriori osservazioni per aggiungere dettagli al quadro ancora incompleto di Proxima b. Osservare il pianeta con altri metodi — quello dei transiti, ad esempio — rivelerebbe le sue dimensioni, che, unite alla massa che già conosciamo, permetterebbero agli astronomi di verificare la composizione del pianeta. Purtroppo, l’inclinazione del piano orbitale di Proxima b non è ancora stata determinata (infatti il limite di 1,3 masse terrestri è un valore minimo), quindi non è chiaro se sia possibile o meno osservare un suo transito dal punto di vista di noi terrestri.

Il pianeta dista soli 39 milliarcosecondi dalla propria stella, ma essendo proprio “dietro l’angolo” i grandi telescopi del futuro (il terrestre E-ELT e gli spaziali James Webb e WFIRST, tra i molti) potrebbero avere la risoluzione angolare necessaria a scovarlo nell’accecante bagliore della propria stella. Eventuali studi spettrali dell’atmosfera, poi, ci aiuterebbero a stabilire la sua reale abitabilità.

L’unica cosa certa, a questo punto, è che Proxima b sarà uno dei protagonisti assoluti della ricerca astronomica nei prossimi anni.

Risorse online

Il sito del progetto “Pale Red Dot” e la sua pagina facebook

Lo studio “A terrestrial planet candidate in a temperate orbit around Proxima Centauri”, di G. Anglada-Escudé et al., pubblicato dalla rivista Nature il 25 agosto 2016 (qui il PDF)

Il comunicato stampa dell’ESO

Guarda il servizio video su INAF-TV:



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ASTROINIZIATIVE UAI

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI

In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA.
Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi

telescopioremoto.uai.it

I convegni e le iniziative dell’UAI
7 – 9 ottobre IX Meeting Nazionale Variabilità e Pianeti Extrasolari Organizzato dalla SdR Pianeti Extrasolari e Stelle Variabili UAI, in occasione del 24° Convegno Nazionale del GAD (sede da definire).
http://pianetiextrasolari.uai.it
http://stellevariabili.uai.it

Le campagne nazionali UAI
8 ottobre Moonwatch Party: La notte della Luna INAF – UAI In occasione della International Observe the Moon Night (InOMN), migliaia di postazioni osservative in decine di paesi di tutto il mondo allestite per osservare la Luna nella stessa serata: anche in Italia!
http://divulgazione.uai.it
http://www.media.inaf.it
http://observethemoonnight.org

Di nuovo Saturno, Marte e la rossa Antares… ma senza Luna

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Una configurazione celeste simile alla precedente del 20 agosto si verificherà nello Scorpione verso le 22:00 del 24 agosto, quando Saturno e Marte formeranno un perfetto allineamento con Antares.

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Congiunzione Venere, Giove e Mercurio

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Il 20 agosto a partire dalle 20:15, sull’orizzonte ovest si potrà assistere a una suggestiva congiunzione a tre fra Venere, Giove e Mercurio. Anche in questo caso, vista l’altezza media di circa +8°, varrà la regola dell’aiuto binoculare e della necessità di un orizzonte molto limpido.
Il 20 agosto a partire dalle 20:15, sull’orizzonte ovest si potrà assistere a una suggestiva congiunzione a tre fra Venere, Giove e Mercurio. Anche in questo caso, vista l’altezza media di circa +8°, varrà la regola dell’aiuto binoculare e della necessità di un orizzonte molto limpido. Le immagini sono liberamente utilizzabili in licenza CC BY-NC-ND. Crediti: Coelum Astronomia

La sera del 20 agosto, verso le 20:15 (ma anche prima, a seconda delle condizioni atmosferiche), sull’orizzonte ovest si materializzerà nel cielo ancora chiaro del crepuscolo un triangolo di oggetti formato da Venere (mag. –3,8), Giove (–1,7) e Mercurio (+0,3).

A quell’ora, l’altezza media del triangolo sull’orizzonte sarà di circa +8°, mentre i singoli oggetti disteranno tra loro circa 5°. Sarà probabilmente necessario aiutarsi con un binocolo, specialmente per riuscire a trovare Mercurio, il più basso e il più debole dei tre pianeti.

Perché non provare ad applicare la tecnica suggerita da Giorgia Hofer seguendo i pianeti nei giorni prima e/o dopo quello indicato? Aspettiamo le vostre immagini migliori su www.coelum.com/photo-coelum

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30 settembre 2016 – Notte europea dei Ricercatori

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frascati-notte-europea

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Ma cos’è la Notte Europea dei Ricercatori?
L’evento nasce nel 2005 per volere della Commissione Europea nell’ambito delle Marie Skłodowska-Curie Actions, un programma della UE con l’obiettivo di promuovere le carriere dei ricercatori in Europa.
La manifestazione ha il grande compito di diminuire la distanza che c’è tra il ricercatore e il largo pubblico. Durante la manifestazione il ricercatore viene messo al centro di tutto: non più un “nerd” quindi ma un giovane appassionato del suo lavoro che svolge un ruolo fondamentale per la società. Una festa del ricercatore, con una serie di eventi e spettacoli dedicati alla divulgazione scientifica volti a imparare divertendosi. Una grande opportunità per giovani e meno giovani di incontrare chi della ricerca ha fatto il proprio lavoro, parlare con loro e riscoprire cosa fanno realmente per la società in modo interattivo e appassionante. Il tutto avviene tramite esperimenti pratici, spettacoli scientifici, attività di apprendimento per bambini, visite guidate dei laboratori di ricerca, quiz su argomenti scientifici e
altro ancora…

Leggi l’articolo completo!

Allineamento Luna, Saturno e Marte

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Verso le 21:45 dell’11 e del 12 agosto la Luna passerà a nord dello Scorpione, avvicinando Marte e Saturno fino a formare, la sera del 12, un perfetto allineamento a tre. Le immagini sono liberamente utilizzabili in licenza CC BY-NC-ND. Crediti: Coelum Astronomia
Verso le 21:45 dell’11 e del 12 agosto la Luna passerà a nord dello Scorpione, avvicinando Marte e Saturno fino a formare, la sera del 12, un perfetto allineamento a tre. Le immagini sono liberamente utilizzabili in licenza CC BY-NC-ND. Crediti: Coelum Astronomia

Verso le 21:45 dell’11 e 12 agosto, sull’orizzonte sud-sudovest sarà possibile seguire il lento attraversamento della parte nord dello Scorpione da parte del Primo quarto di Luna.

Il nostro satellite avrà in questo modo l’occasione di riavvicinare il lento Saturno e il più veloce Marte, appena rientrato dall’escursione verso la Libra, con i quali la sera del 12 andrà a formare un suggestivo
e luminoso allineamento.

Perché non provare ad applicare la tecnica suggerita da Giorgia Hofer nella sua rubrica “Uno scatto al mese” su Coelum 202?

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Stazione Spaziale, i più spettacolari transiti del periodo

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Una notte di fine Maggio, dove la Luna piena illuminava splendidamente tutta la scena (qui catturata in versione semi-hdr) insieme a Marte e Saturno... e al transito della Stazione Spaziale Internazionale più elevato che abbia visto da quelle latitudini! Il tutto sul coloratissimo porto di Stornoway, che non manca mai di affascinare, non importa quante volte lo si guardi. Splendida vista dal Castello di Lews, che sovrasta la zona". Giuseppe M. R. Petricca
Una notte di fine Maggio, dove la Luna piena illuminava splendidamente tutta la scena (qui catturata in versione semi-hdr) insieme a Marte, Saturno... e al transito della Stazione Spaziale Internazionale più elevato che abbia visto da quelle latitudini! Il tutto sul coloratissimo porto di Stornoway, che non manca mai di affascinare, non importa quante volte lo si guardi. Splendida vista dal Castello di Lews, che sovrasta la zona. Crediti: Giuseppe M. R. Petricca - Astronomia Pratica

La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli a orari serali, quindi senza l’obbligo della sveglia al mattino prima dell’alba.  Per il mese di agosto avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando in cieli sereni durante il termine della stagione estiva.

Si inizierà il giorno 8 agosto, dalle 22:41 alle 22:46, osservando da NO a N. La ISS sarà ben visibile dal Nord Est del paese e il transito sarà parziale, con la Stazione Spaziale che entrerà nell’ombra terrestre a circa metà del transito stesso. La magnitudine massima si attesterà su un valore di -2,5, quindi il transito sarà individuabile senza alcun problema.

Saltando di tre giorni, all’ 11 agosto, dalle 21:38 verso NO alle 21:44 verso E. Si tratta del primo transito del mese perfettamente osservabile da ogni parte d’Italia, in quanto la penisola verrà quasi divisa in due dalla traccia del percorso della Stazione Spaziale. Magnitudine massima a -3,0.

Passiamo al giorno 13 agosto, dalle 21:28 in direzione ONO alle 21:35 in direzione SE. Questo sarà un transito ottimamente osservabile dalle regioni occidentali dell’Italia, con una magnitudine massima di -3,3. Sperando come sempre in cieli sereni.

