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ASTROINIZIATIVE UAI

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EVENTI NAZIONALI UAI
9 maggio: Il transito di Mercurio L’evento astronomico
più importante dell’anno! Il transito di Mercurio davanti
al Sole, un evento raro che in Italia è stato osservato per
l’ultima volta nel 2003
http://divulgazione.uai.it

Vulcani attivi nel passato di Marte

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Nell’immagine sono illustrati i risultati ottenuti dallo strumento CRISM a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA nella regione del Sisyphi Montes. Il sito si trova lontano da qualsiasi strato di ghiaccio recente, in una zona dove la morfologia dei rilievi è stata interpretata come il risultato di un vulcanismo subglaciale. I minerali rilevati dalla sonda sembrano rafforzare la solidità di questa ipotesi. Crediti: NASA/JPL-Caltech/JHUAPL/ASU

Stando a quanto suggeriscono gli ultimi dati inviati a Terra dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) della NASA, miliardi di anni fa su Marte alcuni vulcani hanno eruttato al di sotto di uno strato di ghiaccio. La ricerca riguardante questi vulcani ha permesso dunque di dimostrare che in passato, su Marte, c’era un vasto strato di ghiaccio.

A questa scoperta si aggiungono una serie di preziose informazioni sull’ambiente presente all’epoca sul pianeta rosso: una combinazione di calore e umidità che avrebbe potuto fornire condizioni favorevoli allo sviluppo di vita microbica.

Sheridan Ackiss, ricercatore presso la Purdue University, in Indiana, insieme ai suoi collaboratori ha utilizzato lo spettrometro in grado di mappare la presenza di minerali sulla superficie marziana che si trova a bordo di MRO. I ricercatori hanno indagato una regione con una struttura peculiare che si trova nell’emisfero sud di Marte e che si chiama Sisyphi Montes, ovvero il monte di Sisifo. La regione è circondata da montagne di quota ridotta, e già altri ricercatori avevano notato la somiglianza di questi rilievi con vulcani eruttati sotto strati di ghiaccio.

La regione del Sisyphi Montes si estende a partire da circa 55 gradi fino a 75 gradi di latitudine sud. Alcuni dei siti che hanno morfologie e composizioni compatibili con eruzioni vulcaniche subglaciali si trovano a circa 1.600 km dalla calotta polare a sud di Marte. Attualmente la calotta ha un diametro di circa 350 km

«Le rocce raccontano storie. Studiandole possiamo scoprire come si sia formato un vulcano o come sia evoluto nel corso del tempo», spiega Ackiss. «L’obiettivo di questa ricerca era capire meglio la storia che ci stavano raccontando le rocce di questi vulcani».

Quando sulla Terra un vulcano erutta al di sotto di uno strato di ghiaccio, il vapore generato porta alla frattura del ghiaccio e all’espulsione i cenere in atmosfera. Ad esempio, la famosa eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull del 2010 ha comportato il rilascio di ceneri e polveri che hanno compromesso i trasporti aerei in tutta Europa per circa una settimana.

I minerali caratteristici prodotti da questo tipo di vulcanismo sono principalmente zeolitisolfati e argille. E sono proprio questi che ha scovato sui rilievi del Sisyphi Montes lo strumento Compact Reconnaissance Imaging Spectrometer (CRISM) a bordo di MRO, spingendosi fino a una risoluzione di 18 metri per pixel.

«Non avremmo mai potuto ottenere un risultato di questa portata senza l’alta risoluzione di cui è dotato CRISM», conclude Ackiss.

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7 maggio CielOstellato 2016 “l’Astroviaggiatore”

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CielOstellato, organizzato dal Gruppo astrofili Columbia, la Coop.
Camelot, la rivista Coelum, in collaborazione con la Coop.
Atlantide, Robintur e il patrocinio del Comune di Ostellato, giunge alla sua ventesima edizione e si conferma lo Star-Party nazionale dedicato all’alta risoluzione.
Oltre allo Star Party con i consueti spazi dedicati all’osservazione e alla ripresa, alle ditte di strumentazione astronomica che presenteranno le novità del settore (confermati al momento Astrottica eTeleskop Service Italia), durante la giornata sarà possibile seguire una serie di conferenze. Anche quest’anno il tema sarà dedicato ai viaggi astronomici: racconti di viaggio alla ricerca dei cieli più incontaminati, a caccia dei fenomeni più spettacolari, come eclissi totali di sole, comete, tempeste di meteore, aurore polari, nei contesti più straordinari e suggestivi del pianeta.
ore 15:00: “Un ragazzo del Kenia e la scoperta del cielo“ a cura di Emanuele Cambiotti.
ore 16:00: ” Aver ragione avendo torto” a cura di Maurilio Grassi.
ore 17:00: “L’eclisse indonesiana” a cura di Massimiliano Di Giuseppe e Ferruccio Zanotti.
ore 18:00: “Fenomeni luminosi alle alte latitudini” a cura di Esther Dembitzer.

Per informazioni:
Ferruccio Zanotti 338/4772550 – Massimiliano Di Giuseppe 338/5264372
e-mail: esploriamoluniverso@gmail.com
https://esploriamoluniverso.com
GRUPPO ASTROFILI COLUMBIA: Alessandro Farinelli 340/2834050 – Davide Andreani 338/7594852-
Matteo Negri 328/1547402 – Martino Artioli 335/5962215
www.astrofilicolumbia.it

Tre pianeti potenzialmente abitabili

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Dove si trova il “sol dell’avvenire”? Secondo un gruppo di ricerca, guidato da Michaël Gillondell’Institut d’Astrophysique et Géophysique dell’Università di Liegi, in Belgio, bisogna guardare verso la costellazione dell’Acquario, a circa 40 anni luce dalla Terra.

Un immaginario panorama dalla superficie di uno dei tre pianeti in orbita intorno a una stella nana ultra-fredda a soli 40 anni luce dalla Terra, scoperti dal telescopio TRAPPIST all’Osservatorio dell’ESO a La Silla. In questa veduta uno dei pianeti interni sta transitando di fronte al disco della sua stella madre, minuscola e poco luminosa. Crediti: ESO/M. Kornmesser

Utilizzando l’occhio di TRAPPIST, un telescopio robotico belga da 0,6 metri di diametro operante all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile, per osservare la stella 2MASS J23062928 – 0502285(conosciuta in breve come TRAPPIST-1), i ricercatori hanno scoperto che attorno a questo astro, molto più piccolo e freddo del Sole, ruotano tre pianeti di dimensioni simili alla Terra. I risultati sono stati pubblicati oggi sulla rivista Nature.

Nonostante sia relativamente così vicina alla Terra, TRAPPIST-1 è troppo debole e troppo rossa per essere vista a occhio nudo, o anche con un telescopio ottico amatoriale. È un tipo di stella che gli astronomi definiscono nana ultra-fredda, a significare che è molto meno calda – e quindi piùrossa – del Sole, e di dimensioni ridotte, risultando poco più grande del pianeta Giove. Queste stelle, assai longeve, sono molto comuni nella Via Lattea, rappresentando circa il 15% delle stelle nei dintorni del Sole. Tuttavia, questo è il primo caso in cui vi si trovano anche dei pianeti attorno.

«Questo è un vero cambiamento di paradigma per quanto riguarda la popolazione planetaria e il percorso alla ricerca della vita nell’universo», commenta entusiasticamente Emmanuël Jehin dell’Università di Liegi. «Finora l’esistenza di questi “mondi rossi” in orbita intorno a stelle nane ultra-fredde era solo stata teorizzata, ma ora abbiamo trovato non solo un singolo pianeta, ma addirittura un sistema completo di tre pianeti attorno a una di queste fioche stelle!».

«Ci si potrebbe chiedere perché ci stiamo tanto sforzando di individuare pianeti di dimensione paragonabile alla Terra attorno alle stelle più piccole e più fredde a noi vicine. La ragione è semplice: i sistemi planetari attorno a queste minuscole stelle», spiega Gillon, «sono gli unici luoghi in cui possiamo rivelare l’eventuale presenza di vita su un esopianeta di dimensioni terrestri con le tecnologie attuali. Se vogliamo trovare la vita ora da qualche altra parte nell’Universo, è qui dove dobbiamo iniziare a cercare».

Questa immagine mostra il Sole e la nana ultra-fredda TRAPPIST-1, in scala. La debole stella ha un diametro pari all’11% del diametro del Sole e ha un colore molto più rosso. Crediti: ESO

Gli astronomi cercheranno tracce della presenza di vita studiando l’effetto che l’atmosfera di un pianeta in transito di fronte alla sua stella ha sulla luce che vi filtra attraverso. Generalmente, per pianeti di dimensioni paragonabili al nostro in orbita attorno a una stella di dimensioni “normali”, questo effetto non è rilevabile, in quanto sopraffatto dalla luce della stella stessa. Secondo i ricercatori, solo nel caso delle stelle nane ultra-fredde, come TRAPPIST-1, questo effetto è abbastanza grande da potere essere osservato con i telescopi esistenti o quelli disponibili a breve.

Nel nuovo studio, successivamente a quelle compiute con il TRAPPIST, sono state eseguite osservazioni con telescopi più grandi, come il VLT da 8 metri dell’ESO in Cile. Le analisi con lo strumento tra cui lo strumento HAWK-I hanno mostrato che i pianeti in orbita intorno alla stella TRAPPIST-1 hanno dimensioni simili a quelle della Terra. Due dei pianeti hanno un periodo orbitale di1,52,4 giorni, mentre il terzo ha un periodo meno determinato, compreso tra i 4,5 e i 73 giorni.

«Questi periodi orbitali così brevi indicano che i pianeti si trovano da 20 a 100 volte più vicini alla loro stella di quanto lo sia la Terra al Sole. La struttura di questo sistema planetario è molto più simile, in scala, al sistema delle lune di Giove, piuttosto che al Sistema solare», aggiunge Gillon.

Se c’è atmosfera sugli esopianeti appena scoperti, presto gli scienziati saranno in grado di analizzarla alla ricerca di tracce di vita grazie a nuovi potenti telescopi. Crediti: ESO/M. Kornmesser

Anche se le loro orbite sono molto vicine alla stella nana, i due pianeti interni ricevono, rispettivamente, solo quattro e due volte la quantità di radiazione ricevuta dalla Terra, dal momento che la stellina è molto più debole del Sole. Questo li collocherebbe troppo vicini alla stella per rientrare nella zona abitabile del sistema, ma i ricercatori ritengono che non si possa escludere del tutto che possano ospitare delle regioni sulla superficie con presenza di acqua liquida. L’orbita del terzo pianeta, più esterno, non è ancora ben nota, ma probabilmente questo riceve sì meno radiazione quanta ne riceva la Terra, ma è forse ancora sufficiente per farlo rientrare nella zona abitabile.

«Grazie a diversi telescopi giganti attualmente in costruzione», dice in conclusione Julien de Wit, coautore dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) negli USA, «tra cui l’E-ELT dell’ESO e il James Webb  Space Telescope della NASA/ESA/CSA, il cui lancio è previsto nel 2018, saremo presto in grado di studiare la composizione atmosferica di questi pianeti e di indagare, per la prima volta, la presenza di acqua e di tracce di attività biologica. È un passo gigante verso la ricerca della vita oltre il Sistema solare».

