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Al Planetario di Ravenna

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29.05:“La biblioteca di Babele… edizione ombrellone. Recensione di libri di astronomia e scienze” di Gianfranco Tigani Sava, Paolo Alfieri (sala conferenze, Ingresso libero).

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

CORSO BASE di ASTRONOMIA

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28.05: Breve storia dell’Universo”.

info: www.astropolaris.it

Congiunzione tra Venere e Gemelli

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Quasi a fine mese, la sera del 30, nel suo percorso lungo l’eclittica Venere incontrerà anche kappa Gem (mag. +3,6). In questo caso i limiti temporali della congiunzione sono ancora più stretti della precedente: Venere, infatti, si avvicina a questa stella soltanto ogni otto anni (intervallo dovuto al famoso ciclo sinodico per cui ogni 8 anni Venere vista dalla Terra assume quasi la stessa identica posizione rispetto alle stelle fisse, proiettandosi nella medesima zona di cielo) e sempre a fine maggio.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di maggio

Circolo Culturale Astrofili Trieste APERITIVO CON LE STELLE

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27.03: “Siti archeoastronomici veri e probabili” di Fulvio Mancinelli.

Al termine di ogni conferenza: breve introduzione alle costellazioni e al cielo del mese con l’ausilio di un piccolo planetario. Ingresso libero con consumazione obbligatoria. Info: aperitivoconlestelle@ libero.it (Laura Pulvirenti, coordinatrice evento). Per gli astrofili che volessero pernottare sono disponibili tariffe scontate, scrivere a:
nhtrieste@ nh-hotels.com
Per informazioni sul CCAT: cell. 329.2787572
ccat@libero.it
www.astrofilitrieste.it

Associazione Cascinese Astrofili

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25.05, ore 21:00: Serata di solidarietà per la lotta contro le malattie rare. Osservazione del cielo con i telescopi presso la Scuola Mazzini in via Gentileschi, 10 a Pisa. Ingresso libero (solo se il meteo lo permette).

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

EXOMARS continua l’esplorazione di Marte

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The ExoMars Trace Gas Orbiter, along with an Entry, Descent and Landing Demonstrator Module, form the first mission in the ExoMars programme. They are scheduled to arrive at Mars in 2016.


Maurizio Capuano e Richard Bessudo fanno il conto alla rovescia per il lancio di una delle più grandi missioni al mondo sul Pianeta Rosso. Fanno parte del team di ExoMars, un progetto congiunto di ESA e di Roscosmos che intende cercare segni di vita su Marte. La prima astronave è quasi pronta.

Maurizio Capuano, manager del programma ExoMars 2016 (ThalesAleniaSpace): “Questo è Exomars 2016 che l’anno prossimo arriverà sul pianeta rosso. La parte bassa si metterà in orbita marziana aprendo i suoi pannelli solari per prendere l’energia dal sole, la parte superiore è il cosiddetto lander che atterrerà direttamente sulla superficie marziana completamente autonomo”.

Un'interpretazione artistica dell'ExoMars Trace Gas Orbiter, in partenza nel 2016, con il lander Schiaparelli, a "forma di UFO", sganciato e in discesa verso la superficie del pianeta

ExoMars è composto da due missioni, che saranno lanciate rispettivamente nel 2016 e nel 2018. Al Thales Alenia Space nel sud della Francia, la navicella spaziale è sottoposta a un rigoroso programma di test, visto che le finestre di lancio non sono frequenti, come spiega Richard Bessudo, manager del programma ExoMars Trace Gas Orbiter. “Per andare su Marte occorre ottenere le condizioni favorevoli di congiunzione tra Terra e Marte. Tenuto conto delle orbite dei due pianeti, le congiunzioni favorevoli si riproducono soltanto ogni 26 mesi”.

Una volta su Marte, l’astronave si separerà in due parti. Il satellite resterà in orbita mentre il lander scenderà sulla superficie. Se avrà successo si tratterà del primo atterraggio controllato europeo su Marte.

Maurizio Capuano: “Ha una forma che ricorda le navicelle spaziali, gli ufo, se vogliamo interpretarla in questa maniera, perché la forma aerodinamica dell’oggetto è la migliore per permettere un ingresso controllato nell’atmosfera marziana.”

Le tre fasi della discesa del lander Schiaparelli da sinistra verso destra: entrata nell’atmosfera, discesa verso la superficie e atterraggio controllato che farà da test per la discesa del rover. Per questo motivo il lander è chiamato anche Entry Descent and Landing Demonstrator Module (EDM).

La missione del 2016 fornirà informazioni cruciali: inanzitutto in che modo il lander si posizionerà su Marte.
Inoltre la missione permetterà all’orbiter di annusare, come un naso gigante, l’atmosfera di Marte alla ricerca di metano, il gas che potrebbe essere un indizio della possibile presenza di vita. Poi nel 2018 sarà lanciata la missione del rover ExoMars.

Jorge Vago (team progetto ExoMars): “ExoMars 2018 apre un nuovo capitolo dell’esplorazione su Marte. Per la prima volta ci occuperemo della terza dimensione, ossia la profondità. È molto importante, perché sotto la superficie, in profondità, abbiamo maggiori opportunità di trovare le prove di un’eventuale presenza passata della vita su Marte”.

L’invio di un veicolo per scavare su Marte è una cosa complicata. La parte più delicata è riuscire ad atterrare in modo sicuro. Poi il rover di Exomars dovrà orientarsi con cautela, punterà ad atterrare a metà strada tra le colline e le basse pianure di Marte, dove si metterà alla ricerca di acqua al di sotto della superficie, scavando fino a due metri di profondità.

Pietro Baglioni (manager della missione del rover ExoMars): “La velocità della perforazione è piuttosto bassa, se la si paragona a quella che si usa per i lavori domestici. Si tratta soltanto di 50-60 watt, ossia la potenza di una lampadina. È in grado di fare un grande lavoro, di forare e ottenere campioni”.

Il rover della Nasa, Curiosity, ha confermato che Marte era abitabile. Ora toccherà a ExoMars cercare microbi allo stato fossile e tracce di molecole organiche.

Jorge Vago: “I microbi sarebbero troppo piccoli da individuare, la dimensione è compresa tra uno e pochi micron, per cui servirebbe un enorme microscopio per poterli osservare, cosa che non abbiamo nella nostra missione. Ma i microbi possono aver influenzato la forma delle rocce nel corso del tempo. L’altro tipo di firma biologica sono le molecole organiche. Dobbiamo immaginarle come mattoncini della Lego”.

Il rover di ExoMars potrebbe dunque individuare tracce della presenza di vita su Marte, nascoste sotto la superficie, lontano da radiazioni dannose. Riuscirà a trovarne? Lo abbiamo chiesto agli esperti di ExoMars.

Pietro Baglioni: “È una domanda da 100 milioni di dollari. Sono convinto che ci sia stata vita su Marte”.

Richard Bessudo: “Credo sia molto probabile che esista vita su Marte”.

Maurizio Capuano: “Personalmente penso che non ci sia la vita su Marte, ma questa è una mia personale opinione…”

Jorge Vago: “Penso sia possibile che ci siano tracce di vita sotto la superficie”.

La risposta potrebbe arrivare entro la fine di questo decennio.

Su questo argomento… non perdete la nuova inchiesta di Coelum sul n. 193 di giugno.

La Luna si avvicinerà a Giove fino a una distanza di 7,1 gradi

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La poca varietà di fenomeni celesti durante il mese di maggio consente di riassumerli quasi tutti in questa illustrazione. Sarà infatti Venere, di sera e sull’orizzonte ovest, a dar vita alle congiunzioni più interessanti: sia con le stelle della costellazione dei Gemelli, sia con la Luna e con Giove. Tutto ciò potrà essere seguito ad occhio nudo o al massimo con un binocolo, non appena il cielo si farà abbastanza scuro (presumibilmente verso le 22:00) da permettere l’osservazione delle stelle coinvolte.

La sera del 23, ora consigliata per l’osservazione le 22:00, un crescente di Luna appena più corposo avvicinerà Giove fino a una distanza di 7,1°, con Venere più a ovest nei pressi dell’orizzonte.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di maggio

Medusa, una vista che incanta

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La più dettagliata immagine mai ottenuta della nebulosa Medusa è stata ottenuta da un team di astronomi utilizzando il Telescopio VLT dell’ESO con lo strumento FORS. Crediti: ESO

La più dettagliata immagine mai ottenuta della nebulosa Medusa è stata ottenuta da un team di astronomi utilizzando il Telescopio VLT dell’ESO con lo strumento FORS. Crediti: ESO

I suoi nomi scientifici sono diversi: Sharpless 2-274, Abell 21 o PN A66 2, ma questa splendida nebulosa planetaria è meglio conosciuta con il nome da una temibile creatura della mitologia greca: Medusa, la Gorgone. Ed è facile capire il perché. La Medusa è una creatura mostruosa, con serpenti al posto dei capelli. In questa nebulosa, che si trova in direzione della costellazione dei Gemelli, a circa 1500 anni luce da noi, i serpenti sono rappresentati dai sinuosi e fitti filamenti di gas incandescente che la compongono. Questo gas è stato rilasciato dalla stella al centro della nebulosa, giunta alla fine del suo ciclo evolutivo. L’immagine raccolta da un gruppo di astronomi con il telescopio VLT dell’ESO, la più dettagliata mai realizzata di questo oggetto celeste, mette in evidenza l’emissione rossastra dell’idrogeno e la più debole emissione verde dall’ossigeno gassoso, che si estende ben al di là dei limiti di questa ripresa, formando una mezzaluna in cielo. L’espulsione di massa dalle stelle in questo stadio della loro evoluzione è spesso intermittente, e ciò può produrre strutture affascinanti all’interno delle nebulose planetarie.

Per decine di migliaia di anni i nuclei stellari delle nebulose planetarie restano circondati da queste spettacolari nubi colorate di gas . Per qualche altro migliaio di anni il gas si disperde lentamente nell’ambiente circostante. Questa è l’ultima fase di trasformazione di stelle come il Sole prima di terminare il loro ciclo evolutivo come nane bianche. L’accecante radiazione ultravioletta della stella caldissima al centro della nebulosa strappa gli elettroni agli atomi del gas che si muove verso l’esterno, lasciandosi dietro il gas ionizzato. I colori caratteristici di questo gas incandescente possono essere usati per identificare gli oggetti. In particolare, la presenza del bagliore verde dell’ossigeno doppiamente ionizzato ([OIII]) viene usata come mezzo per identificare le nebulose planetarie. Utilizzando i filtri adatti, gli astronomi possono isolare la radiazione del gas incandescente e far risaltare meglio le nebulose deboli su uno sfondo più scuro.

