L’impresa è entrata nella storia dell’esplorazione del Sistema Solare. 14 luglio 2015: la sonda NASA New Horizons sfiora Plutone – un flyby a 13.691 km dal centro del pianeta nano – e raccoglie dati per 50 gigabit. Dall’analisi preliminare di questi risultati, pubblicata su Science e di cui abbiamo scritto anche noi di MediaINAF, la conferma di un corpo celeste vario e colorato, circondato da cinque lune.
Oggi è il momento di fare il punto su Plutone. Scoperto nel 1930 e da sempre considerato un’anomalia nel Sistema Solare. Anomalia, si potrebbe dire, diffusa a tutta la fascia di Kuiperscoperta nel 1992 e che, là oltre l’orbita di Nettuno, fa di Plutone il più grande di una nuova classe di piccoli pianeti formatisi nel Sistema Solare esterno durante il periodo di accrescimento planetario, circa 4,5 miliardi di anni fa.
Cosa è cambiato dopo il passaggio di New Horizons? La sonda NASA, con il suo carico di sofisticati strumenti scientifici, dalla Multispectral Visible Imaging Camera (MVIC) dello strumento Ralph che ci ha permesso di guardare nella geologia del pianeta, al Long-Range Reconnaissance Imager (LORRI) che tante immagini mozzafiato ci ha regalato nella lunga sequenza di avvicinamento a Plutone, ci ha permesso di scoprire come la superficie di Plutone mostri una grande varietà di morfologie del terreno frutto di differenti ere geologiche. Un discorso, quello della varietà, che vale per l’albedo, il colore, e la variazione della composizione del suolo.
L’analisi della variabilità dei crateri suggerisce che Plutone sia stato geologicamente attivo nell’arco delle ultime centinaia di milioni di anni, e che probabilmente lo sia tutt’ora. Le analisi cromatiche rivelano invece una vasta gamma di colori presente sulla superficie, dalle regioni rossastre e più scure della fascia equatoriale alle brillanti tonalità bluastre che si riscontrano salendo verso i poli.
I dati raccolti suggeriscono, inoltre, la presenza di più varietà di ghiacci volatili, e in particolare, nella regione occidentale della macchia a forma di cuore, di metano e monossido di carbonio. Senza contare il ruolo giocato dal normale ghiaccio d’acqua, un nuovo elemento da prendere in considerazione se si vuole provare a ricostruire la complessa composizione della superficie di Plutone. L’atmosfera? Spessa, con tracce di idrocarburi, genera una pressione al suolo pari a 10 microbars.
Caronte, la luna maggiore di Plutone, si differenzia per massa di roccia dal pianeta di cui è satellite per una percentuale inferiore al 10%, il che suggerisce una non sostanziale differenza fra i due corpi, almeno per quanto concerne la composizione. Plutone e Caronte, che gli scienziati ritengono essersi formati dallo stesso blocco di materia, spezzata da una collisione cosmica miliardi di anni fa, non sembrano ancora poter confermare uno stretto legame di parentela: due estranei, così li ha definiti NASA presentando una delle prime immagini raccolte da New Horizons (vedi MediaINAF).
Ma quello che sappiamo con certezza non è poco: Plutone mostra una sorprendente varietà di costruzioni geologiche, dove agisce l’effetto di ghiacci, crateri da impatto, movimenti tettonici, possibilità di attività criovulcanica. Anche gli altri piccoli pianeti della fascia di Kuiper potrebbero nascondere un turbolento passato simile. La domanda che resta aperta è: come possono questi corpi essere rimasti tanto attivi a miliardi di anni dalla loro formazione?
Grazie al potente occhio robotico del Very Large Telescope in Cile, un gruppo di astronomi è riuscito ad esplorare in dettaglio una misteriosa coppia stellare nel cuore della Nebulosa Tarantola, la più attiva regione di formazione stellare nell’Universo locale. Le due stelle, note come VFTS 352, sono molto particolari: sono talmente vicine tra di loro che le loro superfici sono entrate in contatto, formando un ponte di materia.
Entrambe le stelle appartengono al tipo O. Gli astri di questa categoria sono da 15 fino a 80 volte più massicci del Sole e fino a un milione di volte più luminosi. Sono inoltre caratterizzati da una temperatura superficiale di oltre 30 mila gradi centigradi, che corrisponde all’emissione di luce bianco-azzurra. Il sistema si trova a circa 160 mila anni luce dalla Terra.
Le due stelle orbitano attorno a un baricentro comune in poco più di un giorno. Essendo i loro centri separati da appena 12 milioni di chilometri, le superfici delle due stelle si intersecano. Tuttavia, essendo i due astri quasi identici in termini di dimensioni, non vi è un effettivo scambio di materiale; piuttosto, gli scienziati propongono che le due stelle condividano una parte del materiale pari a circa il 30% delle loro masse.
Con una massa circa 57 volte maggiore di quella del Sole e temperature superficiali di oltre 40 mila gradi centigradi, questo insolito sistema è senza dubbio il più massiccio, caldo ed estremo esempio di binarie a contatto di cui siamo a conoscenza.
“VFTS 352 è il miglior caso trovato finora di una stella doppia calda e massiccia che potrebbe mostrare segni di questo tipo di rimescolamento interno,” spiega Leonardo Almeida dell’Università di San Paolo in Brasile. “È una scoperta davvero affascinante e importante.”
Sistemi come quello di VFTS 352 sono piuttosto rari da osservare in quanto solitamente hanno vita breve. Secondo gli scienziati, le due stelle si stanno incamminando verso un destino abbastanza drammatico, fondendosi a formare un singolo astro gigante oppure mutando in un buco nero binario.
“Se continua a ruotare rapidamente, [il sistema] potrebbe terminare la sua vita con una delle più energetiche esplosioni nell’Universo, i lampi gamma di lunga durata,” spiega Hugues Sana dell’Università di Lovanio, in Belgio.
“Se invece le stelle sono mischiate bene, potrebbero entrambe rimanere compatte ed evitare la fusione,” spiega Selma de Mink dell’Università di Amsterdam. “Ciò porterebbe i due oggetti a seguire un percorso evolutivo completamente diverso da quello classico. Nel caso di VFTS 352, è probabile che i componenti termino la loro vita come supernove, formando un sistema binario ravvicinato di buchi neri. Un oggetto così notevole sarebbe un’intensa sorgente di onde gravitazionali.”