Fonte: ESO

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “Temperate Earth-sized planets transiting a nearby ultracool dwarf star“, di Michaël Gillon, Emmanuël Jehin, Susan M. Lederer, Laetitia Delrez, Julien de Wit, Artem Burdanov, Valérie Van Grootel, Adam J. Burgasser, Amaury H. M. J. Triaud, Cyrielle Opitom, Brice-Olivier Demory, Devendra K. Sahu, Daniella Bardalez Gagliuffi, Pierre Magain e Didier Queloz

Guarda il servizio video di INAF-TV:

Leggi anche gli articoli di Paolo Molaro e Caterina Boccato sull’importanza dello studio dei transiti per la ricerca di vita in pianeti extra solari, pubblicato in occasione del transito di Mercurio 2016 su Coelum n. 200:



ASTROINIZIATIVE UAI

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I convegni e le iniziative dell’UAI
6-8 maggio XLIX Congresso dell’Unione Astrofili Italiani a Prato.
Il più importante appuntamento dell’astrofilia italiana: tre giorni di conferenze e di condivisione esperienze
formative alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale ed internazionale.
Organizzazione a cura della Delegazione UAI: Museo di Scienze Planetarie di Prato.
http://www.uai.it/astrofilia/congressouai.html

ExoMars 2018, missione rinviata al 2020

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Il lancio della seconda fase della campagna di esplorazione marziana ExoMars, inizialmente previsto per il 2018, è slittato a non prima del 2020. Dopo il Trace Gas Orbiter e il modulo sperimentale d’atterraggio Schiaparelli, attualmente in viaggio alla volta del Pianeta Rosso, sarà il turno di altre due sonde: una piattaforma scientifica russa e un rover europeo.

Alla fine del 2015, l’ESA e la Roscosmos avevano istituito assieme ai loro partner industriali una squadra speciale per cercare di recuperare i ritardi accumulatisi nel corso degli anni rispetto alla tabella di marcia originale. Di fronte ai membri delle due agenzie spaziali e del settore industriale, riunitisi a Mosca per l’occasione, la commissione speciale ha annunciato il suo verdetto, indicando che l’entità dei ritardi è tale da compromettere qualunque tentativo di decollare in orario, ovvero nel 2018.

A causa della meccanica orbitale, la finestra di lancio successiva cade nel Luglio 2020.

“Gli esperti russi ed europei hanno fatto del loro meglio per raggiungere la finestra di lancio del 2018,” si legge in un comunicato stampa diffuso il 2 maggio dall’ESA. “La commissione ha concluso che, prendendo in considerazione i ritardi nelle attività industriali europee e russe e nella consegna del carico scientifico, decollare nel 2020 è l’opzione migliore.”

La decisione finale è stata presa dai direttori generali delle due agenzie, Johann-Dietrich Woerner e Igor Komarov. Le due agenzie collaboreranno per assicurarsi che le attività da entrambe le parti procedano secondo gli orari dettati dalla nuova tabella di marcia.

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OCCHI AL CIELO – Corso di Astronomia a Roma

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Mercoledì 04/05/2016 ore 21.30 INCONTRI DI ASTRONOMIA
In diretta streaming su AstronomiAmo, ospite la Dott.ssa ARIANNA PICCIALLI, ricercatrice all’Osservatorio di Parigi.

Partecipazione gratuita.
LIVE STREAM.

Per informazioni:

www.astronomiamo.it

www.astriroma.org

Tel. 338-1670432

Email: info@astronomiamo.it

Astronomiamo

FESTIVAL DELLA SCIENZA 2016

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Da martedì 3 a sabato 7 maggio 2016, a Cascina si terrà la prima edizione de “Il festival della scienza”, promosso dal Comune di Cascina in collaborazione con l’associazione La nuova limonia e il patrocinio e il contributo della Regione Toscana. Cinque giorni di mostre, incontri, giochi, osservazioni, riflessioni e approfondimenti su scienza, tecnologia, astrofisica e futuro.
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Di seguito alcuni appuntamenti dedicati all’astronomia a cura di A.C.A. Associazione Cascinese Astrofili.
Il programma completo può essere scaricato QUI.
05.05: ore 16:00/16:45: Osservazione del Sole con il telescopio dalla Terrazza Bulleri della Biblioteca
Peppino Impastato di Cascina. In caso di condizioni meteo sfavorevoli collegamento con la sonda Soho
per vedere il sole in modo istantaneo con le immagini che ci arriveranno dallo spazio, via internet.
ore 22:30: Osservazione di Giove con il telescopio dalla Piazza Gramsci, nei pressi del ristorante Pasta e
Vino di Cascina.
06.05: ore 9:00: “Evoluzione stellare: la vita delle stelle ” a cura di: A.C.A. presso il Liceo Russoli (sede di
Cascina).
ore 9:50: “Il progetto A.M.I.C.A. Asteroids Mitigation: Information and Coordination Activity” di Domenico
Antonacci (A.C.A.).
ore 10:15: Osservazione del Sole con il telescopio, nel giardino del Liceo.
07.05: ore 21:00: Presentazione del libro “Storie di Stelle” a cura della casa editrice Merchetti di Pisa,
nell’occasione parleremo di costellazioni con particolare riferimento a quelle dello zodiaco.Presso la
Biblioteca Comunale Peppino Impastato di Cascina.
PORTE APERTE a EGO: turni di visite guidate su prenotazione all’interferometro (ore 10/15/17).
ore 16:00: OSSERVAZIONE DEL SOLE con i telescopi, fino alle ore 19:30 circa.
ore 21:00: Spettacolo teatrale “GRAVITON” con la compagnia I Teatri Della Resistenza.
ore 22:00: Osservazione in notturna ai telescopi “Imitando Messier…”
www.comune.cascina.pi.it

Il Transito di Mercurio sul Sole in diretta su Coelum

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Daniele Gasparri in diretta ed in esclusiva TS Italia effettuerà osservazioni del Sole in H-Alpha con un telesocpio solare Lunt messo a disposizione da Teleskop Service. Ogni 15-20 minuti metterà a disposizione le sue elaborazioni in tempo reale per una visione 100% Gasparri-HD! - See more at: http://transitodimercurio.teleskop-express.it/#sthash.cbAbG2cJ.dpuf

Lunedì 9 maggio, a partire dalle 12:30,  il TRANSITO DI MERCURIO in diretta streaming su Coelum con Daniele Gasparri TS Italia

In caso di mal tempo più in basso le dirette dell’Osservatorio Astronomico INAF di Asiago (con collegamenti con le conferenze a Padova e le osservazioni da Tenerife)

In caso di maltempo, cliccate qui sotto per avviare la diretta dall’Osservatorio Astrofisico INAF di Asiago, con collegamento da Tenerife.

Restate sintonizzati …e nel frattempo scoprite tutto quello che bisogna sapere su questo prezioso e raro evento!

Il  9 maggio un pianeta attraverserà lentamente il disco del Sole, spostandosi da ovest verso est. Come avviene nell’arte, dove l’apprezzamento del grande pubblico per un dipinto o una statua è dato da un insieme di fattori legati un po’ al suo presunto valore estetico (che è comunque un dato soggettivo e condizionato dai dettami stilistici di una determinata epoca) e molto al fascino che deriva dall’essere percepito come “molto antico”, allo stesso modo gli eventi astronomici più apprezzati prescindono a volte dalla spettacolarità e vedono invece premiata una qualità altrettanto preziosa: la rarità.

Nella pagina qui a lato (clicca l’immagine per ingrandire oppure vai a pag. 57 del numero per la piena risoluzione) le tabelle con tutti gli orari per alcune delle principali città. Nella tabella in alto sono riportati gli orari del transito per le principali località italiane. Aosta e Torino sono quelle località per cui il transito può essere osservato in modo completo. La tabella indica gli orari dei momenti salienti del transito, ossia i contatti tra Mercurio e il Sole e il momento in cui Mercurio transita più vicino al centro del Sole (fase centrale).
La tabella subito sotto riporta i nomi di alcune città in cui è possibile osservare il transito completo di Mercurio sul Sole. L’altezza alla fine dell’evento è stata calcolata non considerando l’estinzione atmosferica e quindi è il valore peggiore. Nella realtà, con un orizzonte libero, dovremo avere almeno mezzo grado di tolleranza, quindi la fine del transito potrebbe essere visibile anche da Varese. Tutti i luoghi più a est, o a nord, di queste città consentiranno l’osservazione completa del fenomeno. Le due immagini ai lati schematizzano le posizioni di Mercurio (in nero) e del Sole (in arancione) in corrispondenza dei contatti.

Tutte le informazioni sul transito, da quelle storiche, alle curiosità, ai consigli per osservarlo e riprenderlo al meglio, le potete trovare negli speciali pubblicati su Coelum 199 e 200 (che potete sfogliare online, o scaricare in pdf, in modo completamente gratuito e da qualsiasi dispositivo!).

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Festeggia con noi il numero 200 di Coelum Astronomia!
184 pagine da sfogliare subito… è gratis!

ASTROINIZIATIVE UAI

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI

In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito.
Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti.
Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it

TI PORTO LA LUNA

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Ti porto la LUNA

Ti porto la LUNAContinua il Tour che nel 2015 ha fatto sognare migliaia di persone. Realizzato da Luigi Pizzimenti, in collaborazione con Paolo Attivissimo, anche quest’anno potrete conoscere la storia geologica di una roccia antichissima che rievoca la cataclismica formazione della Terra e della Luna, e potrete rivivere, con foto e riprese video rare e restaurate, l’avventura e il viaggio che l’hanno portata tra noi.
Il campione di Luna di quest’anno è un frammento raccolto nella regione lunare di Fra Mauro dagli astronauti di Apollo 14, Alan Shepard e Edgar Mitchell, ed è uno dei più grandi fra quelli offerti dalla NASA per esposizioni pubbliche. Quest’anno il tour italiano vedrà la partecipazione e collaborazione (in alcune località) di: Paolo Attivissimo, Paolo D’Angelo e Paolo Miniussi.

Tutte le date, le località e le informazioni necessarie le trovate nel CALENDARIO degli APPUNTAMENTI

Comete – Rifa’ capolino la C/2013 X1 PANSTARRS?

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252 linear
Una splendida fotografia a grande campo della P/252 Linear, ripresa il 10 aprile scorso nel sud della Spagna (Andalusia) da una quota di 1700 metri. La cometa, situata allora nell’Ofiuco, è il batuffolino color verde indicato dalla freccia. Cortesia di J. Jimenez.

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Giove e satelliti medicei

Questa vecchia conoscenza, che avevamo perso tra la luce solare qualche mese fa, è transitata al perielio il 20 aprile ed ora si sta avvicinando alla Terra. Passerà alla minima distanza dal nostro pianeta il 22 giugno (0,640 UA), raggiungendo secondo le stime, la quinta o sesta magnitudine. In quel periodo per noi sarà persa, ed è per questo che dovremo tentare di avvistarla tra maggio e i primi giorni di giugno, quando tuttavia sarà probabilmente un po’ più debole.

252 linear
Una splendida fotografia a grande campo della P/252 Linear, ripresa il 10 aprile scorso nel sud della Spagna (Andalusia) da una quota di 1700 metri. La cometa, situata allora nell’Ofiuco, è il batuffolino color verde indicato dalla freccia. Cortesia di J. Jimenez.

