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CICLO “Il clima sulla Terra e su altri mondi”

08.04: “Il clima sui pianeti solari ed extrasolari” di Stefano Covino.

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08.04: “Gli spettri stellari e il diagramma H-R” di Luigi Pizzimenti.

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Il New Shepard vola e atterra per la terza volta

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DI ROBERTO MASTRIAstronautinews.it

Come preannunciato da Jeff Bezos nel marzo scorso, durante il suo incontro con la stampa, il New Shepard è tornato a volare. Ieri, 2 aprile, poco dopo le 17 (ora italiana) il veicolo suborbitale è decollato dal sito di test di Blue Origin nel deserto del Texas, ha raggiunto la quota record (rispetto ai voli precedenti) di 103,37 km di apogeo ed è rientrato, dopo essersi separato nei suoi componenti: la capsula, giunta integra a terra, grazie all’azione frenante dei suoi tre paracadute, e il modulo propulsivo, atterrato nel luogo previsto a seguito di una cronometrica riaccensione del propulsore BE-3.

Credit: Jeff Bezos

In casa Blue Origin il riutilizzo dei veicoli spaziali è già una routine. Per la crew capsule si trattava del quinto volo, essendo stata impiegata per la prima volta nel 2012 in occasione del Pad Escape Test (il collaudo del sistema di fuga di emergenza); ieri la storia dei voli precedenti era rappresentata da quattro tartarughe, con data, dipinte sul portello della capsula. Il booster NS2, cosa ben più importante, era già al terzo decollo e al terzo tentativo di atterraggio completato con successo.

Il terzo decollo del booster NS2. Credit: Blue Origin

Cosa c’era di nuovo

L’intenzione di Blue Origin è quella di testare la resistenza e le performance del veicolo, facendolo volare ripetutamente fino a che non andrà distrutto o non sarà più in condizioni di decollare. Ma ogni lancio, come è facile immaginare, è anche l’occasione per sperimentare nuovi dispositivi o nuove tecniche. In questo caso Bezos aveva annunciato che l’azione frenante del BE-3 sarebbe stata ritardata fino alla quota di 1100 metri (nei precedenti atterraggi l’accensione era programmata a 1500 metri). Il modulo propulsivo si sarebbe schiantato in 6 secondi, se il motore non si fosse riacceso in tempo, raggiungendo rapidamente la massima spinta, com’è regolarmente avvenuto.

Scienza a bordo

Un’altra novità dell’ultima missione era la presenza di esperimenti a bordo. Nella capsula del New Shepard si rimane in condizioni di assenza di peso per poco meno di 3 minuti, un tempo sufficiente per fare un po’ di scienza. Gli esperimenti di ieri erano due.

Il Box of Rocks Experiment (BORE), elaborato dal Southwest Research Institute, era volto a studiare l’interazione in assenza di peso di frammenti di roccia racchiusi in una scatola, con l’obiettivo di comprendere come si muove il suolo roccioso dei piccoli asteroidi.

Il Collisions Into Dust Experiment (COLLIDE) a cura della Central Florida University, intendeva esaminare l’impatto in microgravità di un oggetto compatto contro uno strato di polvere.

I voli del New Shepard che porteranno carichi a scopi di ricerca, senza equipaggio a bordo, saranno tra i primi viaggi commerciali del sistema suborbitale e potrebbero cominciare già quest’anno. In vista di tali sviluppi e dell’inizio dell’attività “turistica” Blue Origin sta realizzando altri veicoli. Almeno altri sei New Shepard sono in costruzione nella fabbrica di Kent.

A quando un lancio in diretta?

Un’ulteriore differenza rispetto ai voli passati è stata la maggiore pubblicità data all’evento. Nelle scorse occasioni l’unico indizio dei lanci erano le restrizioni al traffico aereo sull’area di test diramate dallaFederal Aviation Administration.

Recupero della capsula dopo l’atterraggio. Credit: Blue Origin

Questa volta Jeff Bezos, via twitter, ha presentato il volo e ne ha fatto una cronaca sintetica, promettendo entro breve tempo la pubblicazione di un video che si preannuncia particolarmente spettacolare, potendosi avvalere anche delle riprese effettuate in aria da droni. Ci si domanda, tuttavia, quando il CEO di Blue Origin manterrà la promessa di invitare la stampa ad un lancio e cosa gli impedisca di effettuarne la ripresa in diretta streaming. Probabilmente gradatim, per piccoli passi, nello stile di Bezos, arriveremo a vederla.

In attesa del video ufficiale, le uniche immagini in movimento del lancio sono quelle “rubate” da un reporter texano:

[AGGIORNAMENTO]

Ecco anche il video ufficiale del volo, spettacolare come di consueto:

Fonte: Blue Origin

Copyright immagine: Blue Origin, Jeff Bezos

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(C) Associazione ISAA – Licenza CC BY-NC Plus Italia



Due luminose supernovae nell’Orsa Maggiore

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La cartina indica la posizione delle due galassie in cui sono esplose le supernovae di cui si parla nell'articolo. Cliccare per ingrandire.

Le supernovae extragalattiche più belle e luminose della storia sono ovviamente quelle esplose in galassie Messier… ed è ancora vivo il ricordo del record raggiunto nel 2014 con ben quattro scoperte in oggetti del famoso catalogo.

Purtroppo, dopo un 2015 assai avaro di questo genere di supernovae, nemmeno il 2016 sembra prediligere le galassie di Messier, o almeno fino ad ora. Tuttavia, in marzo si è verificata una fortunata coincidenza, ovvero l’esplosione, a pochi giorni di distanza, di due stelle appartenenti a galassie che nulla hanno da invidiare a quelle catalogate da C. Messier, entrambe situate nella costellazione dell’Orsa Maggiore a soli 16 gradi l’una dall’altra.

Una ghiotta occasione per immortalarle insieme con poco sforzo. In questo periodo dell’anno infatti la costellazione dell’Orsa Maggiore si trova già alta in cielo subito dopo il tramonto e quindi l’orario per la ripresa sarebbe davvero comodo.

La supenova SN 2016bau sovrapposta a una immagine di Marco Burali della bellissima NGC 3631. Nella cartina in apertura la posizione in cui trovare la galassia.

La prima delle due supernovae è la SN2016bau scoperta il 13 marzo dal veterano cacciatore di supernovae inglese Ron Arbour (72 anni) giunto alla sua scoperta n. 34. La galassia ospite è la bellissima spirale vista di faccia NGC 3631, posta a circa 40 milioni di anni luce.

Al momento della scoperta la supernova mostrava una luminosità pari alla mag.+17,8 ma in netto aumento nei giorni seguenti. Lo spettro ripreso il 14 marzo dall’osservatorio di Asiago con il telescopio Copernico da 1,82 metri ha permesso di classificare la supernova di tipo Ib scoperta circa 10 giorni prima del massimo, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 16.800 km/s. Il massimo di luminosità di questa supernova si è verificato intorno al 24 marzo, raggiungendo la mag.+14,9. La conferma che si tratta proprio di una supernova molto giovane è venuta dal programma di ricerca professionale ATLAS che, circa due giorni prima della scoperta, aveva ripreso un’immagine della galassia in cui la supernova non era presente.

NGC 3631 ha già ospitato altre tre supernovae: la 1996bu, la 1965L e la 1964A.

Una ripresa della SN2016bkv nella galassia NGC 3184 ottenuta da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 ed esposizione di 25x75 secondi.

La seconda supernova è la 2016bkv scoperta il 21 marzo dal mitico ricercatore del Sol Levante Koichi Itagaki (vedi articolo) che con questo successo raggiunge l’invidiabile quota di 117 scoperte.

La galassia ospite è un’altra spirale vista di faccia, la NGC 3184, forse ancora più bella della precedente. Anche la sua distanza è inferiore e si attesta intorno ai 30 milioni di anni luce. Al momento della scoperta la supernova mostrava una luminosità pari alla mag.+15,9. Lo spettro ripreso nella notte del 23 marzo dal Haleakala Observatory nelle isole Hawaii con il Faulkes Telescope Nord di 2 metri di diametro, ha permesso di classificarla di tipo II, scoperta circa quattro giorni prima del massimo di luminosità, che puntualmente si è verificato il 25 marzo raggiungendo la mag.+14,6.

Anche NGC 3184 è una veterana di supernovae avendone già ospitate altre quattro: la 1921B, la 1921C, la 1937F e la 1999gi oltre alla 2010dn che si è rivelata successivamente essere una Luminous Blue Variable (LBV, una classe di oggetti noti anche come “Supernova Impostore”.

Abbiamo perciò a portata di telescopio due luminose supernovae in due stupende e fotogeniche galassie a spirale, vicine fra loro e per di più facili come orario di ripresa perché già alte in cielo appena fa buio e senza il disturbo della Luna. Cosa desiderare, quindi, di più?

Vi invitiamo a condividere come sempre le vostre immagini anche su www.coelum.com/photo-coelum dove già si trova un’immagine della SN2016bkv ripresa da Yuri Puzzoli! Aspettiamo anche le vostre!

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Meraviglia! La 67P/Churyumov-Gerasimenko sorpresa in controluce

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Dopo mesi passati a fotografare la cometa da un’orbita molto prossima alla sua superficie, la
settimana scorsa la sonda Rosetta si è allontanata fino ad una distanza di un migliaio di chilometri
per studiare l’ambiente circostante, il plasma e i getti della coda.
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Durante la manovra di allontanamento Rosetta è venuta a trovarsi quasi nel cono d’ombra della cometa e il 27 marzo, da una distanza di 329 km, la NavCam a bordo della sonda è riuscita a riprendere con 4 secondi di esposizione questa straordinaria fotografia (cortesia: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0), dove si vede il doppio nucleo incoronato dai getti di gas stagliarsi nel chiarore accecante del Sole. La scala è di 28 m/pixel).

