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CORSO BASE di ASTRONOMIA

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15.06: Serata conclusiva: consegna attestati.

info: www.astropolaris.it

Associazione Cascinese Astrofili

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15.06, ore 21:30: “Osserviamo Messier…” (solo
se meteo OK).
Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Touch down per Samantha! Le prime foto del rientro

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La sequenza dell’uscita di Samantha dalla capsula appena atterrata in un campo di grano kazakho. Tutti e tre gli astronauti sono stati quindi trasportati a braccia e depositati sulle tre sdraio appositamente predisposte.

Dopo quasi 7 mesi, 3200 orbite intorno alla Terra e 135 milioni di km percorsi, si è conclusa la missione dell’equipaggio delle Expedition 42 e 43 composto da Terry Virts, Anton Shkaplerov e Samantha Cristoforetti.

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L’atterraggio è avvenuto in maniera nominale nella steppa Kazakha e il personale di recupero ha raggiunto la capsula pochi minuti dopo l’atterraggio, estraendo uno alla volta i tre astronauti.
Subito dopo l’uscita dopo un breve check medico, inizieranno i tradizionali convenevoli con il personale addetto al recupero.
L’equipaggio verrà poi trasportato dapprima a Star City e da li, Terry e Samantha voleranno a Houston per iniziare subito il periodo di riadattamento e riabilitazione.

La diretta NASA del rientro dei tre astronauti è stata seguita, in collaborazione con ScientifiCAST.it , Linkiesta.it e Coelum, dal team AstronautiCAST cui va il nostro plauso e ringraziamento per la grande competenza e la simpatia del loro puntuale commento. Per chi se la fosse persa, qui sotto il video con la registrazione della diretta!



Riguarda la diretta del ritorno sulla Terra di Samantha Cristoforetti.

Dopo aver premuto Play, il video partirà automaticamente.
Commento a cura di AstronautiCAST e Scientificast.it. In collaborazione con Coelum.com e Linkiesta.it

Prima del Big Bang

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Un famoso scienziato tenne una volta una conferenza pubblica su un argomento di astronomia. Egli parlò di come la Terra orbiti attorno al Sole e di come il Sole, a sua volta, compia un’ampia rivoluzione attorno al centro di un immenso aggregato di stelle noto come la nostra galassia. Al termine della conferenza, una piccola vecchia signora in fond o alla sala si alzò in piedi e disse: «Quel che lei ha raccontato sono tutte frottole. Il mondo, in realtà, è un disco piatto che poggia sul dorso di una gigantesca tartaruga». Lo scienziato si lasciò sfuggire un sorriso di superiorità prima di rispondere: «E su cosa poggia la tartaruga?» «Lei è molto intelligente, giovanotto» disse la vecchia signora. «Ma ogni tartaruga poggia su un’altra tartaruga!»

(Stephen Hawking, Dal big bang ai buchi neri)

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La teoria cosmologica del Big Bang descrive l’evoluzione dell’universo come lo “stiramento” dello spazio-tempo a partire da una condizione di densità e di curvatura infinite. Secondo questa visione, 13 miliardi e 800 milioni di anni fa, l’intero tessuto spazio-temporale era concentrato in quello che matematicamente corrisponde a un singolo punto, che si è dilatato fino a raggiungere gradualmente le dimensioni attuali.

La nostra conoscenza di ciò che è successo dopo il Big Bang è maggiore di quanto si pensi: abbiamo un’idea abbastanza precisa, sebbene incerta e incompleta in alcuni punti, del perché il nostro universo appare proprio così come lo osserviamo. Ma la teoria del Big Bang non dice una parola su che cosa ci fosse “prima” (un “prima” rigorosamente virgolettato). Se il cosmo ha avuto un inizio, che cosa c’era prima di quell’inizio? E in definitiva, da che cosa è nato l’universo? Alzi la mano chi non se lo è mai chiesto, almeno una volta nella vita…

13,8 miliardi di anni fa, pochi secondi prima della creazione del nostro Universo… «Ok, tutto a posto. Accendiamo questo Large Hadron Particle Collider e vediamo che succede!»

Qui si entra in un territorio decisamente spinoso: non solo mancano ora come ora le conoscenze per affrontare rigorosamente la questione, ma non c’è nemmeno consenso attorno all’idea che la domanda abbia davvero senso da un punto di vista scientifico. Molti cosmologi rifiutano nettamente la domanda, considerandola una pura speculazione. Il motivo è semplice: se è vero che il tempo, lo spazio e la materia sono davvero nati con il Big Bang, allora non esiste un “prima”. Sarebbe come chiedersi che cosa c’è più a Nord del polo Nord.

Ma il caso è tutt’altro che chiuso, e come vedremo non sarà affatto così semplice risolverlo. Se infatti non ha senso chiedersi che cosa ci fosse “prima” del tempo, siamo così sicuri che il tempo si sia originato proprio con il Big Bang? Secondo alcune teorie cosmologiche, alcune delle quali stanno riscotendo un certo seguito nella comunità scientifica, la storia potrebbe essere andata diversamente. In un contesto di questo tipo, la domanda sul “prima” avrebbe un senso e sarebbe degna di essere discussa (a patto, naturalmente, che le teorie sul “prima” siano in grado di produrre previsioni falsificabili). Non parliamo poi delle implicazioni filosofiche, metafisiche e persino religiose che potrebbe avere una scoperta in tal senso…

Albert Einstein in tenuta balneare fotografato nel 1939 durante una vacanza a Long Island. Proprio dalle equazioni della sua Relatività Generale, pubblicata nel 1916, il belga Georges Lemaître formulò nel 1927 la cosiddetta teoria del Big Bang (come la chiamò in senso dispregiativo Fred Hoyle nel 1949). Nel 1931 Lemaître andò oltre e suggerì che l’evidente espansione del cosmo necessita di una sua contrazione andando indietro nel tempo, continuando fino a quando esso non si possa più contrarre ulteriormente, concentrando tutta la massa dell’universo in un singolo punto, “l’atomo primitivo”, prima del quale lo spazio e il tempo non esistono.

Qualcuno tenta di rispondere alla domanda affermando che quello che abbiamo sempre chiamato “universo” non è affatto tale, essendo soltanto un frammento infinitesimale di un sistema molto più vasto e complicato chiamato multiverso, che possiamo immaginare come un insieme di universi, cioè di regioni spazio-temporali distinte regolate da leggi fisiche a sé stanti. Una struttura, quella del multiverso, dove potrebbe essersi già ripetuto e ripetersi ancora quell’evento singolare che 13,8 miliardi di anni fa ha dato origine al nostro universo.

Secondo altri non c’è un multiverso ma un singolo universo, la cui evoluzione però è ciclica e “torna” ripetutamente a una fase di singolarità, che noi chiamiamo appunto Big Bang.

Insomma, le sfumature sull’argomento sono infinite, e noi, ingolositi dalla possibilità di contattare velocemente le migliori menti del pianeta, abbiamo voluto mettere alla prova la pazienza di amici e colleghi affrontando il problema da un punto di vista più che altro intuitivo ed emozionale. In pratica, abbiamo posto a tutti la seguente domanda:

«Nella impossibilità di dare un significato fisico a concetti come “prima” e “nulla”, lei pensa di poter riuscire a comunicare ai lettori di Coelum la sua personale visione del problema? Ovvero il modo in cui la sua parte emozionale, più che quella logica, tenta di risolvere questo apparente paradosso? In definitiva, per dirla brutalmente: Che cos’è l’essere? Perché, invece del nulla, esiste qualcosa?»

Ed ecco le prime risposte, pubblicate in ordine di arrivo. Seguiranno le altre nei prossimi numeri. I concetti più ostici citati nelle risposte saranno approfonditi in un articolo di chiusura in cui tenteremo anche di trarre delle conclusioni.  Buona lettura!

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Sean M. Carroll

Sean M. Carroll è cosmologo e fisico teorico al Caltech (California Institute of Technology). Si occupa, tra le altre cose, di relatività generale, energia oscura e teoria quantistica dei campi; è un esperto degli aspetti termodinamici del Big Bang e della freccia del tempo. È contributor per svariate riviste di divulgazione scientifica americane (tra cui Sky&Telescope, Nature, Seed) e autore di due libri di successo: Dall’eternità a qui (Adelphi, 2011) e La particella alla fine dell’universo (Codice, 2013).

Nessuno sa cosa c’era prima del Big Bang, né se effettivamente abbia senso parlare di “prima del Big Bang”. Potrebbe essere stato l’inizio del tempo stesso, o potrebbe rappresentare un momento particolarmente “energetico” nella storia di un universo eterno.