Asteroidi – Laggiù tra Ofiuco e Scorpione Iris non al meglio, ma Pythia super

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mappa iris pythia
Come si può vedere dalla cartina, gli asteroidi (7) Iris e (432) Pythia si muoveranno in maggio tra Ofiuco e Scorpione, compiendo con moto indiretto un tratto apparente di circa 7°. L’opposizione verrà raggiunta a fine mese. Sotto un cielo molto scuro e limpido i due pianetini potrebbero essere individuati anche con un buon binocolo, ma la difficoltà starebbe nel riconoscerli tra nugoli di stelle. Meglio quindi usare uno strumento a focale più lunga, per ridurre il campo. La posizione di Saturno e Marte è quella che i due pianeti avranno la sera del 15 maggio.

Anche se… a guardar bene, qualcosa d’interessante ci sarebbe stato, come ad esempio la grande opposizione di (516) Amherstia. Ma il piccolo asteroide, come si può vedere dalla tabella “Gli ASTEROIDI in opposizione nel periodo” presente nelle pagine seguenti, si muoverà a declinazioni impossibili per gli osservatori italiani.

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Giove e satelliti medicei

Nel gruppo degli “oppositori” c’è poi anche il grande (511) Davida, che però incapperà in una delle sue apparizioni più sfavorevoli; e anche (241) Germania, pianetino inaspettatamente grande (180 km), ma anche molto scuro e distante, tanto da essere sconosciuto ai più a causa della sua sempre modesta luminosità. Alla fine, sfogliando la rosa, restano in mano solo due petali: la classica, grande e luminosa Iris e la piccola Pythia. Vediamo perché.

mappa iris pythia
Come si può vedere dalla cartina, gli asteroidi (7) Iris e (432) Pythia si muoveranno in maggio tra Ofiuco e Scorpione, compiendo con moto indiretto un tratto apparente di circa 7°. L’opposizione verrà raggiunta a fine mese. Sotto un cielo molto scuro e limpido i due pianetini potrebbero essere individuati anche con un buon binocolo, ma la difficoltà starebbe nel riconoscerli tra nugoli di stelle. Meglio quindi usare uno strumento a focale più lunga, per ridurre il campo. La posizione di Saturno e Marte è quella che i due pianeti avranno la sera del 15 maggio.

BALLE DI SCIENZA Storie di errori prima e dopo Galileo

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A quasi due anni di distanza dal successo di Pisa, cantonate, errori e bufale scientifiche tornano protagonisti e sbarcano in Sicilia, alle falde dell’Etna, infatti, il museo Città della Scienza – Università di Catania ospiterà la seconda edizione della mostra, curata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania. Un’occasione in più per lasciarsi guidare alla scoperta di abbagli e coincidenze che hanno segnato la storia della scienza.

La mostra vi racconterà come gli errori accompagnano inevitabilmente il desiderio dell’uomo di conoscere: grandi scoperte – fatte qualche volta anche per caso – si intrecciano con clamorose sviste. Gli scienziati infatti portano in laboratorio, ed è difficile fare altrimenti, le proprie convinzioni religiose, filosofiche e culturali. In realtà, però, correggere i propri errori è l’essenza stessa del metodo scientifico, inaugurato da Galileo più di 400 anni fa. Ciò che conta è non perdere meraviglia e curiosità di fronte al mondo. Sbagliarsi fa parte del gioco.

Info e prenotazioni: ballediscienza@ct.infn.it
www.ballediscienza-catania.it

Una luna anche per Makemake

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Credit: NASA, ESA, and A. Parker and M. Buie (SwRI)

Il potente occhio del telescopio spaziale Hubble è riuscito a individuare una piccola luna in orbita attorno al pianeta nano Makemake. La luna, nota provvisoriamente come S/2015 (136472) 1 o MK 2, è circa 1300 volte meno luminosa di Makemake e dista 21 mila chilometri dalla superficie del pianeta nano. Gli astronomi ritengono che MK 2 abbia un diametro di circa 160 chilometri, il che la renderebbe quasi 9 volte più piccola del pianeta nano.

Rappresentazione artistica del sistema composto dal pianeta nano Makemake e il suo satellite. Crediti: NASA/ESA/A. Parker (Southwest Research Institute)

Makemake, scoperto nel 2005, è il terzo pianeta nano per luminosità e il secondo nella fascia di Kuiper dopo Plutone. Orbitando in media 46 volte oltre la Terra, Makemake si trova nella periferia del Sistema solare, popolata da altri tre pianeti nani – Plutone, Haumea ed Eris – e un gran numero di oggetti trans-Nettuniani minori.

Dei quattro pianeti nella fascia di Kuiper, Makemake prima d’oggi era l’unico di cui non erano conosciuti satelliti naturali. Le immagini che hanno portato alla scoperta di MK 2 sono state scattate nell’aprile 2015 dalla Wide Field Camera 3 a bordo del telescopio spaziale Hubble. Le osservazioni sono risultate particolarmente difficoltose, in quanto la luna era quasi del tutto nascosta dal bagliore di Makemake.

La tecnica che ha permesso agli astronomi di distinguere MK 2 è la stessa che aveva portato all’identificazione delle quattro lune minori di Plutone tra il 2005 e il 2012.

“Le nostre stime preliminari indicano che l’orbita della luna risulta di lato (vista dalla Terra),” spiega Alex Parker dell’SwRI. “Ciò significa che ci sono buone probabilità che, nelle osservazioni precedenti, la luna fosse semplicemente nascosta nell’alone luminoso di Makemake.”

Caratterizzare i parametri orbitali di questa nuova luna permetterà agli scienziati di effettuare una stima relativamente precisa della massa totale del pianeta nano e del sistema – un elemento chiave nel ricostruire la formazione e l’evoluzione dei due corpi.

“Makemake fa parte della piccola famiglia dei plutoidi, quindi trovare un compagno è una scoperta importante,” prosegue Parker. “La scoperta di questa luna ci offre l’opportunità di studiare Makemake molto più a fondo di quanto sarebbe stato possibile se non ci fosse stato un satellite naturale.”

A detta degli scienziati, questa scoperta avvicina ulteriormente Makemake a Plutone. Su entrambi i mondi, infatti, sono state identificate le tracce spettrali del ghiaccio di metano. Studiare MK 2 permetterà agli scienziati di calcolare un profilo di densità per Makemake, il che consentirà un confronto tra la sua struttura interna e quella di Plutone per verificare se la somiglianza tra questi due mondi si estende anche al di sotto delle loro superfici ghiacciate.

“Questa scoperta apre un nuovo capitolo nella planetologia comparativa del sistema solare esterno,” commenta Marc Buie dell’SwRI. I dati preliminari indicano che la luna si trova in un’orbita circolare con un periodo di almeno 12 giorni. Tuttavia, ulteriori osservazioni saranno necessarie per confermare o eventualmente correggere questi dati.

Conoscere la forma dell’orbita è di particolare importanza per poter ricostruire lo scenario di formazione del satellite. Un’orbita circolare, infatti, sarebbe indicativa di una collisione tra Makemake e un altro oggetto della fascia di Kuiper. Un’orbita eccentrica, invece, suggerirebbe che la luna fosse in origine un oggetto indipendente, poi catturato dalla gravità del pianeta nano.

In passato, una serie di studi avevano individuato delle chiazze scure sulla superficie di Makemake. Secondo le ricostruzioni dell’epoca, queste chiazze erano dovute alla sublimazione dei ghiacci provocata dal calore del Sole. Tuttavia, la scoperta di MK 2 suggerisce che le chiazze calde individuate nell’infrarosso potessero semplicemente essere dovute alla presenza della scura superficie della luna.

Gli astronomi stanno ancora cercando di comprendere come due oggetti così vicini possano essere così diversi – uno candido come la neve, e l’altro nero come il carbone. Una teoria preliminare prevede che la luna non eserciti un’attrazione gravitazionale sufficiente a trattenere i ghiacci una volta sublimati, il che risulterebbe nell’esposizione degli strati più interni e scuri.

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Cielo di maggio 2016

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E. La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 maggio alle 00:00 ♦ 15 maggio alle 23:00 ♦ 30 maggio alle 22:00

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Giove e satelliti medicei

Verso le 22:00 del 15 maggio il cielo si presenterà con le ultime costellazioni invernali (Cane Minore, Gemelli, Auriga…) ormai declinanti o prossime al tramonto, e con il Leone (in cui si muoverà ancora un maestoso Giove) a dominare tutta la parte ovest.
In meridiano si mostreranno invece le costellazioni primaverili (la Vergine e Boote, con la brillante Arturo), mentre più in basso, vicino all’orizzonte sud, faranno capolino le stelle più settentrionali del Centauro (tra tutte, la luminosa Menkent, di mag. +2).
Più a est, l’inconfondibile profilo dello Scorpione e il puntino rosso di Antares (e ancora più quello di un Marte brillantissimo) annuncerà l’arrivo delle costellazione estive (Ercole, Corona Borealis, Ofiuco, Aquila) che già cominceranno ad alzarsi nella parte orientale del cielo.
Verso nordest sarà già osservabile anche la Lira con la fulgida Vega, seguita dappresso dal Cigno.

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Seconda stella a destra – III Edizione – Verona

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Nella nostra galassia quanti sono i pianeti simili alla Terra?
E nell’Universo?
C’è vita intelligente lassù?

Il programma dell'evento. Cliccare per ingrandire.

Domande alle quali si tenterà di dare una risposta mercoledì 27 aprile, durante una giornata dedicata all’argomento che, dopo incontri nelle scuole con esperti, terminerà con un appuntamento aperto a tutti alle ore 21, presso la Sala convegni del Palazzo della Granguardia di Verona dal titolo: “Pianeti extrasolari: vita ed intelligenza nel cosmo?”. Ad onorare la serata ci sarà il Maestro Eugenio Finardi, grande appassionato di astronomia e di ricerca della vita extraterrestre. Gli verrà consegnata una targa che attesta la dedica di un asteroide a memoria futura, donato dallo scopritore Vittorio Goretti, e la cui motivazione verrà esposta da Enzo Gallori, Presidente della Società Italiana di Astrobiologia.

L’incontro della tavola rotonda, voluto e realizzato dall’Associazione Scientifico Culturale Empiricamente, in collaborazione con la web community EANweb, con il Patrocinio del Comune di Verona, della Società Astronomica Italiana e della Società Italiana di Astrobiologia sarà sviluppato da uomini di scienza e religiosi. Interverranno: Don Borgonovo, esegeta e arciprete  del Duomo di Milano, Ivano Dal Prete, storico della scienza, della Yale University, Enzo Gallori, Presidente della Società Italiana di Astrobiologia e consulente della Nasa, dell’Università di Firenze, Massimo Mazzoni, fisico, Segretario della Società Astronomica Italiana, dell’Università di Firenze,Roberto Ragazzoni, astrofisico, dell’Università di Padova, Pietro Aliprandi; aspirante astronauta del Progetto MarsOne ed Eugenio Finardi, artista. L’incontro sarà moderato da Luigi Bignami, giornalista scientifico.

