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Associazione Ligure Astrofili Polaris

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13.03: “L’insostenibile leggerezza dell’etere” di Pietro Planezio.

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Padova o Manchester? Ancora attesa per la scelta del quartier generale di SKA

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Mai come in questi giorni lo Square Kilometre Array è stato al centro di animati dibattiti tra Italia e Regno Unito: i due paesi membri del progetto per la costruzione del più grande network di radiotelescopi del mondo, infatti, si contendono l’assegnazione del quartier generale, ottenendo così anche un importante ruolo di leadership e di coordinamento politico e tecnico dell’operazione per i prossimi 50 anni.

La sfida è tra Padova e Manchester e la decisione finale era attesa per venerdì scorso, ma il Consiglio di Amministrazione ha rimandato il tutto di qualche settimana. Dopo aver valutato il report della Commissione internazionale che ha vagliato le due candidature, il CdA ha chiesto a entrambi i paesi candidati, infatti, di produrre della documentazione aggiuntiva, nonostante dallo stesso report si evinca chiaramente che Padova è risultata vincitrice, superando di gran lunga i parametri minimi richiesti.

«La scelta di Padova sembra aver spinto a considerare nuovi aspetti che inizialmente non erano stati ritenuti vincolanti e che ora appaiono fondamentali», ha detto Giovanni Bignamipresidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), presente – tra l’altro – durante la riunione di Manchester. «Siamo ancora in corsa, ovviamente, ma l’INAF valuterà, d’intesa con i ministeri, se rispondere alla richiesta di approfondimento».

La commissione internazionale interpellata da SKA è composta da Brian Boyle, Direttore dell’Australian Telescope Ska Facility Commonwealth scientific and industrial research organization – CSIRO; Patrizia Vogel, Netherlands organisation for scientific research NWO Coordinator Research Institute at NWO; Laura Comendador ESO –  European Southern Observatory, Head of Cabinet, Legal and international affairs; Bernie Fanaroff, Director of Ska South Africa, con alle spalle numerosi incarichi governativi durante il periodo Mandela. E sono questi gli esperti che entro la metà di aprile riceveranno la relazione aggiuntiva richiesta dal CdA e che dovranno prendere una decisione entro il 20 dello stesso mese.

Il layout delle antenne nel deserto australiano. Crediti: SKA Organisation

Come ha anche scritto dal ministro per la Ricerca e l’Università Stefania Giannini, votare per Padova vorrebbe dire risparmiare su molti costi fissi che oggi gravano sulla SKA Organisation, e questo è stato ribadito anche nel report della commissione internazionale valutando i molteplici aspetti economici, oltre che scientifici (attualmente lo SKA Office si trova nell’Osservatorio Jordell Bank nel Regno Unito). La decisione di candidare Padova come sede del quartier generale della SKA Organisation è stata presa formalmente nei primi giorni dello scorso febbraio, ma da tempo ormai l’Italia, forte di una notevole tradizione nella radioastronomia, puntava ad affermare ancora di più il proprio ruolo di leader nell’ambito del progetto, che vede a fianco al nostro Paese altre 10 nazioni in tutto il mondo.

L’Italia con l’Istituto Nazionale di Astrofisica ha avanzato la sua candidatura anche perché il Parlamento italiano ha deciso prima di Natale di investire decine di milioni di euro in tre anni. A sostegno della candidatura il ministro Stefania Giannini aveva ricordato l’importante rete di centri, enti di ricerca e prestigiose università che operano sul nostro territorio, nonché le numerose presenze dell’Italia in iniziative di ricerca internazionali.

La sede proposta dall’Italia è stata l’intera area sud del Castello Carraresi, antico stabile vicino all’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova e che il comune veneto ha concesso gratuitamente in cambio della sua ristrutturazione.

La comunità scientifica internazionale e soprattutto quella italiana non ha dubbi sul fatto che SKA sia il futuro della radioastronomia e la partecipazione dell’Italia è importante per tutti gli sviluppi scientifici e tecnologici degli anni avvenire. Il coinvolgimento dell’INAF in SKA è stato pensato, sin dai primi anni, come un volano non solo scientifico, ma anche economico e industriale, visto l’ampio coinvolgimento delle industrie italiane nel settore della radioastronomia (con la produzione di ricevitori, pannelli e amplificatori) e questo può avere importanti ricadute per il nostro paese.

Il progetto porterà risultati a medio-lungo termine e per l’Italia è fondamentale rimanervi agganciati con un ruolo di leadership. Per adesso, però, rimane tutto in sospeso per quanto riguarda la scelta del quartier generale permanente, che dovrebbe in ogni caso essere operativo dalla fine del 2017.

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VERSO LA COSTRUZIONENonostante il blocco sul quartier generale, il Consiglio d’Amministrazione di SKA ha approvato all’unanimità il design finale della prima fase (SKA1), il progetto dello Square Kilometre Array sembra ormai sempre più vicino all’inizio della costruzione (2018) di quello che sarà il più grande network di radiotelescopi del mondo. La scorsa settimana il CdA, di cui fa parte anche l’Italia, si è riunito a Manchester per decidere come utilizzare i 650 milioni di eurodisponibili nella prima fase del progetto (la seconda fase dovrebbe iniziare nel 2023).

SKA-Mid in Africa. Crediti: SKA Organisation

Per riuscire a non sforare questo tetto di costi è stato necessario apportare dei tagli considerevoli ai diversi radiotelescopi che verranno costruiti in Sudafrica e in Australia. Considerevoli soprattutto per la parte australiana del progetto che vede bloccata, almeno per adesso, la costruzione dei nuovi dish (antenne a parabola) previsti per la SKA1-Survey (si tratta di 60 antenne). In Australia rimarranno, anche se tagliate della metà, le antenne a dipolo SKA1-Low e tutte le 36 antenne ASKAP. Il Sudafrica, invece, non ha subito ingenti tagli al progetto, visto che le antenne SKA1-Mid verranno comunque costruite (con un taglio del 30% rispetto al progetto iniziale) e a queste si uniranno le 64 antenne MeerKAT.