Bondeno ospiterà – il 23, 24 e 25 ottobre prossimi – il primo “Festival Internazionale della luce” nell’anno che l’Onu ha dedicato proprio a questo tema. Special guest dell’evento Pietro Aliprandi, l’astronauta 25enne di Conegliano selezionato (unico italiano) per la prima missione su Marte (Mars One) e Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, massimo esperto di lingua italiana (appassionato di toponomastica lunare).
Nella risoluzione dell’ONU che proclama l’Anno Internazionale della Luce, si fa notare che il 2015 “coincide con gli anniversari di una serie di importanti pietre miliari nella storia della scienza della luce” ma dimentica del tutto il grandissimo contributo dato alla conoscenza del fenomeno della diffrazione della luce dal gesuita bolognese Francesco Maria Grimaldi (allievo dello stellatese Giovanni Battista Riccioli) autore del fondamentale trattato: “De lumine”, pubblicato postumo a cura di Riccioli, esattamente 350 anni fa.
Il Festival della Luce di Bondeno vuole quindi valorizzare i contributi di Grimaldi e di Riccioli alla conoscenza della luce e, in particolare, della luce della Luna, il cui disco fu disegnato magistralmente da Grimaldi e i cui crateri e “mari”, in molti casi, ancora oggi, portano i nomi introdotti da Riccioli nella sua enciclopedica opera: Almagestum Novum pubblicata nel 1651.
Convegno di Selenografia antica per celebrare Giovanni Battista RICCIOLI e FrancescoMaria GRIMALDI
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SABATO 24 OTTOBRE
h. 10.15 -17.30 | Bondeno, Sala 2000
“SCIENZA E TECNOLOGIA DELLA LUCE”
Convegno che vede la partecipazione di astronomi, scienziati, ingegneri della luce ed esperti di illuminotecnica, per parlare di inquinamento luminoso, laser, ecc., nel 350° della pubblicazione del De Lumine di Francesco Maria Grimaldi.
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DOMENICA 25 OTTOBRE
LE GIORNATE DELLA CREATIVITÀ E DELLE STARTUP
h. 9.45 -17.35 | Bondeno, Sala 2000
Una sezione importante che costituirà uno dei momenti più stimolanti ed entusiasmanti del Festival. Start Up, le Spin Off universitarie e le aziende innovative ad alto contenuto scientifico e tecnologico saranno direttamente coinvolte nell’evento, con i loro prodotti ed idee, nell’ambito della fotonica, dell’energia solare, nelle sue varie forme, nonché nell’aerospaziale.
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LA SCIENZA DEI GIOCATTOLI
h. 9.30 – 12.30 e 15.00 – 18.30 | Bondeno, Sala 2000
Attività didattica per bambini: una mostra laboratorio che ha come obiettivo quello di far scoprire i segreti della fisica racchiusa nei giocattoli.
Un gruppo di astronomi del Laboratorio di Planetologia Virtuale all’Università di Washington a Seattle, negli USA, ha elaborato un metodo per comparare e classificare i pianeti extrasolari, in modo da aiutare la scelta su quali meritino di essere esplorati per primi dai nuovi potenti telescopi, come ilJames Webb Space Telescope, il cui lancio è previsto per il 2018. La nuova metrica, denominata indice di abitabilità per pianeti transitanti, è presentata in un articolo in via di pubblicazione su Astrophysical Journal. Secondo gli autori, tale indice dovrebbe aiutare i loro colleghi a stabilire degli ordini di priorità nella lista dei numerosi esopianeti conosciuti. Una lista che, come dicevamo in un recente articolo, è destinata ad allungarsi rapidamente nei prossimi anni.
«Fondamentalmente, abbiamo ideato un modo per prendere tutti i dati osservativi che sono disponibili e sviluppato un sistema di priorità», ha spiegato Rory Barnes, professore di astronomia all’Università di Washington. «Siccome stiamo andando verso un periodo in cui avremo a disposizione centinaia di target disponibili, dovremo essere in grado di decidere da quale vogliamo iniziare».
La maggior parte degli esopianeti sono stati individuati – in particolare dal telescopio spaziale Kepler – grazie al “transito”, ovvero al fatto che passano davanti alla loro stella ospite rispetto al nostro punto di vista, mascherando così una parte della luce. La NASA prevede di lanciare nel 2017 la missioneTESS, Transiting Exoplanet Survey Satellite, che certamente individuerà molti altri mondi con questo metodo. Ma sarà solamente con telescopi come il James Webb Space Telescope che si potranno fare accurate analisi spettroscopiche sulla composizione delle atmosfere di quei pianeti, alla ricerca di indizi sull’esistenza di forme di vita.
Siccome il tempo del telescopio è prezioso, bisogna subito impiegarlo verso i canditati più promettenti. L’indice di abitabilità sviluppato dal Laboratorio di Planetologia Virtuale serve proprio a questo: aiutare gli astronomi a decidere quali esopianeti abbiano la maggiore probabilità di ospitare la vita, andando oltre il semplice concetto del risiedere o meno nella cosiddettazona abitabile della loro stella, ovvero alla giusta distanza perché il calore ricevuto della stella permetta l’esistenza di acqua liquida in superficie.
Per calcolare l’indice d’abitabilità, i ricercatori prendono in considerazione le stime di rocciositàdi un pianeta, essendo i pianeti rocciosi come la Terra i più interessanti da questo punto di vista. Poi danno conto di due effetti che influiscono in maniera opposta sulla temperatura del pianeta: l’albedo e l’eccentricità dell’orbita. Sono due parametri che stabiliscono un delicato equilibrio energetico. Più alto risulta l’albedo di un pianeta, più luce ed energia vengono riflessi nello spazio e minore è il riscaldamento della superficie. Più l’orbita di un pianeta è eccentrica, tanto più intensa sarà l’energia ottenuta dalla stella quando il pianeta le passa a distanza più ravvicinata.
Tenendo conto di questi fattori, pianeti considerati troppo caldi per ospitare vita potrebbero invece subire l’effetto mitigante di un alto albedo; al contrario, un pianeta al freddo confine esterno della zona abitabile potrebbe scaldarsi un po’ al fuoco della sua orbita eccentrica.
Classificando secondo questi criteri i pianeti finora accertati dal telescopio spaziale Kepler, i tre autori dello studio hanno scoperto che i migliori candidati in quanto ad abitabilità sono quei pianeti che ricevono approssimativamente tra il 60 e il 90 per cento della radiazione solare che la Terra riceve dal Sole. Una percentuale assolutamente in linea con le attuali teorie sulla zona abitabile di una stella.