Durante la serata si osserverà in diretta il transito del pianeta extrasolare denominato HAT-P-22b davanti al disco della stella madre. Si osserverà una calo della luce della stella nel momento in cui il pianeta passerà di fronte ad essa. E’ questa una delle tecniche che si usano per cercare pianeti extrasolari. L’evento verrà realizzato in singergia con l’Osservatorio di Libbiano, grazie alla collaborazione di Alberto Villa e dell’Associazione Astrofili Valdera. In sala, l’evento sarà fatto seguire da Daniele Gasparri.

La serata aprirà la manifestazione “Seconda stella a destra – Terza Edizione” che si terrà negli spazi dell’Ex Arsenale di Verona dal 29 aprile al 4 maggio, grazie alla coorganizzazione della 2^ Circoscrizione – Comune di Verona. Il tema principale dell’evento sarà l’astronomia con lo scopo principale di divulgare conoscenza scientifica e culturale in generale. Durante le giornate si darà particolare spazio alle scuole, mentre nelle ore serali e nel fine settimana si apriranno le porte a tutti gli appassionati.

A disposizione del pubblico vi saranno diversi planetari che permetteranno ai visitatori di realizzare “viaggi” a tema proposti da esperti divulgatori. Ad affiancare l’attività dei planetari vi saranno dei laboratori ludico/didattici tenuti dalla Società Reinventore, dove le scolaresche potranno realizzare diversi esperimenti. Durante le giornate verranno programmate alcune conferenze su temi di interesse pubblico aperti a tutti, ma con particolare riguardo ad insegnanti ed astrofili. Durante il fine settimana saranno presenti esperti dell’Associazione Scientifico Culturale EmpiricaMente i quali, con la collaborazione di altri astrofili, daranno modo di osservare il cielo in diverse ore della giornata, di giorno il Sole con appositi filtri, di notte con vari telescopi. A coronare le attività saranno presenti vari stand con materiali di tipo diverso, dai libri ai telescopi, dai gadget ad altra strumentazione.

Info evento:
EMPIRICAMENTE associazione culturale:http://www.empiricamente.info/
info@empiricamente.info

Comunicato stampa:
http://www.eanweb.com/2016/verona-seconda-stella-a-destra-iii-edizione-pianeti-extrasolari-e-vita-nel-cosmo/

Haulani e Oxo, due luminosi e sorprendenti crateri di Cerere

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Il cratere Haulani in tutta la sua bellezza. Nell'immagine i colori sono stati esaltati per evidenziarne la struttura e i diversi materiali presenti sulla superficie (le parti in blue sono associate alle strutture più recenti). I dati utilizzati per creare l'immagine sono stati raccolti quando la sonda si trovava a 1470 km dalla superficie. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI

Dalla sua orbita bassa di mappatura, a soli 385 chilometri dalla superficie di Cerere (più o meno quanto la Stazione Spaziale dalla Terra), in queste nuove immagini ad alta risoluzione, Dawn ci mostra nuovi spettacolari scorci del pianeta nano. Due i crateri protagonisti di questa ultima realease, Haulani (accompagnato da una bellissima immagine a colori) e il piccolo sorprendente Oxo.

Il cratere Haulani nell'immagine ripresa dalla Framing Camera in orbita bassa, a 385 km di distanza. credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI

Il cratere Haulani, con un diametro di 34 chilometri, mostra segni di frane ai bordi, mentre all’interno il fondo appare liscio con una cresta centrale. L’immagine in falsi colori (sopra) permette di evidenziare i diversi materiali di cui è composto e come si distribuiscono rispetto alla morfologia sulla superficie. In colore blu spicca il materiale più “giovane” espulso probabilmente in seguito all’impatto.

«Haulani mostra esattamente le proprietà che ci si aspetta da un impatto “fresco” sulla superficie di Cerere. Il fondo del cratere è in gran parte privo di segni, ed è in forte contrasto con il colore delle parti più antiche della superficie», ci spiega Martin Hoffmann, co-investigatore del team della Frame Camera di Dawn, con sede presso l’Istituto Max Planck (Germania).

Degna di nota è la natura poligonale del cratere, la cui forma sembra essere disegnata con una serie di segmenti retti, contrariamente alla maggior parte dei crateri di qualsiasi altro corpo planetario, inclusa la Terra, che risultano essere sempre praticamente circolari. Probabilmente, questa caratteristica presente anche in altri crateri di Cerere, deriva da difetti e formazioni preesistenti della superficie, dovuti a stress causati da meccanismi interni.

Il piccolo cratere Oxo, ripreso sempre dall'orbita bassa di mappatura, ma fin'ora trascurato a causa della sua posizione "limitrofa". Il cratere si è invece rivelato fonte importante per lo studio della superficie del pianeta nano. Si tratta del secondo più luminoso cratere ripreso su Cerere e il fondo, a differenza degli altri, presenta una depressione invece che creste o rigonfiamenti. Image credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI

Un tesoro nascosto si è rivelato essere Oxo, un cratere di soli 10 km di diametro, ma il secondo più brillante di tutto il pianeta nano. L’unica formazione a batterlo in luminosità è la famosa zona centrale del cratere Occator con i suoi “white spot”.

Oxo però si trova nei pressi del meridiano zero, al bordo delle mappe per le quali è sempre stato usato più come riferimento, e quindi sempre trascurato.

Grazie a queste nuove immagini, si è potuta invece evidenziare un’altra sua caratteristica che lo rende unico: una depressione al centro con i materiali che si trovano sul pavimento del cratere che sembrano essere di natura diversa rispetto al resto della superficie del pianeta nano. Ed ecco che Oxo si ritrova così ad avere una parte di enorme importanza nello studio della crosta superficiale di Cerere. Ne sentiremo parlare sicuramente ancora…


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Fermi osserva il bagliore che accompagna le onde gravitazionali

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Una simulazione della distorsione dello spaziotempo in prossimità di due buchi neri poco prima della loro fusione, vedi anche video qui in basso. Credit: NASA/J. Bernard Kelly (Goddard), Chris Henze (Ames) and Tim Sandstrom (CSC Government Solutions LLC)

Alle 10:51 ora italiana del 14 settembre 2015, gli astronomi hanno acquisito un nuovo senso per sondare le profondità più violente e misteriose del cosmo, con l’identificazione da parte dell’interferometro LIGO delle primissime onde gravitazionali.

Meno di mezzo secondo più tardi, il telescopio spaziale Fermi della NASA ha rilevato un debole lampo di luce ad alta energia provenire dalla stessa porzione di cielo delle onde gravitazionali. Le analisi degli scienziati mostrano che le probabilità che si tratti di una semplice coincidenza sono dello 0.2 percento. La scoperta è piuttosto inaspettata, in quanto i principali modelli prevedono che la fusione di due buchi neri come quella responsabile delle onde rilevate da LIGO non dovrebbe produrre radiazioni elettromagnetiche.

Nella simulazione, le increspature arancione rappresentano le distorsioni spazio-temporali causate dalle masse dei due buchi neri in collisione, che si disperdono e indeboliscono diventando onde gravitazionali (in viola). Le sfere nere rappresentano gli orizzonti degli eventi dei due buchi neri. Credits: Media INAF

Secondo la ricostruzione degli scienziati, le onde gravitazionali – increspature nello spaziotempo, il tessuto dell’Universo – sarebbero state prodotte 1.3 miliardi di anni fa dalla collisione di due buchi neri. Dotati di 29 e 36 masse solari e larghi circa 150 chilometri l’uno, i due buchi neri si sarebbero scontrati viaggiando a metà della velocità della luce, fondendosi in un unico buco nero 62 volte più massiccio della nostra stella. Le tre masse solari mancanti sarebbero state rilasciate sotto forma di un’onda gravitazionale, rilevata con sette millisecondi di differenza da due diversi esperimenti negli USA.
Mentre LIGO ha “ascoltato” la collisione, Fermi – sempre che i suoi dati non mentano – ne ha osservato il bagliore a raggi gamma e raggi X.

“Ci sono poche probabilità che questa interessante scoperta sia un falso allarme, ma prima di poter iniziare a riscrivere i libri di testo dovremo osservare altri lampi associati ad onde gravitazionali da fusioni di buchi neri,” spiega Valerie Connaughton, autrice dello studio riguardo i dati di Fermi.
In futuro, le osservazioni di Fermi potrebbero rivelare preziosi dettagli su questi drammatici eventi. Lo strumento GBM, responsabile della scoperta, opera ad energie comprese tra 8000 e 40 milioni di elettronvolt. La luce visibile, per confronto, va da 2 a 3 eV. GBM è progettato per analizzare i lampi gamma più brevi, che in media durano meno di due secondi. Si pensa che questi fenomeni siano dovuti allo scontro tra oggetti compatti, quali stelle di neutroni e buchi neri. Le stesse fusioni produrrebbero anche onde gravitazionali.
“Con un solo evento, i raggi gamma e le onde gravitazionali ci diranno esattamente cosa causa un lampo gamma,” spiega Lindy Blackburn di LIGO. “C’è una sinergia incredibile tra le due osservazioni: i raggi gamma ci rivelano dettagli sull’energia e sull’ambiente delle sorgenti, mentre le onde gravitazionali sondano le dinamiche che portano all’evento.”
Purtroppo, per quanto avanzati, gli interferometri come LIGO dispongono di una bassa risoluzione spaziale. L’incertezza sulla posizione celeste dello storico evento osservato a Settembre, ad esempio, è di circa 600 gradi quadrati.

Nel video come sono state sovrapposte le aree delle sorgenti dell’onda gravitazionale rivelata da LIGO e del raggio gamma individuato da Fermi, immaginando che provengano dalla stessa sorgente. In questo modo, l’area di ricerca LIGO è diminuita di due terzi.
Credits : NASA Goddard Space Flight Center

“È un pagliaio piuttosto grande da setacciare se il tuo ago è un lampo gamma veloce e debole, ma qui entra in gioco il nostro strumento,” spiega Eric Burns dell’Università dell’Alabama. “Identificare un lampo gamma ci permette di ridurre l’area di incertezza di LIGO e di sfoltire significativamente il pagliaio.”
Il lampo osservato da Fermi immediatamente dopo LIGO è durato circa un secondo. Purtroppo, il lampo ha colpito il rilevatore quasi di lato, complicando la ricostruzione della sua traiettoria. Tuttavia, il fatto che la Terra bloccasse parte dell’area di incertezza di Fermi ha consentito agli scienziati di migliorare le loro stime sulla posizione della sorgente del lampo.
Assumendo che il lampo gamma di Fermi e le onde gravitazionali di LIGO siano stati prodotti dallo stesso evento, i dati raccolti dal telescopio della NASA permetterebbero ai ricercatori di ridurre l’area di incertezza di due terzi, fino a meno di 200 gradi quadrati. In futuro, con un angolo di impatto un po’ più favorevole, Fermi sarà in grado di raggiungere una precisione ancora maggiore.