Per saperne di più:

  • Clicca QUI per leggere il comunicato stampa in italiano dell’ESO

Associazione Astronomica Mirasole

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23.05: “Il Sole. Una biografia della più grande fonte di energia dell’intero Sistema solare” a cura di Gianluca Ranzini.

ufficio.stampa@astromirasole.it
www.astromirasole.it

CielOstellato 2015

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24.05: Il 23 e 24 maggio vi aspettiamo presso Le Vallette di
Ostellato (FE) alla diciannovesima edizione di CielOstellato
lo Star-Party nazionale dedicato all’alta risoluzione. Le condizioni climatiche e topografiche del luogo (zona pianeggiante vicina a specchi d’acqua), favoriscono un buon seeing per numerose notti all’anno e la mancanza a livello nazionale di star-party dedicati all’osservazione di Luna, pianeti, Sole e stelle doppie, ci ha convinto a dedicare CielOstellato a questo genere di osservazioni. Anche quest’anno il tema delle conferenze comprenderà anche i racconti di viaggio alla ricerca dei cieli più incontaminati, a caccia dei fenomeni più spettacolari nei contesti più straordinari e suggestivi del pianeta

info: COOP. CAMELOT
-Massimiliano Di Giuseppe
Tel. 338/5264372
-Ferruccio Zanotti
Tel. 338/4772550
esploriamoluniverso@gmail.com

Nuova generazione di sistemi di misura laser sulla Luna

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Il Lunar Laser Ranging Experiment (LLRE) di Apollo 11. Credit: NASA

Il Lunar Laser Ranging Experiment (LLRE) portato sulla Luna dalla missione Apollo 11. Credit: NASA

L’accordo “MoonLIGHT” prevede che gli strumenti vengano portati nelle prime quattro missioni di Moon Express e usati insieme ai retroriflettori dell’Apollo Cube Corner (CCR) per verificare i principi della teoria della relatività generale di Einstein, per accrescere il bagaglio di conoscenze scientifiche sulla Luna, ed incrementare la precisione della mappatura lunare a supporto delle future missioni di allunaggio dell’azienda americana.

Il retroriflettore di 2a generazione sviluppato dai LNF e Università del Maryland (sinistra) a confronto con un reflettore di 1a generazione (destra) usato durante le missioni Apollo. Credit: INFN-LNF

L’annuncio è stato dato venerdì 15 maggio a Frascati dopo l’European Lunar Symposium, durante una seduta sulla Global Exploration Roadmap dell’International Space Exploration Coordination Group (ISECG), di fronte ai dirigenti delle principali agenzie spaziali e scienziati lunari provenienti da tutto il mondo.

“La nostra nuova generazione di sistemi di misura laser offre un modo promettente per testare la relatività generale ed altre teorie sulla gravità”, ha dichiarato il professor Doug Currie. “L’accordo con Moon Express ci permetterà di portare i nostri strumenti sulla Luna ad un costo competitivo e, potenzialmente, di rivoluzionare le nostre conoscenze sulla gravità”. Il professor Currie, dell’Università del Maryland, è stato il Principal Scientist responsabile per il sistema di retroriflettori laser posizionato sulla Luna durante le missioni Apollo, che hanno dimostrato per la prima volta l’uso di riflettori lunari in cosmologia.

“Questi test scavano nei principi fondanti della relatività generale”, ha dichiarato Simone Dell’Agnello dei Laboratori Nazionali di Frascati. “Qualunque violazione osservata richiederà una pesante revisione delle nostre conoscenze teoriche su come funziona l’universo”. I Laboratori Nazionali di Frascati (LNF) sono parte dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), e collaborano allo sviluppo degli strumenti di MoonLIGHT.

Oltre a INFN-LNF, altri partner italiani di MoonLIGHT sono l’MLRO (Matera Laser Ranging Observatory) del Centro di Geodesia Spaziale ASI di Matera, e l’Università di Padova. Lo sforzo congiunto ha prodotto il progetto, l’analisi, le simulazioni termiche e ottiche, la fabbricazione e il collaudo del prototipo della strumentazione che volerà a bordo del lander lunare Moon Express MX-1, con una prima missione di dimostrazione tecnologica pianificata per il 2017.

“Gli strumenti MoonLIGHT sono un payload bellissimo per noi”, ha dichiarato Bob Richards, co-fondatore e amministratore delegato di Moon Express. “È incredibile pensare che Moon Express possa aiutare a risolvere questioni scientifiche fondamentali di cosmologia e allo stesso tempo aumentare le nostre conoscenze sulla Luna che aiuteranno le nostre missioni future con questa serie di strumenti eleganti e relativamente a basso costo”.

Moon Express contribuirà con 12 milioni di dollari al costo complessivo dell’accordo di 24 milioni di dollari spalmati sulle quattro missioni, rinforzando il valore di un forte approccio di condivisione dei costi tra pubblico e privato nell’esplorazione lunare. “Stiamo facendo questo investimento per supportare i nostri clienti e contribuire alla scienza fondamentale della Luna e del nostro universo”, ha dichiarato Naveen Jain, co-fondatore e presidente di Moon Express. “La costruzione di una rete di retroriflettori laser di nuova generazione sulla Luna è anche un ottimo investimento in infrastruttura lunare per le nostre missioni future”.

Moon Express ha cominciato i test di volo del lander MTV-1 presso il Kennedy Space Center a dicembre del 2014. L’azienda ha recentemente annunciato un accordo con Space Florida per la gestione della storica rampa di lancio SLC-36 di Cape Canaveral.

Fonte: Moon Express

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Associazione Astrofili Bassano del Grappa

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22.05, ore 21:30: “Girovagando tra le galassie primaverli” di Roberto Garofalo.

Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
www.astrofilibassano.it
Per info sulla Specola: tel. 0423.934111
ufficio@centrodonchiavacci.it
www.specolachiavacci.it

Associazione Cascinese Astrofili

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22.05, ore 18:00: “Cascina oltre la luce…” gita ad Arcetri con l’UICI. Progetto di Astronomia dedicato ai Non Vedenti. Esperienza diretta con gli strumenti, puntati sugli oggetti del cielo (meteo permettendo) e lezioni di Astronomia generale;
Presso l’Osservatorio di Arcetri (FI), ingresso da Largo E. Fermi, 5.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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22.05: Osservazione dal piazzale della funivia per
i Piani d’Erna.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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22.05: Osservazione della Luna in Corso Italia.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Celesti geometrie – approfondimenti sul quesito e soluzione

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MoebiusLa teoria di Ramsey

Se fin dai tempi più remoti l’uomo ha creduto di scorgere nel cielo forme familiari, profili di personaggi mitologici, sagome di animali esistenti sulla Terra o fantastici, lo dobbiamo forse a una teoria matematica sviluppata nel 1928 da un venticinquenne inglese: Frank Plumpton Ramsey.

Nell’articolo di gennaio ho accennato alla vicenda di questo genio della matematica, che fu anche un brillante logico e un illustre economista. Ramsey nacque e crebbe a Cambridge, dove suo padre, insegnante di matematica, era preside del prestigioso Magdalene College.

Dopo il diploma, conseguito nel 1925, Ramsey si unì al gruppo di ricerca coordinato dal celebre economista John Maynard Keynes, e scrisse un paio di articoli di economia matematica tuttora molto citati.

Frank Plumpton Ramsey (1903 – 1930)

Nel giro di pochi anni si occupò anche di logica, di filosofia, di statistica e teoria della probabilità, di psicologia cognitivista e semantica. Chi lo conosceva lo descriveva come un pensatore cristallino, sempre in grado di costruire ragionamenti perfettamente coerenti e di evitare trappole logiche.

Nel 1930 dovette sottoporsi a una operazione chirurgica addominale, e purtroppo, per le complicazioni sopraggiunte dopo l’intervento, morì tragicamente prima del suo ventisettesimo compleanno.

La teoria che Ramsey sviluppò nel 1928 afferma che in qualsiasi struttura abbastanza ricca di elementi, non importa se si tratta di un insieme di stelle, o di un gruppo di persone, o di una sequenza di numeri, è inevitabile osservare delle configurazioni regolari. In altre parole, anche dove il caos sembra regnare, esiste sempre un po’ di ordine.

Ma quanto ricca deve essere la struttura considerata, per far emergere l’ordine dentro di sé? Questa è la difficile domanda connessa alla teoria di Ramsey. La risposta dipende ovviamente dal tipo di problema ramseyano che viene studiato.

Nell’articolo di gennaio descrivevo il famoso esempio della festa: quanti devono essere gli invitati a un ricevimento per essere certi che tre di loro si conoscano l’un l’altro oppure che tre di loro non si conoscano a vicenda?

Per risolvere il rompicapo, si potrebbe pensare di considerare tutte le possibili combinazioni e verificare se in ognuna c’è un terzetto di reciproci conoscenti o un terzetto di totali estranei. Ma quante sono le possibili combinazioni? Per una festa con 6 invitati, vi sono 15 relazioni interpersonali da prendere in esame: infatti per ognuna delle 6 persone ci sono 5 altre persone con cui avere a che fare, ma per evitare di considerare ogni legame due volte, dobbiamo dividere per 2: quindi (6 × 5) / 2 = 15). Dato che ognuna di queste 15 relazioni può essere di conoscenza o di estraneità, le possibili combinazioni sono 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2, ovvero, scritto in modo più compatto come amano fare i matematici, 215, che è uguale a 32.768.

Non appena si considerano feste più affollate, questo algoritmo di “forza bruta” diventa decisamente poco efficiente. In realtà esiste un approccio molto più semplice per risolvere il problem. Immaginiamo che i 6 invitati si chiamino Antonella, Bruno, Cinzia, Davide, Elena e Fausto. Supponiamo che Antonella conosca almeno tre delle altre persone: ad esempio Bruno, Cinzia e Davide. Ora, se Bruno e Cinzia, oppure Bruno e Davide, oppure Cinzia e Davide si conoscono tra di loro, allora Antonella e la coppia di conoscenti sono un terzetto di reciproci conoscenti; altrimenti Bruno, Cinzia e Davide sono un terzetto di totali estranei.

Supponiamo invece che Antonella conosca non più di due fra le altre persone: ad esempio Bruno e Cinzia. Se Davide ed Elena, oppure Davide e Fausto, o Elena e Fausto non si conoscono tra di loro, ecco che Antonella e la coppia di estranei sono tre persone che non si conoscono tra loro; altrimenti Davide, Elena e Fausto sono un trio di conoscenti. Abbiamo facilmente dimostrato che in un gruppo di sei persone devono esserci per forza tre conoscenti o tre estranei!

Se la festa avesse soli 5 invitati, invece, questa certezza non esisterebbe: in questo caso, infatti, potreste facilmente trovare una “configurazione” di conoscenze in cui non esiste alcun terzetto di reciproci conoscenti o di totali estranei.

Diversi problemi di Ramsey ammettono soluzioni diverse. Tuttavia vale sempre il concetto fondamentale: esiste una soglia di complessità del sistema considerato sopra la quale esistono sicuramente strutture ordinate di un certo tipo.

Una festa con 17 invitati (da "Le scienze" n. 265, settembre 1990)

Se, anziché ricercare terzetti di conoscenti o di estranei, fossimo interessati ai quartetti, avremmo bisogno di 18 invitati. La figura seguente mostra un esempio di festa con 17 persone, in cui non esistono quartetti di reciproci conoscenti o di totali estranei: gli invitati sono rappresentati dai pallini bianchi, le relazioni di conoscenza e di estraneità rispettivamente dalle linee rosse e dalle linee blu.

Il problema analogo relativo a quintetti e sestetti, invece, è tuttora irrisolto.

Negli anni Sessanta del secolo scorso, due ricercatori americani, Alfred Hales e Robert Jewett, provarono ad applicare la teoria di Ramsey al gioco del tris, e dimostrarono che versioni abbastanza “ricche” del gioco portano sempre alla vittoria di uno dei due giocatori, rendendo impossibili le “patte”.