La sonda tornerà a circa 200 km dal nucleo all’inizio della prossima settimana e il 9 aprile scenderà
di nuovo fino a circa 30 km di altezza.
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ATTENZIONE_ATTENZIONE_ATTENZIONE_____________

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Un disco protoplanetario a una risoluzione da record

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No, questa volta non è un'impressione artistica, ma è La migliore immagine ALMA di un disco protoplanetario fino ad oggi. Questa immagine della stella giovane e vicina TW Hydrae mostra i classici anelli e i vuoti che indicano la presenza in questo sistema di pianeti in formazione. Crediti: S. Andrews (Harvard-Smithsonian CfA); B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)
No, questa volta non è un'impressione artistica, ma è la migliore immagine ALMA di un disco protoplanetario ottenuta fino ad oggi. Questa immagine della stella giovane e vicina TW Hydrae mostra i classici anelli e i vuoti che indicano la presenza in questo sistema di pianeti in formazione. Crediti: S. Andrews (Harvard-Smithsonian CfA); B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

Il potente occhio del radiointerferometro ALMA ha spiato il disco protoplanetario che avvolge TW Hydrae, una giovane stella simile al Sole distante circa 175 anni luce dal nostro pianeta. La straordinaria risoluzione di ALMA – le nuove immagini del disco sono di gran lunga le più dettagliate scattate finora – ha permesso agli astronomi di individuare tre fasce vuote all’interno della struttura. Secondo gli scienziati, a formare le tre corsie sarebbero stati altrettanti pianeti in formazione, i quali, accumulando il materiale verso di sé e spingendo via il resto delle polveri, avrebbero ripulito le loro orbite. La più interna delle tre corsie, in particolare, è tanto distante dalla propria stella quanto la Terra dal Sole, suggerendo che, in futuro, il giovane pianeta potrebbe evolversi in un mondo simile al nostro. Secondo la ricostruzione degli scienziati, il disco si sarebbe formato appena 10 milioni di anni fa.

La fascia vuota più interna. Credits: S. Andrews (Harvard-Smithsonian CfA); B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

“Studi precedenti avevano confermato che TW Hydrae ospitasse un notevole disco con strutture create da pianeti in formazione al suo interno,” spiega Sean Andrews dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. “Le nuove immagini di ALMA mostrano il disco a una risoluzione senza precedenti, rivelando una serie di anelli luminosi e di corsie scure concentriche, comprese delle intriganti strutture che indicano che un pianeta con un’orbita simile a quella della Terra si stia formando.”Le due corsie vuote più esterne distano circa tre e sei miliardi di chilometri dalla loro stella madre – distanze paragonabili a quelle di Urano e Plutone dal Sole, rispettivamente.Le immagini sono state ottenute osservando le deboli emissioni radio provenienti dalle particelle millimetriche che popolano il disco di TW Hydrae. La risoluzione senza precedenti è stata consentita dalla particolare configurazione di ALMA, con le antenne del radiotelescopio posizionate a 15 chilometri di distanza tra di loro.”Abbiamo raggiunto la migliore risoluzione spaziale per un disco protoplanetario con ALMA, e non sarà facile battere questo primato in futuro,” commenta Andrews. ALMA ha già osservato altri dischi protoplanetari, tra cui alcuni molto più giovani, come quello di HL Tauri, risalente a meno di un milione di anni fa. Confrontare le varie strutture di questi dischi permetterà agli scienziati di ricostruire la loro evoluzione e di risalire ai primi capitoli della storia del nostro stesso sistema solare.La risoluzione angolare delle immagini di HL Tauri è simile a quella delle immagini di TW Hydrae; tuttavia, essendo TW Hydrae quasi 275 anni luce più vicina alla Terra, i suoi ritratti sono di gran lunga più dettagliati.”TW Hydrae è speciale,” aggiunge David Wilner, sempre del CfA. “Si tratta del disco protoplanetario più vicino alla Terra e potrebbe assomigliare parecchio al nostro sistema solare quando anch’esso aveva 10 milioni di anni.”

6 aprile: La Luna occulta Venere

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A sinistra. Il percorso apparente di Venere rispetto alla Luna osservato da tre diverse località della penisola. L’orientamento è equatoriale, con il nord in alto e l’est a sinistra. Gli orari relativi ad altre località sono tabulati nella Tab. 2.
Il percorso apparente di Venere rispetto alla Luna osservato da tre diverse località della penisola. L’orientamento è equatoriale, con il nord in alto e l’est a sinistra. Gli orari relativi ad altre località sono tabulati nella tabella sotto.

L’evento in assoluto più importante del mese avverrà il giorno 6, quando verso le 9:12, dunque in pieno giorno, il nostro satellite (fase 1%) occulterà Venere (mag. –3,7).

Il fenomeno è più raro di quanto si possa pensare. Ogni anno in qualche parte del mondo si verificano in media due occultazioni di Venere da parte della Luna (da zero, fino ad un totale – molto raramente – di sei volte per anno), ma da una data località l’evento è osservabile, nella media del lungo periodo, soltanto una volta ogni 4 anni.

Qui da noi a parte l’eccezione siciliana del 2010 l’evento mancava addirittura da 8 anni.

Orari di inizio e fine occultazione

Località Ingresso Uscita
Torino 9:15 10:12
Milano 9:17 10:15
Venezia 9:20 10:21
Bologna 9:17 10:19
Firenze 9:15 10:18
Roma 9:11 10:19
Cagliari 9:02 10:10
Ancona 9:16 10:22
Napoli 9:10 10:22
Bari 9:14 10:27
Catania 9:04 10:20
Palermo 9:03 10:17

Non sarà però un’osservazione “per tutti”, nel senso che non basterà alzare gli occhi al cielo per vederla… L’occultazione, infatti, avverrà verso le nove del mattino, con il Sole già sopra l’orizzonte, e sarà quindi da affrontare muniti di uno strumento ottico, come un binocolo o un piccolo telescopio, opportunamente schermati. La cosa potrebbe risultare strana a un profano, ma chi ama l’astronomia sa che durante il giorno si possono effettuare diverse osservazioni astronomiche interessanti.

Continua a leggere su Coelum n. 199, troverai tutte le tabelle, i consigli per l’osservazione e le animazioni dell’evento! E’ gratis!

Effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Aprile

Tutti gli eventi del cielo di aprile li trovi su Coelum Astronomia n.199

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Il cielo di aprile 2016

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 aprile > 22:00 - 15 aprile > 21:00 - 30 aprile > 20:00

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Giove e satelliti medicei

Dando un’occhiata al cielo verso l’inizio della notte astronomica di metà aprile (ovvero poco prima delle 22:00), vedremo Orione e Toro – le prime costellazioni del cielo invernale a scivolare verso la congiunzione eliaca – ormai prossime all’orizzonte ovest. Solo l’Auriga e i Gemelli, più alte in declinazione, terranno ancora testa alle incalzanti costellazioni primaverili. Tra queste, alle 23:00 il Leone sarà già in meridiano, seguito più a est dalla Vergine e da Boote. Sull’orizzonte di est-nordest, comincerà ad alzarsi la grande figura dell’Ercole, seguita a notte fonda dalla Lira e dal Cigno. Lo zenit sarà invece dominato dalla grande figura dell’Orsa Maggiore

continua a leggere

Ordinaria amministrazione anche in aprile per ciò che riguarda i fenomeni del mese. Quello più intrigante, un’occultazione di Venere che manca in Italia dal dicembre 2008 (per la verità ce ne fu una anche nel maggio 2010, ma si vide solo dalla Sicilia), si verificherà però di giorno… il che restringerà di molto la cerchia di quanti sapranno o potranno seguirla, ma ecco, cliccando qui, la lista completa degli eventi che secondo noi varrà la pena di osservare e fotografare.

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Trovato un altro KBO: una nuova prova dell’esistenza del Nono Pianeta?

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Il twit con l'annuncio di Mike Brown.

Dopo un anno e mezzo di simulazioni, Brown e il collega Konstantin Batygin, assistente in scienze planetarie, si sono convinti che deve esserci un importante pezzo del Sistema Solare là fuori, ancora sconosciuto.
Il Nono Pianeta avrebbe un’orbita molto eccentrica di 10.000-20.000 anni attorno al Sole. Secondo gli scienziati questo spiegherebbe alcune curiose caratteristiche osservate negli oggetti della remota Fascia di Kuiper, la regione che si estende dall’orbita di Nettuno cioè dalla distanza di 30 UA (Unità Astronomiche) fino a 50 UA dal Sole.

In questo schema sono rappresentate le orbite dei sei oggetti noti più distanti del Sistema Solare e quella del Nono Pianeta. Credit: Caltech/R. Hurt (IPAC)

In particolare, sono le orbite di 6 corpi transnettuniani (TNO Trans Neptunian Object), sui 13 noti, a destare sospetti: queste sembrano puntare nella stessa direzione dello spazio fisico, con un’inclinazione quasi identica rispetto al piano geometrico su cui si muove il Sistema Solare.

Ora, mentre ricerche parallele cercano di definire la posizione dell’ipotetico mondo, secondo Brown il nuovo KBO – denominato uo3L91, appena scoperto grazie al Canada France Hawaii Telescope nell’ambito del programma Outer Solar System Origins Survey (OSSOS) – sarebbe un importante pezzo del puzzle in grado di “ridurre la possibilità di un errore di matematico a circa lo 0,001 per cento“.

uo3L91 sembra condividere il comportamento orbitale degli altri sei oggetti, suggerendo che deve essere stato spinto da un grande pianeta a circa 149 miliardi chilometri dal Sole (75 volte più lontano di Plutone), o anche di più.