Hai già letto il nostro speciale onde gravitazionali?
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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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22.04: “Sarà possibile il viaggio interstellare? Prospettive, problemi, mito e realtà dietro un
antico sogno” conferenza di Monica Valli.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Luna, Marte e Saturno sotto lo sguardo di Antares

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Tra il 25 e 26 aprile ci sarà, come già in marzo, la congiunzione planetaria più “popolata” del mese. Ai pianeti Saturno e Marte, situati tra Scorpione e Ofiuco, si aggiungerà infatti la Luna che verso le 0:30 del 25 si troverà 5° a nord di Marte e 10° a nordovest di Saturno. Il giorno dopo, il nostro satellite si troverà invece 3,3° a est di Saturno e 10° da Marte. Uno spettacolo magnifico… senza contare la presenza di Antares e dello Scorpione stesso!

Effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Aprile

Tutti gli eventi del cielo di aprile li trovi su Coelum Astronomia n.199

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Ghiaccio bollente su Europa

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La luna galileiana Europa subisce un continuo stress gravitazionale. Mentre orbita attorno a Giove, la sua superficie si solleva e ricade continuamente a causa del richiamo gravitazionale del pianeta. Gli scienziati concordano sul fatto che questo processo sia in grado di generare una quantità di calore sufficiente a produrre un oceano liquido sotto alla sua crosta ghiacciata.

Un’immagine a falsi colori mostra la superficie di Europa. L’inserto mostra alcune regioni in cui le placche si separano e si muovono. Crediti: NASA/JPL

Gli esperimenti condotti da due geologi delle università statunitensi Brown e Columbia suggeriscono che questa dissipazione mareale potrebbe creare molto più calore di quanto fosse stato ipotizzato in passato. Lo studio potrebbe aiutare i ricercatori a ottenere una stima più precisa dello spessore della crosta ghiacciata di Europa.

Le lune più massicce di Giove, chiamate Europa, Io, Ganimede e Callisto, sono state scoperte da Galileo durante le sue osservazioni all’inizio del 1600. Quando la NASA ha inviato le prime sonde nei pressi di Giove, negli anni ‘70, ed è riuscita ad osservare più da vicino anche le sue lune, queste hanno tutte mostrato caratteristiche inaspettate e sorprendenti.

«Gli scienziati si aspettavano di vedere mondi freddi e privi di vita, ma sono stati immediatamente smentiti e sconvolti da ciò che hanno trovato», dice Christine McCarthy, prima autrice dello studio e professoressa presso la Columbia University. «Era chiaramente in corso un qualche tipo di attività tettonica, e su Europa c’erano punti in cui il ghiaccio sembrava sciogliersi o assumere una consistenza fluida».

L’unico modo per ottenere abbastanza calore in una regione del Sistema solare così distante dal Sole è attraverso dissipazioni mareali. Si tratta di un effetto simile a quello che si ottiene piegando più volte una gruccia di metallo, spiega McCarthy. «Se si piega più volte avanti e indietro un pezzo di metallo, è possibile sentire calore nel punto in cui è stato piegato», dice. Tuttavia, i dettagli dei processi che avvengono sulla superficie ghiacciata di Europa non sono ancora chiari, e quando i ricercatori hanno effettuato delle simulazioni per comprendere meglio queste dinamiche i risultati sono stati sorprendenti.

«Fino a ora erano stati utilizzati dei modelli meccanici semplici per descrivere le sollecitazioni subite dal ghiaccio», dice McCarthy. «Ma i calcoli suggeriscono che l’acqua liquida sotto la superficie di Europa non riceva i flussi di calore in grado di creare il tipo di tettonica osservato, così abbiamo eseguito una serie di esperimenti per cercare di comprendere meglio questo processo».

Insieme al professor Reid Cooper della Brown University, McCarthy ha sottoposto una serie di campioni di ghiaccio a carichi di pressione simili a quelli che agiscono sulla crosta di Europa. Quando tali carichi vengono applicati e rimossi, il ghiaccio si deforma e in una certa misura rimbalza. Misurando l’intervallo di tempo intercorso tra l’applicazione della sollecitazione e la deformazione del ghiaccio è possibile dedurre quanto calore viene generato durante il processo.

I modelli precedenti a questo esperimento avevano assunto che la maggior parte del calore generato provenisse dall’attrito tra i grani di ghiaccio. Questo implicherebbe che la dimensione dei grani influenza la quantità di calore prodotto. Gli esperimenti di McCarthy e Cooper hanno invece dimostrato che i risultati sono simili anche alterando in maniera sostanziale la dimensione dei grani. Questo indica che il processo attraverso il quale si genera calore è legato ai difetti formati all’interno del reticolo cristallino del ghiaccio a causa della deformazione. Tali difetti generano molto più calore di quanto stimato in precedenza.

«Christine ha scoperto che, rispetto ai modelli comunemente adottati dalla comunità scientifica, il ghiaccio sembra essere un ordine di grandezza più dissipativo di quanto pensavamo in passato», dice Cooper. Una maggiore dissipazione comporta maggiori quantità di calore, e questo potrebbe avere importanti ricadute sulla struttura interna di Europa.

«La fisica alla base del comportamento del ghiaccio che ricopre Europa è di fondamentale importanza per comprendere quanto la sua crosta sia spessa», spiega Cooper. «Lo spessore della crosta, a sua volta, ha implicazioni importanti sulla chimica e la dinamica interna della luna gioviana. E siccome ci sono numerosi indizi circa la possibile presenza di vita all’interno di Europa, la chimica dei suoi strati più profondi è un aspetto fondamentale da conoscere».

McCarthy e Cooper sperano che i teorici facciano tesoro del loro risultato, e che si arrivi presto a una conoscenza più approfondita degli oceani di Europa. «Il nostro studio fornisce ai teorici una nuova fisica da applicare ai loro modelli», conclude McCarthy.

Per saperne di più:

CONTEST! Realizza la visual identity della Notte Europea dei Ricercatori 2016/17

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Ora è ufficiale! Frascati Scienza organizzerà per l’undicesimo anno consecutivo la Notte Europea dei Ricercatori, progetto promosso dalla Commissione Europea. Frascati sarà l’epicentro di un grande evento nazionale che il 30 settembre 2016 vedrà protagonisti i ricercatori, i cittadini, i giovani, gli studenti contemporaneamente nelle città di Roma, Ferrara,Trieste, Bologna, Milano, Ferrara, Catania, Pisa, Bari, Cagliari, Pavia, Firenze, Napoli, Genova, Sassari, Parma, Palermo, Gorga, Grottaferrata, Monteporzio Catone e in centinaia di città europee.

La manifestazione è dedicata alla centralità della figura del ricercatore e all’importanza della ricerca scientifica. Lo Slogan delle prossime due edizioni previste a settembre 2016 e 2017 e’ “MADE IN SCIENCE”, con l’obiettivo di ribadire l’importanza della “filiera della scienza” che, come ogni eccellenza, si distingue per qualità, identità, creatività, sicurezza, transnazionalità, competenze e responsabilità.

La visual identity dovrà pubblicizzare la “Notte Europea dei Ricercatori 2016-17”, manifestazione destinata ai ricercatori, alle scuole e al pubblico generico di tutte le età. Il progetto vincitore riceverà un premio di 500 €.

Tra gli obiettivi da raggiungere:

  • • I ricercatori sono persone il cui lavoro di straordinaria bellezza, gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo della società
  • • Fare ricerca è divertente ed eccitante
  • • Made in Science è la rete di enti di ricerca e università di alto valore scientifico che si distingue per qualità, identità, creatività, sicurezza, transnazionalità, competenze e responsabilità.

Possono partecipare al concorso tutti i creativi che lo richiedono. La partecipazione al concorso avviene per auto-candidatura da parte dei partecipanti, attraverso   la   compilazione   del   modulo   di   presentazione   allegato   al  regolamento. In caso di partecipazione di minori e’ necessaria anche la firma di uno dei genitori. La partecipazione al concorso è ammessa in forma individuale o di raggruppamento non legalmente costituito, allegando in quest’ultimo caso una autodichiarazione sottoscritta da tutti i componenti del gruppo dalla quale risulti il soggetto che ha la rappresentanza del gruppo stesso.

Ogni concorrente, sia singolo che in gruppo, può presentare un solo progetto.

La visual identity deve essere inviata in formato digitale su CD con annessa una copia stampata formato poster maggiore o uguale a 50 x 70 cm. Alla visual identity dovrà essere affiancato un documento di spiegazione della visual identity creata.

Il concorso termina il 10 maggio 2016.

Scarica il bando ufficiale del contest
Scarica il modulo di adesione

Polvere interstellare nel raccolto della Cassini

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Tra i milioni di particelle di polvere analizzate dalla missione ESA-NASA-ASI Cassini attorno a Saturno, trentasei provengono dall’esterno del nostro Sistema solare. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Tra i milioni di particelle di polvere analizzate dalla missione ESA-NASA-ASI Cassini attorno a Saturno, trentasei provengono dall’esterno del nostro Sistema solare. Crediti: NASA/JPL-Caltech

La sonda americana Cassini, in orbita attorno a Saturno dal 2004, è riuscita a catturare delle particelle di polvere di origine interstellare. L’analisi di queste polveri ha permesso agli scienziati di ricostruire le condizioni della nube interstellare locale, la nostra attuale casa nella Via Lattea.

Nei suoi dodici anni trascorsi in orbita attorno al gigante gassoso, Cassini ha campionato milioni di granelli di polveri e ghiaccio, quasi tutti formatisi sui fondali oceanici della luna Encelado ed eruttati nello spazio profondo attraverso geyser e pennacchi. Tuttavia, una nuova analisi rivela che una minuscola popolazione di queste particelle – appena 36 granelli – è con ogni probabilità di origine extrasolare.

La prima identificazione in situ di granelli interstellari fu effettuata negli anni ’90 dalla missione Ulysses, seguita poco più tardi dalla missione Galileo. Le analisi dell’epoca avevano individuato nella nube interstellare locale la più probabile sorgente delle particelle campionate.

“In seguito a quella scoperta, abbiamo sempre sperato di poter rilevare questi intrusi interstellari anche con Cassini nel sistema di Saturno. Sapevamo che, se avessimo guardato nella giusta direzione, li avremmo trovati,” spiega Nicolas Altobelli dell’ESA. “In media, abbiamo catturato una manciata di granelli ogni anno, viaggiando ad alta velocità e su una traiettoria abbastanza diversa da quella lungo cui raccogliamo i normali granelli ghiacciati attorno a Saturno.”

Eccetto per una ristretta popolazione di granelli caratterizzati da una composizione isotopica unica, gran parte del materiale originale della nebulosa che collassò a formare il Sole e i pianeti – il cosiddetto materiale presolare – è andato perduto o contaminato. Non è ancora chiaro se i pochi granelli presolari sopravvissuti fino a oggi siano simili, in dimensione e composizione, ai granelli che popolano il mezzo interstellare.

“Siamo molto emozionati per questo risultato, dato che il nostro strumento era progettato principalmente per misurare le polveri all’interno del sistema di Saturno,” spiega Marcia Burton della NASA.

Secondo la ricostruzione degli scienziati, le polveri provenienti dalla nube interstellare locale sarebbero entrate nel Sistema solare in un flusso più o meno allineato rispetto all’eclittica, a una longitudine e a una latitudine eclittiche eliocentriche di 79 e -8 gradi, rispettivamente.