Che cosa s’intende per versioni ricche? Il tris classico si gioca su una scacchiera bidimensionale 3 × 3, ma nessuno ci vieta di immaginare versioni tridimensionali, o in generale a N dimensioni (con N ≥ 2), e possiamo anche pensare a scacchiere di dimensioni via via crescenti.

Per esempio, Hales e Jewett trovarono che, in un tris giocato su un cubo tridimensionale 3 × 3 × 3, comunque vengano collocati i cerchietti e le croci, la partita finirà sicuramente con tre cerchi in fila o con tre croci in fila.

L’enigma

I lettori di Coelum che si sono cimentati nella risoluzione dell‘enigma di gennaio hanno dovuto rompersi un po’ la testa sulle “triplette” nascoste all’interno di successioni di numeri interi. Una tripletta contenuta in una successione è una sequenza di tre numeri della successione posti in progressione aritmetica. Per esempio, nella successione 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, sono triplette valide (1, 5, 9), oppure (2, 3, 4), oppure (4, 6, 8), e così via.

Il quesito era il seguente.

Prendiamo i numeri interi compresi tra 1 ed N, e coloriamo ciascuno di essi di rosso o di blu, a nostro piacere. Quanto deve essere grande N perché, comunque scegliamo la colorazione dei numeri, vi siano sicuramente delle triplette dello stesso colore?

Nell’articolo, facevo notare che N = 7 è un valore ancora troppo basso: un controesempio è dato dalla successione 1 2 3 4 5 6 7, in cui non esistono triplette monocromatiche. È sufficiente prendere N = 8 per far comparire inevitabilmente le triplette monocolore? Oppure occorre salire a N = 9? Oppure ancora più in alto? O forse, per quanto si aumenti il valore di N, si può sempre evitare l’insorgenza di triplette dello stesso colore? (quest’ultima possibilità, come potete notare, sarebbe contraria alla teoria di Ramsey…)

Il problema delle triplette monocromatiche fu sollevato nel 1926 da un matematico olandese, Bartel Leendert van der Waerden, il quale si accorse che, non appena N diventava abbastanza grande, le triplette monocromatiche saltavano fuori sempre. Lo studioso trovò che il fenomeno si applicava anche al caso di sequenze più grandi delle triplette: in generale gruppi di M numeri separati tra di loro per progressione aritmetica.

Bartel Leendert van der Waerden (1903 – 1996)

Per dimostrare rigorosamente il teorema, van der Waerden chiese l’aiuto dei colleghi Emil Artin e Otto Schreier. Lo stesso van der Waerden, qualche anno dopo, scrisse:

Andammo nell’ufficio di Artin, al Dipartimento di matematica dell’Università di Amburgo, e cercammo di trovare una dimostrazione. Tracciammo qualche diagramma sulla lavagna. Avevamo quelle che in tedesco si chiamano Einfiille: idee improvvise che vengono fulminee alla mente. Più volte queste nuove idee impressero una svolta alla discussione e alla fine una di esse portò alla soluzione.

Alla fine van der Waerden escogitò una tecnica di dimostrazione basata su una forma particolare di induzione. Il risultato è, evidentemente, un’ulteriore applicazione della teoria di Ramsey, e non a caso viene spesso ricordato come teorema di Ramsey per le progressioni aritmetiche. In molti casi viene però menzionato come teorema di van der Waerden.

Secondo il teorema di van der Waerden, quindi, l’enigma di gennaio ha senso. Ma rimane il problema: quanto deve essere lunga la successione di interi affinché, colorandola arbitrariamente, le triplette monocolore compaiano con certezza?

La soluzione e i vincitori

La risposta al quesito posto era N = 9. Attraverso quale ragionamento si poteva arrivare alla risposta corretta? Evidentemente occorreva trovare un valore di N -1 per il quale esisteva una colorazione che non generava triplette monocromatiche, e mostrare che, invece, già per N, diventava inevitabile la comparsa di tali famigerate strutture.

Ebbene, coloriamo come segue la successione dei primi N – 1 = 8 interi:

1 2 3 4 5 6 7 8

Come potete vedere, non ci sono triplette né rosse né blu.

Con N = 9, invece, indipendentemente dallo schema di colorazione adottato, ci possiamo trovare in due casi:

  • • il 4 e il 6 hanno lo stesso colore

oppure

  • • il 4 e il 6 sono di colore diverso.

Analizziamo il primo caso, e supponiamo che il 4 e il 6 siano colorati di blu:

1 2 3 4 5 6 7 8 9

Per evitare la tripletta (4, 5, 6), il 5 deve essere colorato di rosso:

1 2 3 4 5 6 7 8 9

Ora, per evitare le triplette (2, 4, 6) e (4, 6, 8), dobbiamo colorare di rosso anche il 2 e l’8:

1 2 3 4 5 6 7 8 9

Notate qualcosa di strano? Eh già, è comparsa la tripletta (2, 5, 8). Cercando di evitare le triplette blu, si è creata una tripletta rossa!

Consideriamo ora il secondo caso, in cui il 4 e il 6 sono di colore diverso: per esempio il 4 è rosso e il 6 è blu:

1 2 3 4 5 6 7 8 9

Possiamo allora colorare il 5 di rosso o di blu senza che si crei una tripletta. Decidiamo di colorarlo di rosso:

1 2 3 4 5 6 7 8 9

A questo punto, siamo costretti a colorare di seguito:

  • • il 3 di blu, per evitare la tripletta (3, 4, 5)
  • • il 9 di rosso, per evitare la tripletta (3, 6, 9)
  • • il 7 di blu, per evitare la tripletta (5, 7, 9)
  • • l’8 di rosso, per evitare la tripletta (6, 7, 8)
  • • il 2 di blu, per evitare la tripletta (2, 5, 8)
  • • l’1 di rosso, per evitare la tripletta (1, 2, 3)

La successione finale è quindi la seguente:

1 2 3 4 5 6 7 8 9

Ma attenzione! C’è anche qui una tripletta monocromatica: (1, 5, 9)!

Abbiamo quindi dimostrato che, comunque si colori la successione iniziale, le triplette ci sono per forza.

A inviarci per primo la risposta corretta e una dimostrazione valida è stato DARIO BROGGI, che quindi ha vinto l’abbonamento premio. Hanno inviato soluzioni corrette anche Daniele Tosalli e Maurizio Carlino. Quest’ultimo, com’è sua abitudine, ha spedito una rigorosa e magnifica analisi del problema. I nostri più vivi complimenti a tutti loro!

Ti porto la Luna: un pezzo di Luna in tour per un mese in Italia e Svizzera

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Un frammento di Luna ammirato da Charlie Duke, astronauta lunare, e la moglie Dotty. Credit: Rodri Van Click.

Se volete vedere da vicino un frammento di Luna, non c’è bisogno che andiate a Houston, negli Stati Uniti, dove sono conservati i campioni di suolo lunare riportati sulla Terra dalle missioni Apollo fra il 1969 e il 1972: uno di questi frammenti di roccia lunare sarà in tour in Italia e Svizzera dal 9 maggio al 3 giugno per una serie di conferenze scientifiche e di eventi divulgativi dedicati al tema dell’esplorazione e dell’avventura.

La roccia è stata concessa in prestito per un mese dalla NASA a Luigi Pizzimenti, direttore della sezione Astronautica dell’Osservatorio FOAM13 di Tradate, curatore del Padiglione Spazio del Museo del Volo Volandia e accreditato presso il Lunar Sample Laboratory Facility nel quale sono custodite le rocce lunari Apollo. Il 4 maggio scorso ho accompagnato Luigi a Houston per documentare giornalisticamente il viaggio e sarò con lui per le lezioni e conferenze che dedicheremo a questo straordinario campione di roccia extraterrestre.

No, non è uno scherzo, anche se faccio fatica a crederci anch’io, perché sono anni che lavoro a quest’impresa. Luigi ed io siamo andati davvero a prendere un pezzo di Luna e ve lo abbiamo portato.

Luigi Pizzimenti all'interno del laboratorio NASA dove vengono studiati i campioni di Luna.

Il campione di Luna che Luigi (foto qui accanto) ed io siamo andati a ritirare è molto speciale: è un frammento della roccia catalogata con il numero di riferimento 70215, pesa ben 120 grammi ed è uno dei più grandi fra quelli offerti dalla NASA per esposizioni pubbliche.

Ha una storia eccezionale: ha più di 3,7 miliardi di anni (più della maggior parte delle rocce terrestri di superficie) ed è stato scelto e raccolto sulla Luna a dicembre del 1972, durante l’ultima missione lunare, Apollo 17, dalle sapienti mani dell’unico geologo che ha mai fatto geologia extraterrestre sul campo: Harrison Schmitt.

Questa roccia ha anche un valore inestimabile, perché oggi non c’è nessuno in grado di andare a prenderne delle altre: se prendiamo il costo delle missioni Apollo (circa 170 miliardi di dollari di oggi) e lo dividiamo per i 382 chilogrammi di campioni lunari riportati sulla Terra, risulta che il campione che Luigi ed io vi porteremo vale teoricamente circa 53 milioni di dollari.

Durante gli appuntamenti pubblici, che trovate elencati nel calendario qui sotto, potrete conoscere la storia geologica di questa roccia antichissima (grazie anche alla scheda tecnica NASA), che rievoca la cataclismica formazione della Terra e della Luna, e potrete rivivere, con foto e riprese video rare e restaurate, l’avventura e il viaggio che l’hanno portata tra noi. Potrete anche osservarla da vicino e fotografarla: se volete un selfie davvero spaziale, questo è il vostro momento. Avere in Europa un grande campione di roccia lunare delle missioni Apollo non capita spesso. Dopo il 3 giugno la roccia non sarà più disponibile e verrà riportata da me e Luigi negli Stati Uniti.

Durante il viaggio ho fatto un livetweet e girato un mini-documentario che racconterà come è stato possibile coronare un sogno che, come Luigi (autore del libro Progetto Apollo) e tanti altri della mia generazione, avevo fin da bambino: raggiungere la Luna e vedere cosa può fare di meraviglioso l’umanità quando ci si mette d’impegno.

Se vi va di unirvi a me e Luigi in questo sogno che diventa realtà e nel tour della Roccia, seguiteci su Twitter (@disinformatico e @luigipizzimenti) e condividete le vostre esperienze e le vostre foto usando l’hashtag #tiportolaluna.

Se vi interessa organizzare un evento, una lezione universitaria o una conferenza dedicata a questa roccia, contattatemi via mail presso paolo.attivissimo (chiocciola) gmail.com oppure contattate Luigi Pizzimenti presso luigi.pizzimenti (chiocciola) foam13.it per tutti i dettagli organizzativi. Ma fate presto, perché il tempo vola, molte date sono già state riservate e altre sono state opzionate.

Le dimensioni dell'espositore della Roccia.

Le date indicate come sotto opzione restano comunque disponibili fino a quando l’evento viene indicato come confermato.

Visto il valore del campione di roccia lunare, è indispensabile che venga messa a disposizione una teca protettiva non apribile di dimensioni sufficienti a contenere il suo espositore, mostrato qui sopra, e che il campione sia costantemente sorvegliato.

Le prossime date del tour Ti porto la Luna

Per un aggiornamento delle date consultare: http://attivissimo.blogspot.it/p/ti-porto-la-luna.html

Mercoledì 20 maggio (evento confermato). Pordenone, Istituto Tecnico J. F. Kennedy, ore 10.15.Giovedì 21 maggio (evento confermato). Locarno. Evento speciale su invito.