Tuttavia, anche se le dichiarazioni di Brown sembrano ottime congetture, lo studio non è ancora stato sottoposto a peer-review e i dettagli del nuovo oggetto ancora non sono stati rilasciati.

Un’indagine completa dovrà cercare le conferme necessarie studiando un numero maggiore di KBO per verificare se i dati sono davvero coerenti con la presenza di un pianeta lontano o se può esserci qualche altra spiegazione.
© Copyright Alive Universe

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01.04: “Il re della foresta e il suo regno: il cielo di primavera” proiezione con commento di Mery Ravasio.

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BALLE DI SCIENZA Storie di errori prima e dopo Galileo

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A quasi due anni di distanza dal successo di Pisa, cantonate, errori e bufale scientifiche tornano protagonisti e sbarcano in Sicilia, alle falde dell’Etna, infatti, il museo Città della Scienza – Università di Catania ospiterà la seconda edizione della mostra, curata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania. Un’occasione in più per lasciarsi guidare alla scoperta di abbagli e coincidenze che hanno segnato la storia della scienza.

La mostra vi racconterà come gli errori accompagnano inevitabilmente il desiderio dell’uomo di conoscere: grandi scoperte – fatte qualche volta anche per caso – si intrecciano con clamorose sviste. Gli scienziati infatti portano in laboratorio, ed è difficile fare altrimenti, le proprie convinzioni religiose, filosofiche e culturali. In realtà, però, correggere i propri errori è l’essenza stessa del metodo scientifico, inaugurato da Galileo più di 400 anni fa. Ciò che conta è non perdere meraviglia e curiosità di fronte al mondo. Sbagliarsi fa parte del gioco.

Info e prenotazioni: ballediscienza@ct.infn.it
www.ballediscienza-catania.it

Un asteroide impatta (di nuovo) su Giove

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L'impatto scoperto dall'austriaco Kernbauer
L'impatto scoperto dall'austriaco Kernbauer

Giove ha da poco passato l’opposizione e si trova quindi nel periodo migliore dell’anno per essere osservato. Grazie alla numerosa schiera di appassionati di astronomia e di fotografia planetaria, il gigante gassoso è continuamente monitorato con un’ottima risoluzione e può quindi regalare sorprese inaspettate.

Lo scorso 17 Marzo, alle ore 00:17 UT (Tempo Universale) è arrivato il momento di una di quelle sorprese che ogni appassionato spera di ricevere e che di certo ci fanno ben comprendere come l’Universo non sia affatto un luogo statico e pacifico come potremmo erroneamente pensare.

Almeno due osservatori indipendenti hanno registrato un breve flash proveniente dal bordo del pianeta gassoso, che ha raggiunto una luminosità superiore a quella dei satelliti medicei. L’evento è stato scoperto per primo dall’astronomo dilettante austriacoKernbauer e poi confermato da John McKeon, a nord di Dublino.

L'impatto confermato da John McKeon

Con molta probabilità il flash, della durata dell’ordine di un secondo, è associabile all’impatto di un piccolo asteroide o di una cometa con l’atmosfera del gigante gassoso.

Non sono ancora disponibili stime delle dimensioni del corpo celeste che ha deciso di soccombere all’enorme forza di gravità di Giove e nemmeno una stima precisa della posizione, anche a causa del fatto che l’evento si è verificato proprio nei pressi del bordo, laddove la determinazione esatta della posizione presenta grossi problemi, all’altezza della banda equatoriale nord. L’impatto è comunque reale perché è stato registrato dalle camere planetarie che molti astronomi dilettanti utilizzano per catturare splendide immagini in alta risoluzione dei pianeti, quindi su un supporto di certo ben più oggettivo dell’occhio umano. I due video che mostrano il flash sono stati pubblicati su YouTube e sono visualizzabili quiqui.

Osservando a occhio i filmati disponibili è ragionevole stimare che il corpo impattante potrebbe avere avuto un diametro massimo di qualche decina di metri, probabilmente non troppo dissimile dal meteorite di 17 metri di diametro che nel Febbraio del 2013 solcò i cieli della Siberia, portandosi dietro una lunga scia di danni causati dalle onde d’urto generate dall’impatto con gli strati atmosferici più densi, a circa 30-50 km di altezza. Si tratta tuttavia di una rozza stima, perché l’evento potrebbe essere avvenuto nella porzione di Giove non visibile dalla Terra in quel momento. Se questa ipotesi si rivelasse vera, l’energia liberata potrebbe essere stata maggiore, quindi l’asteroide (o la cometa) aumentare di dimensioni.

Sarà interessante notare l’eventuale presenza di cicatrici nell’atmosfera di Giove, che potrebbero presentarsi come delle zone molto scure, quasi come l’ombra lasciata dal passaggio di un satellite mediceo, ma dalla forma più irregolare. Queste cicatrici sono lasciate dagli impatti più violenti che hanno un’alta penetrazione nell’atmosfera gioviana, al punto da bloccare in modo temporaneo i possenti moti convettivi che mantengono sempre in movimento i gas atmosferici. Se il corpo celeste era più grande di 10-20 metri potrebbe aver lasciato una traccia visibile anche con telescopi di piccolo diametro (10 cm).

Assistere in diretta all’impatto di un asteroide, o una piccola cometa, con un corpo celeste che si trova a una distanza che non ha bisogno di scomodare l’anno luce per essere espressa, e che orbita attorno alla nostra stessa stella, rappresenta di certo una forte emozione ma anche un piccolo campanello d’allarme perché ci rende partecipi in prima persona, e quasi in diretta, di quanto sia affollato il Sistema Solare, quindi potenzialmente pericoloso.

Chi ha un telescopio, quindi, osservi il pianeta gassoso in questi giorni, alla ricerca di eventuali tracce scure nei pressi della banda equatoriale nord, tipiche degli impatti più violenti.

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Una zona più affollata del previsto

L’impatto registrato lo scorso 17 Marzo non è infatti che l’ultimo di una lunga serie.
L’evento più spettacolare e violento è avvenuto nell’estate del 1994 con una ventina di frammenti della cometa Showmaker-Levy 9 che hanno lasciato profondi e duraturi segni nell’atmosfera di Giove, grandi fino al diametro del nostro pianeta. Fu la prima volta che l’essere umano osservava un oggetto schiantarsi contro un pianeta.

Tutti gli altri impatti registrati risalgono agli ultimi 7 anni e sono opera di astronomi dilettanti.

Il 19 Luglio 2009 l’australiano Anthony Wasley ha scoperto per primo le cicatrici lasciate da un probabile impatto asteroidale, simili a quelle prodotte dai frammenti cometari del 1994. Nessuno, però, aveva assisito in diretta all’evento vero e proprio, che si è stimato essere stato prodotto da un asteroide compreso tra 200 e 500 metri di diametro.

Il 3 Giugno 2010 il famoso imager planetario Christopher Go ha registrato per la prima volta il flash prodotto dall’ingresso nell’atmosfera Gioviana di un asteroide o una cometa dal diametro di una decina di metri.

Il 20 Agosto dello stesso anno sempre Go, con la conferma di altri osservatori, registrò un altro flash associabile a un nuovo impatto.

Il 10 Settembre 2012 un altro flash associato a un impatto è stato avvistato questa volta visualmente dall’astronomo dilettante Dan Petersen e poi confermato da una ripresa di George Hall. Erano quindi quattro anni e mezzo che non si osservavano più eventi di questo tipo, che ora molti planetologi ritengono più frequenti di quanto si pensasse prima del prezioso aiuto arrivato dalla comunità amatoriale nel corso degli ultimi 10 anni.

Capire quanto sia affollato il Sistema Solare e il ruolo che ha Giove nel proteggerci attirando su di sé molte comete e asteroidi sono attività fondamentali per ogni abitante della Terra che spera che la sua e le altre specie possano sopravvivere ancora per molto tempo.

Sull’argomento

Società Astronomica Fiorentina

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31.03: Serata osservativa alla scoperta del cielo con Claudio Filipponi. Presso la BiblioteCaNova
Isolotto che si trasforma in un vero Osservatorio per tutti i curiosi e gli appassionati del cielo! In caso di maltempo la serata si svolgerà al quarto piano all’interno della biblioteca. Via Chiusi, 4/3 A, Isolotto (Firenze).

Per info: cell. 377.1273573 –
presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Al Planetario di Ravenna

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29.03: “Le aurore boreali: un
fenomeno fantastico e bellissimo” di Claudio Balella.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

Chi ha detto che lo spazio è vuoto?

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Avete presente Orione, la grande costellazione che domina le notti invernali?

Chi sa riconoscerla non può non rimanere affascinato dalla sua forma singolare, disegnata da stelle che brillano talmente luminose sullo sfondo nero del cielo da incutere un senso di vertigine per il grande vuoto che sembra spalancarsi di fronte agli occhi dell’osservatore…

Pare proprio che tra stella e stella non esista niente, tranne che il freddo e lo spazio desolatamente vuoto…

Per aiutarvi a ricordare l’aspetto di quel fantastico giardino d’inverno, dove sembrano esistere soltanto fiori (e niente steli, foglie, rami, cespugli e sottoboschi), vi proponiamo qui in alto sulla sinistra una foto di ciò che usualmente si può vedere (anche stasera, se volete, declinante sull’orizzonte sudovest) alzando gli occhi al cielo non appena fa buio, mentre a destra… beh, a destra portiamo alla vostra attenzione una straordinaria fotografia della stessa regione realizzata dall’amatore americano Matt Harbison (vedi anche la versione più grande qui sotto, e quella originale, con tutti i dati alla pagina www.astrobin.com/239186/).