Ciò che sappiamo è che la relatività generale – la teoria di Einstein sulla gravità e lo spazio-tempo – predice una “singolarità” di densità infinita nell’universo primordiale, ed è proprio tale singolarità che noi chiamiamo Big Bang. Ma sappiamo anche che la relatività generale, nonostante il suo enorme successo come teoria scientifica, non può essere la teoria fisica definitiva, perché è incompatibile con la meccanica quantistica. E gli effetti quantistici sono senz’altro importanti quando la densità della materia è così enorme come nel caso del Big Bang.

Quindi, quando diciamo «la relatività generale predice una singolarità», quello che intendiamo veramente è «la relatività generale predice la sua stessa insufficienza nel descrivere il primissimo universo». È decisamente un segno del fatto che abbiamo bisogno di una teoria migliore.

È possibile che una teoria più completa spieghi un giorno se – e perché – il tempo abbia avuto un istante iniziale e l’universo un inizio. È possibile anche che ci fosse una fase precedente a quella dell’universo che osserviamo, e ciò che chiamiamo Big Bang sia in realtà il raccordo tra le due fasi. In questo scenario, il tempo potrebbe estendersi infinitamente nel passato. Potremmo trovarci in uno degli infiniti cicli che l’universo attraversa, oppure il nostro universo potrebbe far parte di un multiverso più grande, in cui il concetto di tempo andrebbe generalizzato. Attualmente non sappiamo ancora, ma i fisici stanno lavorando duramente per capirci qualcosa.

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Amedeo Balbi

Amedeo Balbi Astrofisico all’Università di Roma Tor Vergata si divide tra ricerca e divulgazione. Si occupa di problemi di interfaccia tra la fisica fondamentale e la cosmologia, tra cui lo studio dell’universo primordiale e l’indagine sulla natura della materia e dell’energia oscura. Autore di articoli scientifici e libri di divulgazione, dal 2006 cura il blog Keplero (www.keplero.org) “di divulgazione scientifica – astrofisica e cosmologia, ma non solo – con un occhio alla cultura pop, e (sporadiche) divagazioni personali”.

Intanto, oggi possiamo dire di avere un quadro fisico ragionevolmente solido e accurato di come la regione di spazio-tempo che chiamiamo “universo osservabile” si sia evoluta nei circa 13,8 miliardi di anni passati, e quali siano state le sue condizioni fisiche durante questa evoluzione. È già un traguardo notevole, ma ovviamente possiamo continuare a fare meglio, e quindi è del tutto lecito (e scientifico) chiedersi se e cosa ci fosse prima. Ciò che è empiricamente accessibile in modo diretto si ferma a circa 400 mila anni dopo il momento che, con una estrapolazione del migliore modello cosmologico di cui disponiamo attualmente, chiamiamo “Big Bang”. È, in linea di principio, possibile risalire in modo indiretto ancora più indietro ma, in ogni caso, raggiunto l’istante “iniziale”, le condizioni fisiche che presumiamo dovevano essere presenti non possono essere descritte dalla fisica che conosciamo al momento.

Arrivati a questo punto si va nell’ipotetico, e si aprono grosso modo due scenari. Da un lato ci sono i modelli di universo che prevedono che prima del Big Bang non ci sia nulla. È possibile (lo hanno fatto ad esempio Hartle e Hawking) costruire modelli di universo completamente autocontenuti, in cui l’universo inizia col Big Bang senza che però questo dia luogo a un confine temporale, eliminando così il problema di caratterizzare lo stato precedente (il “prima”). Dall’altro ci sono modelli che prevedono che il Big Bang sia un evento avvenuto all’interno di un sistema fisico preesistente: in questo insieme di modelli ricadono gli scenari inflazionari, i modelli ciclici ecc. Non c’è al momento evidenza empirica nell’una o nell’altra direzione, ma entrambe le strade sono logicamente percorribili senza incorrere in contraddizioni. Non so se e quando riusciremo a dirimere la questione scientificamente, ma se mi si chiede quale sia la mia preferenza o la mia opinione “filosofica”, posso dire che credo che l’idea di “nulla” sia problematica e mal definita, e che non abbia alcuna motivazione empirica, nel senso che non sperimentiamo niente del genere nella realtà (qualunque “nulla” con cui hanno avuto a che fare i fisici si è sempre dimostrato in realtà un “qualcosa”).

Ho quindi molti dubbi sul fatto che sia una categoria che possa avere qualcosa a che vedere con la descrizione del mondo naturale. Per questo, credo che sia del tutto possibile che la risposta alla domanda “perché esiste qualcosa piuttosto che nulla” sia semplicemente che la domanda stessa è mal posta, dal momento che presuppone che possa esistere il nulla, cosa su cui c’è da essere quantomeno scettici.

Per quanto mi riguarda, non ho nessun problema a immaginare che “qualcosa” esista da sempre (indipendentemente dal fatto che riusciamo o riusciremo a comprenderlo) e che il nostro universo sia un sottosistema transitorio emerso all’interno di questo “tutto” più vasto.

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Michele Maggiore

Michele Maggiore Presidente della Sezione di Fisica del Dipartimento di Fisica Teorica dell’Università di Ginevra, dove insegna teoria quantistica dei campi. Il suo campo di ricerca si colloca al confine tra la gravità quantistica e quella classica, in particolare su temi cosmologici, onde gravitazionali e fisica dei buchi neri. È autore di testi universitari sulla teoria quantistica dei campi e sulle onde gravitazionali.

Anzitutto, secondo me la frase di partenza che spazio, tempo e materia sono nati con il Big Bang, dall’espansione di un singolo punto, è un po’ ambigua ed è causa di confusione (si espande verso cosa lo spazio, se c’è solo un punto?). Secondo me è più corretto presentare le cose in questo modo: nel regime di validità della relatività generale lo spazio è descritto da una qualche varietà che è spazialmente infinita. Queste coordinate, che in cosmologia si chiamano “comoving”, non rappresentano la vera distanza fisica tra due punti (cioè la distanza misurata con la propagazione di segnali luminosi). Se estrapoliamo all’indietro la soluzione delle equazioni di Einstein (che governano la relatività generale), si trova che la dimensione dell’universo al Big Bang era zero e la curvatura dello spazio-tempo infinita. Questo significa che usciamo dal regime di validità della relatività generale e dovrà probabilmente entrare in gioco la gravità quantistica. In ogni caso, non c’è mai un singolo punto che si espande verso qualcosa; i punti sono già tutti lì, fin dove ha un senso utilizzare le nozioni di punto.

Impostato in questo modo, il problema di capire il Big Bang perde forse un po’ del fascino filosofico ma diventa ben definito dal punto di vista fisico: si tratta di capire cosa succede alle alte curvature. Per questo in via di principio servirebbe una teoria di gravità quantistica, ed è possibile che servano concetti del tutto nuovi per entrare in questo territorio.

Un’alternativa per approcciare il problema del pre Big Bang, formulata da Gabriele Veneziano, si colloca nel contesto della teoria delle stringhe e non richiede concetti radicalmente nuovi. Secondo questa teoria è possibile che un universo con bassa curvatura evolva verso una singolarità futura; questa potrebbe essere una fase di pre Big Bang. Fatte le dovute correzioni per evitare la singolarità, si spera che queste si raccordino con una fase di “post Big Bang” compatibile con l’universo che osserviamo oggi. In realtà questa è più che una speranza: in due articoli che pubblicai vari anni fa (uno con Gasperini e Veneziano, uno con Foffa e Sturani, che all’epoca erano miei dottorandi), mostrai che questo in effetti avviene usando correzioni tipiche di certe teorie di stringa. In questo scenario io non vedo niente di particolarmente metafisico.

Naturalmente è possibile che questo tipo di approccio non sia quello giusto, e che sia necessario usare una teoria di gravità quantistica, cosa che a oggi non sappiamo fare, e che probabilmente richiederà concetti fisici nuovi.

Non sappiamo quali saranno questi concetti. È possibile che lo spazio-tempo continuo della relatività generale debba venir rimpiazzato da qualcos’altro di più opportuno. Ma allora concetti come “prima” e “nulla” diventerebbero mal definiti: staremmo cercando di applicare nozioni come il tempo classico e lo spazio classico a un regime dove non si applicano più. È possibile, quindi, che la domanda non abbia un senso fisico una volta formulata in uno scenario teorico migliore di quello disponibile attualmente.

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A sinistra, la relatività generale prevede che all’origine del tempo, e cioè al momento del Big Bang, tutta la materia presente nel nostro universo doveva essere concentrata in un unico punto, una “singolarità” a densità e curvatura dello spazio-tempo infinite. Al giorno d’oggi comincia però a diventare prevalente tra i cosmologi l’idea che se la relatività prevede il raggiungimento di valori infiniti, allora ciò significa che non è una teoria adatta a descrivere il Big Bang, dato che l’infinito nel mondo fisico non esiste. Da qui tutta una serie di modelli (a destra) che sostituiscono la “singolarità” adimensionale con una “sfera primordiale” a densità finita, magari inseriti in un contesto di continuità con universi precedenti. Certo, anche così non si risponde alla domanda su cui si basa l’inchiesta, ma semplicemente si sposta il problema “più in là”.