Venerdì 22 maggio (evento confermato). Marina di Carrara, ore 21, Planetario Comunale A. Masani, via Bassagrande. Prenotazione obbligatoria scrivendo a gam (chiocciola) astrofilimassesi.it, tel. 333.173.1533.

Sabato 23 maggio (evento confermato). Viareggio, Museo della Marineria, Lungo Canale Est 32, ore 21. Evento a cura di Paolo Miniussi, info (chiocciola) octobersky.it, tel. 380.4291408. Link a informazioni. Rassegna stampa: Astronautica.us.

Domenica 24 maggio. Data disponibile ma sotto opzione a Roma (da confermare).

Lunedì 25 maggio. Data disponibile ma sotto opzione a Capua (da confermare).

Martedì 26 maggio (evento confermato). Imola, Teatro Comunale “Ebe Stignani”, via Verdi 1, ore 20.30. Evento a cura dell’Associazione Astrofili Imolesi.

Mercoledì 27 maggio. Data disponibile.

Giovedì 28 maggio (evento serale confermato). Varallo (Vercelli), ore 21, via Don Bosco 5, Oratorio Sottoriva. Evento organizzato dall’Associazione “Il Cortile del Dialogo”. Informazioni: ilcortiledeldialogo (chiocciola) gmail.com.

Venerdì 29 maggio. Data non disponibile.

Sabato 30 maggio (evento confermato). Cantalupa (TO), Centro Polivalente Silvia Coassolo, via Roma 18, ore 21. Dopo la conferenza, osservazione della Luna, di Giove e di Saturno con gli strumenti degli astrofili del C.P.A.P. Costo: interi 10 euro, ridotti (ragazzi fino a 14 anni) 5 euro. Per informazioni: tel. 348.226.1420. Prenotazioni su www.cantalupae.eu.

Domenica 31 maggio (evento confermato). Villa Guardia (Como), Giardino di Villa Greppi, 20.00. Ingresso libero, prenotazione obbligatoria (massimo 2 posti) a conferenza (chiocciola) davidecivelli.com. In caso di maltempo la conferenza verrà tenuta al chiuso. A seguire, osservazione astronomica della Luna e della volta celeste.

Lunedì 1 giugno (evento confermato). Gravesano (Canton Ticino), sala adiacente al Municipio, via Cantonale, 20:30.

Martedì 2 giugno (evento confermato). Genova. Evento a cura dell’Osservatorio Astronomico Righi di Genova (dettagli da annunciare).

Mercoledì 3 giugno (eventi confermati). Trezzano sul Naviglio: esposizione della roccia lunare dalle 11 alle 13 presso la Casa Comunale, via IV Novembre 2; esposizione della roccia dalle 15 alle 19:30 presso il Centro Socioculturale, via Manzoni 12; conferenza alle 21 presso lo stesso Centro Socioculturale. Eventi organizzati dal Comune di Trezzano. Ingresso gratuito.

Per le date aggiornate consultare: http://attivissimo.blogspot.it/p/ti-porto-la-luna.html

CORSO BASE di ASTRONOMIA

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21.05: OSSERVAZIONE DEL CIELO a Cornua.

info: www.astropolaris.it

Associazione Cascinese Astrofili

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20.05, ore 21:30: “A scuola con il telescopio…” Osservazione della Luna, di Giove e Saturno presso la scuola di Latignano (Cascina).

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Venere e una sottile falce di Luna crescente sull’orizzonte ovest-nordovest

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La poca varietà di fenomeni celesti durante il mese di maggio consente di riassumerli quasi tutti in questa illustrazione. Sarà infatti Venere, di sera e sull’orizzonte ovest, a dar vita alle congiunzioni più interessanti: sia con le stelle della costellazione dei Gemelli, sia con la Luna e con Giove. Tutto ciò potrà essere seguito ad occhio nudo o al massimo con un binocolo, non appena il cielo si farà abbastanza scuro (presumibilmente verso le 22:00) da permettere l’osservazione delle stelle coinvolte.

Il giorno 21, Venere e una sottile falce di Luna crescente si vedranno alte una ventina di gradi, sull’orizzonte ovest-nordovest, distanziate di 8 gradi.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di maggio

Alle Svalbard per l’eclissi

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Diversi anni fa ho fatto una piccola vacanza al “Nord” tramite un’agenzia specializzata. Nel febbraio del 2012 mi sono rivolto ancora a loro per sapere se avrebbero organizzato un viaggio alle Svalbard in occasione dell’eclissi di quest’anno.

Ad agosto 2013 la risposta: dovevo iscrivermi in fretta perché i posti, già allora, erano pochi. Infatti si erano appoggiati a un’agenzia americana che in pratica aveva requisito i pochissimi alberghi di Logyearbyen. Nello scorso dicembre comincio a curiosare nella cittadina attraverso le webcam: a parte la notte polare, tempo brutto e coperto. E questo è continuato fino a mercoledì 18 marzo 2015: all’arrivo c’è pure una bufera di neve…

“Cominciamo bene!”, ci siamo detti Felicita ed io.

Ci consola solo l’emozione di riassaggiare la prelibata cucina norvegese: cibi magari non politicamente corretti, ma sopraffini.

Il giorno dopo, visita della cittadina in gruppo, tempo un poco migliore, ma sempre coperto. All’albergo tutti osservano speranzosi il pannello della meteo che, per venerdì, indica sole coperto.

La mattina dell’eclissi, la sveglia suona presto.
Apro la tenda della camera e vedo un cielo blu da cartolina.
Che fortuna!
Non una nuvola.

In questo luogo desolato ma affascinante, unico sulla Terra, abbiamo il Sole dopo mesi di oscurità e brutto tempo. Tutti sono impazienti di raggiungere il campo base per l’osservazione.

Ci si pigia e ci si scontra con le porte del bus.
Il tragitto sembra non finire mai.
Non possiamo far tardi!

All’arrivo tutti corrono a cercare il posto migliore. Ridicolo, perché per chilometri e chilometri non c’è altro che una distesa di neve perfettamente piatta.

L'autore, Patricio Calderari, che attende l'evento

Sulla neve è visibile solo un piccolo capannone-tenda messo a disposizione per scaldarci, con cioccolata calda, tè, caffè. La temperatura è attorno a meno sedici gradi. Decisamente freschetto.
Poi un grido.
La luna ha intaccato il disco solare: ammiriamo impazienti l’evento spettacolare.

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Poi il silenzio, appare Venere, la luce scompare, la temperatura precipita a meno ventidue; ecco il bellissimo anello di diamante a sinistra, poi le fiamme solari, indi il diamante a destra.
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Pochissimi minuti, ma che emozione.

Per ragioni di peso ho dovuto rinunciare alla montatura equatoriale a motore, quindi ho portato un semplice cavalletto. Per fortuna la componente “verticale” del Sole, a quelle latitudini, è poco presente. Ho scelto anche un tele relativamente buono, ma di peso contenuto.

Per l’eclissi ho usato la seguente attrezzatura fotografica:

  • • Tele-Apotessar Hasselblad da 8/500 millimetri;
  • • tele converter apo 1,4x;
  • • camera fotografica Nikon d810.

Così un 700 millimetri non è né troppo “corto”, né troppo “lungo”, un buon compromesso. Scatto foto con tempi diversi che, una volta a casa, consegnerò all’amico Mauro Luraschi per sommare solo il puro totale. Non mi interessa la sequenza completa, ho solo alcuni scatti ricordo.

Pomeriggio libero per curiosare nella cittadina. Anche se “cittadina” è un gentile eufemismo.

La sera le discussioni del gruppo si accavallano, tutti vogliono raccontare la loro esperienza, le loro emozioni. Io non capisco una parola d’inglese e quindi partecipo a gesti, non resta che andare a cena e poi a letto, con sveglia verso le 23:30.

Curioso dalla finestra e intravvedo dei piccoli bagliori verdi. Infilo velocemente il training sopra il pigiama, una giacca invernale, piccoli guanti (siamo pur sempre sui meno venti), e corro fuori con cavalletto, Nikon e grandangolare.

Pur essendo completamente fuori stagione, ho la fortuna di vedere per pochi minuti una mini-aurora boreale. Un bello spettacolo: appare tenue, poi si accende di un verde brillante e sparisce. Per presentarsi altrove. Per circa una mezz’ora si ripetono vari fenomeni di circa trenta secondi, poi più nulla.

Il giorno dopo ancora bel tempo il mattino, poi il lento sopraggiungere delle nuvole e la copertura uniforme: il giorno dopo, la partenza col brutto tempo.

Due fenomeni supplementari mi hanno affascinato:

il tramonto di Venere verso l’una di notte, una discesa molto lenta (non come da noi) nel cielo ancora chiaro in lontananza.
E poi il fatto che a metà febbraio si è ancora nella notte polare, a metà aprile il giorno è perenne. In due mesi il Sole guadagna ventiquattro ore!

Patricio

Associazione Astrofili Centesi

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17.05, ore 15:00: Osserviamo il Sole al telescopio.

Per info: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Super brillamenti extrasolari

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Come potrebbe apparirci una stella di tipo solare a super brillamenti nella luce visibile. Crediti: Università di Kyoto
Come potrebbe apparirci una stella di tipo solare a super brillamenti nella luce visibile. Crediti: Università di Kyoto

Cercava pianeti e, oltre a trovarne tantissimi, ha anche individuato gigantesche macchie e potenti brillamenti su altre stelle simili al Sole. Alcune delle diminuzioni di luce degli astri monitorati dalla missione Kepler della NASA si sono infatti rivelate essere dovute non solo al transito di pianeti ma alla presenza di enormi macchie, mentre altri repentini aumenti di luminosità sono stati causati da super brillamenti, potentissime esplosioni sulla superficie stellare, esattamente come avviene, con intensità minori, sul Sole.

Uno studio accurato di questi fenomeni extrasolari è stato condotto da un team tutto giapponese – telescopio compreso – che ha confermato che le stelle simili al Sole dotate di grandi macchie stellari possono produrre violentissimi brillamenti (super brillamenti, in inglese, superflare). Astronomi delle università di Kyoto, di Hyogo e di Nagoya e dell’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone (NAOJ) hanno messo in campo l’High Dispersion Spectrograph (HDS) installato al telescopio Subaru sulle isole Hawaii per studiare le proprietà della luce emessa da stelle di tipo solare, che emettono super brillamenti in cui vengono rilasciate energie dalle dieci alle diecimila volte maggiori di quelle tipicamente liberate nelle eruzioni della nostra stella.

Dall’analisi dei dati raccolti su cinquanta stelle, selezionate in base alle osservazioni del telescopio Kepler, risulta che quelle con super brillamenti mostrano cambiamenti alquanto regolari nella loro luminosità, con periodi compresi tra un giorno e poche decine di giorni. Questo andamento può essere spiegato con la rotazione della stella e delle sue macchie. Una ipotesi confermata dai dati spettroscopici raccolti da HDS, che permettono di stimare il periodo di rotazione delle stelle dall’allargamento delle righe di assorbimento, e che hanno fornito valori che sono risultati assolutamente coerenti con  i periodi di variazione delle luminosità osservate. In più, le stelle che presentano picchi di luminosità più elevata sono quelle che possiederebbero macchie assai estese, molto maggiori di quelle solari. I ricercatori continueranno ad utilizzare il telescopio Subaru per altre osservazioni di questo tipo, a cui affiancheranno presto il telescopio dell’università di Okayama da 3,8 metri di diametro, che è in costruzione. L’obiettivo è quello di investigare in modo più dettagliato e i cambiamenti a lungo termine nell’attività delle stelle a super-brillamenti.