Stupiti? Eppure non c’è dubbio, è proprio la stessa regione: potete riconoscerne le stelle una ad una!

Cliccare per ingrandire questa spettacolare ripresa di Matt Harbison. L'originale, con tutti i dati di acquisizione, lo trovate alla pagina www.astrobin.com/239186/

Vi rendete conto della differenza, dello sfolgorio di polveri e di gas che si cela nel buio in cui credevamo le stelle fossero avvolte? L’uso di una lunga posa, abbinata a particolari metodi di ripresa, rivela in questa immagine (per continuare con la metafora del giardino) il fitto intrico di arbusti su cui – visualmente – si appuntavano i fiori di Betelgeuse, Rigel, della Cintura, e anche quello della Grande nebulosa, l’unica porzione del sottobosco in qualche modo osservabile anche solo con l’aiuto di un binocolo…

In effetti, la nostra Galassia non è solo un insieme di stelle separate dal vuoto assoluto… c’è anche molto gas, idrogeno soprattutto, mescolato a particelle di polvere. Ed è proprio nelle nubi di gas più dense che si formano le stelle, anche se parlare di densità avendo sotto gli occhi una fotografia come questa, dove l’universo sembrerebbe saturato da una fitta nebbia multicolore potrebbe portare a conclusioni davvero sbagliate.

Le densità in gioco è infatti anche inferiore a quella del vuoto più spinto ottenibile nei laboratori terrestri… una nebbiolina indicibilmente tenue (solo una decina di atomi per decimetro cubo), che solo grazie alla smisurata profondità del campo fotografato (centinaia di anni luce) riesce ad impressionare il sensore della macchina da ripresa in un modo così spettacolare!

E la luce che illumina la scena, assolutamente invisibile ad occhio nudo, viene dalle stelle nate da quella polvere, in un ciclo di nascita e morte che si ripete ormai da 13 miliardi di anni.

P.S. Tutto ciò ha un nome… l’insieme di stelle, gas e polveri si chiama “Complesso molecolare di Orione”, un’incubatrice di stelle distante da noi circa 1500 anni luce.

Le macchie bianche di Cerere finalmente viste da “vicino”!

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Le misteriose macchie bianche di Ceres finalmente viste da vicino, questa immagine è solo la parte centrale, che inquadra le macchie al centro del cratere Occator, di un'immagine ad altissima risoluzione che potete scaricare, in vari formati, qui: http://dawn.jpl.nasa.gov/multimedia/images/image-detail.html?id=PIA20350. Il cratere ha un diametro di circa 92 km, e una profondità di circa 4 km. L'immagine è stata ripresa durante l'orbita bassa (LAMO) di Dawn a 385 km dalla superficie. L'immagine originale è di 7702 x 7702 pixel. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI

Finalmente rilasciate le prime immagini ravvicinate delle macchie luminose di Cerere, scattate dall’ultima orbita della sonda attorno al pianeta nano, circa 385 chilometri al di sopra superficie grigiastra di questo mondo alieno.

Una proiezione di Mollweide di Cerere in blu (438 nm), verde (555 nm) e infrarosso (965 nm). Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Le macchie bianche sono situate al centro del cratere Occator, una cicatrice da impatto larga 92 chilometri e profonda quattro. La sonda Dawn le aveva avvistate già durante la fase di avvicinamento, in virtù della loro elevata luminosità – la più alta riscontrata finora da Dawn sulla superficie del pianeta nano.

La straordinaria risoluzione delle immagini rivela la presenza di una cupola geologica che si erge dall’interno di una fossa liscia situata nel cuore del cratere, in corrispondenza della macchia più centrale. Le propaggini a nord e ai lati della cupola sono tagliate da numerose fratture lineari.

Le macchie bianche di Occator in falsi colori, per evidenziare la struttura a cupola al centro. L'immagine è stata ottenuta dalla sovrapposizione delle ultime immagini ad alta risoluzione del cratere con quelle a colori del settembre 2015, a più bassa risoluzione. I colori poi sono stati esaltati per mettere in risalto la struttura e la serie di linee e fratture che la caratterizzano. credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI/LPI

“Prima che Dawn iniziasse le sue osservazioni dettagliate di Cerere, il cratere Occator sembrava un’unica area luminosa. Ora, con le nuove immagini ad alta risoluzione, riusciamo a vedere complesse strutture che ci forniscono nuovi misteri da investigare,” spiega Ralf Jaumann del DLR. “L’intricata geometria all’interno del cratere suggerisce un’attività geologica nel recente passato, ma dovremo completare una mappatura geologica dettagliata del cratere prima di poter ricostruire la sua formazione.”

Le prime stime suggeriscono che il cratere Occator sia uno dei più giovani su Cerere, forse risalente a soli 80 milioni di anni fa, ma non è l’unico: Dawn ha mappato più di 130 aree luminose sulla superficie di Cerere, la maggior parte delle quali sono associate a crateri da impatto. Secondo uno studio guidato da Andreas Nathues, del Max Planck Institute for Solar System Research, la composizione del materiale chiaro è compatibile con la presenza di un solfato di magnesio noto come esaidrite. Si pensa che le aree chiare ricche di sale si siano formate in seguito alla sublimazione di acqua ghiacciata.

“La natura globale dei punti luminosi di Cerere suggerisce che possa avere uno strato sotterraneo di ghiaccio d’acqua,” spiega Nathues. I puntini luminosi al centro del cratere Occator, in particolare, riflettono circa la metà della luce che ricevono.

Importanti novità arrivano anche dal resto della superficie di Cerere.

I conteggi di neutroni, dal minimo in blu al massimo in rosso. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/ASI/INAF

“Nonostante i processi d’impatto dominino la geologia superficiale di Cerere, abbiamo identificato specifiche variazioni di colore sulla superficie indicando alterazioni chimiche dovute a una complessa serie di processi tra gli impatti e la composizione del sottosuolo,” spiega Jaumann. “Inoltre, ciò conferma la presenza di uno strato sotterraneo ricco di ghiaccio e materiali volatili.”

Ulteriori indizi a favore della presenza di tale strato sotterraneo emergono dai dati dello strumento GRaND, entrato in azione proprio nel corso di quest’ultima orbita. I conteggi di neutroni e raggi gamma effettuati dal rilevatore evidenziano importanti dettagli nella composizione chimica della superficie. I dati riguardano in media il primo metro di sottosuolo. Le analisi mostrano popolazioni di neutroni più modeste attorno alle regioni polari rispetto che alle regioni equatoriali, un risultato indicativo della maggiore concentrazione di idrogeno a latitudini più elevate. Trattandosi delle regioni polari, gli scienziati sospettano che l’idrogeno sia presente assieme all’ossigeno in forma di acqua allo stato solido.”Le nostre analisi metteranno alla prova l’ipotesi che il ghiaccio d’acqua possa sopravvivere appena al di sotto della gelida superficie polare di Cerere per miliardi di anni,” spiega Tom Prettyman del Planetary Science Institute.

Il cratere Haulani, largo 34 km, spiato da VIR. In blu, la luce a 1200 nm di lunghezza d'onda; in verde, 1900 nm; in rosso, 2300 nm. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/ASI/INAF

La superficie di Cerere, a livello globale, è costituita perlopiù da carbonati e da fillosilicati. L’abbondanza relativa di questi materiali tra di loro risulta tuttavia piuttosto variabile. Il cratere irregolare Haulani, in particolare, con le sue strisce di materiale luminoso, ha catturato l’attenzione degli scienziati.”Le immagini in falsi colori mostrano che il materiale scavato dall’impatto è diverso dalla composizione generale della superficie di Cerere,” spiega Maria Cristina de Sanctis dell’INAF. “La diversità di materiali implica che lo strato sotterraneo è ben mischiato, oppure che l’impatto stesso ha alterato le proprietà dei materiali.”

La luce zodiacale

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Gli osservatori dell’ESO in Cile si trovano in luoghi così bui che di solito l’unica cosa che li illumina in una notte senza Luna è la debole luce che viene dai miliardi di stelle della Via Lattea. Ma anche il cielo più buio non è completamente buio. Questo ESOcast descrive lo splendido fenomeno luminoso noto come luce Zodiacale, che a volte diffonde un bagliore spettrale nei cieli sopra ai telescopi dell’ESO. Si tratta del bagliore della luce del Sole che viene riflessa verso di noi dalla polvere presente nel piano del Sistema Solare (l’eclittica), polvere che viene creata dalle collisioni tra asteroidi e dall’evaporazione delle comete. Un’altra ancora delle meraviglie naturali a cui gli astronomi hanno la fortuna di poter assistere agli osservatori dell’ESO; speriamo che anche voi possiate godervi lo spettacolo della luce Zodiacale!

Puoi iscriverti a ESOcasts su iTunes, ricevere i prossimi episodi su YouTube o seguirci su Vimeo.

Sono disponibili anche molti altri episodi di ESOcast.



Plenilunio con Giove

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Guardando verso sudovest la notte tra il 22 e il 23 marzo si potrà assistere all’ennesima congiunzione tra Luna e Giove di questo periodo.