«Questo passo innovativo ci permette di andare oltre il concetto di zona abitabile “a due dimensioni”, verso un sistema d’indicizzazione flessibile, che possa includere molteplici caratteristiche osservabili assieme ai fattori che influenzano l’abitabilità planetaria», ha commentato Victoria Meadowsdell’Università di Washington, tra gli autori della ricerca.
Dovrei aprire con una notizia bomba ma preferisco partire dall’…ordinaria amministrazione, se così la possiamo chiamare, lasciandovi col fiato sospeso. E allora, come nelle hit parade musicali, iniziamo dalle posizioni più lontane dalla vetta, dando il via a qualcosa di simile a un countdown.
Nessun passo avanti da parte di Bruno Picasso (4 osservazioni) e Adriano Valvasori (28 osservazioni), anche se Bruno si è fatto vivo per comunicarmi con rammarico quanto segue:
Il mio non è un aggiornamento ma una breve testimonianza per far capire che non ho appeso il telescopio al chiodo. La sera del 19 agosto si presentava (apparentemente) limpida e decidevo così di andare a caccia di (2) Pallas, magnitudine 10, in transito nella costellazione di Ercole. Il grande asteroide era l’unico alla portata del mio telescopio e della mia postazione in orario serale. Davo così inizio allo star-hopping partendo da Ras-Algethi, accorgendomi però in breve che il cielo in realtà non era poi così limpido, dato che faticavo a vedere stelle di nona magnitudine. Decidevo così con rammarico di abbandonare la caccia. Dopo aver assaporato in vacanza i cieli scurissimi della Sardegna è stata dura tornare a osservare dalla periferia milanese!…”
Non pervenuto Edoardo Carboni fermo da tempo a 47 osservazioni. Tre nuovi bersagli sono invece stati centrati da Giuseppe Ruggiero, che con 49 osservazioni è quasi a metà dell’opera e non scherza nemmeno Giuseppe Pappa che con sei bersagli raggiunge le 64 osservazioni. Ben nove le osservazioni mensili di Giovanni Natali che sale a 83. Anche Giovanni si avvicina a grandi passi al traguardo.
Sta facendo tremendamente sul serio Luca Maccarini che sale a quota 94, facendo ingresso nella zona rossa. Luca è tenacissimo, lo ha dimostrato ma, anche se il traguardo sembra a un passo, dovrà ancora proferire molte energie per chiudere la missione. Lui lo sa bene e infatti ci scrive:
“Ad eccezione di (49) Pales non è stato facile individuare gli obiettivi di questo mese, tutti deboli. Probabilmente riuscirò (meteo permettendo) ad osservare ancora un paio di oggetti nei prossimi mesi e poi dovrò attendere un po’ di tempo per dare la caccia alle “ultime prede”. Osservando (36) Atalante il mio pensiero è andato a Paolo Palma, ben sapendo che era il suo ultimo obiettivo. Sicuramente lo ha osservato ed è entrato a far parte del Club dei 100 asteroidi. I miei più sinceri complimenti a Paolo.”
SPOILER! E infatti eccoci al numero 1! …scusate, il deejay si è per un attimo impadronito di me.
Eccoci, dicevo, alla bomba del mese ovvero all’ingresso nel Club dei 100 asteroidi di un nuovo membro.
Chi ci segue periodicamente avrà già capito, come Luca Maccarini d’altronde, che Paolo Palma ce l’ha finalmente fatta! A lui va la tessera numero 5 e una gran pacca sulle spalle.
Sentiamo però lo stesso Paolo, impegnato a piantare la bandierina sulla cima della montagna cha ha appena scalato:
“Con l’osservazione di 36 Atlante eccomi finalmente giunto sulla vetta! Dopo ogni faticosa salita il panorama da un senso a tutto quanto si è fatto per raggiungere la meta. Sono trascorsi tre anni da quando ho cominciato a rincorrere gli insignificanti “puntini luminosi”, tre anni volati. Per portare a termine l’impresa, intrapresa assieme ai miei amici Andrea Tomacelli e Valeria Starace con cui ho ingaggiato un simpatico duello, ho dovuto percorrere chilometri alla ricerca di cieli bui. Ho dovuto affrontare raffiche di vento e cani inferociti. Ma nonostante tutto ci sono, ci siamo riusciti! Questa esperienza, pur non sfociando ovviamente in nessuna grande scoperta scientifica, mi ha però arricchito più di quanto si possa immaginare. L’osservazione visuale e la ricerca senza aiuti automatici di questi 100 deboli puntini che si confondevano tra le stelle, hanno approfondito la mia esperienza da visualista permettendomi di raggiungere magnitudini che non avrei mai immaginato sotto il cielo della mia città. Inoltre, avendo dovuto cercarne ben cento, posso ora permettermi di affermare di aver osservato accanto ai pianeti e ad alcune comete, i principali protagonisti del Girotondo Solare. Ma soprattutto la loro osservazione diretta, accompagnata dalla lettura della storia e dei fatti umani che riguardavano la loro scoperta, li ha fatti uscire dall’anonimato, regalandomi qualcosa di speciale. Ringrazio infine chi ha pensato al Club dei 100 asteroidi, chi continua a curare la riuscita dell’iniziativa e chi, capace di coglierne il fascino, ha deciso di mettersi in gioco.
P.S. Vi informo, che ho anche osservato 75 asteroidi compresi tra i numeri 101 e 200… Perciò ditemi, come si fa a smettere???”
Non ci resta che chidere sulle note di We are the champions, un classico dei Queen usato per festeggiare le grandi vittorie. Quella di Paolo sicuramente lo è…
Claudio Pra
Riassunto della situazione:
Ugo Tagliaferri (ha concluso l’impresa)
Andrea Tomacelli-Valeria Starace (hanno concluso l’impresa)
10.10: Giornata Nazionale contro l’inquinamento luminoso. Con Walter Bresolin, Paolo Speggiorin, Gabriele Umbriaco e Bruno Zamprogno.
Ore 20:30: Conferenza a tema.
Ore 21:00: Ascoltiamo il silenzio nel bosco.
Ore 21:45: Osservazione ai telescopi.
Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
ò www.astrofilibassano.it
Per info sulla Specola: tel. 0423.934111
ufficio@centrodonchiavacci.it
06.10 In viaggio con Dante: i paesaggi celesti del Purgatorio” di Loris Lazzati (per la serata speciale di Immagimondo).
Per info: 0341.367584 – ò www.deepspace.it
La S.A.F. ONLUS da settembre si sposta presso il Punto Lettura Luciano Gori (ex biblioteca dell’Isolotto) in Via degli Abeti (Firenze). Le conferenze, il gruppo di studio e le serate osservative, manterranno la cadenza mensile, con orario 21:15 – 23:0
Dopo l’incontro del 10 settembre tra Luna e pianeti, la cosa si ripeterà esattamente una lunazione dopo, la mattina del 9 ottobre. Ancora una volta una falce di Luna calante si mostrerà, alta circa +12°, tra Venere, Marte e Giove. Un raggruppamento che si farà sempre più compatto, fino a sfociare nella straordinaria triplice congiunzione di fine ottobre.
Volete vedere le vostre immagini pubblicate sulla rivista e scelte per la galleria delle migliori immagini del mese? Inviatecele con tutti i dettagli di ripresa su gallery@coelum.com!
Apriamo la rubrica con una nuova scoperta dell’incredibile Paolo Campaner, in questa estate 2015 per lui sicuramente indimenticabile. Nella notte del 2 settembre si accorge di un nuovo oggetto nella piccola ma fotogenica galassia a spirale barrata UGC3460 posta nella costellazione della Giraffa a circa 250 milioni di anni luce. Il transiente, che al momento della scoperta mostrava una luminosità di poco inferiore alla mag.+18, era immerso in una regione H II nel braccio nord della galassia (offset 18” Est e 28” Nord) ed era perciò difficilmente visibile.
Anche le notti seguenti l’oggetto si confondeva con questa regione H II facendo temere di aver preso un abbaglio e che si trattasse solo di una strana resa della camera CCD che aveva evidenziato in maniera stellare la condensazione del braccio della galassia. Finalmente la notte del 7 settembre la tanto sospirata conferma arriva dal solito team dell’Osservatorio di Asiago che con il telescopio Copernico da 1,82 metri riprendono lo spettro classificando la supernova di tipo IIP scoperta ben 5-6 settimane dopo il massimo, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano a una velocità di circa 6200 Km/s.
Le scoperte però non finiscono qui e questa insolita estate si chiude con un altro successo targato ISSP. Nella notte del 12 settembre Massimo Caimmi con il telescopio Schmidt-Cassegrain da 23cm F/10 dell’Osservatorio di Val di Cerro, nei pressi della città di Loreto (AN), individua una stellina di mag.+18,1 nella galassia a spirale barrata UGC2351, posta nella costellazione del Perseo a circa 380 milioni di anni luce. La galassia ospite si trova a meno di due gradi a nordovest della bella e fotogenica galassia a spirale NGC1169. Nei giorni seguenti la luminosità del transiente è aumentata fino a raggiungere la mag.+16 intorno al 21 settembre. Lo spettro ripreso dal Lick Observatory in California, con il telescopio Shane da 3 metri, ha infatti evidenziato che si tratta di una supernova di tipo Ia scoperta circa 10 giorni prima del massimo. Nel mese di ottobre sarà perciò ancora un facile oggetto da osservare, meglio in seconda serata per avere la galassia ad una maggior altezza sull’orizzonte.
UGC2351 aveva già ospitato un’altra supernova, la SN2012gq scoperta il 14 novembre del 2012 dai cinesi Bin Wang and Xing Gao. Una supernova di tipo II che raggiunse il massimo di luminosità a mag.+17.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli di nuovo ad orari serali, quindi per questo mese niente sveglia al mattino prima dell’alba. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante il corso di questo mese, auspicando in cieli sereni durante la stagione autunnale.
Si inizierà il giorno 3 ottobre, dalle 20:02 alle 20:07, osservando da SSO a SE. La ISS sarà osservabile in particolare dalle zone del Sud Italia. La magnitudine massima si attesterà su un valore di -2,8, quindi il transito sarà individuabile senza alcun problema anche dal Centro e dal Nord, più basso sull’orizzonte man mano che si sale di latitudine.
Il giorno 5 ottobre, avremo un transito ottimale, visibile cioè da ogni parte del paese, dalle 19:54 in direzione SO alle 20:01 in direzione ENE. La magnitudine massima sarà di -3,4! Sperando come sempre in cieli sereni. Per gli osservatori del Centro Italia una chicca in più: la ISS transiterà molto vicina al pianeta Saturno (mag. +0,6), nella prima parte del suo tragitto, un ottima occasione per tentare qualche suggestivo scatto fotografico.
Per il successivo transito dovremo aspettare circa due settimane: il 20 ottobre sarà di nuovo ottimale e visibile da tutto il paese, seppur parziale. La ISS transiterà nei nostri cieli dalle 19:48 alle 19:54, osservando da NO a E. La magnitudine massima sarà di -3,5 proprio qualche istante prima che la Stazione Spaziale entri nell’ombra della Terra.
Il21 ottobre la Stazione Spaziale sarà osservabile al meglio dal Nord Est, ma potremo avvistarla senza problemi anche dal resto d’Italia. L’orario è dalle 18:56 alle 19:05, guardando da NO a E. La magnitudine sarà di -2,8.
Ultimo transito notevole per questo mese: il giorno 23 ottobreavremo ancora una occasione di osservarla in un transito ottimale, con il Centro Italia che vedrà la ISS attraversare il cielo molto vicina alla Luna, un‘altra ottima occasione fotografica. Dalle 18:49 in direzione NO alle 18:59 in direzione SE. Come detto, anche questo sarà un transito osservabile da tutto il paese, con magnitudine di -3,3.
Giorno
Ora Inizio
Direzione
Ora Fine
Direzione
Magnitudine
03
20:02
SSO
20:07
SE
-2.8
05
19:54
SO
20:01
ENE
-3.4
20
19:48
NO
19:54
E
-3.5
21
18:56
NO
19:05
E
-2.8
23
18:49
NO
18:59
SE
-3.3
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
02.10 “Gli universi della fantascienza: dalla A di Asimov alla V di Vietti” di Alessandro Vietti.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it
04.10, ore 17:00: “Gli elementi chimici dell’Universo” di Francesco Stevan.
Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
ò www.astrofilibassano.it
Per info sulla Specola: tel. 0423.934111
ufficio@centrodonchiavacci.it
L’annuncio della NASA di questi giorni è di quelli che non si scordano: su Marte sarebbe stata osservata la presenza di sali idrati sulla superficie delle note striature nere che ripercorrono le pendici di molte montagne marziane, che da anni fanno arrovellare gli scienziati circa la loro origine. La presenza di questi sali potrebbe rappresentare – secondo lo studio pubblicato su Nature Geoscience – un indicatore dell’esistenza di acqua liquida su queste striature, per lo meno in alcuni momenti dell’anno, quando le temperature sono più elevate.