Per saperne di più:

  • l’articolo High Dispersion Spectroscopy of Solar-type Superflare Stars. I. Temperature, Surface Gravity, Metallicity, and v sin i di Yuta Notsu et al. pubblicato on line sul sito della rivista Publications of the Astronomical Society of Japan
  • l’articolo High Dispersion Spectroscopy of Solar-type Superflare Stars. II. Stellar Rotation, Starspots, and Chromospheric Activities di Yuta Notsu et al. pubblicato on line sul sito della rivista Publications of the Astronomical Society of Japan

Associazione Cascinese Astrofili

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16.05, ore 21:30: “Maratona Messier al CAMS”.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Associazione Cascinese Astrofili

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15.05, ore 16:00: Osservazione del Sole (meteo permettendo) presso la struttura RSA, Casa della Madonna della Fiducia di Calambrone (PI).

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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15.05: “Scienza e linguaggio” conferenza di Luigi Foschini (Nell’occasione il relatore presenterà il suo nuovo libro sull’argomento).

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Astronomi: GPS del passato!

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15.05: Una mostra storica, laboratori didattici, eventi per il grande pubblico dall’11 aprile al 14 giugno presso il Parco astronomico dell’INAF a Monte Porzio Catone per raccontare il ruolo fondamentale che gli astronomi hanno avuto nel determinare forma e dimensioni del nostro pianeta e, in particolare, dei territori che abitiamo. Astrolabi, quadranti, cerchi moltiplicatori, teodoliti, sestanti, globi e carte celesti e terrestri sono gli strumenti realizzati dall’uomo nel corso dei secoli per comprendere quali fossero forma e dimensioni della Terra e per orientarsi sulla sua superficie. Tutto questo vedranno i visitatori nel percorso della mostra, che si concluderà con uno sguardo al futuro: nello spazio come si viaggia?!
Per informazioni: tel. 06.94286427 – diva@oa-roma.inaf.it

I misteriosi spot luminosi su Cerere: il sole che si riflette sul ghiaccio?

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Attenzione, a causa della dimensione dell'immagine, soprattutto se vista a piena risoluzione (cliccando l'immagine), potrebbe volerci qualche secondo prima che parta l'animazione. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Attenzione, a causa della dimensione dell'immagine, soprattutto se vista a piena risoluzione (cliccando l'immagine), potrebbe volerci qualche secondo prima che parta l'animazione. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Ed ecco l’animazione completa della prima orbita scientifica di Dawn attorno a Cerere. Le immagini sono state scattate da una distanza di 13600 km e la loro risoluzione è di 0,8 miglia (1,3 km) per pixel.

A questa distanza, i due spot luminosi all’interno del cratere nell’emisfero settentrionale,  rivelano essere composti da più piccoli punti, ma la loro esatta natura rimane ancora sconosciuta. La NASA però si sbilancia con le prime ipotesi: «Secondo i ricercatori della missione Dawn, l’intensa lumonosità di questi punti, potrebbe essere dovuta al riflesso della luce solare su una superficie altamente riflettente, come il ghiaccio» riferisce infatti Christopher Russell, Principal Investigator della missione (Università della California).

La sonda Dawn ha così concluso la sua prima orbita di mappatura, completando in 15 giorni un giro intorno a Ceres. Il 9 maggio, ha avviato i  motori a ioni per portarsi  nella seconda orbita di mappatura, a circa 4400 km dalla superficie, dove giungerà il prossimo 6 giugno. A quella distanza le basteranno 3 giorni per completare un’orbita e una nuova mappatura che permetterà ai ricercatori di cominciare a dipanare la storia geologica del pianeta nano e verificare se sia attivo.

Ma non dovremo aspettare il 6 giugno per le prossime immagini, la sonda infatti si fermerà per due volte, nella discesa verso l’orbita di survey, per riprendere altre immagini del pianeta nano a distanza sempre più ravvicinata.

Un simpatico video che spiega cos’è un pianeta nano e dove si trova Ceres

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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15.05: “Navigare con la longitudine” di Giorgio Bazzurro.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

LA SUPERNOVA DI TYCHO

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A meno di sorprese dell’ultimo momento, sono ormai 410 anni che una supernova non appare nella porzione della Galassia a noi visibile.

Con i moderni sensori applicati ai grandi telescopi, di stelle che muoiono esplodendo ne vengono scoperte tante, ormai quasi quotidianamente, ma sempre in deboli e lontane galassie. È pur vero che dalle statistiche eseguite su tali ricerche, almeno nelle galassie a spirale come la nostra, un evento di questo tipo dovrebbe manifestarsi una volta ogni trentacinque anni circa: stando così le cose quindi, dall’ultima supernova osservata nel 1604, almeno una decina di eventi di questo tipo sarebbero dovuti apparire alle “porte di casa”.

Sfortunatamente, tutte le supernovae galattiche di cui si hanno documentazioni storiche si resero visibili prima dell’invenzione del telescopio. Prima, infatti, poco o nulla si sapeva di queste stelle nuove – come allora venivano chiamate – che di tanto in tanto comparivano nei cieli; certo, era nota la storia raccontata da Plinio il Vecchio relativa a quella avvistata da Ipparco diversi secoli prima, ma poiché questa non venne neanche considerata dal grande astronomo Tolomeo, venne quindi ritenuta alla stregua di un racconto.

In quel periodo, tra l’altro, era allora fortemente in voga la concezione aristotelica dell’immutabilità dei cieli e le nuove stelle che di tanto in tanto apparivano nella volta celeste, così come le comete, venivano descritti come fenomeni connessi all’atmosfera terrestre. Non solo: eventi del tutto naturali come i cieli coperti per lungo periodo da nuvole, o altri di diversa natura come guerre e carestie, o la voluta interpretazione di tali apparizioni, da parte dalle autorità religiose del tempo, come un cattivi presagi furono probabile causa del loro depennamento dai resoconti storici ufficiali. Fu solo in estremo oriente, ovvero in Cina, Corea e Giappone, che la comparsa di queste nuove stelle indusse gli astrologi delle corti di quei Paesi a registrarne l’apparizione nei loro annali, documenti che però restarono sempre del tutto sconosciuti in occidente.

Ad ogni modo, dopo l’ultima supernova osservata in oriente, quella del 1181, passarono ben quattro secoli perché un evento di questo tipo tornasse ad essere visto in Europa. Fortunatamente, in quel lasso di tempo, la situazione culturale nel vecchio continente era in corso di cambiamento: gli astronomi orientali restavano ancora abili osservatori come in passato ma la rinascita intellettuale esplosa in occidente portò la scienza europea a farla da padrone, soprattutto dopo che Copernico dette quel tremendo scossone alla visione antropocentrica dell’Universo con la pubblicazione del suo innovativo libro. Fortunatamente, la luce della supernova raggiunse il nostro pianeta allorché un certo Tycho Brahe si applicò ad osservarla con scrupolo diventando, proprio con gli studi su di essa condotti, il più grande astronomo dall’epoca di Tolomeo.

11 NOVEMBRE 1572: STELLA NOVA IN CASSIOPEIA

Tycho nacque nel 1546, in quella parte di Svezia che all’epoca era parte del regno di Danimarca, esattamente tre anni dopo la pubblicazione del “De revolutionibus orbium celestium”. Appartenendo a una famiglia aristocratica, venne dai genitori indotto allo studio del diritto, pur riservando da subito un grande interesse per le scienze, passione indotta soprattutto dallo zio chimico o, usando la terminologia in voga all’epoca, alchimista. A soli 14 anni, ebbe l’occasione di osservare un’eclissi solare, evento che fece nascere in sé l’interesse per l’Astronomia, che si concretizzo appieno allorché, ventiseienne, assistette con grande stupore alla ricomparsa di una supernova.

La sera dell’11 novembre 1572, infatti, uscendo dal laboratorio chimico dello zio, Tycho notò una luminosissima stella che non aveva mai visto prima, non lontana dalla luminosa Gamma Cassiopeiae, la stella centrale della famosa costellazione caratteristica per la forma a W. In pieno autunno e alle latitudini danesi, Cassiopea appariva altissima sull’orizzonte, e quell’intruso, che appariva luminoso quanto Venere, non poteva passare inosservato all’astronomo danese che conosceva molto bene la volta celeste! Incuriosito di sapere da quanto quella nuova stella fosse li, ma anche demoralizzato dal fatto di non aver potuto osservare il cielo nelle nottate precedenti a causa di altri impegni, Tycho interpellò da subito passanti e conoscenti chiedendo loro se la nuova stella da lui notata fosse stata vista da qualcuno anche nelle serate precedenti, ma grande fu la sua delusione nel non ricevere alcuna risposta. Certamente tutti la vedevano in quel preciso momento, ma nessuno sapeva dire da quanto tempo era lì.

In realtà, ben lontano da lui, il tedesco W. Schurler e l’italiano F. Maurolico, due astronomi, l’avevano già notata qualche giorno prima, precisamente il 6 novembre: la nuova stella di Cassiopea, quindi, splendeva già nel cielo almeno cinque giorni prima che fosse avvistata da Tycho ma, purtroppo per lui, egli non seppe mai di queste due osservazioni. In ogni caso, da attento osservatore qual’era, decise di fare una cosa che nessun’altro astronomo aveva mai fatto prima: seguire costantemente la nuova stella notte dopo notte, con l’ausilio di un ottima strumentazione astronomica di suo possesso.

Come detto, il telescopio non era stato ancora inventato, tuttavia Tycho aveva costruito un ottimo sestante che impiegò da subito per delineare con precisione la posizione della nuova stella. Di questa, infatti, riuscì a misurarne la distanza angolare dalle altre stelle di Cassiopea, tenendo conto tra l’altro della rifrazione della luce da parte dell’atmosfera: uno scrupoloso lavoro di astrometria quindi, il primo nella storia, riportandone con scrupolo la variazione di luminosità in un accurato diario.

Al contrario di quanto si possa pensare, Tycho era un fervido sostenitore della teoria aristotelica, e credeva che le stelle fossero buchi presenti sulla più esterna di “sfere” orbitanti attorno alla Terra; a questa teoria, qualche anno dopo, apportò anche una sostanziale modifica, ponendo i cinque pianeti in orbita attorno al Sole, pur mantenendolo ancora in orbita attorno alla Terra in quello che è chiamato sistema tychonico. Ad ogni modo, proprio le sue osservazioni sulla stella apparsa in Cassiopea furono il punto di partenza per l’Astronomia moderna, forse ancor più della stessa teoria copernicana!

Essendo Cassiopea una costellazione circumpolare, la nuova stella rimaneva sempre visibile durante tutta la notte, ruotando attorno al Polo Nord celeste non lontana dalla stella Polare: particolarità che consentì a Tycho, talmente luminosa che era, di individuarla anche in pieno giorno alla luce del Sole! Così si presentò, almeno, nelle settimane seguenti la scoperta; dopodiché, la nuova stella iniziò a calare vistosamente di luminosità, divenendo, notte dopo notte, sempre meno appariscente. Nel dicembre 1572, infatti, la sua luminosità era pari a quella di Giove per rendersi, nel febbraio seguente, addirittura appena visibile ad occhio nudo, scomparendo per sempre alla vista il mese successivo: Tycho poté quindi seguirla per un totale per 485 giorni, roba da far invidia ai più accaniti tra gli osservatori moderni di stelle variabili!