L’analisi si è basata sui dati raccolti da Cassini nei suoi primi dieci anni di missione, da una distanza da Saturno compresa fra 9 e 60 raggi saturniani. L’arco temporale dei dati, secondo gli scienziati, è stato particolarmente favorevole per la raccolta di questi granelli, in quanto nel 2010 il vettore della velocità di Saturno risultava allineato alla direzione di scorrimento del flusso di particelle interstellari. La frequenza degli impatti misurati dalla sonda è indicativa di un flusso di 0.00015 particelle per metro quadrato per secondo (!), mentre la massa media dei granelli è di circa dieci femtogrammi, ovvero cento bilionesimi di grammo. Tenendo conto del fatto che il rilevatore di Cassini è progettato per studiare le polveri meno massicce, in realtà il flusso potrebbe essere fino al doppio del valore da loro calcolato. L’assenza di granelli meno massicci – il limite inferiore di Cassini è di 100 attogrammi – suggerisce che questi siano stati filtrati dall’eliopausa e dall’eliosfera interna.

A svelare la natura interstellare di questi granelli sono state le loro proprietà dinamiche, ovvero la loro direzione e la loro elevatissima velocità: al momento della cattura, i granelli stavano sfrecciando attraverso il sistema di Saturno ad oltre 72 mila chilometri orari. A causa della loro straordinaria velocità, i granelli sono stati polverizzati dall’impatto con il rilevatore.

A differenza di Ulysses e Galileo, Cassini è anche riuscita a ricostruire la composizione chimica dei granelli. Con grande sorpresa degli scienziati, la sonda ha osservato ben poco ghiaccio e, al contrario, una grande quantità di cationi di elementi come ossigeno, sodio, magnesio, potassio, calcio, ferro e rodio. Traducendo queste concentrazioni di cationi nei loro elementi originali, tenendo conto di un gran numero di fattori – ad esempio, il fatto che è cinque volte più probabile che il magnesio formi cationi rispetto al silicio – si è potuta individuare un’abbondanza di magnesio, silicio, ferro e calcio, tutti presenti in concentrazioni simili a quelle riscontrate nel resto del cosmo. Al contrario, i dati evidenziano una scarsità di zolfo e carbonio rispetto alla media cosmica.

“Le polveri cosmiche vengono prodotte quando le stelle muoiono, ma con l’ampia gamma di stelle nell’universo, ci aspettiamo di incontrare un’enorme vastità di tipi di polveri,” spiega Frank Postberg dell’Università di Heidelberg.

Le analisi di Cassini rivelano inoltre che le polveri, larghe in media 200 nanometri, sono particolarmente uniformi e omogenee. Si sta ancora indagando sul meccanismo che ha contribuito a renderle tali: una possibile spiegazione potrebbe essere che i granelli siano stati distrutti e si siano poi ricondensati più volte a causa delle continue onde d’urto rilasciate da stelle morenti.

“I granelli passerebbero dalla calda nube interstellare, ovvero le regioni a bassa densità intagliate dalle supernove, al caldo mezzo diffuso, accessibile tramite osservazioni spettroscopiche, e infine alle fredde nubi molecolari, che sono regioni di formazione stellare,” scrivono i ricercatori. “Assumendo che il 5% del materiale di una nube molecolare sia consumato dai nuovi sistemi stellari e planetari, i granelli compierebbero un ciclo dal mezzo caldo a quello freddo in 125 milioni di anni. Nonostante i processi di distruzione e devolatilizzazione prevalgano nel mezzo caldo a causa delle elevate velocità dei granelli e delle onde d’urto delle supernove, la ricondensazione può avvenire nel mezzo freddo.”

In definitiva, “la lunga durata della missione Cassini ci ha consentito di usarla come un osservatorio di micrometeoriti,” conclude Altobelli, “offrendoci un accesso privilegiato alle polveri provenienti da oltre il Sistema Solare che non avremmo mai potuto ottenere in alcun altro modo.”

Per saperne di più:

Leggi l’articolo “Flux and composition of interstellar dust at Saturn from Cassini’s Cosmic Dust analyzer” di N. Altobelli et al., publbicato sulla rivista Science

Gruppo Astrofili William Herschel

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Quest’anno il gruppo astrofili William Herschel propone un corso di astrofotografia: Leonardo Orazi, astrofotografo (www.starkeeper.it/), introdurrà, in cinque conferenze, gli strumenti e le tecniche per ottenere splendide immagini degli oggetti celesti!
Ingresso libero.
Gli incontri si terranno nei giorni 16 e 22 febbraio, 15 e 22 marzo, 19 aprile a partire dalle ore 21:30, presso la sala riunioni della Parrocchia Immacolata Concezione e San Donato ini Via Saccarelli 10, Torino.
Per informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net

Mille vele per Alpha Centauri

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Attraversare lo Spazio con minuscole e velocissime astronavi “a vela” (spaziale) capaci di raggiungere Alpha Centauri in appena 20 anni: è la fantascientifica scommessa appena lanciata a New York da Breakthrough Starshot. Dietro c’è uno dei più grandi fisici teorici del ‘900, Stephen Hawking, non nuovo a ‘stravaganze’ di ogni genere in questo scorcio di nuovo millennio; al suo fianco, il magnate ’emergente’ del web Yuri Milner (miliardario russo celebre per gli investimenti in aziende innovative come Facebook, Twitter e Spotify… e anche lui fisico).

L’idea di partenza è naturalmente proprio di Hawking, tra le altre cose anche ex-professore lucasiano di matematica della prestigiosa Università di Cambridge – la stessa cattedra occupata da Sir Isaac Newton. E la scommessa ha già radunato un buon numero di ‘puntatori’: al momento sono stati raccolti circa 100 milioni di dollari, ottenendo – tra gli altri – il supporto del fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, su cui i media di mezzo mondo hanno subito ricamato i titoli della notizia.

Il concept prevede, infatti, l’uso di queste tre tecnologie per creare un nanocraft. Piccolo quanto un francobollo, un cosiddetto StarChip è in grado di portare con sè fotocamere, equipaggiamento di navigazione e trasmissione dati, propulsore e batterie. Sempre attaccato ad una vela spaziale, detta LightSail. “Questo è l’approccio alla ‘Silicon Valley’ del volo spaziale”, spiega Yuri Milner, “potendo essere prodotto in massa al costo di uno smartphone.”Questo ardito – a dir poco – progetto (raggiungere una meta distante 4,37 anni luce viaggiando ad una velocità pari a circa il 20% di quella, appunto, della luce) sarebbe possibile grazie ad alcuni recenti sviluppi in tre specifici ambiti tecnologici: la microfabbricazione di tessuti, la nanotecnologie e la fotonica.

Rappresentazione delle antenne che dovrebbero emettere i laser per alimentare il nanocraft Crediti: Breakthrough Initiatives

La spinta per viaggiare ad altissime velocità arriverebbe da numerosi raggi laser emessi dalla Terra. Installando una serie di antenne, si unirebbero tutti i raggi per creare un potente laser diretto sulla LightSail. Alimentata in questo modo, secondoHawking la nano-navicella riuscirebbe a raggiungere il 20% della velocità della luce (come cerca di spiegare questo video).

“Sarà 1000 volte più veloce rispetto a uno spacecraft odierno oun milione di volte più veloce di una macchina in autostrada”, continua Milner. Nulla a che vedere rispetto ai sistemi propulsivi di oggi, con i quali sarebbero necessari 30.000 anni per raggiungere Alpha Centauri.

In questo modo, invece, in 20 anni un viaggio interstellare di centinaia o migliaia di questi nanocraft raggiungerebbe la stella più vicina a noi, trasmettendo dati scientifici verso  la Terra suAlpha Centaurii suoi pianeti e i campi magnetici in un raggio di luce.

Rappresentazione del raggio laser che alimenta la vela spaziale del nanocraft Crediti: Breakthrough Initiatives

La tecnologia delle vele solari, alternativa al propellente chimico oggi utilizzato nei viaggi spaziali, è ancora in fase embrionale. Intanto la NASA, che studia come cavalcare il vento solare per raggiungere i limiti del Sistema Solare, ha recentemente mostrato un forte interesse per queste ricerche. E anche in Europa, Italia inclusa, non si sta a guardare.

Secondo Hawking & Milner si farebbe uso di tecnologie già esistenti, o disponibili nel breve periodo. Quel che è certo è che le ‘sfide’ tecnologiche non manchino. Sul sito del progetto sono presentate le 19 sfide ancora da superare, chiedendo al pubblico “una mano”. Trattandosi di un concept, è naturalmente fuori luogo ipotizzare una data di lancio.

Breakthrough Starshot è stata comunque presentata come una iniziativa globale, per tutto il pianeta Terra, un “grande balzo verso il futuro” (sic). Che, promettendo trasparenza open data access, ambisce ad unire gli sforzi di tutta la comunità internazionale per rendere il viaggio interstellare una realtà.

Editoriale del presidente ASI su La Stampa (14 aprile 2016): “Come restringere l’Infinito”


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La NASA sperimenta una nuova tecnologia di propulsione elettrostatica

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Una nuova tecnologia di propulsione che potrebbe consentire trasferimenti interplanetari rapidi senza bisogno di carburante è attualmente in fase di sperimentazione presso il centro spaziale Marshall della NASA nell’Alabama. Il sistema, noto come HERTS, consiste in una sonda dotata di una serie di aste di alluminio elettricamente cariche disposte in maniera radiale. Ad accelerare la vela, soprannominata E-Sail, sarebbe lo scambio di momento innescato dalla repulsione di natura elettrostatica tra i protoni del vento solare, il flusso di particelle cariche emesso dal Sole, e le aste.

“Il Sole rilascia protoni ed elettroni nel vento solare a velocità molto elevate, da 400 a 750 chilometri al secondo,” spiega Bruce Wiegmann, a capo del progetto. “La E-Sail userebbe questi protoni per accelerare la sonda.”
Il progetto attualmente prevede che E-Sail sia dotata di 10-20 aste di alluminio, spesse appena un millimetro e lunghe all’incirca 20 chilometri l’una. Le aste sarebbero mantenute in estensione dalla forza centrifuga generata dalla lenta rotazione della sonda – circa un giro ogni ora.
I test a cui la sonda sarà sottoposta nell’arco dei prossimi anni sono mirati a valutare la frequenza delle collisioni tra le particelle cariche del vento solare e le aste della sonda. Un parametro importante da misurare sarà la quantità di elettroni che, essendo dotati di una carica negativa, saranno attratti verso le aste. La sonda espellerà gli elettroni in eccesso attraverso un cannone elettronico, in modo da mantenere il voltaggio positivo delle aste e preservare dunque la loro capacità di generare una forza di spinta.

"High Intensity Solar Environment Test system" il sistema usato per testare il funzionamento della vela Credits: NASA/MSFC/Emmett Given

Un prototipo in miniatura di E-Sail si trova in questo momento in un ambiente controllato di plasma per simulare le condizioni dello spazio profondo. Il prototipo dispone di aste in acciaio inossidabile, che, pur essendo più denso dell’alluminio, è sufficientemente simile secondo i requisiti dei test. Le proprietà non-corrosive dell’acciaio inossidabile, inoltre, garantiscono una lunga vita operativa con minima degradazione del materiale.
Il programma di sperimentazione durerà all’incirca due anni, mentre dovremo attendere almeno un decennio prima di poter assistere al primo effettivo utilizzo di questa tecnologia, sempre che i test abbiano esiti positivi.