Tirando le somme, il Sudafrica ospiterà circa 200 dish e in Australia verranno posizionate più di 100 mila antenne a diopolo (simili a quelle della tv che abbiamo a casa).

Quello che sta succedendo in Australia e che ha portato al taglio dei fondi è soprattutto un’impasse politica al centro di ampio piano di deregolamentazione delle università australiane, che prevede l’aumento delle tasse per compensare il ridotto finanziamento pubblico. Si parla di una profonda crisi economica che – come era facile immaginare – sta colpendo (come molti altri paesi in tutto il mondo) grandi progetti di ricerca, non solo SKA.

E’ vero che i tagli ci sono stati , ma è altrettanto vero che adesso la costruzione del più ambizioso e importante progetto scientifico – non solo di radioastronomia – del 21° secolo diventa sempre più reale e vicina. «Sono rimasto impressionato dal forte sostegno da parte del Consiglio di Amministrazione e dallo slancio dimostrato per portare avanti il progetto», ha dichiarato il professor Philip Diamond, direttore generale della SKA Organisation. «SKA cambierà radicalmente la nostra conoscenza dell’Universo. Stiamo parlando di una struttura che sarà molte volte meglio di ogni altra cosa già costruita dall’uomo».

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Per saperne di più:

Circolo Culturale Astrofili Trieste APERITIVO CON LE STELLE

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12.03:: “Astronautica: una donna nello spazio” di Paolo Marra.

Al termine di ogni conferenza: breve introduzione alle costellazioni e al cielo del mese con l’ausilio di un piccolo planetario. Ingresso libero con consumazione obbligatoria. Info: aperitivoconlestelle@ libero.it (Laura Pulvirenti, coordinatrice evento). Per gli astrofili che volessero pernottare sono disponibili tariffe scontate, scrivere a:
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Marte raggiunge Urano

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L’11 marzo sarà la volta di Marte ad arrivare nei pressi di Urano. In questo caso la congiunzione sarà più larga, con una separazione che verso le 19:00 sarà di 16′, ma anche qui l’esame storico ci dice che l’ultima congiunzione più stretta di questa tra Marte e Urano si è verificata addirittura il 6 agosto 1947! I due pianeti saranno alti +13° sull’orizzonte ovest e la differenza di luminosità, non così drammatica (Marte circa 900 volte più brillante di Urano), unita alla buona separazione, consentiranno di osservare la coppia anche con un normale binocolo.

CORSO di ASTRONOMIA …e le stelle stanno a guardare

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11.03: Visita alla Specola Astronomica Chiavacci di Crespano.
info:www.astrofilibassano.it.

La scomparsa dell’acqua su Marte

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Una raffigurazione artistica, basata su dati geologici, di come doveva apparire un tempo Marte e i suoi oceani.

Una serie di mappe della distribuzione atmosferica dell’acqua marziana, realizzate con alcuni tra i maggiori telescopi terrestri da un gruppo di ricercatori della NASA guidati da Geronimo Villanueva, ha permesso di determinare che su Marte esisteva un oceano primitivo caratterizzato da un volume d’acqua di almeno 20 milioni di chilometri cubi, superiore rispetto a quello dell’Oceano Artico qui sulla Terra, e che poi nel corso del tempo l’87% è finito nello spazio.

Da giovane, il pianeta avrebbe avuto abbastanza acqua da coprire l’intera superficie formando uno strato liquido profondo circa 137 metri. Non solo, ma l’acqua avrebbe inoltre formato un oceano occupando quasi metà dell’emisfero nord e raggiungendo in alcune regioni delle profondità maggiori di qualche chilometro.

«Il nostro studio fornisce una stima solida di quello che era il contenuto d’acqua su Marte», spiega Villanova, autore principale dell’articolo pubblicato su Science. «Questo lavoro permette di comprendere meglio la storia evolutiva dell’acqua sul pianeta rosso».

Le osservazioni condotte dai ricercatori si basano su una serie di misure dettagliate di due composti leggermente differenti dell’acqua presente nell’atmosfera marziana: uno è quello a noi familiare, cioè l’H2O, mentre l’altro è una forma isotopica (HDO, acqua pesante), in cui un atomo di idrogeno viene sostituito dalla versione più pesante chiamata deuterio. Per far questo, gli scienziati hanno raccolto i dati durante un periodo di sette anni, dal 2008 al 2014, utilizzando gli spettrometri ad alta risoluzione, quali CRIRESNIRSPECCSHELL che sono installati rispettivamente presso il Very Large Telescope (VLT), il telescopio Keck e l’InfraRed Telescope Facility (IRTF). Confrontando il rapporto HDO/H2O, gli scienziati sono stati in grado di determinarne la concentrazione e perciò di stimare quanta acqua è andata persa nello spazio nel corso della vita del pianeta.

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La figura illustra le mappe HDO e H2O e il loro rapporto D/H per 4 stagioni marziane. Le mappe D/H (pannello superiore) sono state ottenute suddividendo le abbondanze di HDO e H2O derivate dalle mappe delle singole specie (pannello inferiore) e sono presentate relativamente al valore di D/H degli oceani terrestri (VSMOW). Credit: Science/Villanueva et al. 2015

Le mappe della distribuzione atmosferica dell’acqua marziana, che sono le prime di questo tipo, mostrano come varia il contenuto dell’acqua ordinaria e della sua controparte isotopica in funzione della stagione e della regione marziana, nonostante oggi il pianeta rosso sia sostanzialmente un deserto e un ambiente ostile. In particolare, i ricercatori si sono interessati alle regioni in prossimità dei poli poichè le calotte polari di ghiaccio costituiscono i principali depositi d’acqua noti. Si ritiene, infatti, che le calotte polari rappresentino una sorta di archivio storico dell’acqua marziana a partire da 4,5 – 3,6 miliardi di anni fa, quando dovevano essere presenti copiosi bacini d’acqua sotterranei.