Il 14 agosto ancora un transito ottimale, osservabile da tutta la nostra nazione. La ISS transiterà nei nostri cieli dalle 20:35 alle 20:44, osservando da NO a ESE. La magnitudine massima sarà di -3,1, il che la renderà facilmente rintracciabile anche a chi la osserverà per la prima volta.

Giorno Ora Inizio Direzione Ora Fine Direzione Magnitudine
8 22:41 NO 22:46 N -2.5
11 21:38 NO 21:44 E -3.0
13 21:28 ONO 21:35 SE -3.3
14 20:35 NO 20:44 ESE -3.1
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite a un punto centrato sulla penisola, nel Centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
Per l’orario preciso dalla vostra località, e per tutti gli altri transiti del mese  http://goo.gl/cJptKi
(Impostare in alto a destra la località su “riferimento”).

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Allineamento Venere, Mercurio, Luna e Giove

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Verso le 20:45 del 4 e del 5 agosto, chi avrà la fortuna di avere un orizzonte sgombro e libero verso ovest, potrà assistere a una notevolissima congiunzione tra Venere, Mercurio (mag. –0,7), Luna e Giove (–1,5). Pianeti e Luna appariranno allineati e raccolti in un settore di circa 40°. Notevole alle 20:30 del 5 la congiunzione tra Venere e Regolo, simile ma più larga (1° di separazione) a quella con Mercurio del 30 luglio.
Verso le 20:45 del 4 e del 5 agosto, chi avrà la fortuna di avere un orizzonte sgombro e libero verso ovest, potrà assistere a una notevolissima congiunzione tra Venere, Mercurio (mag. –0,7), Luna e Giove (–1,5). Pianeti e Luna appariranno allineati e raccolti in un settore di circa 40°. Notevole alle 20:30 del 5 la congiunzione tra Venere e Regolo, simile ma più larga (1° di separazione) a quella con Mercurio del 30 luglio. Crediti: Coelum Astronomia CC BY-NC-ND

Verso le 20:45 del 4 agosto, altro spettacolare raggruppamento planetario sull’orizzonte ovest, purtroppo anche questo disturbato dalla luce del crepuscolo serale. Comunque sia, con l’aiuto di un po’ di sereno si dovrebbe riuscire a scorgere Venere (mag. –3,8), Mercurio (mag. – 0,1), Luna e Giove (–1,7), tutti allineati come su una corda da bucato lunga una quarantina di gradi…

Con la Luna che la sera dopo scavalcherà Mercurio avvicinandosi a Giove, e con Venere che sempre il 5 si metterà nella stessa posizione che il 30 luglio Mercurio aveva rispetto a Regolo!

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Nuove foto di Venere per il primo “anno venusiano” in orbita della sonda Akatsuki

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© ISAS / JAXA

Il 19 luglio scorso la sonda giapponese Akatsuki ha celebrato il suo primo anno venusiano, trascorso in orbita intorno a Venere. La sonda aveva completato un drammatico e insperato inserimento orbitale il 7 dicembre dello scorso anno; dopo cinque mesi trascorsi a modificare la propria orbita, ad aprile di quest’anno la missione ha inaugurato la sua campagna scientifica. Per celebrare questo primo “compleanno” di Akatsuki, l’agenzia spaziale giapponese, la JAXA, ha rilasciato una serie di immagini scattate di recente dalla sonda.

Il primo scatto è opera della fotocamera a ultravioletti UVI. L’immagine è stata scattata a una lunghezza d’onda di 283 nanometri il 25 Aprile 2016, da una quota di 108 mila chilometri. Le osservazioni in questa regione dello spettro elettromagnetico permettono agli astronomi di mappare la distribuzione dell’anidride solforosa, uno dei precursori dell’acido solforico che popola le nubi venusiane.
La seconda immagine è sempre opera della fotocamera UVI, ma è centrata a una lunghezza d’onda di 365 nm ed è stata scattata il 7 Maggio. Questa lunghezza d’onda non corrisponde a particolari righe spettrali d’assorbimento di sostanze chimiche; tuttavia, il suo elevato contrasto naturale consente uno studio più approfondito della struttura e delle dinamiche atmosferiche. Al momento dello scatto, Akatsuki si trovava a 80 mila chilometri dalla superficie venusiana.
La terza fotografia porta la firma della fotocamera IR1 ed è stata ripresa a 1.01 micrometri di lunghezza d’onda, ovvero ai confini spettrali dell’infrarosso e in pieno vicino infrarosso. Operando in questa regione spettrale, IR1 è in grado di raccogliere le radiazioni di natura termica provenienti dal suolo venusiano – ad esempio, da rocce e vulcani. La regione scura corrisponde ad Aphrodite Terra, un vasto altopiano situato in prossimità dell’equatore venusiano. L’immagine è stata scattata il 21 Gennaio da 38 mila chilometri di distanza.
Il quarto scatto ritrae l’emisfero illuminato di Venere, visto da IR1 a 0.9 micrometri di lunghezza d’onda il 7 Maggio. Aumentando il contrasto, è possibile osservare la struttura atmosferica vari chilometri al di sotto della sommità delle nubi più in quota. L’immagine è stata scattata da una distanza di 65 mila chilometri.
Quest’altro scatto è invece opera della fotocamera IR2 e ritrae la metà di Venere immersa nella notte, immortalata a 2.26 micrometri di lunghezza d’onda. L’immagine, scattata a 76 mila chilometri di quota, mostra le radiazioni termiche provenienti dagli strati atmosferici in prossimità della superficie.
Protagonista della sesta foto è, ancora una volta, l’emisfero illuminato di Venere, visto da IR2 a 2.02 micrometri di lunghezza d’onda il 7 Maggio. L’immagine mostra la distribuzione dell’anidride carbonica, il principale gas che popola l’atmosfera venusiana. Come si può notare, le nubi in prossimità delle regioni polari sono particolarmente basse in termini di altitudine, risultando scure in questa foto. Al momento dello scatto, Akatsuki si trovava a 81 mila chilometri da Venere.
Il settimo e ultimo scatto è opera della fotocamera LIR, che ha immortalato Venere il 15 Aprile a 10 micrometri di lunghezza d’onda, ovvero a cavallo tra il medio e il lontano infrarosso. L’immagine rivela la temperatura della sommità delle nubi; al di sopra del polo meridionale, le temperature risultano molto più elevate che altrove.

Passa l’estate con Coelum
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La notte delle stelle cadenti – Perseidi 2016

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C’è però anche una previsione di Jeremie Vaubaillon che parla di un massimo possibile nelle primissime ore del 12 agosto (dalle due alle sei del mattino, ora estiva italiana), quando il radiante sarà dunque ben alto nel nostro cielo: +42° alle 2:00 e +72° alle 6:00, quando il cielo comincerà

Se il massimo previsto è per il 12 agosto dalle 10:00 alle 24:00, c’è però anche una previsione di Jeremie Vaubaillon che parla di un massimo possibile nelle primissime ore del 12 agosto (dalle due alle sei del mattino, ora estiva italiana), quando il radiante sarà dunque ben alto nel nostro cielo: +42° alle 2:00 e +72° alle 6:00, quando il cielo comincerà tuttavia a schiarire. Nell'immagine la cartina del radiante alle 2:00 del 12 agosto. L'immagine è liberamente utilizzabile con licenza CC BY-NC-ND indicando link all'articolo e crediti: Coelum Astronomia

“San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla…”
Giovanni Pascoli

E siamo di nuovo in piena estate, il periodo dell’anno in cui giornali e televisioni, insieme alle altre cose di stagione, tornano ad annunciare l’arrivo delle “Lacrime di San Lorenzo”.

Prima le cattive notizie: quest’anno l’osservazione dello sciame meteorico delle Perseidi potrebbe essere un po’ disturbata dalla presenza di un quarto di Luna crescente, che tuttavia tramonterà prima dell’una di notte del 12 agosto, dalla parte opposta del cielo in cui si starà alzando il radiante del Perseo. Quindi, poco male!

L’attività massima dello sciame meteorico delle Perseidi è prevista per il periodo compreso tra le 10:00 e le 24:00 del 12 agosto (ora italiana estiva). Ma una previsione di Jeremie Vaubaillon parla di un massimo possibile nelle primissime ore del 12 agosto (dalle due alle sei del mattino, ora estiva italiana), quando il radiante sarà dunque ben alto nel nostro cielo: +42° alle 2:00 e +72° alle 6:00, quando il cielo comincerà tuttavia a schiarire, noi abbiamo scelto di mostrarvi il cielo (nella cartina in alto) per le 2:00 della notte tra l’11 e il 12 agosto.

Secondo i calcoli degli esperti russi Mikhail Maslov e Esko Lyytinen ci si può aspettare una attività fino a uno ZHR (Zenithal Hourly Rate) di 180.