Sebbene si tratti di una ricerca senza dubbio degna di nota, la storia della ricerca di vita, e quindi di acqua, su Marte è molto lunga(oltre 40 anni!) e ricca di scoperte e osservazioni importanti che hanno condotto fin qui. Per fare un po’ di chiarezza, specie per i non addetti ai lavori, OggiScienza propone qui una breve guida per punti con le tappe e i protagonisti che è necessario conoscere alla luce della recente scoperta della NASA.
1971: è in quest’anno che viene lanciata la missione Mariner 9, che per la prima volta mostra le immagini della superficie del pianeta rosso dove gli scienziati individuano le prime tracce di solchi. Solchi prodotti – è la supposizione al tempo dell’osservazione – da fiumi e laghi che sarebbero stati presenti in passato sulla superficie marziana.
Dark Slope Streaks: si tratta di canali scuri osservati dagli scienziati già 40 anni fa, che partono dalla cima di alcuni monti nella regione equatoriale di Marte e scendono verso valle. Negli ultimi dieci anni gli scienziati hanno cominciato a studiare l’origine di questi misteriosi canali scuri e fino a oggi si ipotizzava che potessero essere dovuti anche al rotolamento di detriti verso il basso. La nuova scoperta della NASA suggerisce invece che i responsabili possano invece essere rivoli di acqua salata in forma liquida, che sarebbero presente in alcuni momenti in quella zona.
Ghiaccio su Marte: la presenza di ghiaccio sotto forma di permafrost nelle zone polari è stata accertata da Mars Express. Una quantità enorme, che se sciolta potrebbe ricoprire l’intero pianeta. La presenza di ghiaccio però non basta per poter parlare di vita su Marte (del resto basta considerare che noi congeliamo il cibo per fare in modo che non possano sopravvivere microrganismi). È necessario che l’acqua si trovi allo stato liquido.
Mars Reconnaissance Orbiter (MRO): è la sonda della NASA lanciata nel 2005, le cui osservazioni hanno permesso di individuare i sali idrati presenti sul pianeta rosso. Ha diversi obiettivi, fra cui, oltre all’individuazione di tracce di acqua, quello di individuare un possibile luogo di atterraggio per future missioni umane su Marte.
HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment): è il telescopio più grande mai utilizzato nello spazio profondo e appartiene proprio a MRO. È questo telescopio che ha fotografato i lander Opportunity e Curiosity mentre solcavano la superficie marziana.
Horovitz: è il cratere marziano (diametro 64,9 km) dalla sommità del quale partono i canali scuri sulla cui superficie sono stati individuati i sali idrati.
Lujendra Ojha: giovane dottorando del Georgia Institute of Technology, che ha contribuito alla ricerca pubblicata su Nature Geoscience il 28 settembre scorso, sotto la guida di Alfred McEwen. Come si apprende non appena si apre il suo sito web, è chitarrista in una band che suona Heavy Metal.
Metano: la presenza di metano nelle profondità di Marte e nell’atmosfera è stata accertata dalla sonda Curiosity nel 2014. Siccome uno dei modi più comuni tramite cui il metano si forma è grazie all’idrogeno, i ricercatori ritengono che esso stesso potrebbe essere una traccia della presenza di idrogeno su Marte, che a sua volta potrebbe essere correlato con la possibile presenza di acqua.
Oceani: sebbene al momento nessuno abbia visto con i propri occhi l’acqua su Marte, è ormai cosa nota che in passato, circa 4,3 miliardi di anni fa, sul pianeta ci fosse acqua. Il pianeta rosso ospitava infatti un oceano più grande addirittura del nostro oceano Atlantico – molto grande dunque se pensiamo che Marte è di dimensioni più piccole della Terra – che ne ricopriva l’intera calotta settentrionale. La scoperta che si trattasse proprio di un oceano è stata resa nota lo scorso marzo dalla NASA, ed è stata realizzata utilizzando il Very Large Telescope allo European Southern Observatory, e il telescopio Keck delle Hawaii.
Perclorato di magnesio: è il sale idrato osservato da MRO. Come da definizione, si tratta del sale di magnesio dell’acido perclorico. Un sale idrato è un sale che quando cristallizza ingloba nella sua struttura un certo numero di molecole di acqua.
Temperatura: gioca un ruolo importantissimo nella formazione di acqua liquida. Le temperature di Marte però generalmente non permettono questo lusso: su questo pianeta nella maggior parte dei casi l’acqua ghiaccia oppure evapora. La temperatura superficiale media è infatti di circa 210 K (cioè circa -60 °C), e varia a seconda delle stagioni e della latitudine: si va da minime di -130 °C nelle regioni polari, in inverno, a massime di 20 °C nelle regioni equatoriali, in estate. In linea di principio quindi esiste uno spiraglio di tempo e di superficie in cui l’acqua allo stato liquido sarebbe possibile, cioè l’estate nell’area equatoriale, che è proprio quella in cui sono stati osservate le tracce di sali idrati.
Acqua allo stato liquido potrebbe essere all’origine di misteriose e dinamiche strutture osservate sulla superficie marziana, secondo i dati raccolti da una sonda della NASA.
La scoperta è stata resa possibile da CRISM, il potente occhio robotico a bordo della sonda Mars Reconnaissance Orbiter della NASA. Nel corso degli anni, la fotocamera ha studiato migliaia di strutture note come linee inclinate ricorrenti (LIR), dall’inglese Recurring Slope Lineae (RSL). Si tratta di bande scure con larghezze comprese tra 0,5 e 5 metri che dall’alto dell’orbita di MRO paiono quasi delle striature. Queste bande, situate in genere su pendii piuttosto ripidi (25-40 gradi di inclinazione) continuano ad allungarsi verso il fondovalle per tutta la stagione calda, per poi incominciare a ritirarsi con l’avvento della stagione fredda. A monte di queste strutture si trovano quasi sempre complessi o affioramenti rocciosi, spesso associati a canali. Nell’emisfero australe, le LIR sono state osservate perlopiù lungo pendii rivolti in direzione dell’equatore, mentre nelle regioni equatoriali sono orientate in modo da ricevere la massima insolazione. Che all’origine delle LIR vi fossero meccanismi a base di acqua già lo si sospettava, ma finora gli scienziati non erano ancora mai riusciti a trovare una prova decisiva.