L’ultima si era avuta il 24 febbraio e questa di marzo ne sarà quasi una ripetizione. La Luna, quasi piena e all’incirca nella stessa identica fase di allora, avvicinerà Giove fino a una distanza di 2,7° (in febbraio la separazione fu di 2,3°). La distanza minima sarà raggiunta alle 3:30 del mattino, a quell’ora i due oggetti saranno alti circa +20°.
Con un cielo trasparente e senza umidità dovremmo poter assistere a uno splendido scenario da plenilunio. La Luna sarà decisamente invasiva con il suo chiarore, ma anche così gli astrofotografi più bravi riusciranno senz’altro a ricavare suggestivi accostamenti tra il cielo e gli elementi del paesaggio.

Tutte le effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Marzo

Tutti gli eventi del cielo di marzo li trovi su Coelum Astronomia n.198

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Gruppo Astrofili William Herschel

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Quest’anno il gruppo astrofili William Herschel propone un corso di astrofotografia: Leonardo Orazi, astrofotografo (www.starkeeper.it), introdurrà, in cinque conferenze, gli strumenti e le tecniche per ottenere splendide immagini degli oggetti celesti!
Ingresso libero.
Gli incontri si terranno nei giorni 16 e 22 febbraio, 15 e 22 marzo, 19 aprile a partire dalle ore 21:30, presso la sala riunioni della Parrocchia Immacolata Concezione e San Donato ini Via Saccarelli 10, Torino.
Per informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net

Al Planetario di Ravenna

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22.03: “Einstein e la forma della
spazio: un secolo di Relatività” di Oriano Spazzoli.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

Le strane macchie luminose di Cerere

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Questa rappresentazione artistica mostra una mappa dettagliata della superficie, compilata a partire dalle immagini ottenute dal satellite Dawn della NASA in orbita intorno al pianeta nano Cerere. Mostra le chiazze di materiale brillante nel cratere Occator. Le nuove osservazioni con lo spettrografo HARPS montato sul telescopio da 3,6 metri dell’ESO a La Silla in Cile hanno rivelato cambiamenti inaspettati di queste macchie da un giorno all’altro, il che suggerisce che siano dovuti all’influenza della luce solare. Crediti: ESO/L.Calçada/NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/Steve Albers/N. Risinger (skysurvey.org)
In questa rappresentazione artistica una mappa dettagliata della superficie, ottenuta con le immagini dalla missione Dawn. Mostra le ormai famose macchie bianche nel cratere Occator che, dalle nuove osservazioni con lo spettrografo HARPS, hanno mostrato cambiamenti inaspettati. Crediti: ESO/L.Calçada/NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/Steve Albers/N. Risinger (skysurvey.org)

Lo spettrografo HARPS all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile ha osservato il pianeta nano Cerere, il più grande oggetto della fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. Lo strumento montato sul telescopio da 3,6 metri dell’ESO ha rivelato cambiamenti inaspettati nella luminosità delle macchie bianche. Queste osservazioni suggeriscono che la materia di cui sono composte possa essere volatile ed evapori grazie al calore della luce solare.

In questa immagine le macchie bianche nel cratere Occator riprese dalla sonda della NASA DAWN. Per ottenere l'immagine (a causa della forte brillantezza delle macchie) si è dovuta sommare, alla normale esposizione per riprendere la superficie di Cerere e i suoi dettagli, un'immegine con esposizione nettamente inferiore per raccogliere i dettagli delle macchie. Cliccare per vedere l'immagine a piena risoluzione (140 metri per pixel). Image credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

La sonda Dawn della NASA, a cui partecipa l’Italia attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana con lo strumento VIR dell’INAF, è in orbita intorno a Cerere da più di un anno e ne ha mappato la superficie in gran dettaglio. Una delle maggiori sorprese è stata la scoperta di macchie molto luminose, che riflettono molta più luce del resto della superficie circostante più scura. La più evidente di queste macchie si trova all’interno del cratere Occator e suggerisce che Cerere sia un mondo più attivo degli asteroidi vicini. Le macchie luminose erano state viste, anche se meno chiaramente, in immagini precedenti di Cerere ottenute dal telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA tra il 2003 e il 2004.

Secondo l’autore principale dello studio, Paolo Molaro, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste “mentre Cerere ruota, le macchie si avvicinano a Terra e poi si allontanano e questo ha un effetto sullo spettro della luce del Sole, riflessa dalla superficie, che arriva fino a Terra”.

Cerere ruota su se stesso ogni nove ore e i calcoli hanno mostrato che l’effetto dovuto al moto delle macchie in avvicinamento o allontanamento dalla Terra a causa della rotazione sarebbe stato molto piccolo, dell’ordine di 20 chilometri all’ora, ma abbastanza grande da essere misurabile tramite l’effetto Doppler con strumenti ad alta precisione come HARPS.

L’equipe ha quindi osservato Cerere con HARPS per poco più di due notti tra luglio e agosto 2015 e il risultato è stata una vera sorpresa, perché nello spettro sono state riscontrate si le variazioni attese, dovute alla rotazione di Cerere, ma con differenze considerevoli tra una notte e l’altra.

L’equipe ha concluso che i cambiamenti osservati potrebbero essere dovuti alla presenza di sostanze volatili che evaporano per effetto della radiazione solare. È stato suggerito che il materiale molto riflettente nelle macchie su Cerere possa essere ghiaccio d’acqua esposto di recente in superficie o solfato idrato di magnesio… purtroppo la fonte di questa continua perdita di materia dalla superficie non è ancora nota. Si sa che Cerere contiene al suo interno molte riserve d’acqua, ma non è ancora chiaro se le macchie luminose siano davvero legate a questa.

Ad ogni modo quando le macchie all’interno del cratere Occator sono sul lato illuminato dal Sole, si formerebbe una foschia che riflette la luce del Sole in modo molto efficiente. La foschia evaporerebbe poi rapidamente (nel giro di poche ore), perdendo riflettività e producendo i cambiamenti osservati, in modo diverso da notte a notte, con effetti casuali aggiuntivi osservati su tempi scala sia brevi che lunghi.

Se questa interpretazione venisse confermata, sarebbe un motivo in più per ipotizzare un’attività interna, Cerere si confermerebbe molto diverso da Vesta e dagli altri asteroidi della fascia principale, pur essendo relativamente isolato (la maggiorparte dei corpi del Sistema Solare con attività interna, come i grandi satelliti di Giove e Saturno, sono soggetti a forti effetti mareali a causa della vicinanza con i pianeti massicci).

Per saperne di più:

QUI l’articolo: “Daily variability of Ceres’ Albedo detected by means of radial velocities changes of the reflected sunlight”, di P. Molaro, A. F. Lanza, L. Monaco, F. Tosi, G. Lo Curto, M. Fulle e L. Pasquini

Tratto da “Un anno intorno a Cerere” di Marco Di Lorenzo (leggi l’articolo completo) – fonte: aliveuniverse.today

Di seguito una selezione (cliccare le immagini per ingradirle o sul link del nome per il formato originale) delle più belle immagini inviate ultimamente dalla sonda, sempre in attesa (spasmodica) della vista dettagliata di Occator e del suo “bright spot”.

Cominciamo la carrellata con questa suggestiva porzione di terreno nella regione polare settentrionale; l’illuminazione radente conferisce ulteriore drammaticità al terreno fortemente craterizzato (PIA20395.jpg – Image credit: NASA/JPL – Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA).

L’immagine a sinistra, di cui avevamo già pubblicato la versione 3D “a volo d’uccello”, è estratta da un mosaico che riprende la regione attorno alla celebre montagna Ahuna, con un diametro di circa 20 km e la cui altezza è stata recentemente corretta scendendo a 4 km rispetto alla pianura circostante. La genesi di questo rilievo, così isolato e diverso dal terreno circostante, rimane oggetto di speculazioni (Porzione di PIA20348.jpg – il Nord è a sinistra – Image credit: NASA/JPL-Caltech /UCLA/MPS /DLR/IDA – processing: M. Di Lorenzo (DILO)).

L’immagine qui a destra si riferisce invece alla zona a Nord-Est del grande cratere Yalode (il cui bordo con fratture è visibile in bassa a sinistra) e mostra una affascinante “bright spot” diffuso, apparentemente non legato a un evento di impatto come in genere avviene  (PIA20398 – Image credit: NASA/JPL -Caltech/UCLA /MPS/DLR/IDA).

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Associazione Ligure Astrofili Polaris

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Conferenze al Museo di Storia Naturale Aperte al pubblico e gratuite.

19.03: “Bosone di Higgs: i fisici sono piu’ appagati o delusi dalla scoperta?” di Corrado Lamberti.

Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066
info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Chi ha “morso” Plutone?

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L'immagine del "morso" è stata ripresa 14 luglio 2015, circa 45 minuti prima del massimo avvicinamento di New Horizons al pianeta. La risoluzione è di circa 200 m/px, per un'area complessiva di 450 km per 410 km. Credit: NASA/JHUAPL/SwRI

Gli scienziati della missione New Horizons hanno scoperto uno strano marchio sulla superficie di Plutone tra le immagini inviate a terra dalla sonda. Sembra il “segno di morso”, come loro stessi lo hanno descritto nel report, e si trova nel lontano emisfero occidentale. Si ritiene che possa essere causato da un processo di sublimazione in atto, cioè dalla transizione di un elemento, probabilmente metano, direttamente dallo stato solido a quello gassoso. Il gas si riverserebbe quindi nell’atmosfera, esponendo lo strato di ghiaccio d’acqua sottostante.

Il riquadro a sinistra (cliccare per ingrandire l'immagine) è stato ripreso dalla fotocamera LORRI da una 33.900 chilometri da Plutone, il nord è in alto. I dati di Leisa, a destra, sono stati raccolti, invece, da una distanza di 47.000 chilometri dal pianeta nano. Credit: NASA/JHUAPL/SwRI

Questa immagine mostra l’altopiano Vega Terra in basso a sinistra, delimitato verso il centro da una scarpata frastagliata chiamata Piri Rupes che confina a sua volta con una giovane pianura quasi priva di crateri, Piri Planitia. In alto a destra, un taglio diagonale, chiamato Inanna Fossa, si estende per 600 chilometri fino al bordo della grande pianura ghiacciata Sputnik Planum, nel “cuore” del pianeta nano.