Quest’anno Coelum ha dedicato a questo tradizionale appuntamento estivo uno Speciale di ben 20 pagine a partire da pag. 58. Leggilo gratuitamente su Coelum 202! Qui sotto il sommario:

Speciale Perseidi 2016

Dopo 2000 anni… ancora le Perseidi di Remondino Chavez

    • Le Perseidi nel 2016 – dettagli osservativi
    • Ma esattamente cosa si intende per meteora?
    • Un po’ di storia
    • Cielo inquinato? Ci salvano i bolidi!

Ci vediamo tra un anno un racconto breve di Ugo Ercolani

Come riprendere le Perseidi con uno smartphone! di Sebina Pulvirenti

Leggilo gratuitamente e su qualsiasi dispositivo, anche direttamente qui sotto! E non perdere i contenuti extra che si illuminano al passaggio del mouse!


Notte Europea dei Ricercatori: per l’evento di lancio la “Casa della Scienza”

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In Italia il progetto coordinato da Frascati Scienza vede impegnate 23 città italiane con oltre 200 eventi tra spettacoli, workshop e laboratori Con la Settimana della scienza dal 24 al 30 settembre attività per adulti e bambini tutti all’insegna del ‘Made in Science’, la filiera della conoscenza

Per i prossimi due anni Frascati Scienza sarà nuovamente capofila di una rete di ricercatori, università e istituti di ricerca che si estendono dal nord al sud dell’Italia nel promuovere il più importante appuntamento europeo di comunicazione scientifica, un evento che in tutta Europa coinvolgerà oltre 300 città europee.

Le prossime due edizioni, a cura di Frascati Scienza previste a settembre 2016 e 2017, saranno all’insegna del MADE IN SCIENCE, per una scienza vista come vera e propria “filiera della conoscenza”, capace di produrre e distinguersi per eccellenza, qualità, creatività, affidabilità, transnazionalità, competenze e responsabilità. MADE IN SCIENCE sarà il marchio che distingue la qualità, l’eccellenza e l’importanza della ricerca italiana e il filo conduttore degli appuntamenti in programma.
Leggi l'articolo (è gratuito!) dedicato all'evento su Coelum 202 di Luglio e Agosto a pag. 170: la storia, l'evoluzione e le novità di quest'anno!

Centinaia gli eventi in Italia, 23 le città italiane coinvolte, e in Europa tutti dedicati alla scienza e all’importanza della figura del ricercatore. In particolare, l’area Tuscolana, dove si trovano le infrastrutture di ricerca fra le più importanti d’Italia ed Europa, sarà l’epicentro dell’evento che coinvolge molte altre città italiane.

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Indice dei contenuti

La Casa della Scienza

Frascati Scienza il 24 settembre, in occasione dell’evento lancio della Notte Europea dei Ricercatori 2016, guiderà il pubblico in un viaggio attraverso una “Casa della Scienza” che sarà allestita a Roma con il contributo della Regione Lazio.

Saranno realizzati spazi che riproducono cucina, camera, soffitta e giardino per promuovere varie attività scientifiche aperte a tutti. I partecipanti, dopo essere stati accolti all’ingresso, potranno visitare la casa attraverso un percorso che li guiderà in cucina per conoscere le “ricette di chimica”, in cameretta per scoprire la fisica dei giocattoli, fino a salire in soffitta per osservare con il telescopio la stella che scalda il nostro pianeta, per riscendere infine in giardino e conoscere da vicino i segreti della biologia.

All’interno di ciascuna stanza le persone vivranno delle brevi esperienze scientifiche che permetteranno loro di guardare con occhi nuovi quello che accade ogni giorno nelle nostre case.

L’idea della casa guiderà tutte le attività che caratterizzeranno la settimana della scienza e la Notte Europea dei Ricercatori: ogni giorno della settimana, dal 26 al 29 settembre sarà, infatti, dedicato a una delle 4 stanze e sarà caratterizzato da attività, laboratori e spettacoli a tema.

Infine, il 30 settembre la casa della scienza verrà ricostruita a Frascati all’interno delle Mura del Valadier e le stanze saranno ampliate così da ospitare un maggior numero di attività e consentire ai visitatori di vivere un numero maggiore di esperienze.

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W W W . F R A S C A T I S C I E N Z A . I T

Tutti gli eventi rientrano nella azione Marie Sklodowska-Curie del programma Horizon 2020. In Italia oltre al progetto coordinato da Frascati Scienza sono cinque i progetti vincitori del finanziamento europeo: Sharper, Luna 2016, Closer, Bright e Society.
La Notte Europea dei Ricercatori è un progetto promosso dalla Commissione Europea. Il progetto coordinato da Frascati Scienza è realizzato in collaborazione con Regione Lazio, il Comune di Frascati, ASI, CNR, ENEA, ESA-ESRIN, INAF, INFN, INGV, ISS, CINECA, GARR, ISPRA, CREA, Sardegna Ricerche, con Sapienza Università di Roma, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e Università degli Studi Roma Tre, Università LUMSA di Roma e Palermo, Università di Cagliari, Università di Cassino, Università di Parma, Università di Sassari, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. L’evento vede la partecipazione di G.Eco, Associazione Tuscolana di Astronomia (ATA), Accatagliato, Associazione Arte e Scienza, Gruppo Astrofili Monti Lepini (Osservatorio di Gorga), Associazione Culturale Chi Sarà di Scena, RES Castelli Romani, Associazione Eta Carinae, Associazione Tuscolana Amici di Frascati, Astronomitaly – La Rete del Turismo Astronomico, Explora il Museo dei Bambini di Roma, L.U.D.I.S, Museo Tuscolano delle Scuderie Aldobrandini, Native, Sotacarbo, STS Multiservizi, Science4Biz, Dinosauri in Carne e Ossa.

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La Grande Macchia Rossa è una massiccia sorgente termica

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Un'impressione artistica del meccanismo di riscaldamento della Grande Macchia Rossa, che spiegherebbe la presenza di temperature così elevate nell'alta atmosfera di Giove nonostante la distanza dal Sole. Credits: Art by Karen Teramura, UH IfA with James O’Donoghue and Luke Moore

Qui sulla Terra, le radiazioni solari riscaldano l’atmosfera fino a quote molto elevate — perfino all’altitudine della Stazione Spaziale Internazionale, dove l’atmosfera si estende a formare una propaggine nota come esosfera. Il profilo termico che caratterizza gli strati esterni dell’atmosfera gioviana è straordinariamente simile a quello terrestre, nonostante il gigante gassoso sia cinque volte più lontano dal Sole. Da decenni gli astronomi hanno cercato senza successo di ricostruire i meccanismi che riscaldano l’atmosfera gioviana fino a temperature così elevate come quelle rilevate.

Analizzando i dati raccolti dal telescopio a infrarossi IRTF della NASA a Mauna Kea, nelle Hawaii, gli astronomi hanno misurato la temperatura a centinaia di chilometri dalla sommità delle nubi gioviane, riscontrando picchi di calore in corrispondenza della Grande Macchia Rossa. Le osservazioni sono state eseguite il 4 dicembre 2012 in una finestra di nove ore.

«Già da subito potevamo vedere che le temperature massime ad alta quota erano al di sopra della Grande Macchia Rossa, una strana coincidenza o un grande indizio?» commenta James O’Donoghue della Boston University e primo autore dell’articolo pubblicato su Nature.

A smascherare il punto caldo sono state le osservazioni dello ione idrogenonio, H3+. Misurando il flusso di radiazioni alle linee d’emissione dello ione, gli scienziati hanno potuto ottenere un profilo termico quasi globale a 600-1000 km dal livello di pressione atmosferica terrestre (1 bar). I dati mostrano che la temperatura 800 km al di sopra della Grande Macchia Rossa è pari a 1330 gradi centigradi.

L’immagine, ottenuta con l'Infrared Telescope Facility della NASA sul Mauna Kea (Hawaii), ci mostra le aurore ai poli mentre nella zona centrale il contrasto è stato aumentato per migliorare la visibilità. Al centro dell'immagine, la linea scura indica la posizione della fessura dello spettrometro utilizzato, allineato all’asse di rotazione del pianeta. Crediti: J. O’Donoghue, NASA/Infrared Telescope Facility (IRTF)

Sono state seguite varie ipotesi per spiegare la natura di questo punto caldo. Una delle più promettenti era quella del trasferimento di energia dalle calde regioni aurorali; tuttavia, la rapida rotazione di Giove sul proprio asse (meno di dieci ore) genera delle forze di Coriolis abbastanza intense da intrappolare l’energia aurorale alle latitudini più elevate. Qui, le aurore forniscono 200 GW di potenza per emisfero, riscaldando le temperature dello spazio vicino fino a 730-1130 gradi centigradi.

I ricercatori si sono quindi concentrati sulla turbolenza generata dai venti all’interno della Grande Macchia Rossa. Secondo la ricostruzione operata dal gruppo, la Grande Macchia Rossa produrrebbe due famiglie di onde energetiche: le onde di gravità, paragonabili al movimento delle corde di una chitarra dopo essere state pizzicate, e le onde acustiche, prodotte dalla compressione di masse d’aria. Le collisioni di queste onde produrrebbero abbastanza calore da riscaldare l’atmosfera superiore.