Lo spettrometro CRISM ha rilevato sali idrati in quattro diversi siti con presenza di linee inclinate ricorrenti. A partire da questi nuovi dati, gli scienziati hanno ricostruito pezzo dopo pezzo il meccanismo all’origine di queste strutture, confermando che l’acqua, nella forma di brina, gioca un ruolo di primo piano nella formazione delle LIR.
“L’acqua pura evaporerebbe o si ghiaccerebbe rapidamente alle attuali condizioni della superficie di Marte,” scrivono i ricercatori. “Tuttavia, le brine sono molto meno volatili rispetto all’acqua pura grazie a punti di solidificazione e ritmi di evaporazione inferiori. Numerosi sali, tra cui solfati, cloruri e perclorati, sono stati rilevati sulla superficie marziana. Questi sali possono abbassare le temperature di congelamento dell’acqua di addirittura 80 K, abbassare i ritmi di evaporazione dell’acqua di un ordine di magnitudine e assorbire l’umidità atmosferica, aumentando così la possibilità di formare un deposito stabile di acqua liquida sulla superficie dell’attuale Marte.”
Secondo i dati raccolti da MRO, i pendii che ospitano queste misteriose strutture superano sempre 250 K di temperatura (-23 gradi centigradi) e spesso, ma non sempre, 273 K (0° C). In almeno quattro di questi siti, CRISM ha osservato le caratteristiche impronte d’assorbimento dell’acqua con sali idrati a 1.4, 1.9 e 3.0 micrometri di lunghezza d’onda. Lo spettrometro opera su 544 canali spettrali a cavallo tra la porzione visibile e quella del vicino infrarosso dello spettro elettromagnetico, tra 0.36 e 3.92 micrometri di lunghezza d’onda. Tutti e quattro i siti si trovano a latitudini medie nell’emisfero australe. Le misurazioni sono state effettuate a fine estate, quando le linee avevano raggiunto la loro massima estensione e alcune avevano già iniziato a ritirarsi.
“L’origine dell’acqua delle RSL rimane un mistero, data l’estrema aridità dell’ambiente marziano,” ammettono i ricercatori. Le ipotesi principali comprendono la fusione di ghiacci sotterranei, la cui esistenza è però molto improbabile, la deliquescenza di sali igroscopici, i quali però non sono ancora stati rilevati, e la presenza di falde acquifere, che però non sarebbero in grado di spiegare perché tutte le RSL osservate finora sembrano sfociare da affioramenti rocciosi situati sulla sommità di pendii. “È plausibile che in parti diverse di Marte vi siano meccanismi di formazione diversi, “concludono gli scienziati.”
25.09 “Cent’anni di relatività: l’anniversario e le prospettive di una teoria straordinaria” conferenza di Luigi Foschini.
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L’ultima eclisse lunare totale visibile dall’Italia si è verificata il 15 giugno 2011 ma, come qualcuno ricorderà, la Luna si levò dall’orizzonte quando era già parzialmente entrata nel cono d’ombra.
A parte la scomodità dell’orario, quella del prossimo settembre sarà invece un’eclisse abbastanza favorevole per il nostro paese. Le condizioni di osservabilità saranno infatti ottimali per quasi tutte le fasi, e solo l’uscita dalla penombra avverrà (tranne che nelle località italiane più a ovest) con la Luna bassa sull’orizzonte o già tramontata.
Il disco del nostro satellite inizierà a immergersi nella penombra alle 2:11, quando sarà alto mediamente +46° sull’orizzonte di sud-sudovest.
Poco meno di un’ora dopo, alle 3:07, comincerà a scivolare nel cono d’ombra e a cambiare decisamente colore.
Alle 4:11 inizierà la totalità, che alle 4:47 raggiungerà la fase del massimo oscuramento.
Alle 5:23finirà la totalità, e alle 6:27 la Luna uscirà completamente dall’ombra.
L’eclisse avverrà nella parte meridionale della costellazione dei Pesci, in una regione priva di stelle cospicue e lontana anche dalla Via Lattea; il che limiterà l’inventiva di quegli astrofotografi che, negli ultimi anni, erano riusciti a produrre splendide foto della Luna rossa su sfondi di stelle o di nubi galattiche.
In mancanza di “quinte” celesti, ci saranno però i paesaggi terrestri a fare da sfondo all’eclisse. E in questo aiuterà moltissimo (sempre che si riesca a stare svegli fino a quell’ora) l’altezza sull’orizzonte sempre più prossima della Luna al profilo superiore del paesaggi, naturalistico, urbano o suburbano che sia.
Sulla scelta dello strumento più adatto, per ognuna delle svariate tecniche che si possono usare per riprendere l’eclisse, rimandiamo all’articolo di Daniele Gasparri, pubblicato in Coelum n. 149 e alle pagine online suggerite a fine articolo.
Altri spunti e suggerimenti si possono trovare sfogliando le immagini dei nostri lettori su Photocoelum (vedi: eclisse totale di luna, eclissi di Luna, Luna rossa, o più generalmente lacategoria Luna e Eclissi di Luna, dove per ogni foto sono indicati, per lo più, anche strumentazione, tempi, condizioni e modalità di ripresa).
Volete vedere le vostre immagini pubblicate sulla rivista e scelte per la galleria delle migliori immagini del mese? Inviatecele con tutti i dettagli di ripresa su gallery@coelum.com!
La S.A.F. ONLUS da settembre si sposta presso il Punto Lettura Luciano Gori (ex biblioteca dell’Isolotto) in Via degli Abeti (Firenze). Le conferenze, il gruppo di studio e le serate osservative, manterranno la cadenza mensile, con orario 21:15 – 23:0
La S.A.F. ONLUS da settembre si sposta presso il Punto Lettura Luciano Gori (ex biblioteca dell’Isolotto) in Via degli Abeti (Firenze). Le conferenze, il gruppo di studio e le serate osservative, manterranno la cadenza mensile, con orario 21:15 – 23:0
25.09: “Il Sole, nascita ed evoluzione della nostra stella”. Al telescopio: la Luna gibbosa.
Per info: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
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25/26.09: Notte Europea dei Ricercatori.
Ore 21:30: Osservazione pubblica della volta celeste. Solo il 26.09: osservazione del Sole, dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 15:30 alle 18:00. Presso la sede dell’Oss. di Onde Gravitazionali Ego-Virgo. Attività al CAMS (Centro Astronomico del Monte Serra), presso Agriturismo Serra di Sotto, Strada Prov. Monte Serra a Buti (PI). Per prenotare la cena presso l’agriturismo: Simone 338.9976330 oppure Giulio 392.0297877
Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347.4131736
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Simone Pertici: cell: 329.6116984
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Il 31 luglio scorso [n.d.r. del 1997], in prossimità del Suo 82° compleanno, è scomparso il Prof. Leonida Rosino, una delle figure più illustri dell’astronomia italiana e internazionale di questa seconda metà del secolo.