I dati del Ralph/Linear Etalon Imaging Spectral Array (LEISA), nel riquadro a destra, indicano che gli altopiani a sud delle Piri Rupes sono ricchi di ghiaccio di metano, rappresentato dal colore viola; mentre, la superficie di Piri Planitia è più ricca di ghiaccio d’acqua, colore blu (i dati di LEISA avevano già fornito una mappa della distribuzione del ghiaccio d’acqua sulla superficie di Plutone).

Osservando la topografia è evidente quindi che uno strato di metano ghiacciato ricopre le zone più elevate, mentre nelle quote inferiori è visibile solo la dura superficie di ghiaccio d’acqua (su Plutone, a causa delle basse temperature l’acqua, a differenza del metano, si comporta come se fosse roccia, dura e immutabile). Qui la sublimazione deve aver agito come un vero e proprio processo erosivo esponendo il substrato mentre, di contro, nelle aree ancora ricoperte di metano la transizione del gas ancora non si sarebbe verificata.

© Copyright Alive Universe

————————–Con fondino———————————-

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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CICLO “Il clima sulla Terra e su altri mondi”

18.03: “L’inesorabilita’ dell’astronomia: paleoclima ed evoluzione umana” di Elio Antonello.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Al Planetario di Ravenna

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18.03: Osservazione al telescopio
della volta stellata (ingresso libero
– cielo permettendo).

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

Società Astronomica Fiorentina

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17.03: “Le lenti gravitazionali” di Andrea Antonini presso la biblioteca “Il punto lettura Luciano Gori” in via degli Abeti, Isolotto (Firenze).

Per info: cell. 377.1273573 –
presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Ti porto la Luna – aprile e maggio 2016

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Se vi interessa organizzare un evento, una lezione universitaria o una conferenza dedicata a questa roccia, contattate l’organizzatore via mail presso presso info@collectionspace.it per tutti i dettagli organizzativi.

ATTENZIONE! Informazione per gli organizzatori: il
calendario sarà chiuso il 15 marzo 2016.

Durante gli appuntamenti pubblici, indicati nel calendario, potrete conoscere la storia geologica di questa roccia antichissima che rievoca la cataclismica formazione della Terra e della Luna, e potrete rivivere, con foto e riprese video rare e restaurate, l’avventura e il viaggio che l’hanno portata tra noi. Potrete inoltre osservarla da vicino e fotografarla.
Quest’anno il tour italiano sarà effettuato (in alcune località) in collaborazione con: Paolo Attivissimo,
Paolo D’Angelo e Paolo Miniussi.

Congiunzione Luna, Iadi e Aldebaran

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Verso le 19:15 di sera, una sottile falce di Luna crescente sarà nell’ammasso delle Iadi, circa 2° a est di Aldebaran (mag. +0,9)

La congiunzione tra Aldebaran (mag. +0,9), Iadi e Luna del giorno 14 potrà dare qualche soddisfazione in più se si avrà la pazienza di aspettare la discesa dei due oggetti verso l’orizzonte ovest, intorno alle 23:00.

Si riuscirà così a fotografare la scena sullo sfondo di un paesaggio convenientemente scelto, regalando fascino e profondità a un evento in sé abbastanza usuale. A quell’ora i due oggetti avranno un’altezza di +15° e la Luna disterà dalla stella circa 3,7°. Chi volesse coglierli ancora più vicini (circa 2°), dovrebbe invece puntarli verso le 19:00, quando però l’altezza sull’orizzonte (+55°) toglierebbe cornice all’inquadratura.

Tutte le effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Marzo

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ExoMars in orbita attorno alla Terra

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Questa mattina un Proton-M ha illuminato i cieli nuvolosi sopra le fredde steppe del Kazakistan. In cima al razzo, le prime due sonde del programma ExoMars hanno dato inizio alla loro lunga traversata interplanetaria che a ottobre le porterà a raggiungere Marte.

Il lancio è avvenuto con successo alle 10:31:42 ora italiana, con l’accensione dei sei motori RD-275M del primo stadio, alimentati da 419 tonnellate di dimetilidrazina asimmetrica e tetrossido di diazoto. Dopo 120 secondi circa, il testimone è passato ai quattro motori RD-0210 e RD-0211 del secondo stadio, entrati in azione a 43 km di quota e oltre 6000 chilometri orari di velocità. Dopo altri 240 secondi circa, il secondo stadio si è separato, permettendo al singolo motore RD-0123 del terzo stadio di accendersi a 129 km di quota e 16000 chilometri orari di velocità.

La separazione del terzo stadio è avvenuta in orario, 9 minuti e 42 secondi dopo il lancio. Al momento della separazione, il razzo si trovava a 153 km di quota, su una traiettoria balistica suborbitale. Poco più di un minuto e mezzo dopo, si è acceso anche il motore S5.98 dello stadio superiore, il Briz-M. La prima manovra, conclusasi poco fa, ha permesso al motore di parcheggiare le due sonde in un’orbita preliminare a 175 km di quota.

Ora, lo stadio viaggerà passivamente per più di un’ora, completando quasi una rivoluzione intera intorno alla Terra, prima di riaccendere il suo motore nei cieli della Russia meridionale e portarsi su una seconda orbita a 250 per 5000 km di quota, con un periodo di 2 ore. Quattro ore dopo il decollo, il Briz-M completerà una terza manovra per alzare il proprio apogeo a oltre 21 mila chilometri e il periodo a 6 ore. Poi, tramite una quarta manovra, il Briz-M darà un’ultima spinta alle due sonde, spedendole alla volta di Marte.
Restate sintonizzati sul nostro sito e sulla nostra pagina Facebook per non perdervi gli ultimi aggiornamenti! La separazione delle due sonde è prevista per le 21:12 ora italiana di oggi.

Aggiornamento:

Dopo aver viaggiato passivamente per più di un’ora e aver completato quasi una rivoluzione intera intorno alla Terra, il Briz-M ha riacceso il suo motore nei cieli della Russia meridionale per portarsi su una seconda orbita a 292 per 5272 km di quota, con un periodo di 2 ore.

Quattro ore dopo il decollo, il Briz-M ha completato anche la terza manovra, alzando così la propria orbita a 693 per 21079 km di quota.

Trascorse altre sei ore di relativa tranquillità (eccetto per l’espulsione di un serbatoio vuoto in modo da alleggerire lo stadio), il Briz-M si è riacceso sopra i cieli degli Stati Uniti. La quarta e ultima manovra è durata 12 minuti e 29 secondi.

Alle 21:12:45, le due sonde si sono liberate dalla presa del Briz-M, il quale ha così potuto completare il delicato compito che gli era stato assegnato. Poco dopo, lo stadio ha eseguito due manovre minori per annullare le probabilità di collisione con le due sonde o con Marte.

Altri 76 minuti più tardi, alle 22:29 ora italiana, la stazione radio keniota di Malindi, operata dall’Agenzia Spaziale Italiana, ha acquisito il segnale del Trace Gas Orbiter. Una manciata di istanti più tardi, il TGO ha aperto i suoi pannelli solari, generando una corrente di 15 Amp.

Nell’arco delle prossime settimane, le comunicazioni con il Trace Gas Orbiter verranno trasferite alle due antenne principali dell’ESA, in Argentina e in Australia. Fino al 24 Aprile, gli ingegneri saranno impegnati a verificare lo stato di salute di tutti i sistemi a bordo delle due sonde. Solo dopo potrà formalmente avere inizio la fase di crociera interplanetaria.

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Al Planetario di Ravenna

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15.03: “Le galassie interagenti” di
Massimo Berretti.
18.03: Osservazione al telescopio
della volta stellata (ingresso libero
– cielo permettendo).

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
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Gruppo Astrofili William Herschel

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Quest’anno il gruppo astrofili William Herschel propone un corso di astrofotografia: Leonardo Orazi, astrofotografo (www.starkeeper.it), introdurrà, in cinque conferenze, gli strumenti e le tecniche per ottenere splendide immagini degli oggetti celesti!
Ingresso libero.
Gli incontri si terranno nei giorni 16 e 22 febbraio, 15 e 22 marzo, 19 aprile a partire dalle ore 21:30, presso la sala riunioni della Parrocchia Immacolata Concezione e San Donato ini Via Saccarelli 10, Torino.
Per informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net

SOS, Marte rischia la contaminazione?

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Pulizia e decontaminazione delle “mattonelle” esterne del lander Schiaparelli. Crediti: ESA – B. Bethge
Un tecnico durante le ultime fasi di costruzione del lander Schiaparelli. Crediti: ESA – B. Bethge

ALLA RICERCA DELLA VITA SUL PIANETA ROSSO

Manca davvero poco al giorno – possiamo dirlo – più importante per l’Europa degli ultimi anni, almeno per chi sul nostro continente si occupa di scienza e spazio. Perché? Il prossimo 14 marzo partirà da Baikonur, la base di lancio russa in Kazakistan, la sonda Trace Gas Orbiter di ExoMars2016, la missione dell’ESA che esplorerà, assieme al suo lander Schiaparelli, il pianeta Marte (dove arriverà verso il mese di ottobre dopo 7 mesi di “crociera” nel Sistema Solare). In realtà la missione prevede anche una seconda fase, forse ancora più emozionante, cioè ExoMars2018, quando un’altra sonda porterà sul Pianeta rosso un rover per l’esplorazione della superficie (cioè un robottino su 6 ruote che potrà unirsi alla già numerosa famiglia di rover marziani di altre agenzie spaziali).