Questo scenario è in accordo con le osservazioni di IRTF. Gli astronomi, infatti, hanno osservato un picco termico nelle regioni settentrionali della Grande Macchia Rossa, proprio dove i venti sono più rapidi. Visto lo spostamento di masse d’aria a ben 270 chilometri orari, la turbolenza generata è massima, e l’energia trasportata verticalmente in forma di calore risulta maggiore che nelle altre regioni della tempesta.

«Le temperature estremamente elevate osservate al di sopra della tempesta sono la prova inconfutabile di questo trasferimento di energia,» prosegue O’Donoghue. «Questa scoperta conferma che il riscaldamento su scala globale è una spiegazione plausibile per la ‘crisi energetica’, ovvero il problema per cui le temperature dell’atmosfera superiore risultano centinaia di gradi più elevate di quanto previsto modellando solo la luce solare».

Un processo simile è all’opera al di sopra delle Ande, e  c’è il sospetto che possa avere un ruolo di primo piano anche in altri ambienti del Sistema Solare, in particolare oltre la fascia asteroidale che cinge l’orbita marziana.

A inizio mese, la sonda americana Juno ha iniziato la sua missione di 20 mesi in orbita attorno al gigante gassoso, completando una drammatica manovra di inserimento orbitale. Nelle prossime settimane, Juno inizierà la sua campagna scientifica, e a Ottobre si porterà sulla sua prima orbita operativa. Uno dei suoi obiettivi principali sarà proprio quello di far luce sulle dinamiche atmosferiche.

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Accademia delle Stelle

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Coelum AdS Luglio

L’Accedemia delle Stelle, scuola di astronomia e gruppo astrofili di Roma, organizza due STARPARTY – VACANZE ASTRONOMICHE in località Passignano sul Trasimento (PG) e Piancastagnaio (Monte Amiata, SI):

giovedi 28 – domenica 31 luglio
mercoledì 3 – domenica 7 agosto

Soggiorni a partire da 2 notti.

A seconda dell’offerta (vedere qui):
– Piazzola dedicata per i telescopi (è possibile lasciarli montati per tutto il tempo della permanenza),
– piscina,
– terme gratuite nelle vicinanze,
– eccellente cucina tipica.

Ogni notte:
– guida al cielo e assistenza ai neofiti

Ogni giorno:
– conferenza di astronomia,

Pensione completa, bevande incluse a partire da 62 €.

Per informazioni: www.accademiadellestelle.org/vacanze-astronomiche-in-toscana/

Una notte per Saturno a Villa Guglielmi (RM)

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Serata astronomica dedicata a Saturno

Villa Guglielmi ore 20.15 – Via di Villa Guglielmi – Fiumicino (RM)
Inizio ore 20:15. Ingresso libero.

Clicca sulla locandina per ingrandire.

Nel contesto della manifestazione Fiumicino Estate, si terrà una serata dedicata all’astronomia e in particolare a Saturno.

Dopo la conferenza sul “Signore Degli Anelli” (Sala Conferenze di Villa Guglielmi) quattro telescopi saranno puntati al cielo per dare la possibilità alle persone di ammirare il pianeta e altre meraviglie dell’Universo, il tutto a cura di Giuseppe Conzo in collaborazione con Alessandro Vittorini, Gabriele Spaziani e Sante Ferretti.

Info: giuconzo@gmail.com

Iscriviti e invita gli amici all’evento su Facebook cliccando qui!

Le osservazioni si terranno nello spazio antistante la Villa. L’ingresso pedonale è dal parcheggio di Villa Guglielmi, ultimo cancello. Qui la mappa con tutte le indicazioni.

Evento appartenente al programma #FiumicinoEstate organizzato dal Comune di Fiumicino.
Media sponsor Frascati Scienza e COELUM Astronomia

Rosetta atterrerà nella regione Ma’at sulla cometa 67P

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Gli ingegneri dell’Agenzia Spaziale Europea hanno selezionato la regione Ma’at, sul nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, come teatro dell’impatto controllato che porrà fine alla straordinaria missione della sonda Rosetta.

La sonda si appoggerà sulla superficie della cometa alle 12:30 ora italiana del 30 settembre. La scelta del sito di atterraggio è ricaduta su Ma’at a causa dell’elevato potenziale scientifico dei numerosi punti attivi che popolano questa regione. Ma’at è situata sul lobo minore di 67P.

Rosetta ha trascorso più di dodici anni nello spazio profondo, di cui due nei paraggi di una cometa attiva. Inoltre, dopo aver doppiato il perielio della sua orbita un anno fa, la cometa 67P sta ora risalendo verso l’altezza dell’orbita di Giove, allontanandosi sempre di più dal Sole. Entro fine anno, i pannelli solari di Rosetta non saranno più in grado di generare abbastanza energia da alimentare tutti i sistemi di bordo.

A partire dal 2011, Rosetta era stata in ibernazione per ben 31 mesi. Tuttavia, non si era mai avventurata fino a distanze dal Sole simili a quelle dell’afelio di 67P — circa 850 milioni di chilometri. A distanze così grandi, gli scienziati temono che nemmeno in fase di ibernazione la sonda possa mantenere la sua temperatura interna abbastanza elevata da sopravvivere. Da qui, la decisione di terminare la missione entro la fine di quest’anno. Lo scenario del finale di missione era già stato proposto nel 2014.

Durante gli ultimi attimi della sua drammatica discesa, Rosetta sarà in grado di ottenere dati mai raccolti prima. Le comunicazioni con la sonda termineranno non appena essa toccherà il suolo della cometa.
La discesa della sonda verso il nucleo inizierà circa 12 ore prima dell’impatto, quando Rosetta eseguirà un’ultima manovra a 20 km di quota. L’impatto avverrà a una velocità di circa 50 centimetri al secondo, pari alla metà di quella di Philae.

L’ordine cosmico attende Rosetta
(fonte: ASI TV – WEB TV dell’Agenzia Spaziale Italiana)

Leggi lo speciale Rosetta sul Coelum 204 di ottobre 2016!
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Ai limiti dell’osservazione la congiunzione Mercurio e Regolo… con Venere al contorno.

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La sera del 30 luglio, verso le 21:00, ci sarà la possibilità di mettere alla prova la propria abilità tentando l’osservazione della congiunzione stretta tra Mercurio (mag. –0,2) e la stella Regolo, nel Leone. I due oggetti a quell’ora saranno distanti l’uno dall’altro appena 18', una separazione facilmente apprezzabile con un buon binocolo, ma bisognerà fare i conti con un’altezza sull’orizzonte di appena +6° e con un cielo ancora così chiaro da rendere difficoltosa la visione di Regolo (mag. +1,4).
La sera del 30 luglio ci sarà la possibilità di mettere alla prova la propria abilità tentando l’osservazione della congiunzione stretta tra Mercurio (mag. –0,2) e la stella Regolo, nel Leone. I due oggetti a quell’ora saranno distanti l’uno dall’altro appena 18', una separazione facilmente apprezzabile con un buon binocolo, ma bisognerà fare i conti con un’altezza sull’orizzonte di appena +6° e con un cielo ancora così chiaro da rendere difficoltosa la visione di Regolo (mag. +1,4).
Ancora più difficile della precedente, la congiunzione tra Mercurio (mag. –0,2) e Regolo (mag. +1,4), che verso le 21:00 del 30 luglio saranno “osservabili” verso ovest-nordovest separati da una distanza angolare di soli 18′; ma anche, ahinoi, alti solo +5° sull’orizzonte!

A quell’ora il cielo sarà ancora decisamente luminoso, e riuscire a individuare il puntino di Regolo sarà impresa al limite dell’impossibile. Provarci sarà comunque un esperimento utile, a prescindere dai risultati.

E a destra della coppia, 7° verso ovest, alta solo +3° ci sarà anche Venere a fare da banco di prova per la propria capacità osservativa!

Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedi il Cielo di Luglio e Agosto


Tutti gli eventi del cielo di luglio e agosto su Coelum n. 202.
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Dove nessun telescopio s’è spinto mai

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Abell S1063 è un ammasso di galassie osservato da Hubble. L’enorme cluster è una lente gravitazionale e permette di osservare oggetti ancora più lontani. Crediti: NASA, ESA, and J. Lotz (STScI)
Abell S1063 è un ammasso di galassie osservato da Hubble. L’enorme cluster è una lente gravitazionale e permette di osservare oggetti ancora più lontani. Cliccare per ingrandire ed apprezzare anche i più piccoli particolari! Crediti: NASA, ESA, and J. Lotz (STScI)

Siamo arrivati sulla Luna. Viviamo e lavoriamo nella Stazione spaziale internazionale. Siamo arrivati su una cometa e su Marte ci sono più robot che batteri. Credete che ormai le avventure nello spazio siano arrivate a uno stallo? Credete che ormai non ci resti più nulla da scoprire? Non è così, lì fuori i misteri sono dietro l’angolo e l’ultima frontiera non è stata ancora raggiunta. Proprio per questo gli astronomi sfruttano al massimo i telescopi spaziali come Hubble, di NASA ed ESA. Il prossimo passo sarà quello di studiare nel dettaglio l’ammasso galattico Abell S1063: un’indagine prevista nell’ambito del progetto Frontier Fields, nato per catturare oggetti lontanissimi sfruttando l’effetto chiamato lente gravitazionale, cioè una sorta di lente d’ingrandimento galattica che fa apparire la galassia alle sue spalle più grande e più luminosa. È necessario però che la galassia più distante sia quasi perfettamente situata dietro la “galassia lente”. Il fenomeno, previsto da Einstein nella sua Teoria della relatività generale, permette di osservare oggetti molto lontani, quindi impossibili da raggiungere con la strumentazione classica.