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Roger Penrose

Roger Penrose è un fisico teorico, un cosmologo, matematico e filosofo della scienza inglese. Professore emerito alla Oxford University, è considerato uno dei maggiori fisici matematici viventi. I suoi contributi alla cosmologia e alla fisica teorica spaziano dal campo dei buchi neri (su cui ha lavorato con Stephen Hawking) alla teoria dei twistor, dalla cosmologia ciclica conforme all’ipotesi di Weyl. Tra i riconoscimenti ricevuti spiccano la medaglia Eddington (1975), il premio Wolf (1988) e la medaglia Dirac (1989). Tra i suoi libri pubblicati in Italia ricordiamo La strada che porta alla realtà (Rizzoli, 2005).

L’opinione di quasi tutti i cosmologi contemporanei sembra accordarsi con l’idea che il Big Bang fosse l’inizio di tutto. Tuttavia, negli ultimi anni ci sono stati alcuni interessanti spunti di riflessione: particolarmente notevoli quelli di Gasperini e Veneziano, e di Steinhardt e Turok.

Per quanto riguarda la mia opinione personale, prima dell’estate del 2005 avevo una visione simile a quella secondo cui il Big Bang fu l’inizio assoluto; oggi invece sostengo la teoria della “cosmologia ciclica conforme” (CCC). Secondo questa teoria, la storia dell’universo consiste di una successione di cosiddetti “eoni”, ognuno dei quali comincia con un Big Bang (ma senza una successiva inflazione) e termina con un’espansione esponenziale, in accordo con quanto si osserva oggi sull’espansione accelerata dell’universo; il Big Bang che dà inizio a ogni eone sarebbe una continuazione diretta della precedente espansione esponenziale dell’eone precedente. A differenza dei modelli di Gasperini-Veneziano e Steinhardt-Turok, nella CCC non c’è una contrazione al termine di ogni eone: la sua espansione continua a ritmo esponenziale fino al suo infinito futuro!

La cosa difficile da capire sulla CCC è proprio questa: in ogni eone l’universo si espande “da zero a infinito”, ma l’infinito futuro di ogni eone coincide esattamente con il Big Bang dell’eone successivo. Questo processo anti-intui­tivo è possibile grazie alla scomparsa della massa – ovvero, delle masse a riposo delle particelle – negli estremi iniziale e finale dei due eoni. Senza massa a riposo non è possibile nessuna misura del tempo, e pertanto nessuna misura dello spazio.

Oggi disponiamo di orologi straordinariamente precisi, come quelli atomici, ma il loro funzionamento dipende in fondo dalla presenza di una massa a riposo, che deriva dall’unione delle due formule più importanti del XX secolo: E = mc2 ed E = hf. Qui f è una frequenza, quindi la massa di una particella determina la sua frequenza attraverso la sua energia: ogni particella con una massa ben definita, pertanto, è a tutti gli effetti un orologio perfetto. Se le masse di tutte le particelle andassero a zero, si perderebbe completamente il concetto di durata e di distanza, che tuttavia sono richiesti dalla relatività generale di Einstein. In loro assenza, ciò che rimane è chiamata “geometria conforme” (da qui deriva la terza C nella sigla CCC!).

Ora, appena dopo l’inizio del nostro eone, quando la temperatura era di gran lunga superiore alla cosiddetta “temperatura di Higgs”, le particelle non avevano massa a riposo, dunque nel nostro universo valeva la geometria conforme (intervalli di tempo brevi e lunghi erano indistinguibili, così come distanze grandi e piccole). Secondo la CCC, questo succede anche alla fine di ogni eone, quando l’espansione accelerata dell’universo produrrà una fase molto fredda nel futuro remoto di tale eone (una sorta di “meccanismo di Higgs inverso”). La CCC richiede che la geometria conforme alla fine di ciascun eone combaci esattamente con la geometria conforme del Big Bang dell’eone successivo. Il raccordo tra le due deve essere “morbido”, in modo da assicurare la continuità tra gli eoni.

Per quanto riguarda le prove osservative di questa teoria, la più diretta è nella radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background, CMB). Un’analisi che condussi nel 2013 con Gurzadyan mostra la presenza di particolari cerchi concentrici nella CMB (che i cosmologi attribuiscono a fluttuazioni quantistiche espanse dall’inflazione).

Una parte della mappa della radiazione cosmica di fondo costruita in base ai dati rilevati dal satellite WMAP. Roger Penrose afferma che la prova a sostegno della sua teoria chiamata “Cosmologia Ciclica Conforme” sarebbe contenuta proprio nella radiazione di fondo, evidenziata da anomalie concentriche come quella mostrata in figura. Tali anomalie, secondo il cosmologo inglese, sarebbero i residui materiali degli universi precedenti.

Secondo la CCC, questi segnali sarebbero l’effetto di eventi colossali avvenuti nell’eone precedente, ovvero collisioni di buchi neri supermassicci, che potrebbero accadere durante gli incontri tra galassie, come quello che molto probabilmente accadrà tra la nostra galassia e quella di Andromeda tra qualche miliardo di anni. Ogni collisione di buchi neri supermassicci produrrebbe enormi quantità di energia sotto forma di onde gravitazionali (ovvero increspature dello spazio-tempo) che raggiungerebbero l’infinito futuro di ogni eone e si trasformerebbero, all’ingresso nell’eone successivo, in lievi perturbazioni nella distribuzione della materia oscura. Queste perturbazioni avrebbero un effetto sulla temperatura osservata nella nostra CMB proprio nella forma dei cerchi concentrici che effettivamente abbiamo osservato.

La CCC offre una spiegazione differente da quella fornita dal gruppo di ricerca di BICEP2 nel marzo di quest’anno, riguardo ai modi B osservati nella CMB, secondo cui essi sarebbero dovuti a onde gravitazionali primordiali in accordo con certe versioni dell’inflazione. Secondo la CCC, questi andrebbero interpretati come l’effetto di campi magnetici esistenti nell’eone precedente al nostro.

Leggi anche le successive puntate con gli interventi di: Sabrina Masiero, Angelo Tartaglia, Alberto Cappi, CARLO ROVELLI, maurizio gasperini, ANTONIO WALTER RIOTTO, Salvatore Capozziello,Francesca Perrotta, ALEXANDER DOLGOV, Stefano Foffa, Fabio Finelli, Paolo Salucci, Sabino Matarrese, Paola Battaglia

L’inchiesta è stata pubblicata su Coelum 185 – Ottobre 2014, Coelum 186 – Novembre 2014 e Coelum 187 – Dicembre 2014.

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Leggi anche l’inchiesta su LA “SCOMMESSA” DI MARTIN REES

“Sarei pronto a scommettere, per una posta ragionevole, che entro il 20l0 sapremo esattamente qual è la componente dominante della materia oscura, il valore di Ω e le proprietà dell’oscura energia del vuoto.”

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Associazione Astronomica Mirasole

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13.06: “La Terra. L’importanza degli impatti cosmici per la sua nascita ed evoluzione, il caso Tunguska 1908” a cura di Luca Gasperini.

ufficio.stampa@astromirasole.it
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LA “SCOMMESSA” DI MARTIN REES

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Martin John Rees (York, 23 giugno 1942) è un astronomo e cosmologo inglese. Astronomo reale dal 1995 e direttore del Trinity College di Cambridge dal 2004, dal 1º dicembre 2005 è anche presidente della Royal Society. Nella sua carriera ha prodotto più di 500 pubblicazioni e ha dato importanti contributi alla teoria dell’origine della radiazione cosmica di fondo, oltre che allo studio della formazione delle galassie. È inoltre un noto divulgatore scientifico di astronomia e di scienze in generale.

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Sarei pronto a scommettere, per una posta ragionevole, che entro il 20l0 sapremo esattamente qual è la componente dominante della materia oscura, il valore di Ω e le proprietà dell’oscura energia del vuoto. Se scopriremo tutto questo, sarà un trionfo per la cosmologia: avremo preso le misure del nostro universo, proprio come, non molti secoli fa, abbiamo imparato che forma hanno e quanto sono grandi il Sole e la Terra. E conosceremo, a parte alcune riserve di cui parlerò nel prossimo capitolo,anche il futuro a lungo termine del cosmo.

Il libro da cui è tratto il brano oggetto di commento, è stato pubblicato nella versione originale in lingua inglese (Our Cosmic Habitat) nel 2001 ed è stato insignito del “Cosmology Prize of the Peter Gruber Foundation” nel 2001 e del “New York Book Show Award” nel 2002. L’edizione italiana risale invece al 2004 ed è stata curata da Gianni Rigamonti per la Adelphi Editore (Il nostro ambiente cosmico, pagg. 227, prezzo 18,50 euro). Online – www.coelum. com – è disponibile la recensione del libro.