Tra gli obiettivi più importanti dell’intera missione (era da aspettarselo) c’è la ricerca della vita su Marte. Non aspiriamo al ritrovamento di astronavi di un lontano e glorioso passato della civiltà marziana, ma più che altro alla conferma della presenza di batteri marziani soprattutto in prossimità delle zone dove è stata trovata l’acqua.

Ma il lander e il rover di ExoMars sono pronti a questa ricerca? Gli strumenti ci sono, la tecnologia è la più avanzata che oggi possiamo immaginare, ma tutto potrebbe andare storto per qualcosa di minuscolo proveniente dalla Terra: i nostri microbi. Ebbene sì, la contaminazione del Pianeta rosso è uno dei rischi che si corre inviando un manufatto terrestre sulla superficie di un altro pianeta dove speriamo di trovare forme di vita (anche se in forma batterica). Per questo la sonda e soprattutto il lander sono stati sottoposti, negli ultimi mesi di costruzione e preparazione al lancio, a una lunga trafila di decontaminazione proprio nell’hangar di Baikonur. Lo standard di pulizia è elevatissimo per evitare ogni rischio. Ma la domanda sorge in ogni caso: e se a furia di inviare robottini su Marte per cercare la vita aliena, fossimo noi stessi a contaminare il pianeta distruggendo anche quei pochi batteri rimasti?

La prima parte della missione, come detto, prevedere la discesa sulla superficie marziana del modulo EDM (Entry and Descent demostrator Module) intitolato all’ingegnere e astronomo italiano Giovanni Schiaparelli. Ricordiamo tutti il fallimentare e rovinoso arrivo del lander europeo Beagle 2, per questo i 6 minuti di discesa che dovrà affrontare in autonomia il lander Schiaparelli saranno i più lunghi della carriera dei ricercatori che hanno lavorato al progetto. Se tutto andrà come previsto, il lander e i suoi 4 preziosi strumenti opereranno per poco tempo, dai 2 ai 4 Sol (giorni marziani), sperando di non contaminare il rosso suolo marziano.

John Brucato, astrofisico ed esobiologo dell’INAF, presso l'Osservatorio Astronomico di Arcetri

Ne parliamo con John Robert Brucato, astrofisico ed esobiologo dell’INAF, presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri.

Quando pensiamo alla contaminazione nello spazio, di solito ci riferiamo ai rischi che corrono gli astronauti quando compiono missioni sulla ISS. In questo caso, però, con ExoMars a correre i rischi più elevati potrebbe essere lo stesso pianeta Marte. Il lander porterà batteri sul pianeta: possono sopravvivere a questo lungo viaggio?

Marte è il pianeta del Sistema Solare più simile alla Terra e non è escluso che nel sottosuolo ci possano essere forme di vita semplici come i batteri. Scoprire la presenza di vita su Marte è uno degli obiettivi più ambiziosi della missione ExoMars. Quindi bisogna prestare molta attenzione a non contaminare Marte con organismi viventi terrestri. Questo è il compito della Planetary Protection, cioè di una serie di procedure concordate tra tutte le agenzie spaziali mondiali che hanno lo scopo di evitare la contaminazione del corpo del Sistema Solare visitato da una missione spaziale, ma hanno anche il compito di evitare che si contamini la Terra con forme di vita extraterrestri, quando frammenti di suolo marziano verranno riportati a terra per essere analizzati.

Si è dimostrato che forme di vita come i batteri, i licheni e i bizzarri tardigradi, riescono a sopravvivere alle condizioni estreme dello spazio e quindi potrebbero intraprendere un viaggio interplanetario a bordo della missione ExoMars e colonizzare il pianeta Marte. Per questo motivo le missioni robotiche che atterrano sulla superficie marziana richiedono una maggiore attenzione dovendo superare gli innumerevoli test di sterilizzazione e di rimozione di contaminanti molecolari.

E allora quali i rischi per gli eventuali batteri marziani?

Le procedure di Planetary Protection sono molto accurate, richiedono impegno e risorse che incidono molto sul costo di una missione spaziale stessa. Tutto questo viene fatto per garantire una vita quanto più serena ai batteri marziani senza cioè invadere il loro ecosistema (sempre che esista) con la vita terreste creando, così, il cosiddetto “falso positivo”. Ovvero andiamo su Marte scopriamo che c’è vita, ma ci accorgiamo che è quella che abbiamo portato noi sul pianeta.

Sono state identificate alcune regioni di Marte chiamate “regioni speciali”. Luoghi in cui gli organismi terrestri possono essere in grado di replicarsi, o dove c’è un’alta probabilità di trovare vita marziana. Allo stato attuale le regioni speciali sono definite come aree all’interno delle quali l’attività dell’acqua è alta e in cui si trovano temperature medio-calde. Queste condizioni possono trovarsi, sulla Terra, in grotte o cavità, ovvero in nicchie in cui la vita si è annidata. La missione ExoMars che verrà lanciata lunedì prossimo atterrerà nella regione Meridiani Planum studiando l’atmosfera marziana grazie allo strumento DREAMS realizzato tra Napoli e Padova (Principal Investigator Francesca Esposito, INAF – Osservatorio Astronomico di Capodimonte – ndr). Ad ogni modo, il modulo di atterraggio (EDM), nonostante abbia subito tutte le procedure di sterilizzazione, non verrà a contatto con le regioni speciali.

Le "regioni speciali" su Marte. Regioni in cui potrebbe esserci maggiore probabilità di trovare le vita, o in cui microorganismi terrestri potrebbero per le condizioni ambientali e la maggior presenza di ghiaccio d'acqua.
Pulizia e decontaminazione delle “mattonelle” esterne del lander Schiaparelli. Crediti: ESA – B. Bethge

In ogni caso, si rischia di distruggere la “vita” batterica marziana portando la “vita” batterica terrestre. Come evitare questa possibilità?

La probabilità che questo avvenga è praticamente nulla. Ogni singolo elemento di ExoMars sia meccanico o che faccia parte dell’elettronica è stato sottoposto a un intenso trattamento di sterilizzazione alla temperatura di 120 °C e per molti giorni, in modo da portare praticamente a zero il contenuto biologico. Se esistono batteri su Marte questi hanno un solo compito, dovranno continuare a vivere ancora per un po’ mettendosi in bella mostra quando nel 2019 arriveremo con il rover europeo ExoMars.

Cosa cambierà con l’arrivo su Marte del rover di ExoMars2?

Il rover ExoMars compirà un notevole passo in avanti rispetto a tutti i rover presenti sul suolo marziano, riuscirà a penetrare la superficie fino ad una profondità di due metri grazie ad un trapano costruito in Italia. Questo trapano preleverà campioni incontaminati dal sottosuolo marziano, dove si pensa ci sia acqua, e li distribuirà al mini laboratorio di analisi posto sul rover.

Per saperne di più:

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ExoMars è pronto al lancio

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di Simone MontrasioAstronautinews.it

Con questa operazione, supervisionata dai tecnici russi della Khrunichev e da quelli italiani di Thales Alenia Space che hanno anche effettuato una verifica elettrica sullo stato della sonda, la missione russo/europea entra quindi nelle fasi finali. TGO e Schiaparelli erano stati precedentemente uniti già a metà dello scorso mese di febbraio.

Il video dell’incapsulamento nel fairing.

Venerdi 11 avverrà il roll-out, con il Proton che raggiugerà la rampa di lancio tramite il consueto viaggio su rotaia in posizione orizzontale, eretto in posizione verticale e quindi chiuso dai bracci della torre di servizio.

Il lancio avverrà lunedì 14 marzo alle 10.31 CET, con una finestra quotidiana di lancio di 12 ore per 11 giorni consecutivi.
Inizialmente il complesso Breeze-M/ExoMars verrà posto in un’orbita di parcheggio intorno alla Terra quindi, con 4 accensioni successive dell’upper stage, l’orbita verrà alzata sempre di più fino a raggiungere la velocità di fuga dal campo gravitazionale terrestre (40.320 Km/h) ed iniziare il viaggio di 7 mesi verso Marte.

Per il Proton-M sarà la prima missione interplanetaria dopo il fallimento della sonda Mars-96 del novembre 1996.

Tutte le fasi del viaggio di Exomars verso Marte.

Venerdi 11 avverrà il roll-out, con il Proton che raggiugerà la rampa di lancio tramite il consueto viaggio su rotaia in posizione orizzontale, eretto in posizione verticale e quindi chiuso dai bracci della torre di servizio.

Il lancio avverrà lunedì 14 marzo alle 10.31 CET, con una finestra quotidiana di lancio di 12 ore per 11 giorni consecutivi.
Inizialmente il complesso Breeze-M/ExoMars verrà posto in un’orbita di parcheggio intorno alla Terra quindi, con 4 accensioni successive dell’upper stage, l’orbita verrà alzata sempre di più fino a raggiungere la velocità di fuga dal campo gravitazionale terrestre (40.320 Km/h) ed iniziare il viaggio di 7 mesi verso Marte.

Per il Proton-M sarà la prima missione interplanetaria dopo il fallimento della sonda Mars-96 del novembre 1996.

Se il lancio avverrà in orario, la separazione di ExoMars dal Breeze-M avverrà alle 21.12 CET.