I ricercatori credono che Abell S1063 possa ospitare milioni di mondi sconosciuti. Nell’immagine qui vicino, il cluster si mostra com’era 4 miliardi di anni fa, anche se tramite l’effetto di lente gravitazionale possiamo guardare ancora più lontano nel tempo, proprio dove nessun telescopio da terra od orbitante può arrivare. Grazie ad Abell S1063 è stata già scoperta una galassia nana lontanissima e giovanissima (vedi Media INAF): si tratta di ID11, nata quando l’Universo aveva 2 miliardi di anni dopo. La sua luce è un miliardo di volte più debole della stella meno luminosa ancora visibile a occhio nudo. Grazie a Hubble e ad Abell S1063, è stata classificata come la galassia più debole fotografata a tale distanza.

Immagine di Abell S1063 vista da terra. Crediti: NASA, ESA, Digitized Sky Survey 2 Acknowledgement: Davide De Martin

Sempre sfruttando Abell S1063 sono state identificate altre 16 galassie sullo sfondo, studiando le quali gli astronomi possono migliorare la loro conoscenza della materia oscura così come della materia ordinaria.

Ma Abell S1063 non è l’unico ammasso di galassie capace di distorcere e modellare la luce in moda da far “viaggiare nel tempo” i ricercatori. Nell’ambito dello stesso programma ci sono altri tre cluster, e ulteriori due verranno osservati nei prossimi anni. Insomma, una vera e propria flotta di aiutanti galattici per guardare lì dove l’occhio umano e l’occhio robotico non possono arrivare. L’Hubble Frontier Fields è un programma di tre anni, che prevede 840 orbite e che produrrà la più profonda vista sull’Universo mai ottenuta fino a oggi, combinando la potenza di Hubble con l’amplificazione gravitazionale della luce intorno a sei diversi ammassi di galassie per esplorare le regioni più lontane dello spazio.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video su INAF-TV:


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Tutti astrofisici con ESASky

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Alcuni volti di ESASky. Da sinistra: Bruno Merín, responsabile scientifico del progetto, Maria Henar Sarmiento, ingegnere del software, e Fabrizio Giordano, responsabile tecnico del progetto
Una schermata dell’interfaccia ESASky. I poligoni colorati sono i “footprints”, le aree di cielo coperte dalle osservazioni. Crediti: ESAC

Tre ingegneri, due scienziati e una sola consegna: «avete un mese di tempo per tirare fuori un’idea innovativa», gli avevano detto. Sembra Google, Mountain View. Invece accadeva qualche anno fa a ESAC, Madrid. Sede dello European Space Astronomy Centre: il centro per i dati astronomici dell’ESA, l’Agenzia spaziale europea. Quell’idea innovativa, quel prototipo, venne poi presa in mano da un team di softwaristi e astronomi. E ora, dopo quasi due anni di lavoro, è diventata ESASky: un tool interattivo accessibile via browser in modo che più immediato non si potrebbe, senza registrazioni né altri passaggi. Ma, soprattutto, un tool pensato veramente per chiunque: curiosi e appassionati, certo, ma anche astrofili e scienziati. Tutti i dati che stano dietro all’universo virtuale di ESASky provengono direttamente dalle basi dati delle missioni spaziali ESA: le stesse usate ogni giorno nel mondo dagli astrofisici di professione.

«La prima cosa che si vede sono le mappe, tutte realizzate con dati astronomici veri. Mappe scientifiche e validate. Organizzate per le diverse lunghezze d’onda, così da coprire l’intero spettro elettromagnetico», spiega a Media INAF Fabrizio Giordano, una vita precedente trascorsa facendo ogni giorno su e giù da Anguillara Sabazia a Frascati – un’ora a scendere e una a salire quando andava bene, e in mezzo Roma tutt’intera. Circa due anni fa la svolta. «La qualità della vita era pessima. Io e mia moglie avevamo avuto da poco un bambino, all’epoca aveva un anno. E ci siamo detti che no, non poteva andare», racconta a Media INAF. Così hanno iniziato a guardarsi attorno, c’era quella call dell’Agenzia spaziale europea, Giordano ha mandato il curriculum. «Già era passata la deadline, pensavo che non mi avessero scelto, e invece…».

E invece ora è alla guida dell’intero team di sviluppo, la squadra che in due anni ha estratto e costruito – da quel bozzolo d’idea innovativa di cui parlavamo all’inizio – l’ESASky completo e funzionante che vediamo oggi in rete.

Alcuni volti di ESASky. Da sinistra: Bruno Merín, responsabile scientifico del progetto, Maria Henar Sarmiento, ingegnere del software, e Fabrizio Giordano, responsabile tecnico del progetto

«Con ESASKy volevamo realizzare un tool fruibile anche da persone normali, come me del resto, che non sono uno scienziato», sottolinea Giordano. «Un tool che però permettesse, con pochi clic, di accedere anche ai dati astronomici. Una persona che visita il sito semplicemente per curiosità andrà così a cercare le galassie, a vedere le immagini. Aprendo il pannello dei dati si può però accedere a un altro livello d’informazioni, che può essere d’interesse anche per gli astrofili per esempio, dove si possono vedere i dettagli delle osservazioni e i cosiddetti footprints, i poligoni che mostrano le aree di cielo osservate dalle missioni spaziali. Ancora un altro clic e si ha accesso diretto ai file dei dati astronomici, i cosiddetti file FITS, rivolti principalmente agli scienziati».

Un’interfaccia alla portata di tutti e che guarda al futuro. Già ora le sue mappe si nutrono dei dati raccolti dai telescopi spaziali dell’ESA e non solo: INTEGRAL, XMM-Newton, SUZAKU, HST, Hipparcos, ISO, Herschel e Planck – qui l’elenco completo, diviso per bande dello spettro elettromagnetico. Mano a mano che si aggiungeranno nuove osservazioni e nuove missioni, ESASky verrà aggiornato. E presto comprenderà anche dati di tipo diverso di grande interesse per gli astronomi, come quelli spettroscopici, previsti per la prossima release in arrivo entro fine anno. Insomma, non vi resta che provarlo.


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20 luglio 1976. La prima sonda atterra su Marte

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NASA JPL Image Processing Team

Il Viking 1 atterra su Marte, e comincia a inviare foto in bianco e nero della superficie marziana, ma la foto più suggestiva è sicuramente quella che scattò un giorno dopo l'atterraggio, il 21 luglio 1976 e che una volta elaborata dal team del JPL (è un'immagine composita su tre riprese a tre diverse lunghezze d'onda), diventa la prima immagine a colori della superficie marziana. Credit: NASA JPL Image Processing Team

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L'immagine simbolo del primo atterraggio sulla Luna in una elaborazione artistica per ricordare anche l'anniversario della "conquista di Marte", 7 anni dopo infatti la NASA porterà anche la prima sonda ad atterrare con successo sulla superficie di Marte. Credit: NASA/JPL-Caltech

Era il 20 agosto del 1975 quando da Cape Canaveral la NASA diede il via al programma Viking. Il 20 luglio 1976, il lander della Viking 1 tocca il suolo della Chryse Planitia su Marte diventando il primo veicolo spaziale ad effettuare con successo un atterraggio su un altro pianeta.

Il lander in realtà avrebbe dovuto atterrare su Marte il 4 luglio (giorno della Festa dell’Indipendenza per gli americani), ma il Centro Controllo a Terra si riservò la possibilità di verificare ed eventualmente modificare, il luogo dell’atterraggio in base alle prime immagini ravvicinate della superficie inviate dall’orbiter. E così fu… il punto di atterraggio venne considerato non sicuro e la destinazione modificata a favore della Chryse Planitia, a circa 575 chilometri più a ovest.

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Questa invece la prima immagine in assoluto arrivata dalla superficie di Marte (20 luglio, 1976).

La missione Viking era costituita da due sonde gemelle, Viking 1 e Viking 2, ognuna delle quali composta da un modulo orbitante (orbiter) e un modulo di atterraggio (lander). Il lander della Viking 2 atterrerà 45 giorni dopo il primo.