I risultati scientifici da Lui ottenuti e la Sua azione incisiva volta allo sviluppo dell’astronomia sono destinati a lasciare una profonda traccia negli anni a venire.
Nato a Treviso, Rosino si laurea in Fisica all’Università di Padova nel 1938 con una tesi sulle atmosfere stellari. Relatori furono il Prof. Bruno Rossi, fondatore dell’Astronomia X, e il Prof. Giovanni Silva, all’epoca intensamente impegnato ad Asiago nella realizzazione del telescopio più grande d’Europa, e alla cui successione Rosino sarà più tardi chiamato.
Appena laureato Rosino inizia la sua attività all’Università di Bologna, dotata del telescopio riflettore da 60 cm posto a Loiano.
Rimane come assistente a Bologna fino al 1953, e nel giro di quindici anni, alcuni dei quali purtroppo resi difficili dalla guerra, Rosino riesce a sfruttare al massimo la capacità di un telescopio che anche allora non poteva essere certo considerato di grandi dimensioni, ottenendo tuttavia risultati scientifici che lo impongono subito all’attenzione internazionale. Egli si rende conto che il miglior uso del telescopio, che gli veniva messo a completa disposizione, era quello di intraprendere studi sistematici che richiedevano un impiego quasi giornaliero dello strumento. Rosino inizia tutto un filone di ricerca sulle stelle variabili, che si dirama negli studi delle U Geminorum, variabili a guizzo senza periodicità, delle variabili erratiche T Tauri, situate nella zona di presequenza del diagramma H-R, e infine delle regolarissime RR Lyrae degli ammassi globulari.
Esaminando ora dal punto di vista storico le ricerche svolte a Loiano ci si accorge del grande impatto che esse hanno avuto sullo sviluppo dell’astronomia italiana. Con questo tipo di ricerca Rosino diventa il pioniere in Italia dell’astrofisica di osservazione. E se oggi siamo una comunità astronomica molto vivace, che si è imposta a livello internazionale realizzando il telescopio Galileo e a breve scadenza, speriamo, il binoculare con due specchi di otto metri di diametro, lo dobbiamo alla tradizione iniziata da Rosino a Loiano, e dal Suo collega ed amico Livio Gratton, che negli stessi anni a Merate conduceva ricerche spettroscopiche di primo piano sulle stelle novae.
Nel 1953, all’età di 38 anni, Rosino vince la cattedra universitaria, che lo porterà prima a Cagliari, poi a Bologna ed infine a Padova nel 1956. Che la sua destinazione finale fosse Padova era già chiaro fin dal 1953, quando Gli venne affidato l’incarico della direzione dell’osservatorio di Asiago. Ciò che attraeva fortemente Rosino verso Padova non era il ritorno ai luoghi di origine, all’università dove si era laureato. A Bologna si trovava molto bene, la città era ospitale e nel 1944 aveva sposato una bolognese, la signora Rosalia, che svolgerà un ruolo di grande rilievo accanto a Lui, sensibile a tutte le esigenze di un uomo completamente dedicato alla scienza.
Rosino è attratto da Padova perché l’Università aveva posto sull’altopiano di Asiago, nel 1942, un grande telescopio, con cui avrebbe potuto compiere delle ricerche ancora più spinte, già intraprese usando i telescopi dell’osservatorio di Yerkes (Chicago) alla fine degli anni ‘50.
A Padova l’attività di Rosino diventa duplice. Da una parte continua le ricerche iniziate a Loiano, aggiungendovi anche lo studio sistematico delle novae e delle supernovae (ne scoprirà una quindicina nel volgere di pochi anni). Dall’altra si dedica intensamente allo sviluppo delle capacità osservative dell’osservatorio di Asiago.
Nel 1958 entra in funzione il telescopio Schmidt di 40-50 cm. Nel 1967, nel secondo centenario della fondazione della Specola di Padova, un nuovo telescopio Schmidt, più potente, con ottiche di 65-90 cm, viene inaugurato ad Asiago. Infine nel 1973, a celebrazione del 5° centenario della nascita di Copernico, viene installato a Cima Ekar, sempre sull’altopiano di Asiago, ma in posizione più isolata per evitare gli effetti dell’inquinamento luminoso, il grande riflettore di 182 cm. Ovviamente tutti questi telescopi, e anche l’originale metro e venti, vennero man mano dotati delle più sofisticate attrezzature ausiliarie e al tempo stesso affiancati da strumenti di riduzione e di calcolo. A completamento di questo fervore strumentale, nel 1968, Rosino ottiene l’istituzione del Corso di Laurea in Astronomia, primo in Italia, che attira verso l’Università di Padova studenti di tutta la Penisola.
Visto in retrospettiva, questo secondo periodo dell’attività di Rosino, il periodo padovano che va dal 1953 al 1985, data del collocamento a riposo, è da considerarsi quello dell’affermazione di Padova come uno dei centri astronomici di più alto livello scientifico. Se oggi decine e decine di ricercatori svolgono la loro attività in un ambiente di alto prestigio, trovandosi così sin dall’inizio in una posizione di grande vantaggio, questo è dovuto all’opera illuminata di Leonida Rosino, che ha creato una delle capitali dell’astronomia di osservazione, per la quale merita la gratitudine di tutta la comunità astronomica italiana.
Tra le doti umane di Rosino, che non vanno considerate disgiunte da quelle scientifiche, ne ricorderò una in particolare: la grande disponibilità verso gli altri, soprattutto verso coloro che con lui condividevano la passione per la scienza. Rosino è stato per tutta la sua vita, giorno dopo giorno, anche successivamente al collocamento a riposo, sempre sul posto di lavoro, con una regolarità eccezionale. In qualsiasi momento si poteva bussare alla Sua porta sicuri di essere immediatamente ricevuti. Non aveva nessun problema nell’interrompere il lavoro che stava svolgendo per poter discutere dei progetti che gli venivano sottoposti, per dare consigli sul modo migliore di portare avanti la ricerca e spesso anche per parlare di questioni che esulavano dal campo astronomico e che andavano dai grandi problemi di natura filosofica a quelli della vita di tutti i giorni. Va ricordata inoltre la sua disponibilità verso gli astrofili, perché anche Lui in fondo era un astrofilo nel suo intimo. Partecipava con interesse ai loro convegni ed era prodigo di consigli ed incoraggiamenti.