Si poneva quindi il problema della natura di quella nuova stella, che tanto stupore aveva destato tra gli astronomi europei dell’epoca e a Tycho in particolare. Era forse un fenomeno atmosferico secondo aristotelica concezione? Oltre ogni buon senso, anche lo stesso astronomo danese credeva poco alla favola che un fenomeno atmosferico potesse verificarsi per così lungo tempo restando fisso sempre nella stessa posizione!

Ciò che infatti risultava dalle sue accurate osservazioni era che la luminosa stella non aveva mostrato il benché minimo spostamento rispetto alle altre stelle di fondo; osservandone infatti la posizione da luoghi diversi, Tycho tentò di misurarne un eventuale spostamento rispetto alle stelle di Cassiopea, da lui inizialmente ritenute ben più distanti. Così facendo, Tycho voleva misurarne l’angolo di parallasse per determinarne la distanza: metodo che, come ben noto, è utile per determinare la distanza delle stelle, almeno quelle entro 300 anni-luce di distanza. Proprio grazie all’angolo di parallasse mostrato da nostro satellite naturale, fin dai tempi di Ipparco si sapeva che la distanza della Luna equivaleva a circa 30 volte il diametro della Terra, valore non lontano dalla realtà; quindi, qualsiasi corpo celeste che avesse mostrato una parallasse inferiore a quella della Luna doveva per forza di cose essere molto più distante di essa: in altre parole, stando al modello aristotelico, doveva far parte della “sfera celeste”.

Eppure, nonostante tutti i suoi sforzi e i ripetuti tentativi condotti nelle sue osservazioni, Tycho non fu mai in grado di misurare alcun minimo spostamento della nuova stella di Cassiopea. La parallasse praticamente nulla portò quindi Tycho a ritenerla non un fenomeno atmosferico terrestre, non un oggetto vicino quanto la Luna o i pianeti, ma una stella: esattamente come tutte le altre presenti sulla sfera celeste più lontana!

Questo fatto era così importante che l’astronomo, dopo notevoli esitazioni, decise di scrivere un libro sull’argomento. Tycho era pur sempre un aristocratico, gente che a quell’epoca certamente non si abbassava spiegare le cose al popolino, tuttavia la rilevanza della sua scoperta era tale che si decise a farlo, pubblicando nel 1573 un libro che aveva un titolo piuttosto lungo ma che viene generalmente ricordato nella sua forma abbreviata: il “De nova stella” (sulla nuova stella). In esso, egli descrisse il declino luminoso della nuova stella riportando anche le misurazioni della sua posizione, tracciando quest’ultima in un disegno assieme stelle di Cassiopea che facevano da riferimento; ma soprattutto, Tycho spiegò esaurientemente nel libro come la sua parallasse, che risultava al di fuori di ogni possibile misura, denotava la sua appartenenza alla lontana – e fino a quel momento considerata immutevole – sfera celeste. Con un piccolo particolare, però, rispetto fino a quanto allora creduto: il cielo aveva chiaramente subito un cambiamento, con la conseguenza che ogni concetto di stabilità e di perfezione doveva essere abbandonato, per sempre!

A dare ulteriore prova a tali affermazioni ci pensò una luminosa cometa che solcò i cieli qualche anno più tardi, nel 1577; anche di questa, Tycho cercò di misurare da subito la parallasse rispetto alle stelle di fondo ma, esattamente per quanto accaduto qualche anno prima per la nuova stella apparsa in Cassiopea, anche la nuova cometa non mostrò alcuno spostamento osservata da luoghi differenti. Come detto, le comete erano ritenuti qualcosa di simile a vapori incendiati nell’atmosfera, ben più vicini, quindi, della sfera lunare; ma Tycho demolì questa teoria, dimostrando che l’assenza di parallasse esibita dalla cometa era indice che la sua distanza era ben maggiore di quella della Luna, provando, tra l’altro, che l’orbita stessa della cometa era ellittica, figura ben diversa dalla perfezione circolare aristotelica!

La maggior parte degli astronomi del tempo erano in realtà ferventi credenti dell’astrologia; non di meno lo stesso Tycho, che nella sua opera descrisse si la nuova stella ma sotto un punto di vista prettamente astrologico, pieno di significati campati in aria e non per la sua reale natura sulla quale, purtroppo, nulla poteva ancora sapere.

Ad ogni modo, il termine nova da lui inventato divenne di uso comune per designare anche tutte le successive stelle nuove che da lì in poi sarebbero apparse nei cieli: da quel giorno, infatti, ogni nuova stella apparsa in cielo sarebbe infatti stata chiamata “nova”. Per lo meno, fino fino agli anni ’30 del secolo scorso, quando a seguito dell’apparizione della nuova stella dalla eccezionale luminosità assoluta apparsa nella galassia di Andromeda nel 1885, e di altre di uguale portata in seguito scoperte in altre galassie vicine, gli astronomi W. Baade e F. Zwicky coniarono il termine supernove.

LA REALE NATURA DELLE SUPERNOVAE

Oggi è ben noto come le supernovae, tra gli eventi più energetici in assoluto di quelli rilevati nel cosmo, siano in realtà vere e proprie esplosioni stellari, vagiti mortali descritti da modelli astrofisici sempre più accurati e costruiti con l’ausilio di migliaia di osservazioni.

E’ ben noto come una stella nana e relativamente poco massiccia come il Sole muoia in modo più o meno “tranquillo”. Infatti, dopo essersi espansa diventando una gigante rossa, essa spazza via l’intero involucro gassoso esterno al suo nucleo, formando un enorme guscio di gas che si espande lentamente nello spazio esterno alla stella. Il denso nucleo, tramutato in una nana bianca dalla temperatura superficiale di circa 10000 K, emette soprattutto nell’ultravioletto: l’involucro gassoso in espansione viene quindi riscaldato ed eccitato da questa intensa radiazione, che lo porta ad emettere sia luce visibile che onde radio, a differenza della polvere che, al contrario, emette solo nell’infrarosso.  Stando alla teoria e alla quantità di combustibile presente nel suo nucleo, il Sole subirà questo processo tra circa 5 miliardi di anni.

Le cose cambiano drasticamente per stelle dalla massa almeno 8 volte quella del Sole, alla cui vita, ricca di eventi, segue una morte ancor più spettacolare. Raggiunta in questo caso la fase di supergigante rossa, il loro nucleo diventa sufficientemente caldo da trasformare l’elio in una varietà di elementi via via sempre più pesanti. All’interno del nucleo, infatti, gli atomi di elio si combinano tra loro formando dapprima atomi di carbonio e ossigeno che, a loro volta, si fondono in elementi più pesanti come il silicio: la temperatura e la pressione nel nucleo di silicio sono sufficienti a convertire nuovamente tali atomi in ferro. La struttura della stella diviene simile a quella di una cipolla, con gusci concentrici di differente composizione a partire da quello più esterno, costituito principalmente da idrogeno, passando attraverso gli strati intermedi di elio, carbonio, ossigeno e silicio, per finire al nucleo di ferro. Come noto, le reazioni di fusione nucleare che hanno luogo nei nuclei stellari forniscono l’energia necessaria per sostenere il nucleo contro la forza di pressione dovuta al peso degli strati superiori.

A questo punto c’è un però; mentre tutte le reazioni di fusione che portano alla formazione del ferro producono energia, il ferro è talmente pesante da fondere in altri elementi più pesanti che, affinché ciò avvenga, è richiesta energia dall’esterno perché non si tratterebbe di un tipo di reazione che avviene spontaneamente. Detto questo, in brevissimo tempo la temperatura del nucleo passa da 10 miliardi di gradi a 100 milioni di gradi circa, con una conseguenza letteralmente catastrofica: mancando la pressione di radiazione che tiene su l’intera stella, essa cade in balia della gravità. Tutta la parte di stella esterna all’inerme nucleo ferroso collassa velocemente su di esso, in non più di una decina di secondi: per la stella, non vi è più la possibilità di espandersi gradualmente dissipando calore, come era già avvenuto in passato. L’impatto è talmente devastante che la temperatura, nel giro di una frazione di secondo, sale a miliardi di gradi sprigionando un’energia inimmaginabile, talmente immensa da far diventare la stella una vera bomba cosmica che scaglia gli strati esterni al nucleo fuori nello spazio alla tremenda velocità di circa 7000 km/s. L’esplosione si tramuta in un lampo accecante, che rilascia nel giro di pochi secondi la stessa quantità di energia prodotta dalla stella appena esplosa nell’intera sua vita, divenendo luminosa come mezzo miliardo di Soli e rendendosi visibile fino a diversi miliardi di anni-luce. Nasce così una supernova di tipo II.

Ma esiste anche un’altra modalità affinché una stella esploda come supernova; anzi, le supernovae di tipo I, così come queste vengono chiamate per distinguerle dalle altre, sono ancor più violente, divenendo non solo più luminose ma proiettando nello spazio i gas della stella – in questo caso interamente disintegrata! – all’ancora più incredibile velocità di circa 11.000 km/s!

E il bello di tutto questo è che in questo caso ad esplodere non è una stella colossale bensì una minuta nana bianca!

Tali eventi accadono allorché tali residui di stelle nane come il Sole si trovano in sistemi binari laddove è presente una stella compagna evoluta ed espansa dalla quale, essendo quasi a contatto, ne risucchiano la propria atmosfera gassosa grazie alla loro incredibile forza gravitazionale. Accade quindi che, allorché il materiale ricevuto dalla nana bianca ne aumenta la massa superando il valore limite di 1,44 masse solari (il ben noto limite di Chandrasekhar), la pressione di degenerazione che tiene ancora in vita queste stelle non è più sufficiente a contrastare l’enorme peso nel frattempo acquisito. Da quel preciso momento, essa inizia a collassare incontrollatamente, crollando su se stessa così rapidamente che i suoi nuclei di carbonio ossigeno entrano in violenta collisione tra loro; tale processo genera una violentissima fusione nucleare, generando in pochissimo tempo così tanta energia che il risultato è una vasta esplosione dell’intera stella: in poche settimane, la supernova irradia l’equivalente dell’energia prodotta dal Sole nella sua vita lunga diversi miliardi di anni! In breve, il collasso della nana bianca generano una supernova di tipo Ia. L’esplosione cui viene sottoposta la nana bianca è talmente immane che l’intera stella viene totalmente disintegrata: essa non lascia dietro di sé alcunché di consistente: nessuna nana bianca, o stella di neutroni, ma solo una turbolenta nube di gas e polveri in velocissima espansione nello spazio.

I RESTI DI SUPERNOVAE

Nulla si crea e nulla si distrugge, regola che si applica fedelmente anche a tali immani esplosioni cosmiche, laddove si parla dei resti di supernovae. Nel corso dell’esplosione di una supernova di tipo II, infatti, il nucleo resta si in vita ma tramutato in un oggetto ancora più esotico e spaventoso come una stella di neutroni o un buco nero. In ogni caso, il resto del materiale di cui la massiccia stella era una volta costituita resta comunque sotto forma di residuo nebulare in espansione e lo stesso accade per le nane bianche interamente distrutte nel corso di un evento supernova di tipo I. Tali nebulose potrebbero essere intese come nebulose planetarie “estreme” perché non sono fatti solo degli strati più esterni della stella coinvolta ma della totalità di essa. Tali resti di supernovae, una volta creati a seguito dell’esplosione, hanno la forma di gusci più o meno sferici che vanno dilatandosi nel cosmo a causa della forza impressa dell’esplosione; anch’essi però, come le nebulose planetarie, vanno incontro ad una diluizione nel materiale interstellare, che li porta quindi a diventare in realtà oggetti effimeri, della durata di poche migliaia di anni.