Un mosaico di Marte ottenuto con le immagini dell'orbiter Viking 1

Gli obiettivi primari della missione erano la mappatura  della superficie del pianeta (da parte degli orbiter) e la raccolta di immagini a terra da parte dei lander; caratterizzare la struttura e la composizione sia dell’atmosfera sia della superficie del pianeta (furono osservate le tempeste di sabbia stagionali) e la ricerca di tracce di vita. I lander infatti condussero tre esperimenti di biologia progettati appositamente per la ricerca di microorganismi, ma il risultato resterà ambiguo e fonte di continui studi e revisioni della mole di dati raccolti… ma nessuna prova definitiva della presenza di microorganismi in prossimità dei luoghi di sbarco.

Phobos visto per la prima volta da vicino dalla Viking 1.

L’orbiter del Viking 1 passerà anche a 90 chilometri da Phobos inviando le prime immagini ravvicinate della grande luna interna di Marte.

La missione fu dichiarata definitivamente terminata il 21 maggio 1983, più di 6 anni e mezzo dopo la data prevista inizialmente dai progettisti.

Risorse online

• Il museo virtuale delle missioni Viking a cura del Viking Mars Missions Education and Preservation Project

Le missioni Viking e la ricerca di vita su Marte su Coelum Astronomia

Tutte le missioni NASA su Marte



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Astronomiamo – Primo Star Party

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Locandina Coelum Astronomoniamo LUGLIO2016

Locandina Coelum Astronomoniamo LUGLIO2016

Primo Star Party presso il Lajatico Astronomical Centre (Pisa)
Osservazioni e Conferenze. Prenotazione richiesta. Per il programma, vedere su www.astronomiamo.it

20 luglio 1969. Il primo uomo sulla Luna

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Una delle celebri foto scattate da Aldrin delle proprie impronte sulla superficie lunare, diventata una delle foto simbolo della missione (e spesso erroneamente indicata come immagine del primo passo sulla Luna di Armstrong). Credit: NASA

Quarantasette anni fa, il 20 luglio 1969, alle ore 22:56 EDT (ora italiana 4:56 del 21 luglio) l’astronauta americano Neil Armstrong fu il primo uomo a mettere piede sul suolo lunare. La missione Apollo 11, iniziata il 16 luglio, dal Centro spaziale Kennedy della NASA in Florida, aveva a bordo tre astronauti: il Comandante della missione Neil A. Armstrong, il pilota del modulo di comando Michael Collins e il pilota del modulo lunare Edwin E. Aldrin Jr. che fu anche il secondo uomo a mettere piede sulla Luna.

Nel 2009, in occasione del quarantesimo anniversario dell’impresa, Paolo Attivissimo ha dato il via al progetto Moonscape, un documentario gratuito e liberamente condivisibile dedicato al primo sbarco sulla Luna, che permette di vivere l’allunaggio e l’escursione lunare attraverso gli occhi degli astronauti. Negli anni, volontari e appassionati, coordinati da Attivissimo, hanno raccolto immagini fotografiche e filmati autentici della missione lunare, spesso inediti o poco conosciuti, in forma restaurata e riscandita partendo dagli originali alla massima qualità disponibile. Esclusivamente materiale presente negli archivi online della NASA e (a pagamento) presso società specializzate in restauro e riacquisizione d’immagini, come Footagevault.com.

Le fotografie che furono scattate in sequenza sono state riunite per formare delle panoramiche; le riprese televisive e quelle a colori su pellicola sono presentate sincronizzandole con le registrazioni delle comunicazioni radio (sottotitolate anche in italiano) e con le fotografie, dandoci la possibilità di cogliere dettagli rari e insoliti dello storico evento da angolazioni multiple e con una nitidezza senza precedenti grazie all’uso delle migliori scansioni e digitalizzazioni disponibili del materiale originale.

Godiamoci quindi, a 47 anni di distanza, i momenti salienti di quella storica giornata (e per noi italiani lunga notte a cavallo tra il 20 e il 21 luglio), con le immagini ad alta risoluzione e… a colori!

Dopo quattro giorni di viaggio, i tre astronauti entrano in orbita attorno alla Luna. Armstrong e Aldrin salgono sul LEM “Eagle” (Lunar Excursion Module – Modulo Lunare) e si sganciano dal modulo di servizio Columbia, dove rimane Collins per assicurare il rientro a Terra della navetta. Alle 22:17 ora italiana del 20 luglio il LEM atterra nel Mare della Tranquillità…

Il portello del modulo lunare fu aperto alle 4:39 (22:39 del 20 per la NASA, EDT), e Armstrong iniziò a scendere i nove scalini della scaletta: un’operazione non semplice, dal momento che la tuta gli impediva di vedersi i piedi. La storica frase  “That’s one small step for a man…one giant leap for mankind” (un piccolo passo per un uomo… un enome balzo per l’umanità) fu pronunciata alle 4:56 del 21 luglio 1969 (22:56 EDT, per la NASA era ancora il 20 luglio): per la prima volta nella storia un essere umano aveva messo piede su un corpo celeste diverso dalla Terra.

Dopo una ventina di minuti anche Aldrin segue Armstrong sul suolo lunare: iniziano a sistemare le apparecchiature scientifiche, raccolgono frammenti di suolo lunare e piantano la bandiera degli Stati Uniti. L’attività all’esterno del LEM (EVA) durerà circa 2 ore e 40 minuti.


Moonscape è un progetto, coordinato da Paolo Attivissimo, in continua evoluzione, reso possibile dalle donazioni e dal lavoro di tante persone. Se vi piace quello che vedete e volete aiutare (e avere il vostro nome o il nome della vostra ditta nei titoli di coda come sponsor), fate una donazione via Paypal dal sito dell’iniziativa o offritevi per collaborare per continuare a migliorare Moonscape: acquistando ulteriori riversamenti digitali restaurati in alta definizione delle riprese originali delle missioni Apollo, incaricando uno speaker professionista come voce narrante e aggiungendo ulteriori dettagli (per esempio altre foto, riprese dal Controllo Missione, animazioni e mappe).

Risorse online:

La versione più recente di Moonscape con i video in HD

• Lo speciale per il 40 anniversario pubblicato da Coelum Astronomia

• La riproduzione della targa rimasta sulla Luna ancorata a una zampa del LEM con la storica frase “Qui gli uomini del pianeta Terra per la prima volta posero il loro piede nel luglio dell’Anno del Signore 1969. Siamo venuti in pace per tutta l’umanità“.

• Su Flickr più di 8.400 fotografie scattate da astronauti della NASA durante le missioni del Programma Apollo, comprese quelle dell’Apollo 11, in formato originale Hassemblad

• La timeline della missione dagli archivi NASA



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ASTROINIZIATIVE UAI

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I convegni e le iniziative dell’UAI
Giugno
Meeting nazionale UAI Sistema Solare Il Meeting tematico UAI sulle osservazioni planetarie, solari e lunari.
Organizzato dalle SdR Pianeti, Sole e Luna (sede da definire). http://pianeti.uai.it – http://sole.uai.it – http://luna.uai.it

25-28 luglio Scuole Estive di metodologie didattiche della scienza – Campo Catino (FR) e Modica (RA) Le scuole estive di
astronomia dell’UAI, dedicate agli insegnanti, ma non solo, da quest’anno in doppia sede: presso l’Osservatorio Astronomico di Campo Catino a Guarcino (FR) e a Modica (RG)
a cura del Centro Ibleo Studi Astronomici.
http://didattica.uai.it

Caccia grossa nel cielo di Kepler

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In questo montaggio, l’osservatorio di Mauna Kea, il telescopio spaziale Kepler e il cielo notturno con quattro delle regioni osservate da K2 e – rappresentati dai puntini gialli – i nuovi sistemi planetari scoperti. Crediti: Karen Teramura/IFA , Miloslav Druckmüller, NASA
Credits: NASA/JPL

Poi dicono che è importante sapersi riciclare… Giusto, ma come ti ricicli quando ti trovi magari a qualche decina di milioni di km dalla Terra e un tuo componente fondamentale va fuori uso, com’è accaduto tre anni fa al cacciatore di esopianeti Kepler della NASA? Occorre molta creatività, un ottimismo incrollabile e ingegno come se piovesse. In compenso, i risultati possono premiare ampiamente lo sforzo. È quanto sta accadendo con la missione K2, la cosiddetta second light: un riadattamento in corsa degli obiettivi e della strategia osservativa originale di Kepler che sta dando grandi soddisfazioni. Ultima in ordine di tempo, in uscita su Astrophysical Journal Supplement Series, la scoperta di oltre cento nuovi pianeti.

In questo montaggio, l’osservatorio di Mauna Kea, il telescopio spaziale Kepler e il cielo notturno con quattro delle regioni osservate da K2 e – rappresentati dai puntini gialli – i nuovi sistemi planetari scoperti. Crediti: Karen Teramura/IFA , Miloslav Druckmüller, NASA

È andata così. Kepler (o meglio, K2 appunto), non potendo più concentrarsi esclusivamente sul suo bersaglio iniziale – ricerca di pianeti simili alla Terra, attorno a stelle simili al Sole, in una ben precisa fettina di cielo dell’emisfero nord – e non essendo più in grado di fare tutto da solo, ha ampliato il terreno di caccia e ha delegato ai telescopi terrestri alcuni compiti. Tipicamente, ciò che avviene è che, quando il telescopio spaziale NASA individua potenziali esopianeti, l’onere di caratterizzarli e di confermare che di veri pianeti si tratta viene delegato a telescopi terrestri.