L’ostacolo principale è la vasta area di raccolta necessaria a generare una repulsione utile. A un’unità astronomica dal Sole, E-Sail dovrebbe avere un’area di circa 600 chilometri quadrati, corrispondenti a un raggio di quasi 14 chilometri. A cinque unità astronomiche dalla nostra stella, invece, l’area salirebbe a 1200 chilometri quadrati, ovvero un raggio di 19.5 chilometri.

Il principio alla base di questa tecnologia è simile a quello delle vele solari, le quali sfruttano la pressione delle radiazioni elettromagnetiche del Sole. Tuttavia, l’intensità delle radiazioni della nostra stella diminuisce drammaticamente man mano che si entra nel sistema solare esterno. Una vela alimentata dal vento solare, invece, sarebbe in grado di spingersi ben più in là.
“I protoni del vento solare non hanno quel problema,” prosegue Wiegmann. “Con il costante flusso di protoni, E-Sail continuerebbe ad accelerare fino a 16-20 unità astronomiche – almeno tre volte oltre le vele solari. Ciò le consentirà di raggiungere velocità molto più elevate.”

Nei suoi quasi 40 anni di missione, la sonda Voyager 1, la prima ad attraversare l’eliopausa ed entrare nello spazio interstellare, ha percorso circa 134 unità astronomiche. Secondo i calcoli degli ingegneri, E-Sail potrebbe coprire un tragitto di uguale lunghezza in un terzo o addirittura un quarto del tempo.
“I nostri studi hanno dimostrato che una sonda interstellare alimentata da una E-Sail potrebbe raggiungere i confini dell’eliopausa in poco meno di 10 anni,” prosegue Wiegmann. “Ciò potrebbe rivoluzionare i guadagni scientifici di queste missioni.”

Il progetto ha ricevuto 500 mila dollari di finanziamenti dalla NASA per lo sviluppo di questa promettente tecnologia.
“Studiando questo concetto, siamo rimasti convinti dalla sua flessibilità e dalla sua adattabilità,” continua Wiegmann. “I progettisti delle future missioni potranno regolare la lunghezza dei cavi, il numero di cavi e il loro voltaggio a seconda dei requisiti della missione.”


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Associazione Ligure Astrofili Polaris

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Conferenze al Museo di Storia Naturale Aperte al pubblico e gratuite.

16.04: “La cacciatrice di nane rosse e pianeti extrasolari” di Giovanna Ranotto.

Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066
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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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CICLO “La Scienza non esatta: bugie, follie e fortuna nel cammino della conoscenza”

15.04: “Errori e serendipità: la forza del caso nel progresso dell’astronomia” di Loris Lazzati.

Per info: 0341.367584
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Ancora Luna e Giove!

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Altra congiunzione che converrà attendere che arrivi nei pressi dell’orizzonte sarà quella tra Luna e Giove del 17/18 aprile.

I due oggetti saranno ovviamente osservabili per tutta la sera, ma la più grande vicinanza (3,2°) e l’effetto scenico migliore si avranno verso le 3:30 del 18, quando saranno alti circa +14° sull’orizzonte ovest. Si riuscirà così a fotografare la scena sullo sfondo di un paesaggio convenientemente scelto, regalando fascino e profondità a un evento in sé abbastanza usuale.

Caricate le vostre immagini su www.coelum.com/photo-coelum, ogni mese le più belle o particolari verranno scelte per la pubblicazione sulla rivista!

Effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Aprile

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Kepler di nuovo operativo, risolta l’emergenza in orbita

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Il telescopio spaziale Kepler è nuovamente operativo, secondo quanto comunicato dalla NASA.

Quattro giorni fa, il cacciatore di pianeti era autonomamente entrato in modalità di emergenza, una particolare configurazione di volo che prevede il minimo consumo di energia, ma che in compenso comporta l’utilizzo di grandi quantità di carburante. Ieri mattina, i controllori di volo sono riusciti a mantenere un contatto radio stabile con il telescopio. Durante la finestra di comunicazione, gli ingegneri hanno scaricato una grande quantità di dati di telemetria che useranno per ricostruire le dinamiche del malfunzionamento che ha colpito il telescopio e per accertarsi della salute dei vari sistemi di bordo. Gli ingegneri hanno inoltre attivato una modalità di riduzione del consumo di propellente. Essendo uscito dalla configurazione di emergenza, il telescopio ha perso la priorità di comunicazione che aveva acquisito.

Secondo gli ingegneri, ci vorrà almeno una settimana affinché Kepler possa incominciare la tanto attesa campagna scientifica che lo vedrà puntare il suo telescopio in direzione del cuore della Via Lattea. Kepler tenterà di sfruttare il fenomeno di microlente gravitazionale per rivelare pianeti orfani o interstellari. La campagna si chiuderà il 1° luglio, quando il centro galattico non sarà più in una posizione favorevole alle osservazioni di Kepler.

Secondo le analisi preliminari dei dati scaricati finora, Kepler sarebbe stato colpito da un’anomalia circa 14 ore prima di eseguire la manovra che lo avrebbe portato a osservare il centro galattico. Questo dettaglio ha permesso agli ingegneri di escludere il sistema di propulsione e le ruote di reazione dalle possibili cause del guasto, la cui natura rimane ignota.

Le ruote di reazione, in particolare, erano la principale fonte di preoccupazione. Kepler infatti ha già perso due delle sue quattro ruote di reazione. In teoria, il telescopio necessita di almeno tre giroscopi per poter puntare verso un determinato campo di cielo con un’accuratezza e una stabilità sufficienti alla raccolta di dati utili. Tuttavia, in seguito al fallimento della seconda ruota di reazione, gli ingegneri erano riusciti a ideare una tecnica per bilanciare l’assetto del telescopio usando la pressione delle radiazioni solari. Il fallimento di una terza ruota di reazione, come si era ipotizzato in questi giorni, avrebbe però reso del tutto impossibile il proseguimento della missione.

Nei suoi sette anni di missione, il telescopio non era mai entrato in modalità di emergenza. Il recupero del satellite in un tempo così breve è stato consentito dalla rapida risposta e dal duro lavoro degli ingegneri della NASA.


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Associazione Ligure Astrofili Polaris

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14.04: “Osservazione della Luna in Corso Italia.

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La cometa 67P cambia colore

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Copyright Spacecraft: ESA/ATG medialab; Data: ESA/Rosetta/VIRTIS/INAF-IAPS/OBS DE PARIS-LESIA/DLR; G. Filacchione et al (2016)
Una grafica dello studio che mostra la differenza di "colore" nelle zone osservate. ESA/ATG medialab; Data: ESA/Rosetta/VIRTIS/INAF-IAPS/OBS DE PARIS-LESIA/DLR; G. Filacchione et al (2016)

67P ha cambiato colore davanti agli occhi di Rosetta durante la fase di avvicinamento al Sole. Questo è quanto osservato dallo spettrometro italiano  VIRTIS che ha analizzato le regioni a nord e all’equatore della cometa subito dopo il rendez-vous della sonda nell’agosto del 2014.

Il risultato delle osservazioni è stato pubblicato sulla rivista Icarus e riguarda il periodo che va da agosto  fino a novembre 2014 quando Rosetta ha sorvolato 67P da una distanza variabile dai 100 fino a 10 chilometri dal nucleo, mentre la cometa compiva il suo avvicinamento al Sole passando da 542 a 438 milioni di chilometri di distanza.

È la prima volta che una sonda osserva la dinamica di una cometa nel suo moto attorno al Sole: «è una delle peculiarità di Rosetta – ha riferito Mario Salatti, responsabile ASI per la missione –  lo spettrometro ha così avuto modo di registrare il cambiamento della composizione della superficie della cometa nella sua fase di avvicinamento alla stella e conseguentemente del suo colore».

VIRTIS ha quindi  monitorato i cambiamenti di luce riflessa dalla superficie in un ampio intervallo di lunghezze d’onda del visibile e dell’infrarosso, utilizzandoli come indicatori dei cambiamenti nella composizione dello strato più esterno della cometa.

«Sembra che ci sia un’abbondanza di acqua-ghiaccio negli strati superficiali della cometa – ha commentato Gianrico Filacchionedell’INAF, autore principale dello studio – e ciò si traduce in una modifica delle firme spettrali osservate. È come se 67P stesse cambiando di colore davanti ai nostri occhi».

La cometa ripresa il 19 settembre 2014 da una distanza di 28,6 chilometri dalla superficie – NavCam

Al suo arrivo sulla cometa Rosetta, ha trovato davanti a sé un corpo celeste estremamente scuro che rifletteva solo il 6% della luce su di esso. La maggior parte della superficie, infatti, era ricoperta da uno strato di polvere scura e asciutta composta da una miscela di minerali e sostanze organiche.

Nel complesso 67P ha un colore rossastro grazie alla presenza di materiale organico mentre le zone più ricche di ghiaccio d’acqua appaiono blu. Già nell’agosto 2014 i ghiacci nascosti sotto la superficie della cometa stavano iniziando ad essere riscaldati dalla luce solare in modo graduale, per poi sublimare in gas sollevando polveri che avrebbero contribuito alla formazione della coda di 67P.

Un mosaico di sei immagini provenienti dalla camera OSIRIS di Imhotep, la zona in cui VIRTIS ha confermato per la prima volta la presenza di ghiaccio d'acqua esposto dall'attività della cometa. ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

VIRTIS ha ha infatti mostrato che il nuovo strato di materiale esposto era più riflettente del precedente, un fenomeno che ha reso la cometa più luminosa e ricca di ghiaccio: per questo motivo l’astro appariva più blu.

La luminosità della cometa è variata del 34% con punte che oscillano dal 6,4% al 9,7% in tre mesi di osservazione nella regione di Imhotep.

Altri inediti meccanismi verranno svelati quando sarà conclusa l’analisi dei dati raccolti da VIRTIS nella fase di allontanamento del Sole.


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Kepler in modalità di emergenza

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Il telescopio spaziale Kepler, secondo quando comunicato dalla NASA,  è stato vittima di un’anomalia sulla cui natura si sta ancora indagando. Il computer di bordo avrebbe attivato in maniera autonoma la modalità di emergenza, una particolare configurazione di volo che prevede il minimo consumo di energia, ma che in compenso comporta l’utilizzo di grandi quantità di carburante. Il telescopio ha informato i controllori di volo dell’attivazione di tale modalità nella finestra radio del 7 aprile.

I dati diagnostici scaricati durante il contatto precedente, risalente al 4 aprile, indicavano che tutti i sistemi stavano operando come previsto.

A complicare ulteriormente i tentativi di recupero, il telescopio si trova a ben 118 milioni di chilometri dalla Terra, ovvero circa 6,57 minuti luce, ovvero sono necessari 13 minuti perché un segnale possa arrivare alla sonda e la risposta tornare indietro . Tuttavia, l’attivazione della modalità di emergenza ha fatto sì le comunicazioni tra Kepler e il Deep Space Network della NASA abbiano acquisito la priorità assoluta, mettendo tutte le altre sonde in giro per il Sistema Solare in secondo piano.

Le analisi preliminari dei pochi dati di telemetria scaricati finora indicano che l’anomalia è avvenuta poco prima di una manovra che avrebbe cambiato l’assetto del telescopio, puntandolo in direzione del cuore della Via Lattea per una nuova campagna osservativa nell’ambito della missione K2.