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Il risultato più importante che emerge da questo studio è che le nuove mappe rivelano una notevole concentrazione di deuterio rispetto ai valori medi su scala globale le cui osservazioni indicavano dei rapporti tra l’acqua pesante e quella ordinaria D/H pari a 5-6, così come definito secondo gli standard VSMOW (Vienna Standard Mean Ocean Water). Infatti, i ricercatori hanno trovato dei valori di D/H più elevati in prossimità delle regioni polari, anche 7 volte superiori rispetto agli oceani terrestri. In altre parole, i risultati suggeriscono che circa 4,5 miliardi di anni fa Marte possedeva abbastanza acqua tale da coprire almeno il 20% della sua superficie (per confronto l’Oceano Atlantico occupa il 17% della superficie terrestre). Ciò implica che il pianeta – per giustificare un rapporto D/H così elevato – abbia perso un volume d’acqua 6,5 volte maggiore di quello presente attualmente nelle calotte polari.

Inoltre, anche le grandi variazioni dell’inclinazione dell’asse subite da Marte ad intervalli di milioni di anni avrebbero causato la vaporizzazione e la successiva formazione dei principali depositi di ghiaccio, un processo che, secondo gli autori, avrebbe rimescolato l’acqua da diversi bacini ad intervalli regolari. Se ciò fosse vero, quasi tutti i bacini d’acqua superficiali e polari dovrebbero avere un rapporto D/H abbastanza simile. Ma poiché vengono osservati dei valori ancora più elevati (fino a 9-10) in alcune regioni, questo rimescolamento dell’acqua potrebbe suggerire che gli attuali depositi d’acqua su Marte contengano un rapporto ancora più elevato di quanto ipotizzato, un processo che potrebbe implicare una stima maggiore della perdita di acqua nel corso della vita del pianeta.

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La figura illustra la concentrazione isotopica come evidenza della perdita globale di acqua su Marte. La quantità d’acqua iniziale era maggiore di quella attuale di almeno un fattore 6,5. Inoltre, il contenuto dell’acqua presente 4,5 miliardi di anni fa era tale da coprire il 20% della superficie del pianeta rosso. Credit: Science/Villanueva et al. 2015

Dunque, le mappe D/H evidenziano l’importanza delle misure isotopiche relative al pianeta rosso anche perchè sono state ottenute in modo tale da separare gli effetti climatologici da quelli evoluzionistici (sia in termini spaziali che temporali). Questo studio permette non solo di stimare in maniera più accurata l’attuale rapporto D/H dei bacini d’acqua su Marte ma anche di migliorare la stima della quantità d’acqua che è andata persa su tempi scala geologici e di quella “mancante” che potrebbe risiedere nei depositi ancora da esplorare. Infatti, per tener conto dei depositi d’acqua, i ricercatori hanno proposto diverse soluzioni: esse vanno dai depositi polari stratificati, alle regoliti ricche di ghiaccio presenti a latitudini intermedie, dai bacini superficiali presenti a latitudini più elevate ai depositi di acqua sotterranea, così come è stato desunto dalle osservazioni satellitari.

«Il fatto che Marte abbia perso tanta acqua indica che il pianeta ha ospitato per lunghi periodi condizioni favorevoli per lo sviluppo della vita», aggiunge Michael Mumma della NASA e co-autore dello studio. Insomma, è possibile che il pianeta rosso abbia avuto ancora più acqua nel passato e che parte di essa sia successivamente finita sotto la superficie.

Dato che queste nuove mappe rivelano la presenza di una serie di microclimi e variazioni nel contenuto atmosferico dell’acqua nel corso del tempo, potrebbero fornire uno strumento di indagine utile per identificare potenziali bacini d’acqua nella superficie marziana. Infine, stime più realistiche della distribuzione dei composti dell’acqua riferiti ad epoche attuali e più antiche potrebbero essere realizzate, ad esempio, dalla missione MAVEN della NASA in modo da definire meglio il contenuto d’acqua di Marte sia di oggi che del passato.

Al Planetario di Ravenna

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10.03: “Donne Astronaute: da Valentina Tereskova a Samantha Cristoforetti” di Sara Ciet.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Einstein, vedo quattro supernovae!

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Le quattro immagini della supernova create dalla luce distorta dall'effetto di lente gravitazionale e disposte ai quattro vertici di quella che viene definita "croce di Einstein", proprio perché l'effetto era stato predetto dalla Teoria della Relatività Generale formulata da Albert Einstein giusto un secolo fa. Serendipity o abiltà? Lo saprete leggendo l'articolo in un prossimo numero di Coelum.... La supernova è stata notata nelle immagini dell'11 novembre 2014, ma l'immagine finale qui sopra è il risultato della composizione di tre mesi di osservazioni dell'HST in luce visibile, con la Advanced Camera for Surveys, e nel vicino infrarosso, con la Wide Field Camera 3. Crediti: NASA, ESA, S. Rodney (JHU) e il FrontierSN team; T. Treu (UCLA), P. Kelly (UC Berkeley), e il GLASS team; J. Lotz (STScI) e il Frontier Fields team; M. Postman (STScI) e il CLASH team; Z. Levay (STScI).