Ebbene, dei 197 mondi in sospeso finiti nel mirino di K2, 63 sono rimasti tali30 si sono rivelati falsi positivi ma ben 104 hanno ottenuto l’ambito bollino di pianeta extrasolare confermato. A conferirlo, dopo attento follow-up, una “squadra” che comprende quanto di meglio esista oggi sulla Terra per l’osservazione del cielo: i due gemelli da 10 metri dell’Osservatorio del Keck, in cima al vulcano dormiente di Manua Kea (Hawaii), la coppia di occhi da oltre 8 metri di diametro ciascuno del Gemini Observatory (uno anch’esso alle Hawaii, l’altro in Cile), il 2.4 metri robotico Automated Planet Finder, in California, ed LBT, il telescopio binoculare di Mount Graham, in Arizona, per un quarto di proprietà INAF.

Fra i nuovi pianeti, quattro più degli altri suscitano curiosità: fanno parte dello stesso sistema planetario, hanno dimensioni paragonabili a quelle della Terra (dal 20 al 50 percento in più) e potrebbero essere – si attendono conferme – tutti e quattro rocciosi. Potrebbero anche essere adatti a ospitare la vita? Non si può escludere, dice il primo autore dello studio, Ian Crossfield, dell’università dell’Arizona. Benché orbitino a distanza molto ravvicinata rispetto alla stella madre, inferiore a quella che separa Mercurio dal Sole, la stella in questione è piccola e debole. Due dei quattro pianeti, in particolare, ricevono un flusso di radiazioni paragonabile a quello che il Sole riversa sulla Terra.

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Una matrioska tra le stelle di M33

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Rappresentazione artistica di un ammasso stellare circondato da tre resti di supernova. Crediti: Gabriel Pérez/SMM (IAC)
Rappresentazione artistica di un ammasso stellare circondato da tre resti di supernova. Crediti: Gabriel Pérez/SMM (IAC)

Utilizzando il telescopio William Herschel alle Canarie per cercare bolle di gas incandescente in espansione nella vicina Galassia del Triangolo (o M33), un gruppo di ricercatori ha scovato un vero e proprio esempio dimatrioska cosmica. Si tratta, infatti, del primo caso conosciuto di tre resti di supernova uno dentro l’altro. Nell’illustrazione a fianco possiamo ammirare come si presenterebbero alla vista questi tre “gusci” concentrici, in rapida espansione attorno a un ammasso stellare, composti sia dal gas violentemente espulso da stelle morenti che da materiali del mezzo interstellare circostante, spazzati dall’onda d’urto.

I ricercatori si chiedono ora dove il secondo e il terzo guscio abbiano potuto rastrellare il materiale che li compone, visto che la prima supernova avrebbe dovuto fare “piazza pulita”. La risposta può venire dal gas circostante e dal mezzo interstellare non omogeneo. «Questo fenomeno deve essere dovuto al fatto che il mezzo interstellare non è affatto uniforme», spiega Artemi Camps Fariña dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, fra gli autori della scoperta, «presentando zone più dense di gas, circondate da spazi con gas a densità molto inferiore. Una supernova non solo spazza il gas, ma fa anche evaporare le parti esterne degli addensamenti, lasciando così un po’ di gas disponibile per formare il secondo e il terzo guscio».

L’idea che il mezzo interstellare non sia omogeneo non è nuova, ma questa bolla tripla permette una valutazione molto più chiara e quantitativa della sua struttura. La presenza di “bolle” nel mezzo interstellare spiega peraltro come mai la formazione stellare sia stata più lenta di quanto prevedessero i modelli cosmologici più semplici, che non tenevano in conto l’effetto “freno” delle supernove e di altri fenomeni cosmici sull’accensione di nuove stelle. «Senza questo rallentamento», sottolinea in conclusione Camps Fariña, «le galassie a spirale, come la nostra, avrebbero avuto una vita molto breve, e la nostra stessa esistenza sarebbe stata improbabile».

Ecco quello che hanno visto i telescopi: queste mappe mostrano la velocità di espansione rilevata in ciascun punto per le tre bolle, dove i contorni indicano l’emissione dell’idrogeno ionizzato. Le bolle sono approssimativamente concentriche ed esiste una progressione inversa tra dimensioni e velocità di espansione. Crediti: Artemi Camps Fariña (IAC)

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Un’esplosione stellare rivela la “linea di neve” dell’acqua

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Una rappresentazione artisitca della linea di neve dell'acqua intorno alla stella V883 Orionis, come vista da ALMA. Crediti: A. Angelich (NRAO/AUI/NSF)/ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) ha osservato per la prima volta la “linea di neve” dell’acqua all’interno del disco protoplanetario di una giovane stella. Questa linea segna il punto in cui la temperatura del disco che circonda una giovane stella scende abbastanza perché si formi la neve. Solitamente non è possibile osservare questa linea perché troppo vicina alla stella, ma un aumento notevole della luminosità della giovane stella V883 Orionis ha riscaldato la parte interna del disco, spostando la linea della neve relativa all’acqua a distanze molto maggiori di quanto sia normale per una protostella e rendendola osservabile per la prima volta. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature il 14 luglio scorso.

Questa invece l'immagine del disco protoplanetario intorno alla giovane stella V883 Orionis ottenuta da ALMA nella sua modalità a lunga base. L'anello scuro a metà del disco è la linea di neve dell'acqua, il punto in cui la temperatura e la pressione sono sufficientemente bassi perché si formi il ghiaccio d'acqua, fotografata direttamente per la prima volta. Nell'immagine, per confronto, sono indicate anche le dimensioni delle orbite di Nettuno e Plutone. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/L. Cieza

Le giovani stelle sono spesso circondate da un denso disco di gas e polvere in rotazione, noto come disco protoplanetario, da cui nascono i pianeti. Il calore di una tipica stella di tipo solare implica che l’acqua all’interno di un disco protoplanetario si trova nello stato gassoso fino a distanze pari a circa 3 unità astronomiche (UA) dalla stella – 3 volte la distanza media tra la Terra e il Sole – o circa 450 milioni di chilometri. Più all’esterno, a causa della pressione molto bassa, le molecole di acqua passano direttamente dallo stato gassoso a quello solido, formando una patina di ghiaccio sui grani di polvere e di altre particelle. La zona del disco protoplanetario in cui l’acqua passa da gas a solido viene chiamata “linea di neve” dell’acqua.

Ma la stella V883 Orionis è insolita. Un aumento notevole della sua brillanza ha spostato la linea di neve dell’acqua a una distanza di circa 40 UA (circa 6 miliardi di chilometri, o circa la dimensione dell’orbita di Plutone nel nostro Sistema Solare). Questo enorme aumento, combinato con la risoluzione di ALMA alle lunghezze di base più grandi ha permesso a un’equipe guidata da Lucas Cieza (Millennium ALMA Disk Nucleus e Universidad Diego Portales, Santiago, Cile) di risolvere per la prima volta la linea di neve dell’acqua in un disco protoplanetario.

Ecco qui sopra come l'esplosione sulla giovane stella V883 Orionis ha spostato la linea di neve dell'acqua molto più lontana dalla stella e l'ha resa visibile da ALMA. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/L. Cieza

L’improvviso aumento di luminosità di V883 Orionis è un esempio di cosa accade quando una grande quantità di materiale del disco che circonda una giovane stella cade sulla sua superficie. V883 Orionis è solo il 30% più massiccia del Sole, ma grazie all’esplosione che la scuote è al momento ben 400 volte più luminosa – e molto più calda – del Sole. Fa parte infatti di un tipo di stelle chiamate FU Orionis, dalla prima stella trovata con questo comportamento, in cui la fase esplosiva può durare per centinaia di anni.

Il primo autore Lucas Cieza spiega: «Le osservazioni di ALMA sono state una sorpresa per noi. Le nostre osservazioni dovevano osservare la frammentazione del disco che porta alla formazione dei pianeti. Non abbiamo visto nulla del genere, ma abbiamo scoperto qualcosa che sembrava un anello a circa 40 UA. Questo risultato mostra bene quanto sia potente ALMA, che ci regala scoperte emozionanti anche se non sono quelle che stavamo cercando».

Nella cartina la posizione della giovane stella V883 Orionis nella famosa costellazione di Orione. Sono indicate la maggior parte delle stelle visibili a occhio nudo in una notte buia e serena, mentre la posizione di V883 Orionis è indicata da un cerchio rosso. La stella è molto debole e per vederla serve un grande telescopio amatoriale. Crediti: ESO/IAU and Sky & Telescope

La bizzarra idea della neve che orbita nello spazio è un’idea fondamentale per la formazione dei pianeti. La presenza di ghiaccio d’acqua regola infatti l’efficienza della coagulazione dei grani di polvere – il primo passo nella formazione dei pianeti. Si pensa che i pianeti più piccoli, rocciosi, come il nostro, si formino all’interno della linea di neve, dove l’acqua è sotto forma di vapore. All’esterno della linea di neve, la presenza di ghiaccio d’acqua permette la formazione rapida di palle di neve cosmica, che finiscono con il formare pianeti massicci e gassosi come Giove.