L’arrivo in orbita marziana è previsto per il prossimo 19 ottobre, ma già tre giorni prima il lander Schiaparelli si sarà separato dalla sonda madre TGO che, con una serie di manovre di aerobraking, si immetterà in un orbita circolare di 400 km.
La missione di TGO (Trace Gas Orbiter), sarà quella di analizzare i gas presenti in atmosfera, identificarne le fonti e mappare la superficie. La vita operativa dovrebbe essere di ameno 6 anni.

Schiaparelli invece entrerà diretto nell’atmosfera marziana e tenterà un atterraggio controllato nella regione di Meridiani Planum, la stessa del rover NASA Opportunity, diventando così la prima piattaforma europea operativa sulla superficie di Marte.
Essendo un dimostratore di atterraggio, la sigla EDM significa infatti Entry, Descent and Landing Demonstrator Module, Schiaparelli non avrà a bordo videocamere ma solo strumenti per la raccolta di dati riguardanti le condizioni ambientali.
La sua missione è quella di testare nuove tecnologie quali scudo termico, paracadute supersonico, radar doppler e controllo dell’assetto, in vista di una seconda missione con rover prevista per il 2018 o il 2020.
Alimentato solo da batterie, la sua vita operativa sarà di circa 8 giorni.

Infografica sulla missione, traduzione a cura di Polluce Notizie

Fonte: ESA

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ASTROINIZIATIVE UAI

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EVENTI NAZIONALI UAI
13.03
: Giornata internazionale dei Planetari
A cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI. L’iniziativa ha lo scopo di far conoscere al pubblico di ogni età dove si trovano queste cupole spettacolari di grandi e piccole dimensioni.
http://www.planetari.org/it/

Al Planetario di Ravenna

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13.03, dalle 10:30 alle 19:00:
GIORNATA NAZIONALE DEI
PLANETARI Telescopi, laboratori,
Conferenze e molto altro ancora.
Ingresso libero.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

Gruppo Astrofili Lariani

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L’obiettivo è quello di conoscere il cielo e imparare la geografia astronomica a occhio nudo, con l’astrolabio, il binocolo e il puntatore laser.
Il ritrovo è presso la sede in via Cantù all’orario indicato per poi trasferirsi all’Alpe del Viceré (Località Campeggio). In caso di maltempo proiezione in sede con simulazione del cielo.

13.03, ore 19:00: Oggetti da osservare: Luna al Primo Quarto, Giove con i satelliti galileiani, Nebulosa di Orione (M42), Ammasso delle Pleiadi (M45), Doppio ammasso in Perseo (Ngc 869/884), Ammasso “Albero di Natale” nei Gemelli (M35), Ammassi nell’Auriga M36, M37, M38.

La sede, in Via Cesare Cantù, 17 (Albavilla – Como) è aperta al pubblico tutti i venerdì sera!
Per informazioni: Tel 347.6301088
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

ASTROINIZIATIVE UAI

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EVENTI NAZIONALI UAI
12-13.03
: Campagna nazionale “110 e Lode” – Grande Maratona Messier
Il più classico ed atteso appuntamento per gli astrofili amanti del deep sky: una maratona a caccia dei 110 oggetti del catalogo Messier.
La sfida osservativa, a cui partecipano astrofili di tutto il mondo, invita tutte le associazioni italiane a dedicare le notti di questo weekend alla Grande Maratona (data di riserva 2/3 aprile 2016).

http://divulgazione.uai.it

Nuove possibili tracce gravitazionali di un nono pianeta nel sistema solare

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Poco più di un mese fa, due astronomi avevano catturato l’attenzione della comunità scientifica, annunciando la scoperta di importanti indizi a favore della presenza di un massiccio pianeta nella periferia del Sistema Solare. Nonostante tale pianeta non sia ancora stato osservato — e perciò la sua natura rimane tutt’oggi quella di “pianeta ipotetico” — gli indizi a favore della sua esistenza si stanno facendo sempre più importanti.

Ora, altri tre ricercatori del Lunar and Planetary Laboratory presso l’Università dell’Arizona sostengono di aver osservato nuove tracce gravitazionali lasciate dal nono pianeta. La nuova analisi si è concentrata sui sei più lontani oggetti della fascia di Kuiper, o KBO. Analizzando i loro moti orbitali, i ricercatori sono giunti alla conclusione che questi sei membri della gelida periferia del Sistema Solare potrebbero essere intrappolati in una risonanza orbitale con il nono pianeta. Le ricostruzioni delle dinamiche orbitali suggeriscono che questi sei mondi abbiano partecipato a un numero limitato di incontri gravitazionali, ma che sarebbero stati sufficienti a spostare i sei KBO sulle orbite eccentriche e inclinate in cui si trovano oggi. Allo stesso tempo li avrebbero anche portati a orbitare in risonanza con il nono pianeta, escludendo così la possibilità di nuovi incontri più estremi che si sarebbero potuti concludere con la completa espulsione dei KBO dal Sistema Solare. Un meccanismo simile è all’opera tra Plutone e Nettuno, e impedisce che il gigante ghiacciato spedisca il pianeta nano su una traiettoria di fuga dalla nostra casa celeste.

I periodi orbitali dei sei KBO rispetto a quello dell'ipotetico nono pianeta. Source: arXiv:1603.02196v1

I ricercatori si sono concentrati su Sedna, 2010 GB174, 2004 VN112, 2012 VP113, (148209) e 2013 GP136. Questi sei lontani mondi sono tutti caratterizzati da semiassi maggiori di oltre 150 unità astronomiche. Le loro inclinazioni orbitali rispetto all’eclittica vanno da 11.9 a 33.5 gradi — numeri non particolarmente degni di nota per quanto riguarda la fascia di Kuiper. Tuttavia, questi mondi vantano eccentricità fuori dal comune — in tutti i casi maggiori di 0.7 — il che suggerisce che in passato siano stati oggetti di forti perturbazioni orbitali.

«Un sintomo dovuto alle risonanze orbitali è che i periodi orbitali dei KBO dovrebbero essere tra di loro pari a rapporti tra numeri interi piccoli,» scrivono i ricercatori. «Esaminando i periodi orbitali e ordinandoli dal più lungo a quello più corto (dunque ponendo il periodo di Sedna come primo), il rapporto tra il periodo di Sedna e quello degli altri cinque KBO risulta essere, rispettivamente: 1.596, 1.993, 2.666, 3.303, 6.115». Questi valori sono sufficientemente vicini ai rapporti 8/5, 2/1, 8/3, 10/3 e 6/1 da aver spinto i ricercatori a proseguire le loro analisi. I loro semiassi maggiori e l’incertezza associata sono i seguenti: 506.84 ± 0.51, 350.7 ± 4.7, 319.6 ± 6.0, 265.8 ± 3.3, 221.59 ± 0.16, 149.84 ± 0.47. Successivamente, sono stati valutati tre scenari di risonanza orbitale tra Sedna e l’ipotetico nono pianeta: 2/1, 3/2 e 4/3. Le simulazioni mostrano che il caso più interessante è senza dubbio quello di una risonanza orbitale 3 a 2, la quale produce risonanze 5/2, 3/1, 4/1, 5/1 e 9/1 per gli altri cinque oggetti.

Le due possibili orbite del nono pianeta: una inclinata di 18°, l'altra di 48°. Le aree nere sono quelle in cui il pianeta non si può attualmente trovare. Source: arXiv:1603.02196v1

Dati alla mano, gli scienziati hanno valutato le implicazioni di questi risultati sulla posizione attuale del pianeta fantasma. Le simulazioni hanno così permesso di ottenere le due più probabili orbite su cui si potrebbe attualmente trovare il nono pianeta, messo che esista davvero: una inclinata di 18 gradi rispetto all’eclittica (e quindi in pratica coplanare alle orbite dei sei KBO) e una inclinata i 48 gradi. In entrambi i casi, l’orbita avrebbe un semiasse maggiore di 665 unità astronomiche e un periodo orbitale di 17111 anni circa. Ciascuna delle due opzioni di inclinazione ha i propri vantaggi a livello di stabilità dinamica, il che le rende egualmente interessanti e plausibili.

I ricercatori concordano con la massa di dieci Terre indicata dagli studi precedenti, suggerendo però che, nel caso dell’inclinazione di 48 gradi, l’ipotetico pianeta potrebbe essere leggermente più massiccio. Riguardo la posizione attuale del nono pianeta, i dati hanno permesso ai tre ricercatori di escludere poco più della metà di ciascuna orbita. A seconda che il pianeta, sempre che esista, sia leggermente più massiccio o leggero, le aree escluse diventerebbero un po’ più grandi o piccole, rispettivamente. L’analisi, a detta degli stessi autori dello studio, si è rivelata particolarmente difficile a causa delle grandi incertezze nei parametri orbitali di questi lontani mondi. I risultati, pertanto, sono da prendere con le pinze. «Le nostre analisi supportano l’ipotesi di un distante pianeta, ma non dovrebbero essere considerate prove definitive della sua esistenza,» ammettono.  «I rapporti tra i periodi orbitali sono caratterizzati da significative incertezze, perciò le coincidenze osservate potrebbero essere semplicemente dovute al caso, visto il numero ridotto di oggetti analizzati. Nonostante ciò, la possibilità di risonanze orbitali potrebbe essere usata in futuro per prevedere e scoprire ulteriori pianeti massicci nel sistema solare esterno, fornendo un motivo in più per continuare a studiare le dinamiche del sistema solare».

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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Le conferenze serali iniziano alle ore 21:00.

11.03: “Galassie e ammassi: come ingrassano i giganti del cosmo” Sabrina De Grandi.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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11.03: “Preparazione alla Maratona Messier” con Mario Bertolotto.
11.03: Osservazione della Luna in Corso Italia.

Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066
info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

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