Dopo il 2010 le sfide da affrontare saranno di due tipi molto diversi. La cosmologia infatti ha due facce: è una scienza fondamentale, ma anche la più grande delle scienze ambientali. Il teorico canadese Werner Israel ha paragonato questa dicotomia alla contrapposizione fra gli scacchi e la lotta libera nel fango; e forse la comunità dei cosmologi è proprio una tale mescolanza male assortita di finezza estrema ed estrema brutalità (solo di stile intellettuale,ovviamente).

Di qui a una decina d’anni, per il gaudio di quelli di noi che trovano più divertente rivoltarsi nel fango, saranno disponibili osservazioni sempre più dettagliate fornite sia da telescopi a terra sia da satelliti; mentre massicce simulazioni al calcolatore ci daranno un’idea più chiara del modo in cui si formano galassie, stelle e pianeti.

Io credo tuttavia che i « giocatori di scacchi» saranno ancora alla ricerca di una spiegazione profonda dell’inizio. La ricerca di teorie unitarie dell’universo e del microcosmo non si sarà esaurita (anche se forse renderà esausti coloro che l’hanno intrapresa).

Martin Rees

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Luca Amendola

LUCA AMENDOLA è nato a Roma nel 1963. Formatosi all’Università La Sapienza, ha passato in seguito numerosi periodi all’estero, principalmente in Francia e USA. È astronomo presso l’Osservatorio Astronomico di Roma (Monte Porzio Catone). La sua ricerca verte principalmente sulla cosmologia dell’universo primordiale, teorie inflazionarie, fondo cosmico, formazione di galassie e struttura a grande scala. Fermamente convinto dell’importanza della comunicazione della scienza a tutti i livelli, dedica una parte sempre più rilevante del suo tempo alla presentazione pubblica dell’astronomia e della cosmologia.

Predire il futuro è notoriamente rischioso, soprattutto se qualcuno si prende la briga di verificare le tue predizioni. Quasi tutti, a parte i profeti di apocalissi, tendono a immaginare un futuro di macchine volanti e teletrasporto, un futuro dal quale guarderemo i nostri predecessori con l’affettuosa condiscendenza con cui contempliamo vecchie foto color seppia. Poi il futuro arriva, colmo di telefonini ma senza macchine volanti e l’unico teletrasporto rimane quello di Star Trek.

I 10 anni di Rees sono trascorsi e non sappiamo ancora cosa sia la materia oscura né tanto meno l’energia del vuoto o energia oscura. È vero che conosciamo con ottima precisione il valore di W, l’energia totale dell’universo, ma lì Rees andava sul sicuro: già nel 2000 disponevamo di buone stime [vedi l’Esperimento BOOMERanG su Coelum n. 30] i risultati attuali non sono certo una sorpresa. Di materia oscura ce n’è sempre un gran bisogno, ma quali siano le particelle o i campi quantistici che la compongono è ancora ignoto.

La ricerca diretta di particelle di materia oscura nei grandi laboratori sotterranei, iniziata già ben prima del 2000, ha proceduto senza sosta e senza risparmio di energie e di investimenti. Il primo esperimento che nel 1997 ha annunciato la cattura delle tenue tracce di particelle oscure – il progetto DAMA presso i laboratori italiani del Gran Sasso – ha mantenuto ferma la posizione; altrettanto hanno fatto esperimenti rivali che si ostinano a non cavare ragni dal buco come ad esempio, proprio quest’anno, l’esperimento XENON100, anch’esso al Gran Sasso.

Nel frattempo molti teorici hanno proposto diverse ricette per riconciliare i due punti di vista, arricchendo così il numero e gli attributi delle particelle candidate a materia oscura, ma senza convincere né i contendenti né gli spettatori. La materia oscura continua a eludere e illudere. Molte speranze sono riposte nel LHC, il superacceleratore del CERN: la sua grande energia potrebbe produrre direttamente particelle di materia oscura o almeno farci intravedere i processi che potrebbero esserne responsabili. E se LHC può sembrare un acronimo ostico, possiamo sempre contare su Rosebud, Edelweiss, Cuore o Newage, solo alcuni di una serie di esperimenti dedicati alle WIMP, o particelle massive a interazione debole, la variante più accreditata di materia oscura.

Rees, e con lui tutti noi, è stato troppo ottimista anche sull’energia oscura. Nel 1998 i dati delle supernovae avevano mostrato un universo in espansione accelerata, e quindi avevano indicato la necessità di includere una nuova forma di energia nell’inventario cosmico. Nel 2000 pensavamo che si trattasse della costante cosmologica (l’energia del vuoto vera e propria) o forse qualcosa che gli assomigliava molto; oggi la costante cosmologica è ancora la spiegazione più semplice e accettabile ma molte ipotesi alternative, per esempio una modifica della gravità Einsteiniana, sono ancora possibili. L’incertezza è aumentata di pari passo con le spiegazioni sempre più esotiche. In cambio, il ventaglio di possibili nuovi esperimenti si è arricchito molto e ora l’accelerazione cosmica, oltre che con le supernovae, viene studiata con l’effetto delle lenti gravitazionali, con la distribuzione delle galassie a grandissima distanza, con il fondo cosmico a microonde, con le esplosioni di raggi gamma e altro ancora. Magari non troveremo l’energia oscura, però nel frattempo non perdiamo l’occasione di esplorare terre ed epoche ignote.

Tutto sommato, 10 anni si sono rivelati troppo pochi. Siamo passati da 42 a circa 500 supernovae valide per la cosmologia; da acceleratori di 200 Gev (LEP) o 1 Tev (Tevatron) ai 7 Tev del LHC; da una area utile di fondo cosmico di circa 2000 gradi quadrati del pallone aerostatico Boomerang ai circa 30 000 dei satelliti WMAP e Planck. Incrementi significativi ma non stratosferici se confrontati con altre tecnologie: il mio attuale laptop è almeno 100 volte più potente del mio vecchio IBM Thinkpad (e costa di meno). Forse la fase due della cosmologia, quella delle mani sporche di fango e dei capricciosi ma fondamentali dettagli, potrà essere posposta un po’, diciamo di altri 10 o 20 anni: il tempo che i nuovi esperimenti come il satellite Euclid dell’ESA o il megatelescopio EELT dell’ESO siano realizzati, aumentando di mille volte il volume di spazio osservabile. Nessuno si aspetta che i cosmologi potranno allora dire “missione compiuta!”, anche perché porta male, ma forse gli imbarazzanti enigmi della materia e dell’energia oscura saranno finalmente comprensibili. Sistemati finalmente fondali e palcoscenico, potremo dedicare tutte le energie ai tanti importanti attori del teatro cosmico e scoprire nuove terre e nuovi cieli.

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Massimo Auci

MASSIMO AUCI è nato a Roma il 24 febbraio 1955. Si è laureato in Fisica Cosmica all'Università di Torino, dove ha lavorato presso il Dipartimento di Fisica Generale fino al 1995 svolgendo didattica e ricerca in astrofisica sperimentale ed elettrodinamica. Docente di Fisica e Matematica presso la Scuola Internazionale Europea di Torino, è autore di numerosi articoli scientifici, libri e saggi. Vicepresidente di Odisseo Space, società che opera nel settore della ricerca e della formazione in campo aerospaziale, collabora come Science Editor con il portale di comunicazione e divulgazione scientifica “Gravità Zero” www.gravita-zero.org di cui è tra i fondatori.

Lord Martin Rees non è certo nuovo alle esternazioni a effetto. Solitamente, per riuscire a mescolare scienza, filosofia e fantasia senza essere presi per matti o visionari occorre avere una certa dose di abilità e Martin Rees non ha certo fama né di matto né di visionario. La passione e l’entusiasmo da lui mostrati nella divulgazione dei grandi misteri dell’universo, coniugati al rigore, alla lungimiranza e al coraggio delle idee, hanno al di là delle personali convinzioni o delle specifiche tematiche trattate, sempre trasmesso fiducia nella scienza e sicurezza nelle sue convinzioni. Forse solo fortuna? Forse in parte ma non solo, tant’è che nonostante la moltitudine di affermazioni sensazionali fatte in questi anni, Martin Rees continua a essere sempre molto apprezzato sia dal mondo accademico della cosmologia più conservatrice, sia da coloro che hanno una visione più aperta e speculativa del nostro universo.

Comunque, come dar torto al suo ma anche al nostro entusiasmo, quando negli anni Novanta dopo i successi di COBE, reduci da faticose osservazioni fotografiche riprese da telescopi terrestri e da rudimentali elaborazioni digitali, ci trovammo per la prima volta davanti alle prime immagini di spettacolari e remoti angoli di universo riprese dallo Hubble Space Telescope (HST)? Martin Rees, da profondo conoscitore dei metodi di indagine cosmologica e astronomica qual è ha saputo vedere oltre, riuscendo a dare al metodo di indagine satellitare la giusta potenzialità. Lanciare una scommessa? Tutto nello stile di Martin, una sfida con sé stesso ma soprattutto un pungolo per la ricerca cosmologica, nulla di particolare per chi come lui ha profonda fiducia nella scienza ma soprattutto nell’uomo.