E’ la prima immagine multipla di una lontana supernova, distante oltre nove miliardi di anni luce da noi. Una sorta di ‘miraggio cosmico’ prodotto da una galassia ellittica, e dall’ammasso di galassie in cui si trova, attraverso l’effetto di lente gravitazionale, che ha concentrato e replicato in quattro zone del cielo – vicine ma distinte – la luce della supernova. Un fenomeno prodotto da un oggetto celeste di grande massa quando si trova lungo la linea di vista tra una sorgente luminosa e l’osservatore, predetto dalla Teoria della Relatività Generale formulata da Albert Einstein giusto un secolo fa.

L’inedita scoperta è stata ottenuta grazie alle osservazioni del telescopio spaziale Hubble della NASA e dell’ESA da un team internazionale di astronomi guidato da Patrick Kelly, dell’Università della California a Berkeley, e a cui hanno partecipato Tommaso Treu, ricercatore italiano dell’Università della California a Los Angeles e Adriano Fontana, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma.

L’immagine multipla della supernova è stata scoperta l’11 novembre 2014 dai ricercatori della collaborazione GLASS nel campo di vista dell’ammasso di galassie ripreso da Hubble e denominato MACS J1149, che si trova più di cinque miliardi di anni luce da noi.

Queste quattro immagini della supernova sono destinate ad affievolirsi a breve. Ma gli astronomi sono convinti che presto, ovvero nell’arco di appena qualche anno, ricomparirà nell’ammasso, in una posizione differente. Una previsione basata su modelli teorici elaborati al computer che descrivono le varie traiettorie che la luce della supernova sta percorrendo nei meandri dell’ammasso galattico.

Benedetta Lovejoy…

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cartina lovejoy
La cartina mostra il percorso apparente della C/2014 Q2 Lovejoy in marzo. La cometa attraverserà la costellazione circumpolare di Cassiopea, restando osservabile tutta la notte. L’ora migliore per riprenderla abbastanza alta sarà quella delle 20:00, quando a metà mese l’oggetto sarà alto circa +36° sull’orizzonte nordovest.

EFFEMERIDI

Anche per tutto il mese di marzo la regina dei nostri cieli sarà la C/2014 Q2 Lovejoy che – seppure passando dalla sesta all’ottava magnitudine (almeno, queste sono le previsioni) – continuerà ad essere la cometa più cercata e fotografata anche grazie al fatto che perdurerà la sua condizione di oggetto circumpolare, e dunque osservabile per tutta la notte. In febbraio la Lovejoy ha mostrato di essere ancora molto viva, esibendo specialmente nella coda (lunga fino a 5°, ma ricordiamo che in qualche immagine presa in gennaio – vedi sotto – si registrarono lunghezze fino a 16°!) interessanti variazioni di aspetto e importanti disconnessioni. Per cui, la speranza che anche a marzo la Lovejoy sia una cometa interessante da osservare o fotografare sembra essere ben motivata.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nella Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 71 di Coelum n.190

Venerdì dell’Universo – Incontri e seminari su Astronomia, Fisica e Scienze – 2015

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06.03: “UniFe nello spazio: il sistema cardiovascolarein mircogravità e la Missione Futura” di P. ZAMBONI e S. PIGNATARO.

organizzazione e info: Organizzati da: Dip. di Fisica e Scienze della Terra Università di Ferrara, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), Gruppo Astrofili Ferraresi “Columbia“ e Coop. Sociale Camelot.

Informazioni: Tel. 0532/97.42.11 – venerdiuniverso@fe.infn.it www.fe.infn.it – www.unife.it/dipartimento/fisica

Associazione Astrofili Centesi

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06.03: “Il mistero dei Buchi Neri”. Al telescopio: Il pianeta Giove, la stella Regolo nel Leone e l’ammasso stellare M44 nella costellazione del Cancro.

Per info: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Associazione Cascinese Astrofili

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08.03: “Omaggio stellato alle donne”. Osservazione al telescopio e orientamento fra le costellazioni invernali. In caso di maltempo: “Le 13 costellazioni zodiacali”.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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06.03: Le cosmicomiche: pillole di astronomia con le vignette di Ennio Monti” con Loris Lazzati ed Ennio Monti.

Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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06.03: “Un Capodanno a veder l’Aurora” di Anna Bigatti.

Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Circolo Culturale Astrofili Trieste APERITIVO CON LE STELLE

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06.03: “Contatto con il cosmo” di Stefano Schirinzi.

Al termine di ogni conferenza: breve introduzione alle costellazioni e al cielo del mese con l’ausilio di un piccolo planetario. Ingresso libero con consumazione obbligatoria. Info: aperitivoconlestelle@ libero.it (Laura Pulvirenti, coordinatrice evento). Per gli astrofili che volessero pernottare sono disponibili tariffe scontate, scrivere a:
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Al Planetario di Ravenna

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08.03: ore 16:30: “Un cielo tutto rosa” di Sara Ciet (conferenza adatta a bambini a partire da 8 anni).

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Pio & Bubble Boy – Coelum n.190 – 2015

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Pio e Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 190

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.190 – 2015. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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06.03: “Primavera-Estate” di Anna Bigatti.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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06.03: Conferenza (a seguire osservazione degli oggetti del cielo con i telescopi del gruppo): “Le cosmicomiche: pillole di astronomia con le vignette di Ennio Monti” con Loris Lazzati ed Ennio Monti.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Venerdì dell’Universo 2015 – Incontri e seminari su Astronomia, Fisica e Scienze

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06.03: “UniFe nello spazio: il sistema cardiovascolarein mircogravità e la Missione Futura” di P. ZAMBONI e S. PIGNATARO.
Per informazioni: Tel. 0532/97.42.11
E-mail: venerdiuniverso@fe.infn.it
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Questo titolo ha 25 caratteri – approfondimenti sul quesito e soluzione

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MoebiusAutosimilarità

Nell’articolo di Moebius del numero 186 di Coelum ho parlato di autosimilarità, o, se preferite, di autosomiglianza: il fenomeno che si verifica quando un oggetto è simile a una sua parte. Prendete la copertina di Ummagumma, celebre doppio album dei Pink Floyd uscito nel 1969: in primo piano si vede il chitarrista David Gilmour, seduto, mentre gli altri tre componenti del gruppo sono dietro di lui, ognuno in un punto specifico. Appesa al muro si nota una fotografia incorniciata, che riproduce in versione rimpicciolita la scena complessiva, con i quattro musicisti negli stessi posti, ma “ruotati” di una posizione rispetto al primo livello.