Lascio al lettore il compito di cogliere gli altri elementi della grande personalità umana di Leonida Rosino, pubblicando nella pagina successiva il testo del discorso da Lui pronunciato nell’Archivio Antico dell’Università a conclusione della cerimonia celebrativa del suo 80° compleanno nel novembre del 1995. Pur nella sua brevità e nella sua asciuttezza, lo considero il più bel testamento che Egli potesse lasciarci.
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Francesco Bertola dal 1974 professore di Astrofisica presso l’Università di Padova. In precedenza ha lavorato presso l’Osservatorio Astronomico di Padova (1963-72) ed è stato professore di Astronomia all’università di Lecce (1972-74). È socio della Società Italiana di Fisica e di diverse società scientifiche internazionali, tra cui l’American Astronomical Society e la International Astronomical Union. Dal 1987 è socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Si è interessato, tra l’altro, di fotometria e dinamica delle galassie, di morfologia dell’universo e di diversi problemi connessi alla strumentazione astronomica.
Nuovi, straordinari panorami trasmessi dalla sonda New Horizons ci offrono una spettacolare visuale dei paesaggi alieni di Plutone, il pianeta nano visitato dalla missione americana a Luglio di quest’anno. Le immagini mostrano la stupefacente e inaspettata varietà della superficie di Plutone, con vaste pianure gelate popolate da ghiacciai di azoto, metano e monossido di carbonio e imponenti catene montuose di pura acqua ghiacciata che raggiungono i 3500 metri di quota.
Alla sua risoluzione massima, il panorama trasmesso da New Horizons copre 1250 chilometri di superficie. A destra si nota subito Sputnik Planum, la vasta pianura gelata che costituisce il lobo sinistro del cuore di Tombaugh Regio, fiancheggiata al centro dell’immagine dalle due catene montuose dei Norgay e degli Hillary Montes, alte rispettivamente 3500 e 1500 metri. I territori più collinosi visibili a sinistra sono intervallati da quelli che gli scienziati ritengono essere ghiacciati di azoto.
L’immagine è stata scattata circa 15 minuti dopo il culmine del flyby, quando New Horizons ha raggiunto la sua minima distanza, di circa 12500 chilometri, da Plutone. Al momento dello scatto, la sonda si trovava già circa 18 mila chilometri oltre il pianeta nano.
“Questa foto ti fa davvero sentire come se fossi lì, su Plutone, a guardare con i tuoi stessi occhi il panorama,” spiega Alan Stern, responsabile della missione. “Ma questa immagine è anche un tesoro di informazioni scientifiche, con nuovi dettagli sull’atmosfera, sulle montagne, sui ghiacciai e sulle pianure di Plutone.”
Grazie alla favorevole geometria orbitale, l’immagine mostra anche almeno una dozzina di stratificazioni di foschia all’interno dell’atmosfera di Plutone, composta in gran parte di azoto, fino ad almeno 100 chilometri di quota. In prossimità del terminatore, la linea tra giorno e notte, è perfino visibile quello che sembra essere un banco di nebbia celato tra le montagne.
“Oltre ad essere incredibili, queste foschie a bassa quota suggeriscono cambiamenti meteorologici tra il giorno e la notte, proprio come accade qui sulla Terra,” spiega Will Grundy del Lowell Observatory di Flagstaff, l’osservatorio che all’inizio dello scorso secolo portò all’individuazione di Plutone da parte di Clyde Tombaugh.
L’immagine ha anche permesso agli scienziati di raccogliere preziosi indizi sul ciclo di azoto di Plutone, per certi versi simile a quello idrologico della Terra. Il panorama mostra infatti delle zone luminose appena a est di Spuntik Planum dove gli scienziati sospettano si possano essere depositati recenti strati di ghiaccio provenienti proprio da Sputnik Planum.
Il trasporto di questi ghiacci sarebbe avvenuto tramite valli glaciali larghe tra i 3 e gli 8 chilometri situate proprio a cavallo tra i due diversi territori.
“Non ci aspettavamo di trovare indizi di un ciclo glaciale a base di azoto su Plutone all’opera nelle gelide condizioni del sistema solare esterno,” spiega Alan Howard dell’Università del Virginia. “Alimentato dalla debole luce solare, questo ciclo potrebbe essere paragonabile al ciclo idrologico che alimenta le calotte polari della Terra, nel quale l’acqua evapora dagli oceani, ricade sotto forma di neve e ritorna negli oceani attraverso i flussi glaciali.”
“In questo senso, Plutone è sorprendentemente simile alla Terra,” aggiunge Stern, “e nessuno l’aveva previsto.”
Già le immagini inviate nei primissimi giorni post-flyby avevano rivelato paesaggi straordinari e completamente diversi da ciò che ci aspettavamo: montagne di acqua ghiacciata fino a 3500 metri di quota, ghiacci di azoto in movimento, gelide pianure di metano, monossido di carbonio e azoto, un’atmosfera più vasta e definita ma anche più rarefatta di quanto previsto, un’estesa coda di plasma, campi di dune e molto altro ancora.
Per un’analisi dettagliata di tutte le scoperte effettuate finora, vi segnaliamo un nostro articolo di 13 pagine sul numero di Settembre (n. 195) della rivista Coelum Astronomia (disponibile anche in versione digitale cliccando qui). Inoltre, a breve pubblicheremo qui sul nostro sito un’intervista a due scienziati planetari riguardo Plutone e i dati trasmessi da New Horizons.
20.09, ore 21:30: “Osserviamo il 1° quarto di Luna” e osservazione del profondo cielo.
Per informazioni:
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19.09: Osservazione degli oggetti del Profondo cielo (nebulose, ammassi aperti e globulari).
Per informazioni: Tel 347.6301088
info@astrofililariani.org
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19.09, ore 21:30: International observe the Moon Night con Roberto Garofalo. Serata dedicata all’osservazione della Luna.
Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
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Per info sulla Specola: tel. 0423.934111
ufficio@centrodonchiavacci.it
Alle sei del mattino e ancora sull’orizzonte est, ma questa volta la data è quella del 25 settembre. Giove, Marte e Venere saranno ancora lì, ma più raggruppati e alti. E il punto focale della scena sarà questa volta occupato dalla congiunzione tra Marte e Regolo, separati soltanto da 47 primi d’arco.
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15.09, ore 21:30: “Campi Stellari”. Osservazione pubblica presso la sede ACA. In caso di maltempo l’Associazione organizzerà un dibattito su temi recenti di Astronomia.
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