Scommessa vinta? Forse no ma se consideriamo che l’HST ha in questi ultimi dieci anni contribuito a svelare molti misteri e mai prima d’ora la potenza degli strumenti di indagine teorica, ottica e satellitare di cui disponiamo ci ha fatto sperare in una rapida soluzione della restante parte; che a oggi sono stati elaborati modelli e sviluppate tecniche di simulazione al computer in grado di verificare i meccanismi di formazione ed evoluzione delle galassie; che sono stati scoperti e studiati centinaia di sistemi planetari extrasolari; che è stata evidenziata la presenza di materia oscura anche se non se ne conosce ancora la natura; anche se a rigore la scommessa non è stata completamente vinta molto poco ci manca. Infatti le osservazioni effettuate dal duemila a oggi sull’anisotropia del fondo cosmico a microonde, prima dal satellite WMAP, poi dal pallone stratosferico BOOMERANG, potranno entro quest’anno o poco oltre essere confermate o smentite dai risultati della sonda Planck al suo primo anno di osservazione. Se confermate, il rapporto W = 1 individuerà per il nostro universo un modello euclideo con curvatura nulla, originato da una inflazione avvenuta nelle fasi primordiali successive al Big Bang, se smentite tutto verrà nuovamente rimesso in discussione e nulla forse per un po’ si potrà più dire.

Quindi, se ad oggi il 2010 non è ancora stato un annus mirabilis per la soluzione dei misteri dell’universo, grazie ai prossimi risultati della sonda Planck e del Large Hadron Collider potrebbe ancora diventarlo e Martin Rees vincere a pieno titolo la sua scommessa. Comunque manca veramente poco affinché il 2010 o i prossimi anni a venire diventino una frontiera nella storia della cosmologia, anche se sono convinto che alla conoscenza ci si possa accostare solo asintoticamente.

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Alberto Cappi

ALBERTO CAPPI è astronomo presso l’Osservatorio Astronomico di Bologna (INAF) e chercheur associé presso l’Observatoire de la Côte d’Azur. Le tematiche della sua ricerca riguardano la cosmologia osservativa, la struttura a grande scala dell’universo e gli ammassi di galassie. Si interessa anche della storia della scienza Greca e della storia della cosmologia. www.bo.astro.it/~cappi/index. html

È sempre rischioso cercare di prevedere il futuro, a maggior ragione quello della cosmologia…

In particolare, fare ricerca significa esplorare ciò che non conosciamo, dunque non è possibile sapere a priori se, come e quando un filone di ricerca ci fornirà determinate risposte.

Sir Martin Rees ha comunque scommesso su tre punti:

a) il valore di Omega. Questo valore, vicino all’unità, era già noto nel 2000, quando Rees ha scritto il suo libro: senz’altro le misure successive lo hanno confermato e reso più preciso. La predizione era dunque corretta, ma estrapolata a partire da misure già esistenti e considerate credibili.

b) Le proprietà dell’energia oscura. La predizione era un po’ vaga: suppongo che Rees intendesse dire che avremmo determinato l’equazione di stato dell’energia oscura. In effetti la conosciamo meglio e le misure attuali rimangono in accordo con quello che ci si aspetta dalla costante cosmologica, ma anche con diverse altre possibilità.

c) La natura della materia oscura. Qui Rees è stato ottimista: non sappiamo ancora che cosa sia. Forse Rees all’epoca confidava anche nei risultati dell’LHC di Ginevra, che ha avuto però notevoli ritardi.

In conclusione direi che, pur considerando gli importanti progressi compiuti, Rees non ha vinto la scommessa. Sarà interessante ritornare sull’argomento nel 2020…

Però negli ultimi 10 anni la cosmologia ha effettivamente seguito le tendenze generali predette da Rees (tendenze che erano comunque già evidenti nel 2000). Il decennio trascorso ha effettivamente visto lo sviluppo di nuovi strumenti di osservazione a terra e su satellite, l’automatizzazione del processo di analisi dei dati e la loro disponibilità in rete attraverso grandi database e veri e propri osservatori virtuali, la capacità di calcolo sempre crescente per simulazioni sempre più complesse e raffinate. Invece quelli che Rees ha definito “giocatori di scacchi” stanno continuando la loro partita.

E sarà molto lunga.

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Elena Dalla Bontà

Elena Dalla Bontà svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Astronomia dell'Università degli Studi di Padova, dove si è laureata in Astronomia e ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca. Si occupa di evoluzione e dinamica delle galassie. Nel 2007 le è stato conferito il Premio Pietro Tacchini per la Tesi di Dottorato “Supermassive Black Holes and their Host Galaxies”. Ha soggiornato negli Stati Uniti e in Canada, compiendo ricerche presso la Rutgers University e l'Herzberg Institute of Astrophysics. Collabora inoltre con la University of Oxford in Gran Bretagna.

La scommessa di Rees, fatta nel 2000, sui problemi di cosmologia che si sarebbero risolti entro l’anno 2010 è stata vinta pressoché in tutti i punti da lui indicati. Sono stati fatti grandi progressi in questo decennio, nel determinare le componenti dell’Universo, ossia materia barionica per il 4%, materia oscura per il 23% ed energia oscura per il 73%. Tuttavia resta ancora sconosciuta la natura della materia oscura, anche se la recente impresa spaziale della NASA, il telescopio Fermi lanciato nel 2008, potrebbe darci qualche indicazione, mediante lo studio dei raggi gamma. Ancora più misteriosa appare la componente dell’energia oscura. Le osservazioni hanno comunque pienamente confermato quanto si intravedeva alla fine del secolo scorso, e cioè che l’universo è piatto ed è in espansione accelerata, l’accelerazione essendo causata dall’energia oscura.

Martin Rees fa sua la distinzione del teorico canadese Werner Israel fra cosmologia fondamentale e cosmologia ambientale. La prima riguarda quei pochi eletti che come “giocatori di scacchi” trattano le proprietà dell’universo nel suo complesso, la seconda, assimilata alla lotta libera nel fango, chi (me inclusa!) contribuisce a determinare con la “forza bruta” delle osservazioni astronomiche le proprietà ambientali dell’universo.

C’è stato un grande sviluppo delle osservazioni sia da terra che dallo spazio, testimoniato da un grande fiorire di telescopi e nuova strumentazione. Lo scorso anno è stato inaugurato ad esempio il Gran Telescopio Canarias, con lo specchio principale di 10,4 m di diametro, ubicato nell’isola di La Palma, nell’arcipelago delle Canarie, che va ad aggiungersi alla ricca serie di telescopi da terra della classe dei dieci metri. Sempre nel 2009 sono stati lanciati i telescopi spaziali dell’ESA, Herschel per le osservazioni nell’infrarosso e Planck, destinato a studiare il fondo cosmico di microonde. È stata inoltre effettuata con successo la quinta operazione di manutenzione sul telescopio Hubble, frutto di una collaborazione tra l’ESA e la NASA, durante la quale sette astronauti hanno riparato dei guasti e installato nuovi strumenti, lasciando un telescopio più potente e tecnologicamente più avanzato che continua a fornire sorprendenti risultati grazie ad osservazioni dall’ultravioletto al vicino infrarosso.

Già nei primi anni del decennio considerato è stata prodotta una delle più ambiziose simulazioni dell’universo, chiamata Millennium Run, con il più grande volume virtuale che sia mai stato realizzato. È stato simulato il modo in cui la materia si è ammassata all’interno di un cubo di oltre 2 miliardi di anni luce di lato.

Uno dei più fecondi campi di indagine della moderna astrofisica è quello della ricerca di pianeti extrasolari, di cui ne sono già stati individuati oltre 200 e proprio in questi ultimi anni c’è stata la scoperta di qualche pianeta dalle dimensioni di poco superiori a quella della Terra.

Lo studio di buchi neri supermassicci nelle galassie ha permesso di rilevare oggetti con masse fino a qualche miliardo di masse solari, mentre non è ancora chiaro quale sia il limite inferiore. Osservazioni recenti indicano che nella formazione della galassia si genera un oggetto centrale massiccio sotto forma di un buco nero o di un ammasso compatto di stelle. Nelle galassie più massicce, con masse maggiori di 10 miliardi di masse solari, i buchi neri sembrano essere la forma più probabile in cui si manifesta l’oggetto centrale supermassiccio.

La gran mole di dati astronomici che vengono via via raccolti ha permesso di costruire una banca dati enorme in tutte le lunghezze d’onda, che può essere consultata a tavolino da una notevole quantità di astronomi, la cui comunità è diventata sempre più numerosa e distribuita sulla superficie del pianeta, nel senso che anche paesi privi di grosse strumentazioni possono lo stesso avere accesso ai dati più recenti.