Anche nell’immagine appesa si osserva una fotografia, che di nuovo ripropone la solita scena globale, qui ancora più piccola e con l’unica differenza della ulteriore rotazione delle posizioni delle persone. E così via, fino ad arrivare al quarto livello nella prima edizione del disco, o addirittura virtualmente all’infinito nelle edizioni più recenti.

Quando vidi per la prima volta questa copertina, ne rimasi talmente affascinato che, qualche anno dopo, scrissi sull’argomento un articolo: questo post è tuttora il più letto di sempre del mio blog, e ha rappresentato l’embrione del mio e-book La matematica dei Pink Floyd, pubblicato nel gennaio 2014 dalla casa editrice 40K.

La copertina di Ummagumma è un ottimo esempio di immagine autosimile, ma non è certo l’unico. Un’altra famosa raffigurazione autosimile è quella della confezione di primo Novecento del cacao Droste, in cui una donna regge un mano un vassoio sul quale si trova una confezione identica, e così via all’infinito. Il caso del cacao olandese ha fornito anche un nome alternativo al fenomeno dell’autosimilarità: “effetto Droste”.

Esempi, per così dire, più matematici, sono offerti dagli oggetti dalla geometria frattale. Le linee costiere sono autosimili perché mostrano strutture molto simili se osservate a diverse scale d’ingrandimento: come dire che le curve dei litorali che troviamo su una carta geografica dell’Europa assomigliano molto alla linea di separazione tra l’acqua e la terraferma che possiamo osservare passeggiando d’estate sul bagnasciuga. Gli oggetti che presentano questa caratteristica si dicono frattali: in natura si trovano molti esempi, tra cui le nuvole, gli alberi, il profilo delle montagne, i cristalli di ghiaccio, certe foglie e fiori, alcuni ortaggi, come il broccolo romanesco. La geometria frattale ha rappresentato la frontiera più affascinante della geometria del Novecento, e uno dei suoi pionieri più importanti è stato il matematico polacco Benoit Mandelbrot.

Anche nell’arte figurativa si possono trovare esempi di opere autosimili: nel polittico Stefaneschi di Giotto, infatti, si osserva (nella figura qui a destra) il committente dell’opera che regge in mano un modellino del polittico stesso.

Ricorsione

La ricorsione, o ricorsività, è un po’ la formulazione matematica e informatica del fenomeno dell’autosimilarità. Nell’articolo di Moebius ho citato il fattoriale come esempio di funzione ricorsiva. Nell’informatica teorica la teoria delle funzioni ricorsive rappresenta un ambito di studio di grande importanza, anche perché si dimostra che le funzioni che in un qualche senso intuitivo possono essere considerate “calcolabili” lo sono sulla base di procedimenti ricorsivi.

D’altra parte le procedure ricorsive non sono bizzarrie da accademici dell’informatica teorica, ma algoritmi presenti in moltissimi programmi di utilizzo comune: per esempio, quando sul vostro smartphone scorrete la rubrica dei vostri contatti, dietro le quinte ha agito molto probabilmente un algoritmo ricorsivo che ha ordinato alfabeticamente la lista di nomi.

Nell’articolo di Moebius citavo la canzone Abate cruento di Elio e le Storie Tese, che parla di un “sogno strutturato a matrioska”.

Questa notte ho fatto un sogno strutturato a matrioska:
io sognavo di sognare che un abate un po’ cruento
dopo avermi esaminato mi ordinava di svegliarmi.
Io ubbidiente gli ubbidivo, cioè sognavo di svegliarmi
e me lo ritrovavo accanto con quel fare suo cruento,
lui che mi riesaminava, io che gli chiedevo affranto:
“Dimmi, abate, perché insisti nell’esaminarmi attento?
Ho commesso forse un atto che fu inviso all’abbazia?”
Egli, colto alla sprovvista, non sapendo fare meglio,
mi ordinò seduta stante di procedere a un risveglio.

Non deve stupire che Stefano Belisari, in arte Elio, si serva della ricorsione come materiale per il testo di un brano pop: l’autore della canzone è infatti laureato in ingegneria elettronica, e sicuramente gli algoritmi ricorsivi devono avere occupato a lungo i pensieri di Elio durante i suoi studi. La procedura “sogno” viene qui invocata due volte: la prima volta dal “programma” principale, e la seconda dalla procedura stessa, in modo ricorsivo. In entrambi i casi l’esecuzione della procedura viene interrotta dall’intervento dell’abate cruento, che ordina al sognatore di risvegliarsi. Alla seconda uscita il protagonista viene quindi riportato allo stato normale di veglia.

Autoreferenza

Quando l’autosimilarità riguarda frasi anziché oggetti, ecco che facciamo meglio a parlare di autoreferenza, o autoreferenzialità. Una frase autoreferente è una frase che parla di se stessa.

I filosofi parlano di autoreferenza per indicare il processo attraverso il quale l’individuo diventa in grado di riferirsi a se stesso usando il pronome io.

L’uroboro, il drago immaginario illustrato in figura qui a destra, è un simbolo dell’autoreferenza perché è sempre raffigurato mentre morde la propria coda. Qualcosa di simile alle Mani che disegnano del grafico olandese Maurits Cornelis Escher, celebre per le sue geometrie impossibili e per i suoi disegni vertiginosi (immagine in alto in apertura di articolo).