La scoperta che queste esplosioni possano spostare la linea della neve fino a 10 volte il raggio tipico è importante per lo sviluppo di un buon modello di formazione planetaria e potrebbero essere uno stadio dell’evoluzione della maggior parte dei sistemi planetari.  In questo caso, questa potrebbe essere solo la prima osservazione di un evento in realtà frequente, e le osservazioni di ALMA potrebbero contribure significativamente a una miglior comprensione di come si siano formati ed evoluti i pianeti in tutto l’Universo.

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Accademia delle Stelle

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Coelum AdS Luglio

Coelum AdS Luglio

L’Accedemia delle Stelle, scuola di astronomia e gruppo astrofili di Roma, organizza due STARPARTY – VACANZE ASTRONOMICHE in località Passignano sul Trasimento (PG) e Piancastagnaio (Monte Amiata, SI):

giovedi 28 – domenica 31 luglio
mercoledì 3 – domenica 7 agosto

Soggiorni a partire da 2 notti.

A seconda dell’offerta (vedere qui):
– Piazzola dedicata per i telescopi (è possibile lasciarli montati per tutto il tempo della permanenza),
– piscina,
– terme gratuite nelle vicinanze,
– eccellente cucina tipica.

Ogni notte:
– guida al cielo e assistenza ai neofiti

Ogni giorno:
– conferenza di astronomia,

Pensione completa, bevande incluse a partire da 62 €.

Per informazioni: www.accademiadellestelle.org/vacanze-astronomiche-in-toscana/

Congiunzione stretta tra Mercurio e Venere

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Verso le 21:00 del 16 luglio, sull’orizzonte di ovest-nordovest avrà luogo una delle più interessanti congiunzioni del periodo, con Mercurio (mag. –1,1) e Venere (–3,8) che si avvicineranno fino alla distanza minima osservabile di 31'. A quell’ora i due oggetti saranno alti solo +4°, e questo costituirà ovviamente un problema. A seconda delle condizioni atmosferiche si potrà valutare se iniziare le osservazioni (almeno con un binocolo) fino a una mezz’ora prima.

La sera del 16 luglio, verso le 21:00, il Sole sarà tramontato da pochi minuti e il cielo sarà ancora molto chiaro. E tuttavia, sarà questo il momento “migliore” a disposizione per riuscire a scorgere sull’orizzonte di ovest-nordovest due puntini luminosi alti in quel momento solo +4°.

Sarebbe un peccato non provarci perché si tratterà di una delle più interessanti congiunzioni del periodo, con Mercurio (mag. –1,1) e Venere (–3,8) che si avvicineranno fino alla distanza minima osservabile di 31′.

Quasi certamente servirà un binocolo, e anche così tutto dipenderà alla fine dalla foschia più o meno densa. Inutile dire che la cosa migliore di tutte, per questa e altre congiunzioni del periodo, sarà quella di osservare da una qualche località montana.

Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedi il Cielo di Luglio e Agosto


Tutti gli eventi del cielo di luglio e agosto su Coelum n. 202.
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Materia barcollante attorno ai buchi neri

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This artist's impression depicts the accretion disc surrounding a black hole, in which the inner region of the disc precesses. "Precession" means that the orbit of material surrounding the black hole changes orientation around the central object. Credits: ESA/ATG medialab
Questa impressione di artista raffigura il disco di accrescimento che circonda un buco nero, con la precessione della regione interna. Per "precessione" della regione interna si intende che l'orbita del materiale che circonda il buco nero cambia orientamento attorno all'oggetto centrale. Credits: ESA/ATG medialab

Oggi, dopo un mistero durato 30 anni, gli astronomi possono mappare il comportamento della materia a ridosso dei buchi neri, aprendo la porta a futuri test della relatività di Einstein.

La materia che cade verso un buco nero si riscalda e, prima di perdersi laddove non può più esser vista, raggiunge milioni di gradi di temperatura, range nel quale emette radiazione X.

Negli anni Ottanta fu notato per la prima volta che la radiazione X proveniente da buchi neri di taglia stellare varia seguendo un determinato pattern. Quando la radiazione inizia a variare, l’affievolimento e il ripristino della luminosità impiegano circa 10 secondi a completarsi. Con i giorni, le settimane e i mesi, il periodo diminuisce fino a dar vita a fenomeni simili in misura di 10 volte al secondo. Poi, tutto si ferma.
Quasi Periodic Oscillation (QPO) è il termine coniato per questi eventi, affascinanti poiché provenienti dalle immediate vicinanze dei buchi neri.

Negli anni Novanta gli astronomi hanno iniziato a sospettare che i QPO fossero legati agli effetti predetti dalla Relatività Generale, a vortici gravitazionali creati da oggetti rotanti in grado di influenzare il moto di tutto quello che si trova nei paraggi: ne segue che in caso di orbita inclinata ci sono cambi di orientamento rispetto all’oggetto centrale, e il tempo necessario a tornare alla situazione di partenza è detto precessione.

Nel 2004, la NASA ha lanciato Gravity Probe B per misurare questo effetto di trascinamento, detto Lense-Thirring, intorno alla Terra, grazie al quale è stato possibile confermare che la sonda completerà un ciclo di precessione in 33 milioni di anni.

Intorno a un buco nero l’effetto è chiaramente molto più marcato visto che le forze gravitazionali in gioco sono decisamente maggiori, tanto marcato da arrivare a un periodo di pochi secondi se non meno. Un tempo che si avvicina molto a quello dei QPO, tanto da lasciar ipotizzare che possa trattarsi dello stesso effetto.

Lo studio ha analizzato dapprima il disco di accrescimento intorno ai buchi neri, la struttura creata dal materiale che spiraleggia intorno ai buchi neri prima di finirvi dentro. Si è pensato che, nelle zone più interne, il materiale possa divenire plasma caldo, nel quale gli elettroni vengono strappati ai propri atomi. Questo flusso si restringe nel giro di settimane e mesi, divorato dal buco nero. Nel 2009 è stato ipotizzato che i QPO siano guidati dalla precessione Lense-Thirring di questo plasma caldo, il che spiegherebbe come mai quando il flusso interno diminuisce e la vicinanza al buco nero si riduce, più veloce appare il ciclo.
Ok, ma come provarlo?

Il flusso interno rilascia radiazione altamente energetica che colpisce il disco di accrescimento più esterno, rendendo gli atomi di ferro presenti in quest’ultima zona fluorescenti. Il ferro rilascia raggi X a una singola lunghezza d’onda, una sola linea spettrale.

Dal momento che il disco ruota, la linea del ferro appare distorta dall’effetto Doppler: nel lato in “avvicinamento” appare stirata verso il blu, mentre nel lato opposto verso il rosso. Se il flusso interno è sottoposto davvero a precessione, allora sarà brillante a volte in una parte e a volte nell’altra, provocando una oscillazione durante il ciclo.

E qui entrano in gioco XMM-Newton e NuSTAR: uno studio guidato da Ingram e colleghi – delle Università di Amsterdam, Cambridge, Southampton e Tokyo – ha utilizzato l’osservatorio X per lunghe osservazioni al fine di “vedere” ripetuti QPO. L’oggetto scelto è il buco nero H 1743-322, con QPO di 4 secondi. Sono stati osservati 260 mila secondi tramite XMM-Newton e altri 70 mila tramite NuSTAR e alla fine è stata confermata l’oscillazione della linea del ferro oltre a un’altra evidenza della precessione, il tutto perfettamente in linea con le previsioni della Relatività Generale.

L’effetto Lense-Thirring è stato quindi misurato per la prima volta in un campo gravitazionale molto forte e la tecnica consentirà di mappare la materia nelle zone più interne dei dischi di accrescimento dei buchi neri.

Per saperne di più

I risultati riportati in questo articolo sono pubblicati nelle Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

La missione X-ray Multi-Mirror dell’Agenzia spaziale europea è stata lanciata nel dicembre 1999. Si tratta del più grande satellite scientifico costruito in Europa ed è anche uno degli Osservatori a raggi X più sensibili nello spazio. Più di 170 sottilissimi, specchi cilindrici dirigono la radiazione incidente verso tre telescopi ad alta capacità di trasmissione a raggi X. L’orbita di XMM-Newton si trova a quasi un terzo della strada verso la Luna, consentendo per lungo tempo una ininterrotta vista degli oggetti celesti.

http://sci.esa.int/xmm-newton/

NUSTAR è una missione “Small Explorer” guidata dal Caltech di Pasadena e gestita dal Jet Propulsion Laboratory, sempre a Pasadena,  per il Science Mission Directorate della NASA a Washington. Qui sotto un video introduttivo della missione (nelle impostazioni, la rotellina, è possibile impostare i sottotili con traduzione automatica in italiano).

http://www.nasa.gov/nustarhttp://www.nustar.caltech.edu



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