ESPLOSIONI COSMICHE NELLE CRONACHE STORICHE

L’elenco di supernove esplose nella nostra galassia e osservate in tempi storici purtroppo è assai breve. Negli ultimi due millenni sono solamente sei quelle esplose nella nostra galassia, tutte, come detto, apparse in epoca pre-telescopica; esattamente come le comete, anche le apparizioni di queste supernovae vennero intese dagli astrologi dell’epoca come segni premonitori di guerre e carestie.

Ce ne fu una nel 185 d.C. nella costellazione del centauro, registrata da astronomi cinesi; rimase visibile nel cielo notturno per otto mesi. La supernova del 1006 fu probabilmente la più vistosa in assoluto. Osservata dagli astronomi del sud Europa, del Nord Africa, del medio oriente, della Cina e del Giappone, viene descritta come rivaleggia in luminosità con la Luna al primo quarto, ovvero di magnitudine -9. Per un certo tempo fu infatti così brillante che di notte gli oggetti esposti alla sua luce gettano un’ombra. Immaginiamo che spettacolo: la super Nova, passa tra il Lupo e il Centauro, era così brillante rendersi visibile con il Sole ben alto sopra dell’orizzonte! La nube di detriti espansione creata da quella violenta esplosione si trova la costellazione del Lupo ed è stato osservato nei raggi X s’, in ottico, e nelle onde radio. Il resto nebulosa della super Nova del 1006 misura circa 60 a.l. di diametro ed è tutto ciò che rimane di una nana bianca distrutta seguito dell’esplosione termonucleare. Anche quella del 1054 fu molto brillante. Fu osservato da Medioriente, Cina e Giappone; alcuni pittogrammi incisi su rocce da tribù indiane del nuovo Messico sono stati interpretati come indicativi di ciò che potrebbe essere stato osservato di quell’evento anche dal Nord America. È però abbastanza sorprendente che non esistano registrazioni della sua comparsa da parte di astronomi europei.

C’è da dire che oltre all’ipotesi di cieli nuvolosi all’epoca, la stella apparve proprio nell’anno del grande scisma tra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’oriente. Questa coincidenza temporale potrebbe essere stata interpretata dalle autorità religiose del tempo come un cattivo presagio e forse perciò l’evento venne depennato dai resoconti storici ufficiali. In ogni caso la super Nova giunse al picco di luce nei primi giorni del luglio 1054 attorno alla magnitudine -6, divenendo quindi più brillante di rendere al massimo delle migliori condizioni di visibilità. Essa comparve vicino alla stella zeta che segna il corno destro del Toro. Si rese visibile in pieno giorno per oltre tre settimane di notte per oltre 21 mesi dopo la sua scoperta. La nube di detriti espansione risultante da questa super Nova costituisce quella che è e la famosa Nebulosa del Granchio al centro della quale presenta una stella di neutroni rapidamente rotante, una pulsar, che è il resto super denso del nucleo della massiccia stella esplosa. Una stranezza è data dai residui osservabili espulsi nei vari casi. Quelli della Nebulosa del Granchio ad esempio sono molto spettacolari ma altrettanto non si può certo dire per le super nove galattiche successive, soprattutto quelle del 1572 e del 1604, che hanno lasciato tracce appena percettibili.

Nella Via Lattea sono presenti diverse decine di tali resti di supernove; alcuni, come la Nebulosa del Granchio, sono ben evidenti sia nell’ottico che a tutte le lunghezze d’onda; alcuni di vecchia data, come quello delle Vele o il Velo del Cigno, si sono espansi a tal punto da assumere forme quasi irregolari; altri, sopratutto quelli più giovani, appaiono invece molto regolari, simili ad anelli: ed proprio questo il caso relativo alla supernova del 1572 avvistata e seguita da Tycho Brahe.

IL RESTO DELLA SUPERNOVA TYCHONICA

Nonostante l’astronomo danese avesse riportato nel suo libro precise indicazioni sulla posizione della stella da lui seguita – il sestante di grandi dimensioni da lui utilizzato riduceva di molto l’errore angolare – vani risultarono gli sforzi degli astronomi che, soprattutto a partire dal XIX secolo, cercarono con i telescopi le tracce dell’evento accaduto qualche secolo addietro; l’area nella quale risultava essere esplosa la supernova, scandagliata scrupolosamente nel visuale e in fotografia, non mostrava la benché minima traccia di essa. Fu solo con lo sviluppo della radioastronomia che, nel 1952 all’osservatori di Jordell Bank (UK) venne rilevata per la prima volta un’intensa emissione radio alla frequenza di 158.5 MHz proprio nella posizione indicata da Tycho. Questa venne inclusa nel secondo catalogo di sorgenti radio compilato a Cambridge con la sigla 2C34 e successivamente, nel 1959, nella terza edizione dello stesso come 3C10, sigla con la quale è oggi più comunemente nota; un’altra denominazione è Cassiopea B, in riferimento a quella che è la più intensa sorgente radio del cielo per frequenze superiori a 1GHz, guarda caso un altro resto di una supernova esplosa nel XVII secolo, presente nella stessa costellazione e noto come Cassiopea A. Per la prima volta, il resto della supernova di Tycho si rendeva visibile, seppure nelle onde radio, prodotte da elettroni energetici che spiraleggiano nel campo magnetico intrappolati nell’apparato nebulare che denotava estremamente nitidi e contrastati: essi infatti segnano il fronte d’urto dove il materiale gassoso in espansione entra a contatto con il mezzo interstellare, aumentando di densità.

Passò ancora un altro decennio prima che nelle lastre fotografiche riprese a Monte Palomar comparissero le tracce debolissime tracce, discontinue ed appena percettibili, del residuo nebulare; la controparte visuale della sorgente radio era stata finalmente rilevata anche nel visuale. La prima immagine di un certo dettaglio ripresa nell’ottico fu catturata appena nel 1980, nuovamente al telescopio Hale di Monte Palomar, quello da cinque metri di diametro; le tecniche di ripresa dell’epoca non erano certamente innovative come quelle odierne, tanto che pur con due ore di posa gli anelli di gas apparirono ancora estremamente tenui. I resti di supernova giovani assumono solitamente forme circolari che col tempo si espandono, diventando sempre più vasti e deboli; tenendo conto che quello di Tycho ha solo 442 anni – in termini temporali astronomici, è senz’altro giovane – è senz’altro strano come esso appaia estremamente debole alle lunghezze d’onda ottiche.

Eppure, e questo può sembrare davvero incredibile, nonostante il tempo trascorso dall’esplosione la maggior parte dei suoi gas risultano ancora caldissimi per mettere luce visibile; infatti, con temperature dell’ordine dei 40 milioni di Kelvin, essi splendono intensamente nei raggi X, facendo di tale residuo una delle più potenti sorgenti X presenti nella volta celeste! A riprendere per la prima volta la struttura nebulare in questa banda spettrale fu negli anni ’70 del secolo scorso il satellite UHURU, che riuscì ad identificare una sorgente X nella stessa posizione del residuo della supernova ticonica. Non se ne conosce il motivo, ma essa venne presto denominata Cepheus X-1: alquanto stranamente, perché pur essendo di dimensioni contenute e trovandosi lontana dal confine con la costellazione rappresentante il re d’Etiopia e marito di Cassiopea; evidentemente, in fase di catalogazione, ci deve essere sicuramente stata qualche sorta di svista… In ogni caso, fu la High Resolution Image (una camera ad alta risoluzione) del satellite ROSAT, qualche anno più tardi, a riprendere finalmente una decente immagine X del resto nebulare, mostrandone per la prima volta l’intera struttura nella sua completezza e con dettagli mai visti prima: un anello di gas caldo dalla forma quasi circolare esteso per 8′, valore equivalente ad un quarto del diametro angolare della Luna piena, che appare più luminoso bordi in quanto li è presente uno strato maggiore di gas.

Successivamente, il telescopio spaziale Chandra riuscì ad ottenere immagini X dalla risoluzione ancor più straordinaria nelle quali erano presenti alcuni particolari mai osservati prima in altri oggetti simili: strisce radiali poste nella parte esterna dell’anello in espansione, quasi a contatto con suo bordo. Si ritiene che queste siano formate laddove le linee di forza del campo magnetico presente nel onda d’urto del residuo risultano più intricate rispetto alle aree circostanti; qui, elettroni dall’energia almeno 100 volte maggiore di quelle riproducibili al Large Hadron Collider gli elettroni si muoverebbero spiraleggiando proprio intorno tali linee di forza la cui reciproca distanza sarebbe in relazione proprio all’energia del loro moto ricurvo. Il tutto non è certamente di poco conto, visto che tali tracce spiegherebbero una delle modalità con cui si formano i raggi cosmici, quelle particelle ad alta energia che bombardano la Terra provenendo dallo spazio profondo.

Il resto di supernova di Tycho è molto oscuro e non emette a tutte le lunghezze d’onda; considerando la nebulosa del Granchio, probabilmente il più famoso e meglio studiato oggetto di questa categoria, la differenza è ancora più sostanziale poiché la nebulosa prodotta dalla supernova comparsa nel 1054 emette radiazione anche nella parte centrale! Laddove la pulsar del Granchio rifornisce di energia la luce di sincrotrone, ben visibile con il suo colore verde-azzurrino, al centro del resto di supernova di Tycho non c’è alcuna sorgente di radiazione: un’eventuale stella di neutroni sarebbe sufficientemente brillante da essere vista come un punto luminoso nelle immagini X, anche nel caso il suo fascio di radiazione mancasse completamente la Terra ma nessuno oggetto di questo tipo è li presente. Questo resto di supernova ha infatti come sua unica fonte di energia la velocità impressa agli elettroni e ad altre particelle al momento dell’esplosione della supernova stessa.

Ad ogni modo, conoscendo la magnitudine apparente raggiunta da questa supernova, -4 stando ai dati riferiti da Tycho, e spendo che la luminosità intrinseca massima di questi oggetti è ben nota – attorno alla -17 per quelle di tipo II e -19,2 per le Ia – allora è facile dedurre la distanza del resto nebulare. Tenendo conto che lungo quella visuale è presente una grande quantità di polvere interstellare che ne assorbe la luce, di certo non rende facile il calcolo; infatti, per quanto il gas e il pulviscolo presenti nella Via Lattea possano essere rarefatti, allorché la luce percorre distanze dell’ordine di migliaia di anni-luce, il loro effetto si fa sentire sulla luce degli oggetti che ne giacciono dietro. Proprio nel caso delle supernovae extragalattiche, tale effetto influisce a tal punto da renderle a volte più deboli di quanto apparirebbero in assenza di assorbimento interstellare, risultando quindi più lontane. In ogni caso, una volta stabilita l’entità dell’assorbimento per il resto della supernova tychonica (procedimento che qui non stiamo a spiegare) e fatta questa correzione per l’assorbimento interstellare, la distanza della nebulosa in questione risulta essere compresa tra gli 8500 e i 9000 anni-luce; quindi, poiché la nebulosa appare estesa per circa otto primi, nei quattro secoli trascorsi dell’esplosione questo anello gassoso si è realmente esteso fino a raggiungere un diametro di circa una trentina di anni-luce. Vien da se che, anche ammettendo una velocità di espansione costante, ciò implica che la materia è stata proiettata nello spazio circostante con velocità di diverse migliaia di chilometri al secondo nello spazio interstellare!