Il bellissimo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino ha un geniale incipit autoreferenziale, in cui il libro cita se stesso:

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto…

Anche le Mille e una notte, l’Amleto di Shakespeare, il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, nascondono in sé elementi di autoreferenzialità.

Occorre fare molta attenzione quando si maneggiano frasi autoreferenziali, perché si rischia facilmente di cadere nel paradosso.

Per esempio, una frase autoreferente come:

Questa frase è falsa

implica che la frase afferma appunto il falso, e quindi è vera: ma se è vera dobbiamo credere al suo assunto iniziale, e cioè al fatto che sia falsa, e così via. Continuiamo a oscillare tra la verità e la falsità della frase, senza poter decidere tra una e l’altra.

Questo famoso paradosso è noto come paradosso del mentitore. Il filosofo francese Jean Buridan, italianizzato in Giovanni Buridano, formulò una versione alternativa di questo paradosso, spezzando la frase in due affermazioni:

Socrate dice “Platone dice il falso”

Platone dice “Socrate dice il vero”

Se ipotizziamo che Socrate sia sincero, allora dobbiamo concludere che Platone mente; ma allora dobbiamo credere che Socrate non dice il vero. Questo è in contrasto con la nostra ipotesi iniziale: e di nuovo cadiamo in una catena infinito di contraddizioni.

Un’altra versione del paradosso del mentitore è rappresentato dalla frase

Tutti i cretesi sono bugiardi

che di per sé non è paradossale, ma lo diventa immediatamente se pronunciata da un cretese!

Il problema di novembre e la soluzione

L’enigma di novembre proponeva una frase autoreferenziale incompleta, e richiedeva di riempirne i buchi con cifre numeriche singole, mantenendo la coerenza logica della frase:

In questa frase, la cifra 0 è presente _ volta/e, la cifra 1 è presente _ volta/e, la cifra 2 è presente _ volta/e, la cifra 3 è presente _ volta/e, la cifra 4 è presente _ volta/e, la cifra 5 è presente _ volta/e, la cifra 6 è presente _ volta/e, la cifra 7 è presente _ volta/e, la cifra 8 è presente _ volta/e, e la cifra 9 è presente _ volta/e.

Ebbene, la soluzione prevedeva di riempire gli spazi vuoti rispettivamente con queste cifre:

1, 7, 3, 2, 1, 1, 1, 2, 1, 1. La frase diventa così la seguente:

In questa frase, la cifra 0 è presente 1 volta, la cifra 1 è presente 7 volte, la cifra 2 è presente 3 volte, la cifra 3 è presente 2 volte, la cifra 4 è presente 1 volta, la cifra 5 è presente 1 volta, la cifra 6 è presente 1 volta, la cifra 7 è presente 2 volte, la cifra 8 è presente 1 volta, e la cifra 9 è presente 1 volta.

Se controllate, la frase così sistemata è perfettamente coerente e veritiera.

I vincitori

La lettrice che per prima ha inviato la soluzione del problema è stata Patricia Lepri, che quindi ha vinto l’abbonamento semestrale.

Altri lettori che hanno inviato risposte corrette sono stati Andrea Alessandrini, Giovanni Casati, Francesco Mascherpa, Fabio Marioni, Franco Piani, Luca Baletti e Dario Broggi. I nostri più sentiti complimenti a tutti loro!

Avvicinamento di Venere a Urano

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Il 4 marzo si verificherà una congiunzione tra Venere e Urano che presenterà almeno due aspetti di grande interesse. Il primo è che si tratta di un avvicinamento che mai negli ultimi due secoli ha portato i due pianeti ad essere – almeno dall’Italia – prospetticamente così vicini. Il secondo è che si tratterà di una congiunzione non facile da cogliere visualmente per la grande differenza di luminosità dei due oggetti: Venere infatti sarà di mag. –4,0 e Urano di mag. +5,9:e come a dire, quasi 9000 volte più debole.

L’ora migliore per tentare l’osservazione sarà probabilmente quella delle 19:00, quando i due pianeti saranno alti +18° sull’orizzonte ovest e il cielo sarà già abbastanza scuro.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di marzo

18esima Mostra dell’Astronomia e dell’Astronautica – Santa Maria di Sala

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Dal 7 al 15 marzo 2015, presso Villa Farsetti di Santa Maria di Sala

Al via la 18^ Mostra dell’Astronomia e dell’Astronautica

Sabato 7 marzo l’inaugurazione con la Tavola Rotonda, ad opera dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), dedicata alla missione della sonda Rosetta. Per tutta la settimana la mostra sui segreti dell’universo, organizzata dal Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”.

Sabato 14 marzo l’eccezionale intervento dell’astronauta Umberto Guidoni.

“Sarà un evento di altissimo livello, segnato dalla partecipazione per il primo anno dell’Agenzia Spaziale Italiana, che presenterà nell’unica data Veneta del 2015 i risultati scientifici della missione della sonda Rosetta. Questa attenzione da parte dell’ASI è un riconoscimento implicito della serietà e dell’impegno che la nostra associazione sta applicando da anni nello studio dell’universo”.

Lo ha detto Tino Testolina, presidente del Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, presentando la sette giorni della “18^ Mostra dell’Astronomia e dell’Astronautica” dedicata ai segreti dell’universo, in programma dal 7 al 15 marzo 2015 nella splendida cornice di Villa Farsetti a Santa Maria di Sala.

La mostra sarà inaugurata sabato 7 marzo alle ore 16.00 con una Tavola Rotonda promossa dall’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) relativa ai risultati scientifici della missione della sonda Rosetta, alla quale parteciperanno sei scienziati di fama internazionale, moderati dal giornalista scientifico Paolo d’Angelo.