Per quanto riguarda la cosmologia come scienza fondamentale, ben dice Martin Rees quando afferma che “i giocatori di scacchi” (in contrapposizione ai “lottatori nel fango”) saranno ancora alla ricerca di una spiegazione profonda dell’inizio che probabilmente mai si raggiungerà.

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L’inchiesta completa è stata pubblicata su Coelum 142 – Ottobre 2010

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Diretta AstronautiCAST del ritorno sulla Terra di Samantha Cristoforetti

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Copertina della diretta AstronautiCAST del ritorno di Futura. Credit: Riccardo Rossi

Copertina della diretta AstronautiCAST del ritorno di Futura. Credit: Riccardo Rossi

Il podcast AstronautiCAST condurrà una diretta speciale del ritorno sulla Terra di Samantha Cristoforetti dalla missione Futura. La diretta videostreaming, che inizierà l’11 giugno 2015 dalle ore 14:15, sarà visibile sul sito live.astronauticast.com.

Tutti i dettagli per seguire lo speciale e fare domande verranno forniti sul sito di AstronautiCAST.

I conduttori di AstronautiCAST commenteranno in italiano le immagini di NASA TV, racconteranno curiosità e risponderanno alle domande del pubblico. La diretta seguirà le fasi principali fino all’atterraggio della capsula Soyuz. Collaboreranno a questo evento speciale il giornale digitale Linkiesta.it, il podcast scientifico Scientificast e la rivista Coelum Astronomia che diffonderanno la diretta e raccoglieranno le domande del loro pubblico.

La capsula Soyuz TMA-15M con a bordo Samantha lascerà la ISS e rientrerà nell’atmosfera atterrando nelle steppe del Kazakistan, dove la attenderanno le squadre di recupero. Insieme a Samantha fanno parte dell’equipaggio il comandante della della Soyuz, il cosmonauta russo Anton Shkaplerov di Roscosmos, e l’astronauta Terry Virts della NASA.

Il rientro concluderà la missione Futura di Samantha nell’ambito della Expedition 42/43. In questa missione ricca di emozioni l’astronauta ha trascorso quasi sette mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale conducendo un intenso programma di ricerca scientifica, attività di gestione della stazione spaziale, e iniziative di comunicazione pubblica.

AstronautiCAST, un’iniziativa dell’Associazione ISAA, è il primo podcast italiano sull’astronautica e lo spazio. Attivo dal 2007, gli episodi settimanali informano sulle novità del settore, parlano di tecnologie e missioni spaziali, raccontano la storia dell’esplorazione spaziale e ospitano esperti per approfondimenti. Il podcast ha intervistato astronauti, responsabili di missione, direttori di volo, funzionari di agenzie spaziali, tecnici, e altri esperti. Nel 2011 AstronautiCAST ha vinto l’European Podcast Award nella categoria Best non profit Podcast in Italy.

Copyright immagine: Riccardo Rossi

Segui la discussione su ForumAstronautico.it

http://www.forumastronautico.it/index.php?topic=23489.0

Associazione Astronomica Mirasole

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13.06: “La Terra. L’importanza degli impatti
cosmici per la sua nascita ed evoluzione, il caso
Tunguska 1908” a cura di Luca Gasperini.
ufficio.stampa@astromirasole.it
www.astromirasole.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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12.06: “Verso il solstizio” proiezione a cura di Maria
Edvige Ravasio.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Venere in congiunzione con l’ammasso aperto del Presepe

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La sera del 13 giugno, intorno alle 22, Venere raggiungerà nel Cancro la parte settentrionale del noto ammasso aperto “del Presepe”, altrimenti conosciuto con la sigla M44. Per geometrie legate alla suo essere pianeta interno, e quindi con un’elongazione dal Sole limitata, le congiunzioni più strette di Venere con l’ammasso (considerando distanze angolari inferiori a un grado) possono avvenire solo nei mesi di giugno, luglio e agosto. Le uniche osservabili sono però quelle che avvengono in giugno (a intervalli di 3 e 5 anni) poco dopo il crepuscolo serale; in luglio e agosto, infatti, l’elongazione dell’ammasso dal Sole è troppo ridotta.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di giugno

Pio & Bubble Boy – Coelum n.193 – 2015

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Pio e Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 193
Pio e Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 193

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.193 – 2015. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

Getti notturni sulla cometa di Rosetta

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Quest’immagine della cometa di Rosetta è stata raccolta il 25 aprile 2015 da una distanza di circa 93 km e presenta getti di polvere chiaramente distinguibili lungo zone dove il Sole era già tramontato. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Quest’immagine della cometa di Rosetta è stata raccolta il 25 aprile 2015 da una distanza di circa 93 km e presenta getti di polvere chiaramente distinguibili lungo zone dove il Sole era già tramontato. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Quando scende la notte sulla cometa di Rosetta, la 67P/Churyumov-Gerasimenko, il suo corpo dalle forme bizzarre rimane molto attivo. Questo è ciò che si osserva nelle recenti immagini della regione denominata Ma’at, situata sulla “testa” della cometa, catturate dallo strumento OSIRIS, il sistema di imaging a bordo della sonda spaziale Rosetta a cui ha contribuito significativamente l’Università di Padova con il CISAS. Tali immagini sono state raccolte mezz’ora dopo il tramonto del Sole sulla regione e mostrano getti di polvere che si disperdono nello spazio. I ricercatori del team di OSIRIS ritengono che alla base di questo fenomeno ci sia il riscaldamento progressivo della cometa.

«Solo di recente abbiamo abbiamo iniziato ad osservare i getti di polvere che persistono anche dopo il tramonto», dice il Principal Investigator di OSIRIS Holger Sierks del Max Planck Institute for Solar System Research (MPS) in Germania. Negli ultimi mesi l’attività della cometa si collocava nelle aree illuminate dal Sole. Subito dopo il tramonto questi getti si abbassavano e non si risvegliavano se non alla successiva alba. Un’eccezione è rappresentata dall’immagine dal 12 marzo 2015 che mostra l’inizio di un getto di polvere proveniente da una zona vicina a quella in cui inizia l’alba.

Secondo gli scienziati del team OSIRIS, la presenza di getti anche dopo il tramonto è un nuovo segno dell’attività crescente della cometa. «Attualmente 67P si sta avvicinando al perielio, che è previsto per metà agosto», ha dichiarato Sierks. Nel momento in cui l’immagine è stata scattata la cometa e il Sole si trovavano ad appena 270 milioni di chilometri di distanza. «L’irraggiamento solare sta diventando sempre più intenso, e quindi la superficie illuminata sta aumentando la propria temperatura», ha aggiunto Sierks.

Dettaglio dei getti di polvere notturni su 67P. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Le prime analisi suggeriscono che la cometa potrebbe immagazzinare questo calore per un po’ di tempo nei suoi strati superficiali. «Mentre la polvere che copre la superficie della cometa si raffredda rapidamente dopo il tramonto, gli strati più profondi mantengono il calore per un periodo di tempo più lungo», afferma Xian Shi, scienziato del team OSIRIS presso il MPS, che ha esaminato i getti sulla superficie della cometa. Gli scienziati sospettano che in questi strati vi sia la scorta di gas congelati che alimenta l’attività della cometa.

Anche missioni cometarie del passato, come Stardust sulla cometa 81P/Wild 2 e Deep Impact sulla cometa 9P/Tempel 1, avevano osservato la presenza di getti lungo la superficie notturna. «Ma solo grazie alle immagini ad alta risoluzione di OSIRIS possiamo studiare questo fenomeno nel dettaglio», ha concluso Sierks.

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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12.06: APPROFONDIMENTO CORSO BASE: “I
corpi transnettuniani e la sonda New Horizons in
dirittura d’arrivo per Plutone” di Luigi Pizzimenti.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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12.06: “Verso il solstizio” proiezione a cura di Maria
Edvige Ravasio.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Società Astronomica Fiorentina

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12.06: “Serata Evento dedicata a Venere”.
Per info: cell. 377.1273573 – presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Al Planetario di Ravenna

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09.06: “Viaggio nel tempo: le costellazioni fra
passato e futuro” di Claudio Balella.
Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Società Astronomica Fiorentina

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09.06: “Esopianeti e la vita al di là del nostro
sistema solare” di Lorenzo Betti.
Per info: cell. 377.1273573 – presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Al Planetario di Ravenna

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09.06: “Viaggio nel tempo: le costellazioni fra passato e futuro” di Claudio Balella.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Astrofili Bassano del Grappa

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07.06, ore 17:00: “Le fotometeore” di Stefano
Ottani (A.A.Euganei).
Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
www.astrofilibassano.it
Per info sulla Specola: tel. 0423.934111
ufficio@centrodonchiavacci.it
www.specolachiavacci.it

Associazione Cascinese Astrofili

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07.06, ore 9:30: Osservazione pubblica del Sole
alla “Festa dei trapianti”. Saremo all’interno della
manifestazione organizzata dall’Associazione
“Per Donare la vita”, presso: Ippodromo di San
Rossore (PI).
Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Associazione Astrofili Bassano del Grappa

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07.06, ore 17:00: “Le fotometeore” di Stefano Ottani (A.A.Euganei).

Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
www.astrofilibassano.it
Per info sulla Specola: tel. 0423.934111
ufficio@centrodonchiavacci.it
www.specolachiavacci.it

Gruppo Astrofili Lariani

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06.06: Osservazione dedicata a Giove, Venere e
Saturno.
Per informazioni: Tel 347.6301088
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

Al Planetario di Ravenna

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05/06.06: Festival delle culture Osservazione
della volta stellata (Darsena di città – Almagià.
Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Al Planetario di Ravenna

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07.06: Round Table 11, Club 41. I Bambini in
festa, manifestazione di beneficenza a favore di
A.G.E.O.P.
Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Gruppo Astrofili Lariani

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OSSERVATORIO MONTE CALBIGA 2015
06.06, ore 21:00: Prima serata della stagione 2015 all’Osservatorio, dedicata a Giove, Venere e Saturno. Inizio alle ore 21,00.

Per informazioni: Tel 347.6301088
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

Al Planetario di Ravenna

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07.06: ore 15:00: “Round Table 11, Club 41. I Bambini in festa” manifestazione di beneficenza a favore di A.G.E.O.P.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Nel Cielo – Dal Dragone Al Serpente: in cerca di quello che viene

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Il Serpente è l’unica delle moderne costellazioni a essere divisa in due parti, e il motivo è presto detto. Quando nel 1930 l’Unione Astronomica Internazionale decise di stabilire in modo finalmente rigoroso i confini di quelle nazioni celesti, si trovò a fare i conti con due figure mitologiche – il “serpentario” o ofiuco (ovvero l’ammaestratore o catturatore di serpenti) e il grosso serpente che stringe tra le mani – fortemente legate e sovrapposte.
Si convenne allora che l’unica soluzione sarebbe stata quella di dividere in due parti la costellazione che raffigurava l’animale, lasciando la Testa (Serpens Caput) a ovest e la Coda (Serpens Cauda) a est del torso dell’Ofiuco; tanto che per osservare gli oggetti proposti questo mese dovremo per l’appunto saltare da una parte all’altra della possente figura del serpentario, spostandoci anche di 45° da est a ovest.

Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici, le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 54 di Coelum n. 193

Associazione Romana Astrofili

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06.06L’evento, la cui partecipazione è gratuita, avrà luogo presso l’Osservatorio “Virginio Cesarini“ di Frasso Sabino (RI) con inizio alle ore 10:00.

A causa del limitato numero di posti disponibili è richiesta la prenotazione chiamando questo numero 339.7900809 (Fabio Anzellini),
oppure scrivendo tramite questo modulo: http://ara.roma.it/contacts/segretario

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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05.06: “Conservare il futuro: dalla Terra allo spazio
e ritorno” conferenza di Stefano Sandrelli ed Elisa
Nicheli (ASI). Presso la sede della Canottieri Lecco,
nell’ambito del festival «H-drà», in collaborazione
con l’associazione Frasi Lunari.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Stazione Spaziale, i più spettacolari transiti del periodo

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Come già anticipato, il mese di giugno coincide con il periodo di massima illuminazione della ISS che sarà rintracciabile nei nostri cieli a orari tardo
pomeridiani o serali, quindi senza l’obbligo della sveglia al mattino prima dell’alba, eccetto che per per un paio di casi. Sei i transiti notevoli – tutti concentrati nella prima e seconda decade del mese – ovvero quelli con magnitudini elevate e che interesseranno la maggior parte della nazione.

Si inizia il 3 giugno quando la Stazione Spaziale “taglierà in due” le isole maggiori, rimanendo comunque avvistabile da tutto il paese. L’orario è dalle 04:01 alle 04:11, guardando da ONO a SE. La magnitudine sarà di –3,3, decisamente elevata.

Al Planetario di Ravenna

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05.06: Speciale festival delle culture. Osservazione della volta stellata (Darsena di città –
Almagià, ingresso libero).

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Il Cielo di Giugno-Luglio

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EFFEMERIDI

Durante il mese di giugno, l’inizio della notte astronomica (l’intervallo di tempo in cui il Sole resta sotto l’orizzonte di almeno –18°) si farà attendere fin quasi alle 23:00, ora in cui il cielo apparirà attraversato nel basso meridiano dal Sagittario e dalla caratteristica sagoma dello Scorpione.

Più in alto, sempre a sud, si passerà dall’Ofiuco all’Ercole, con quest’ultimo situato quasi allo zenit. Il Leone si starà invece avviando al tramonto, mentre verso est comincerà ad alzarsi il “Triangolo estivo” formato da Vega, Deneb e Altair (le stelle più brillanti di Lira, Cigno e Aquila), insieme ai ricchissimi campi stellari che compongono la Via Lattea.

Sull’orizzonte nordest farà capolino la Galassia di Andromeda (M31), che raggiungerà una buona altezza sull’orizzonte già prima dell’alba, precedendo il sorgere delle Pleiadi.
Per ciò che riguarda i pianeti, gli unici osservabili a quell’ora saranno Saturno, nella Libra, da poco transitato al meridiano, e Marte nella Vergine, basso verso ovest-sudovest.

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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05.06: “Conservare il futuro: dalla Terra allo spazio
e ritorno” conferenza di Stefano Sandrelli ed
Elisa Nicheli (ASI). Presso la sede della Canottieri
Lecco, nell’ambito del festival «H-drà», in collaborazione
con l’associazione Frasi Lunari.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Venere in congiunzione con l’ammasso aperto del Presepe (M44)

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La sera del 13 giugno, sempre intorno alle 22, Venere raggiungerà nel Cancro la parte settentrionale del noto ammasso aperto “del Presepe”, altrimenti conosciuto con la sigla M44.

Per geometrie legate alla suo essere pianeta interno, e quindi con un’elongazione dal Sole limitata, le congiunzioni più strette di Venere con l’ammasso (considerando distanze angolari minori di un grado) possono avvenire solo nei mesi di giugno, luglio e agosto.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di maggio

Nuove immagini dalla New Horizons. La complessa morfologia di Plutone

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Due immagini di Plutone a confronto, prese con la Long Range Reconnaissance Imager (LORRI) a bordo della New Horizons. La prima del 12 aprile e la seconda dell'8 maggio. Nel mese tra le due riprese la distanza da Plutone è passata da 110 milioni di chilometri a 77 milioni di chilometri. Credit: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute

Man mano che la New Horizons si avvicina a Plutone, il pianeta si fa ovviamente più grande e più dettagliate le immagini che la potente macchina telescopica a bordo della sonda ci invia (il Reconnaissance Imager a lungo raggio – LORRI). Le nuove immagini sono state scattate tra l’8 e il 12 maggio, da una distanza di poco meno di 77 milioni di chilometri di distanza,  e rivelano dettagli di una morfologia estremamente complessa della superficie di Plutone con zone ad alto contrasto tra loro.

Le precedenti immagini erano state riprese circa un mese prima, 32 milioni di chilometri più distante, il che ci consente di avere ora una risoluzione quasi del doppio più definita e, grazie ad una tecnica di elaborazione delle immagini chiamata deconvoluzione, con la possibilità di migliorarne digitalmente i dettagli con maggiore precisione (in ogni caso, vista comunque la possibilità di introdurre artefatti elaborando le immagini, ogni dettaglio rivelato andrà poi confermato nelle prossime settimane, con le immagini riprese a distanza ravvicinata).

Ad aprile Plutone aveva già mostrato ampie zone superficiali ad alto contrasto e, tra quelle più brillanti, in particolare una zona luminosa al polo, che potrebbe indicare la presenza di una calotta polare, risultata ancora più evidente nelle nuove immagini.

Questa seconda immagine mostra una diversa faccia di Plutone ripreso il 10 maggio a confronto con l'immagine del mese precedente. Plutone compie una rotazione completa attorno al suo asse ogni 6,4 giorni terrestri, le tre immagini rilasciate ci mostrano quindi tre diferenti emisferi del pianeta nell'arco di circa una sua rotazione completa.

Alan Stern, Principal Investigator della missione: «Queste nuove immagini ci mostrano un Plutone con differenti aspetti a seconda della faccia che ci mostra, il che indica una morfologia estremamente complessa o addirittura una diversa composizione geologica delle superfici del pianeta da un luogo all’altro.

«Le immagini sembrano per ora confermare la presenza di una calotta polare, che mostra però un’estensione diversa a longitudini diverse, ma saremo in grado di avere maggiori conferme della quantità di ghiaccio presente quando cominceremo ad avere i primi dati della spettroscopia di quella regione nel mese di luglio».