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12.04: Evento speciale: Yuri’s night, in ricordo del primo volo umano nello spazio.

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Quel colossale buco nero vicino

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Questa simulazione mostra un buco nero supermassiccio al centro di una galassia. La zona nera al centro rappresenta l'orizzonte degli eventi. Crediti: NASA, ESA, and D. Coe, J. Anderson, and R. van der Marel (STScI)

C’è un gigantesco colosso nascosto nel nostro Universo. E come lui, potrebbero essercene molti altri: lo afferma uno studio pubblicato su Nature che rivela la presenza di un buco nero supermassiccio in una galassia non lontana dalla nostra, dove non ci si sarebbe aspettato di trovare oggetti così grandi.

La scoperta – che è stata possibile grazie alla combinazione dei dati raccolti dal telescopio spaziale Hubble e dagli osservatori Geminialle Hawaii e McDonald in Texas – implica che i buchi neri potrebbero dunque essere molto più diffusi di quel che crediamo.

Ma facciamo un passo indietro. Un buco nero supermassiccio (o supermassivo) è il più grande tipo di buco nero conosciuto, con una massa milioni o miliardi di volte superiore a quella del Sole. Gli astronomi pensano che quasi tutte le galassie, compresa la nostra Via Lattea, ne contenga uno al centro.

Quello scoperto dal gruppo internazionale di astronomi è un buco nero da record, con una massa che contiene circa 17 miliardi di soli. Un vero gigante del cielo, che però non strappa ancora il primato al suo “fratello maggiore”: il buco nero nell’ammasso della Chioma, scoperto nel 2011, che con i suoi 21 miliardi di masse solari si è guadagnato un posto nel Guinness Book of World Records.

La new entry si distingue però per un altro motivo: la sua posizione. Il buco nero appena scoperto si trova infatti nella galassia NGC 1600, in una direzione del cielo opposta rispetto all’ammasso della Chioma, in quella che può essere considerata una zona di relativo deserto cosmico.

Immagine della galassia NGC 1600, e un ingrandimento ottenuto da Hubble del centro luminoso delle galassia, dove risiede il buco nero supermassiccio da 17 miliardi di masse solari. Crediti: ESA/Hubble, STScI.

E qui sta il fatto sorprendente: se trovare un buco nero supermassiccio in una zona dello spazio affollata è piuttosto prevedibile, decisamente meno comune è trovarlo nelle regioni più sgombre dell’Universo. Un po’ come immaginare le probabilità di trovare un grattacielo nel centro di Manhattan o in un piccolo paese di periferia.

“I gruppi più ricchi di galassie, come l’ammasso della Chioma – spiega  Chung-Pei Ma, dell’Università di Berkeley – sono molto, molto rari. Ma esistono alcune galassie delle dimensioni di NGC 1600 che risiedono all’interno di gruppi di media grandezza. Quindi adesso la domanda è: ‘si tratta solo della punta di un iceberg?’ Forse ci sono molti altri buchi neri mostro là fuori”.

È esattamente questo ciò che investigherà nei prossimi mesi la campagna osservativa MASSIVE, coordinata proprio da Chung-Pei Ma.

Iniziato nel 2014, il programma MASSIVE è stato finanziato dallaNational Science Foundation per ottenere stime di massa per le stelle, la materia oscura e i buchi neri centrali appartenenti a 100 galassie massicce e vicine. In particolare, studia le galassie più grandi di 300 miliardi di masse solari, e a una distanza inferiore a 350 milioni di anni luce dalla Terra.

L’ospite inatteso trovato nella galassia NGC 1600 è uno dei primi successi del progetto e dimostra il valore della ricerca sistematica del cielo notturno, contro quella focalizzata soltanto sulle regioni più dense dello spazio.

Congiunzione Luna Mercurio

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N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del dischetto lunare è due o tre volte superiore alla giusta scala immagine.

Verso le 20:15, scandagliando con attenzione l’orizzonte ovest (magari aiutandosi con un binocolo), non dovrebbe risultare impossibile scorgere una finissima falce di Luna crescente (appena un giorno d’età alta circa +8°) affiancata – 5,7° verso ovest – da un Mercurio decisamente luminoso (mag. −1).

Tutto dipenderà dalle condizioni atmosferiche, ma se la trasparenza dell’aria sarà buona, anche una congiunzione apparentemente trascurabile come questa potrà regalare spunti per delle suggestive riprese fotografiche comprensive del paesaggio.

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In difesa della Luna

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Mosaico di 52 frame ripresi da Jukka-Pekka Metsävainio
Mosaico di 52 frame ripresi da Jukka-Pekka Metsävainio. Cliccare per l'immagine a piena risoluzione.

Ennesima delusione dell’anno. In pochissimi infatti sono riusciti a seguire ieri mattina l’occultazione di Venere da parte della Luna… così come del resto era capitato in passato per altri appuntamenti astronomici: comete, eclissi, asteroidi, congiunzioni sul filo dell’orizzonte… quasi tutti falcidiati da condizioni meteo del tutto o in parte sfavorevoli. Eventi per i quali sarebbe stato magari necessario spostarsi di parecchi chilometri o salire in quota tra le montagne per goderne appieno.

Beati i nostri progenitori, verrebbe da dire, che vivevano in un mondo in cui ogni notte serena era una festa per gli occhi! Adesso quelle azzurre cupole cristalline sono state cancellate da inquinamenti di ogni tipo e le stelle per la maggior parte di noi si mostrano soltanto a loro capriccio, pochissime volte l’anno.

E allora che fare se non si è della razza di quelli che viaggiano, migrano con i loro grandi strumenti oppure addirittura catturano gli straordinari paesaggi celesti del Nuovo Messico o dell’Australia, fotografando in remoto da casa loro?

Ebbene, io dico che ci resta solo la Luna. Pensateci…Un mondo che solo le nuvole più spesse riescono a nascondere, e abbastanza grande da essere democraticamente alla portata di chiunque abbia un binocolo, o un sia pur minimo telescopio. Un piccolo pianeta tutto per noi, parcheggiato qui in orbita terrestre, a disposizione almeno tre settimane su quattro. Una fonte inesauribile di giochi d’ombra, chiaroscuri, luci improvvise, albe e tramonti su crateri profondissimi o cime innevate dalla luce del sole.

Da passarci gli anni, a voler osservare tutto. Come in effetti hanno fatto in tanti, prima di noi, quando ancora il cielo profondo – e adesso profondissimo – era fuori portata e senza il digitale ci si accontentava – si fa per dire – di misurare l’altezza delle montagne lunari, di arrovellarsi sull’imperscrutabile mistero del Ponte nel Mare Crisium, o di aspettare l’attimo in cui all’interno del cratere Hesiodus si sarebbe sprigionato il tanto vagheggiato “raggio lunare”, ovvero la luce del sole che improvvisamente prorompe nella platea da una apertura delle pareti.

Insomma, la Luna sa essere bella in cento maniere diverse, e misteriosa quanto basta per invogliare chiunque a seguirla sera dopo sera. Luminosa e sempre diversa in ogni suo minuto particolare: una fonte inesauribile di divertimento per chi vuole fotografare, guardare, disegnare, pensare. Eppure…

Eppure in questi anni è stata abbandonata un po’ da tutti, considerata forse troppo facile e provinciale. Poche e distratte osservazioni visuali, qualche foto di tanto in tanto, nessun disegno.

Sarebbe forse ora di tornare a guardarla; non perché è rimasto l’ultimo target astronomico per gli appassionati di città, ma semplicemente perché è la terra celeste più vicina a noi.

G. A.


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ASTROVEN: amatori e professionisti insieme per la divulgazione in Veneto

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Padova, sabato 16 aprile, presso l’aula Rosino del Dipartimento di Fisica e Astronomia

La neonata sezione Veneta della Società Astronomica Italiana organizza una giornata di incontro tra gli “attori” protagonisti sul territorio dell’astronomia fruibile dal pubblico, per fare il punto dell’astronomia amatoriale nel Veneto.

Rappresentanze di Gruppi Astrofili, Osservatori Astronomici e Planetari, ma anche singoli con una particolare passione astronomica, sono invitati a far conoscere la loro esperienza e le loro idee con l’obbiettivo primario di conoscersi e di consentire uno scambio di idee e arricchirci con una contaminazione culturale che accomuni l’astronomia a una trasversalità che va da chi si occupa esclusivamente di divulgazione, di chi osserva e fa osservare il cielo per il puro stupore della bellezza della volta celeste, a chi studia e scopre supernove, comete, meteoriti, a chi costruisce, od insegna a costruire, nuovi telescopi.

Ad ogni partecipante verrà rischiesto di presentare la propria attività, o della propria associazione, i progetti ed eventualmente le difficoltà che si riscontrano nel portarli avanti. Il formato prevede interventi che vogliamo lasciati alla disponibilità ed all’estro dei partecipanti: chi vorrà parlare a braccio, chi porterà una o tante fotografie da mostrare, chi vorrà articolare una presentazione specifica, in un tempo che dipenderà in dettaglio da quanti di voi vorranno intervenire, ma che ipotizziamo tra i 10 ed i 20 minuti. Il filo conduttore: la passione per l’astronomia.

Non mancheremo di mostrare gli ultimi sviluppi della astronomia professionale ma vogliamo dare la precedenza alla vitalità e alle idee degli intervenuti.

La registrazione è gratuita ma obbligatoria, poiché la partecipazione è limitata a 60 persone per la limitata capienza dell’Aula Rosino del Dipartimento di Fisica e Astronomia. Si pregano i responsabili di ciascun gruppo di limitare a 1 o 2 i partecipanti all’incontro.

Sarà comunque possibile seguire gli interventi via streaming tramite il canale youtube: www.youtube.com/user/UniPadovaAulaRosino/

Per ogni informazione:  saitveneto@oapd.inaf.it

Per registrarsi e per il programma completo: www.ict.inaf.it/indico/event/340/

Organizzato da:

  • SAIt Veneto
  • INAF Osservatorio Astronomico di Padova
  • UNIPD Dipartimento di Fisica e Astronomia

Comitato organizzatore:
Roberto Ragazzoni,  Simone Zaggia, Gabriele Umbriaco

Indirizzo:
Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Padova
Aula Rosino
Vicolo dell’Osservatorio, 3
35122 Padova

Gruppo Astrofili Lariani

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L’obiettivo è quello di conoscere il cielo e imparare la geografia astronomica a occhio nudo, con l’astrolabio, il binocolo e il puntatore laser. Il ritrovo è presso la sede in via Cantù all’orario indicato per poi trasferirsi all’Alpe del Viceré (Località Campeggio). In caso di maltempo proiezione in sede con simulazione del cielo.

08.04, ore 21:00: “Diamo del tu al cielo” Serata di osservazione
pubblica. Oggetti da osservare: Luna, Giove con i satelliti galileiani, Nebulosa di Orione (M42), Ammasso Presepe (M44), le galassie in Leone e Orsa Maggiore.

La sede, in Via Cesare Cantù, 17 (Albavilla – Como) è aperta al pubblico tutti i venerdì sera! Per informazioni: Tel 347.6301088 info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

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