PROVE ED INCERTEZZE FUTURE

Cosa abbiamo imparato, quindi, da questa supernova che illuminò i cieli a cavallo tra il 1572 e il 1573 sulla quale, fortunatamente, Tycho concentrò il suo interesse? Di certo, il fatto che nella sua posizione non sia stata scoperta alcuna stella di neutroni ma solo nebulosità è indice che essa fu molto probabilmente una supernova di tipo Ia, sviluppata quindi da una nana bianca che è andata totalmente distrutta. Alla fine del 2004, su Nature venne pubblicata una notizia relativa alla scoperta di una stella di tipo spettrale G2, simile al nostro Sole per temperatura ma già evoluta in una subgigante gialla; da subito, questa venne ritenuta essere l’ex stella compagna della nana bianca, quella che la alimentò di gas e massa portandola alla fine in frantumi. Alcuni studi compiuti su questa stella, che venne nominata Tycho G, riportarono che, con ogni probabilità, parte della massa venne letteralmente strappata via dalla violentissima esplosione della compagna, quasi una sorta di lacerazione cosmica. Non solo: la velocità spaziale di questa stella, prossima ai 136 km/s, è talmente elevata rispetto alla media delle velocità di altre stelle presenti nel suo vicinato che tale dato è inteso come prova più evidente del fatto che essa sia stata a tutti gli effetti legata in passato ad una compagna: partendo letteralmente “per la tangente” nel momento in cui la nana bianca cessò di esistere, essa intraprese un viaggio solitario ad alta velocità nel cosmo, proiettandosi lontana dal centro geometrico del resto nebulare.

Certamente, Tycho e il suo allievo Keplero ebbero una grande fortuna: quella di assistere alla comparsa di due supernovae nell’arco di soli 32 anni! Eppure, dopo quella di Keplero, nulla di simile è più stato visto.

Di certo, le nubi di polveri galattiche possono anche filtrare in maniera preponderante la luce di una supernova che dovesse presentarsi nella Via Lattea; senza contare che dalla nostra posizione, interna al disco e nei pressi dell’equatore galattico, non ci è permesso di vedere tutta la Via Lattea nella sua estensione ma solo la parte a noi più vicina; area nella quale, stando sempre alle statistiche, una supernova dovrebbe apparire mediamente ogni 250 anni circa. Una di queste, tra l’altro, dovette manifestarsi attorno al 1670 ma, anche in questo caso, nessuno notò nulla.

D’altra parte, non è possibile prevedere quale stella, o quando, esploderà come supernova, pur sapendo che tale sarà il suo destino in futuro. Sarà forse qualche supergigante come Eta Carinae, Betelgeuse o VY Canis Majoris? O forse IK Pegasi, un sistema binario stretto in cui è presente una massiccia nana bianca, distante – badate – solo 150 anni-luce, classificata come la stella a noi più vicina destinata ad esplodere in una supernova come quella di Tycho? Non lo sappiamo.

Sull’argomento abbiamo pubblicato anche:

Ceres, la prima immagine a 13600 km dalla superficie

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Questa immagine è un fotogramma del filmato realizzato da Dawn a Cerere il 4 Maggio 2015, dall’orbita RC3, da una distanza di 13600 Km dalla superficie del pianeta nano. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Questa immagine è un fotogramma del filmato realizzato da Dawn a Cerere il 4 Maggio 2015, dall’orbita RC3, da una distanza di 13600 Km dalla superficie del pianeta nano. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

E’ andato tutto per il meglio: il 23 aprile, Dawn è entrato nella prima orbita scientifica intorno al pianeta nano Cerere e, una volta spenti i motori e effetuate le ultime operazioni di assetto, ha iniziato a raccogliere dati e immagini da una distanza di poco superiore ai 13.000 km. Una delle prime immagini catturate è stata pubblicata oggi ed è il magnifico primo piano qui a fianco. L’immagine è un fotogramma estratto da un filmato realizzato da Dawn il 4 maggio, da una distanza di appena 13.600 km e che verrà distribuito, sicuramente con grande clamore, dalla prossima settimana. Con l’inizio delle operazioni scientifiche, la NASA annuncia infatti di voler pubblicare le immagini del pianeta nano che arriveranno nelle prossime settimane, distribuendole online quasi in tempo reale.

Ed è chiaro, per tutti gli appassionati di spazio, che è proprio questo il momento in cui inzia il vero divertimento (vedi maggiori dettagli sulle orbite in questo articolo): l’altitudine dell’orbita RC3 è stata scelta per fare in modo che in questa prima campagna di osservazione, il disco completo di Cerere fosse  interamente visibile nel campo di vista della camera, permettendo di realizzare dei ritratti completi dell’oggetto. In questa prima orbita scientifica, la risoluzione raggiungibile dalla camera sarà di 1300 metri per pixel, cioè 3.4 superiore a quella della orbita precedente RC2 e ben 24 volte la risoluzione delle immagini scattate dal telescopio Hubble. Per fare un paragone, in questa fase il pianeta nano verrà visualizzato dalla camera con le dimensioni di un pallone da calcio osservato dalla distanza di 3 metri. Le immagini scattate nelle orbite successive, piu vicine alla superficie, daranno si la possibilità agli strumenti di scrutare Cerere con una risoluzione maggiore (fino a 850 volte qualla di Hubble, nell’ultima orbita HAMO) ma permetteranno loro di inquadrare solo una parte del pianeta nano, perdendo la completezza dei magnifici ritratti d’insieme che ci aspettano nelle prossime settimane.

Ma NASA non si limita a diffondere immagini e filmati per festeggiare l’ingresso in RC3. Dopo aver trattenuto il fiato per così tanto tempo, il team della missione vuole celebrare in grande stile la prima volta in cui una sonda spaziale entra in orbita intorno a due diversi target scientifici. Per questo, organizza I C Ceres, un festival in onore del pianeta nano appena scoperto e sabato 9 maggio, apre le porte del famoso Caltech, il California Institute of Technology in Pasadena, al pubblico con visite guidate, conferenze, dirette televisive. I C Ceres è anche un evento diffuso e dilatato nel tempo, in cui i festeggiamenti per Cerere si susseguiranno a partire da questa giornata di inaugurazione per i prossimi mesi a seguire,  in diversi paesi del mondo (tra cui l’Italia, vedi qui la lista).
Per l’inaugurazione del 9 Maggio, il pubblico italiano può seguire online le dirette organizzate dal Caltech a partire dalle 21:30. Oltre a conferenze esplicative su Dawn e sulle ultime scoperte sui corpi minori del sistema solare, comete, asteroidi e pianeti nani, la diretta comprenderà una tavola rotonda a cui sarà possibile porre i propri quesiti in diretta ai membri del team della missione.

  • Per seguire la diretta (Sabato 09 Maggio dalle 21:30): Link
  • Per saperne di più su I C Ceres e vedere una lista degli eventi: Link

CORSO BASE di ASTRONOMIA

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14.05: “Qualcosa sulla Luna”.

info: www.astropolaris.it

Venere in congiunzione con Mebsuta

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La poca varietà di fenomeni celesti di questo mese, consente di riassumerli quasi tutti in questa illustrazione. Sarà infatti Venere a dr vita alle congiunzioni più interessanti del periodo. In basso l'immagine relativa alla prima congiunzione del 16 maggio. N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del disco lunare, in questa e nelle prossime illustrazioni, è due/tre volte superiore alla giusta scala d'immagine.

Il primo fenomeno di un certo interesse, se non altro per la curiosità che sempre desta nell’osservatore occasionale lo scorgere un puntino luminoso nei pressi di un grande corpo celeste, sarà in maggio la congiunzione tra Venere e Mebsuta (e Gem) che avrà luogo la sera del 16.

Venere (mag. –4,3), sarà ovviamente brillantissimo e avvicinerà la stella (di mag. +3, circa 700 volte più debole del pianeta) da ovest, fino a una distanza osservabile di 47′.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di maggio

Associazione Cascinese Astrofili

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12.05, ore 21:30: “Campi Stellari” osservazione pubblica di Luna, pianeti e profondo cielo.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Oltre il limite – Viaggio ai confini della conoscenza – fino al 15 giugno

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Una mostra interattiva promossa dal Muse e dall’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), con la partecipazione dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e con la collaborazione dell’Università di Trento. La mostra viene inaugurata l’8 novembre ed è dedicata al tema del limite. Grazie ad exhibit interattivi, allestimenti, video ed esperienze multimediali i visitatori potranno avventurarsi alla scoperta dell’universo e dei suoi misteri. Tra i temi trattati, il big bang, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, le relazioni tra energia e materia, l’antimateria, i limiti della mente e della tecnologia scientifica e la natura del tempo.

museinfo@muse.it – www.muse.it

Comete – La Lovejoy incontra la Polare

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EFFEMERIDI

Più per la mancanza di rivali all’altezza, che per meriti propri, in maggio sarà ancora la C/2014 Q2 (Lovejoy) la cometa più luminosa dei nostri cieli. Del resto, continuando la sua corsa verso il Polo nord celeste, risulterà per tutto il mese circumpolare, e quindi comodamente osservabile per tutta la notte che, ahimè, a maggio diventerà sempre più corta. Il suo tragitto apparente inizierà a nord della costellazione di Cefeo per sefinire quasi a ridosso della Polare, mostrandosi con una magnitudine che dovrebbe variare dalla +8 alla +9,6; quindi alla portata, sotto cieli scuri, di buoni binocoli.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nella Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 71 di Coelum n.192

Asteroidi – HERCULINA e THIA grandi numeri in opposizione

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EFFEMERIDI

Questo mese abbiamo una pattuglia di oggetti abbastanza luminosi da seguire ma in particolare mi sento di consigliarvi le opposizioni di (532) Herculina e di (405) Thia.

Herculina è un pianetino di grandi dimensioni (222 km di diametro, uno dei 20 più massicci della Fascia principale), scoperto per via fotografica il 20 aprile 1904 da Max Wolf presso Heidelberg, ed è anche uno di quegli oggetti “fuori posto” nella cronologia delle scoperte; un gigante di mag. +9 sfuggito incredibilmente a tutte le ricerche degli anni del pionierismo, un po’ com’è successo per (511) Davida (326 km), trovato solo nel 1903 e (704) Interamnia (317 km) scoperto addirittura nel 1910. Herculina, il cui nome ha un’origine attualmente sconosciuta (gli fu tra l’altro assegnato dall’italiano Elia Millosevich, che ne aveva calcolato l’orbita), è un classico pianetino di Fascia che percorre la sua orbita in un periodo di 4,62 anni.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 66 di Coelum n.192

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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08.05: “Nuove frontiere nell’astrofisica delle alte energie: i telescopi Cherenkov” conferenza di Stefano Covino.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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08.05: “La scoperta dell’azione a distanza” di Pietro Planezio.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Pio & Bubble Boy – Coelum n.192 – 2015

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Pio e Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 192

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.192 – 2015. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

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