Ed ecco l'ultima immagine scattata il 12 maggio, sempre a confronto con quella di aprile. Le immagini che vediamo (cliccare per averle a piena risoluzione) vengono mostrate quattro volte più grandi rispetto alle dimensioni native della LORRI. Questo perché grazie alla tecnica della deconvoluzione, è possibile migliorare i dettagli per mettere in evidenza le caratteristiche di Plutone (dettagli che andranno confermati dalle immagini delle prossime settimane, per il rischio comunque di introdurre artefatti durante l'elaborazione).

Nelle prossime settimane, con l’avvicinarsi del 14 luglio, data in cui la navicella sorvolerà Plutone, le immagini miglioreranno sempre più velocemente, assieme alla velocità della sonda, in accelerazione per l’attrazione gravitazionale del pianeta: «entro la fine di giugno, la risoluzione delle immagini sarà quattro volte migliore rispetto a quelle realizzate l’8-12 maggio, e per il momento di massimo avvicinamento ci aspettiamo di ottenere immagini con più di 5.000 volte la risoluzione corrente» ha dichiarato Hal Weaver, project scientist della missione presso la Johns Hopkins University (Maryland).

Quindi cosa riusciremo a vedere? Un pianeta estremamente irregolare, con enormi montagne e canyon o vulcani estinti? Per il momento siamo ancora troppo distanti, ma non è difficile immaginare che magnifico spettacolo attende la New Horizons pronta a fotografare Plutone e il suo sistema di lune nel mese di luglio! E noi con lei…

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KEPLER-432. Una curiosa famiglia di esopianeti giganti

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Immagini NIRC2 AO di Kepler-432, una gigante rossa, a 1260 micrometri e 2165 micrometri, rispettivamente, in cui si nota a nord-est una debole compagna, Kepler-432B, una stella nana di tipo spettrale M. Credit: Samuel N. Quinn et al. 2015

Gli astronomi hanno scoperto due nuovi esopianeti giganti nel sistema stellare Kepler-432, una gigante rossa di circa 1,35 masse solari e una età di 3,5 miliardi di anni. Kepler-432b ha una massa pari a 5,4 volte quella di Giove e orbita ogni 52,5 giorni (il terzo esempio noto di un corpo celeste gigante che orbita molto vicino a una stella evoluta) mentre Kepler-432c ha una massa pari a 2,4 volte quella di Giove e trovandosi molto più lontano dalla stella il suo periodo di rivoluzione è di 406 giorni. I risultati di questo studio, pubblicati su Astrophysical Journal, evidenziano l’esistenza di una notevole gamma di proprietà che caratterizza gli esopianeti e possibilmente di diversi meccanismi di formazione.

Al momento, esiste una lista di 565 esopianeti attualmente classificati come gioviani o di taglia più grossa di cui circa un terzo del totale rappresentano una popolazione di esopianeti massicci. Circa un quarto di questa popolazione di gioviani orbita molto vicino alla sua stella, con un periodo inferiore a 10 giorni, ed essendo soggetti all’intensa radiazione stellare spesso questi corpi celesti vengono chiamati gioviani-caldi. Nonostante la grande varietà che esiste all’interno della famiglia di questi esopianeti giganti, solo due di loro orbitano attorno a stelle più vecchie ed evolute. Tuttavia, come e perchè esistano così tanti corpi celesti di grossa taglia vicini alle loro stelle ospiti rimane ancora un mistero: forse, nel corso del tempo essi migrano verso le regioni più interne dei rispettivi sistemi planetari ma c’è anche chi sostiene che essi si originano molto vicini alla loro stella.

I ricercatori hanno trovato che il pianeta che si trova più vicino alla stella, Kepler-432b, presenta delle stranezze, almeno sotto tre aspetti. Prima di tutto, non sembra estremamente caldo, a differenza dei corpi celesti che appartengono alla categoria dei gioviani-caldi. Inoltre, la sua orbita è molto eccentrica, il che implica che la sua distanza dalla stella ospite varia in maniera significativa durante una rivoluzione, un fatto che suggerisce che il pianeta abbia migrato molto probabilmente verso questa posizione nel corso del tempo. Infine, il suo asse di rotazione è quasi allineato con quello della stella, un’altra proprietà decisamente curiosa perché di solito non si trova in quei casi in cui i pianeti si sono spostati verso le regioni più interne del loro sistema planetario. Ad ogni modo, secondo i ricercatori Kepler-432b potrebbe rappresentare un caso raro oppure potrebbe far parte di una comune classe di esopianeti che vengono di solito distrutti man mano che le loro stelle ospiti evolvono. In questo caso, però, nonostante l’oggetto sia sopravvissuto fino ad ora, esso ha certamente i giorni contati e forse la sua fine arriverà tra qualche centinaia di milioni di anni.

In generale, le stelle in fase avanzata della loro evoluzione, che ospitano pianeti giganti ad una distanza molto ravvicinata, forniscono preziosi indizi sulla natura di questi particolari corpi celesti: infatti, man mano che evolvono, le stelle si raffreddano e diventano sempre più grandi, il che potrebbe distruggere, se non addirittura “assorbire”, qualsiasi pianeta che si trova nel loro raggio d’azione. Il passo successivo sarà ora quello di trovare altri esempi di questo tipo che permetteranno agli astronomi di affinare i loro modelli sulla formazione e l’evoluzione dei pianeti.


The Astrophysical Journal: Samuel N. Quinn et al. – KEPLER-432: A RED GIANT INTERACTING WITH ONE OF ITS TWO LONG-PERIOD GIANT PLANETS

arXiv: Kepler-432: a red giant interacting with one of its two long period giant planets

Secondo un pronunciamento dell’attuale Chief Scientist della NASA, nuovi strumenti e future missioni spaziali forniranno entro i prossimi vent’anni la prova dell’esistenza della vita; se non nel Sistema solare, sicuramente sui pianeti extrasolari.
È una sua personale opinione o un parere condiviso dall’intera comunità astronomica?
Nel dubbio, abbiamo chiesto di commentare la notizia ad alcuni dei massimi esperti di settore

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Associazione Astrofili Centesi

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29.05: “Viaggio nell’universo”. Al telescopio: la Luna gibbosa, il pianeta Saturno e i suoi satelliti.

Per info: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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29.05: “Sguardo nell’infinito” proiezione a cura di
Roberto Ratti.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Al Planetario di Ravenna

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30.05: ore 16:30: Speciale festival delle culture. “I cieli del mondo” di Paolo Morini (ingresso libero, attività adatta a bambini a partire da 10 anni).

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Crateri a perdita d’occhio su Rea, la luna ghiacciata di Saturno

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Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Continuano ad arrivare i dati inviati dalla sonda NASA/ESA/ASI Cassini relativi a Rea, il secondo satellite naturale di Saturno e il nono del Sistema solare, di cui abbiamo parlato su Media INAF già qualche mese fa. Di recente la sonda, lanciata nel 1997 (ed entrata in orbita attorno a Saturno il primo luglio 2004), ha fotografato l’orizzonte della luna Rea: dall’immagine qui sopra si nota in particolare il profilo leggermente irregolare e decisamente ammaccato, visti gli innumerevoli crateri sulla superficie dell’oggetto ghiacciato (1527 chilometri in larghezza). Il satellite naturale del sesto pianeta del Sistema solare, infatti, è stato scolpito da diverse collisioni, la cui storia è scritta proprio in questi crateri che non vengono disturbati da erosioni, vulcani o movimenti tellurici (come accadrebbe sulla Terra) proprio perché Rea è un oggetto relativamente “tranquillo”.

La regione illuminata che si vede nella foto è l’emisfero “finale” di Rea, vale a dire quello che si trova dalla parte opposta rispetto alla direzione dell’orbita. Questa luna di Saturno è prevalentemente composta da ghiaccio d’acqua, ed ha un emisfero brillante – ed è qui che c’è la maggior parte dei crateri (il cui diametro, in alcuni casi, può anche superare i 40 chilometri) – mentre l’altro è si mostra attraversato da una serie di strisce chiare su fondo scuro.

Qualche dettaglio sull’immagine: il Nord su Rea è in alto e ruotato di 12 gradi verso destra e l’immagine è stata scattata dalla narrow-angle camera (NAC) in luce visibile lo scorso 10 febbraio 2015 durante l’ultimo flyby da una distanza di circa 56mila chilometri. Da qualche mese, infatti, la sonda – dopo aver volato in prossimità dei poli di Saturno, con un’orbita molto inclinata –  è tornata ad orbitare attorno al piano equatoriale del pianeta e, dopo due anni, può di nuovo osservare e studiarne le lune.

Per saperne di più:

  • Visita il sito della missione della NASA/ESA/ASI Cassini-Huygens
  • Altre immagini dalla sonda Cassini QUI

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