Da domenica 8 marzo a domenica 15 marzo la mostra entrerà nel vivo, offrendo al pubblico, nei due piani della settecentesca Villa Farsetti, mostre fotografiche sul cielo, sui pianeti e sulle costellazioni, simulazioni di missioni spaziali, modelli in movimento e rappresentazioni in scala dei sistemi planetari, esposizioni di strumenti di osservazione e meridiane, libri e documenti. In una sala dedicata sarà poi presente la mostra sulla missione Rosetta, come unica data veneta del 2015. Saranno inoltre presentate prove pratiche di fisica (esperimenti e giochi) per comprendere le leggi che stanno alla base dell’astronomia e dell’astronautica. Nel giardino esterno alla Villa, infine, si potranno trovare la ricostruzione del sistema solare in scala e un Planetario di 6 metri di diametro.

Sabato 14 marzo alle ore 16.00 sarà un’altra data da non dimenticare per gli appassionati di astronautica, con la presenza eccezionale di Umberto Guidoni, tra i più noti ed esperti astronauti italiani, che parlerà della propria esperienza spaziale con la trattazione “Viaggiando oltre il cielo”.

L’ingresso all’inaugurazione è gratuito e prevede una visita alle sale della mostra e un buffet.

Costo del biglietto intero durante la settimana: 8 euro

Ridotto per studenti e over 65: 5 euro

Ingresso gratuito per i bambini sotto i 9 anni

Per info e prenotazioni: cell. 340.345.0274
astrosalese@libero.it
www.astrosalese.it

La cometa all’ombra di Rosetta

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Crediti: ESA

Davvero molto suggestiva questa foto della superficie della cometa 67/P ripresa dalla sonda Rosetta durante il suo ultimo ravvicinatissimo flyby del 14 febbraio scorso. Da un'altezza di 6 km, la sonda è infatti riuscita a fotografare anche la propria ombra! Cliccare per ingrandire. Crediti: ESA

Se De Andrè cantava “all’ombra dell’ultimo sole”, OSIRIS ci canta “all’ombra di Rosetta“. Lo strumento di raccolta immagini montato sulla sonda dell’ ESA ha scattato questa bellissima immagine della cometa 67P / Churyumov-Gerasimenko durante il passaggio ravvicinato di Rosetta il 14 febbraio scorso. I dettagli catturati sono unici: è possibile vedere con precisione l’ombra della sonda europea (lanciata nel 2004 e arrivata nell’orbita della cometa nel 2014) circondata da una corona di luce sulla superficie dell’enorme oggetto spaziale mentre si avvicina al Sole.

In questo rendering grafico si vede la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Il riquadro rosso indica l’area fotografata da Rosetta durante l’ultimo flyby. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Con una risoluzione senza precedenti di 11 centimetri per pixel, questi dati della Narrow Angle Camera di OSIRIS (Optical, Spectroscopic, and Infrared Remote Imaging System) rivelano le strutture di 67P e, man mano che si avvicinano al Sole, la sonda e la cometa sono sempre più allineate. L’immagine mostra una zona di 228×228 metri vicino al bordo della parte centrale della cometa, al confine con la regione di Imhotep. La foto è stata scattata da una distanza di 6 chilometri dalla superficie della cometa.

L’ombra della sonda è quel “piccolo” (almeno nella foto) rettangolo di 20×50 metri quadrati in basso. Queste dimensioni sono determinate anche dalla penombra della navicella (che ovviamente non è così grande – 2 x 32 m), particolarmente pronunciata perché l’oggetto viene illuminato da più di una fonte di luce (si aggiunge anche la luce diffusa del Sole), che raggiunge l’oggetto da diverse direzioni creando sia un’ombra scura – dove l’oggetto blocca tutta la sorgente luminosa – sia una penombra dove, invece, solo una parte della sorgente luminosa è celata. In questo caso, l’effetto penombra aggiunge una ventina di metri in larghezza e in altezza al profilo di Rosetta.

Questo grafico illustra la differenza tra come viene generata un’ombra netta e precisa con una sorgente puntiforme (sinistra) e come nasce, invece, un’ombra più sfocata da una sorgente di luce diffusa (destra). Crediti: Spacecraft: ESA/ATG medialab. Comet background: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

In più, se guardate attentamente la foto, potete osservare quello che gli esperti chiamano effetto di opposizione (opposition surge): la regione attorno all’ombra di Rosetta appare significativamente più luminosa rispetto al resto della superficie cometaria. È lo stesso effetto che è stato visto spesso sulle foto degli astronauti attorno alle loro ombre sulla Luna. Questo particolare fenomeno di luce/ombra si verifica in genere sulle superfici di regolite quando la luce proviene dalla stessa direzione da cui si riflette portando ad un aumento marcato della luminosità.

Il flyby del 14 febbraio. Crediti: ESA

Il flyby del 14 febbraio scorso ha due primati da annoverare: intanto la distanza minima dalla cometa mai raggiunta da Rosetta e poi un punto di osservazione unico perché per la prima volta la sonda e Chury (così viene chiamata la cometa dagli appassionati) sono state perfettamente allineate. «Presa da questa angolatura, l’immagine ha un grande valore scientifico», ha detto il Principal Investigator di Osiris Holger Sierks del Max Planck Institute for Solar System Research (MPS) in Germania. Dal momento che sulla superficie ci sono pochissime ombre, le proprietà riflettenti della superficie sono facilmente individuabili. «Questo punto di vista è fondamentale per lo studio delle dimensioni dei grani di polvere», ha aggiunto.

Rosetta non è il primo veicolo spaziale che ha catturato la propria ombra. Nel 2005, la sonda Hayabusa navicella della giapponese JAXA ha fotografato la sua ombra sulla asteroide Itokawa. Tuttavia, dato che Hayabusa era a solo poche decine di metri sopra la superficie, l’effetto penombra era molto meno visibile, e quindi l’ombra della navicella era più nitida e scura.

Cerere in vista, quattro giorni al traguardo

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Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Dawn si accinge ad abbracciare Cerere, e il pensiero corre inevitabilmente a Rosetta. Certo, la suspense per l’inserimento della sonda NASA attorno al grosso asteroide, in programma per venerdì 6 marzo, non è paragonabile a quella che accompagnò l’arrivo della navicella ESA attorno alla cometa 67P. Ma l’evento è di quelli che “fanno la storia”, dice il project manager della missione, Robert Mase, del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena.

Mai prima d’ora una sonda aveva visitato un pianeta nano, come venne definito durante la storica conferenza del 2006 che inquadrò nella stessa categoria anche Plutone. E se per l’ex nono pianeta si trattò d’un declassamento che ancora brucia, per Cerere fu una mezza promozione. Scoperto il primo giorno dell’anno 1801 da un italiano, l’astronomo e sacerdote d’origine valtellinese Giuseppe Piazzi, da quello che era all’epoca l’Osservatorio Nazionale del Regno delle Due Sicilie a Palermo, seppur “nano” come pianeta Cerere è un gigante fra gli asteroidi: il più grande della fascia principale, la cintura di corpi celesti situata fra le orbite di Marte e di Giove. Talmente grande che, pur essendo pari ad appena un quattordicesimo di quella di Plutone, la massa di Cerere costituisce da sola un quarto di quella complessiva dei corpi presenti nella fascia stessa.

Dal momento in cui lo raggiungerà, dopo aver percorso 4.8 miliardi di km in un viaggio durato sette anni e mezzo (compresi i 14 mesi di tappa attorno a Vesta), Dawn non avrà certo tempo per riposarsi: mano a mano che si avvicinava al suo obiettivo, le domande alle quali dovrà cercare di dare una risposta non hanno fatto che aumentare. Prima fra tutte, quella sulla natura delle due misteriose macchie bianche osservate a metà febbraio brillare dentro a un cratere del pianeta nano. Poi c’è da capire – sfruttando strumenti come lo spettrometro di bordo VIR, realizzato in Italia dall’INAF-IAPS di Roma sotto la supervisione di Maria Cristina De Sanctis – cosa possano essere quei geyser giganti che la sonda Herschel della NASA pare aver individuato sulla sua superfice. E gli scienziati vogliono anche verificare quanta acqua si nasconda nel sottosuolo, magari in forma liquida.

Più in generale, Cerere – come anche Vesta, del resto – è considerato un fossile del Sistema solare, dunque prezioso per scoprire le nostre origini. «Questi due corpi celesti rappresentano altrettanti campioni dei mattoni dai quali si sono formati Venere, la Terra e Marte. Quelli più simili a Vesta parrebbero aver contribuito in modo decisivo alla formazione del nucleo del nostro pianeta», distingue Carol Raymond del JPL della NASA, vice-PI della missione, «mentre quelli più simili a Cerere potrebbero averci fornito l’acqua». Senza contare, come ha osservato la stessa Raymond nel corso della conferenza stampa odierna, che Cerere pare fosse in passato assai simile alle lune Europa ed Encelado: dunque non è affatto escluso che possa rivelarsi interessante anche dal punto di vista astrobiologico.

Molto lavoro da svolgere, ma anche tutto il tempo per farlo, grazie anche all’altissima efficienza del motore a ioni con il quale gli scienziati controllano l’assetto della sonda. A sancire la fine della missione sarà l’esaurirsi dell’idrazina, dopo di che Dawn continuerà a orbitare attornoa Cerere per un tempo indefinito. Appuntamento a venerdì 6 marzo, dunque, ma per i primi risultati scientifici occorrerà pazientare fino alla fine di aprile: la sonda, pur in perfette condizioni, è infatti girata dalla parte sbagliata, e orientarla a dovere è una manovra che richiede qualche settimana.

Il Cielo di Marzo

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EFFEMERIDI

Verso le 23:00 di metà marzo, le brillanti costellazioni a cui eravamo abituati in inverno (Orione, Toro, Cane Maggiore, ecc) staranno già declinando a ovest per lasciare il posto a quelle tipicamente  primaverili. Ad annunciare la nuova stagione sarà come sempre il Leone, che con il suo caratteristico profilo dominerà verso sud, circondato da costellazioni molto meno appariscenti come Leo Minor, Sestante, Coma, ecc. Niente a che vedere con l’impressionante lucentezza delle costellazioni invernali, ma c’è da tener conto del fatto che in primavera la porzione di cielo che si offre ai nostri occhi è quello che sta al di fuori del piano della Via Lattea, dove le stelle sono molto più rare e il cielo è dominato da oggetti extragalattici percepibili soltanto al telescopio. Più a est, Vergine, Boote ed Ercole, in successione, saranno già in viaggio verso il meridiano, annunciando quest’ultima addirittura un sapore di estate.

Ricordiamo, inoltre, due importanti eventi nel corso di questo mese: prima di tutto, il giorno 29 si tornerà all’ora legale estiva (TU+2). In quella data, a partire dalle ore 02:00 locali, bisognerà portare gli orologi avanti di un’ora.

Inoltre, nel fine settimana del 21-22 marzo la Luna sarà Nuova e si realizzeranno quindi le condizioni migliori per tentare la Maratona Messier, ovvero l’osservazione in un’unica notte di tutti (o quasi) i 110 oggetti del celebre catalogo.

Nel Cielo – Quarto ritorno nei Cani da Caccia

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La cartina del mese è centrata sulla parte occidentale della costellazione dei Cani da Caccia, giusto al confine con quella dell’Orsa Maggiore. In quella regione, estesa circa 12 gradi, prendono campo le due stelle principali (Cor Caroli e Chara) e gli oggetti trattati nel testo, ovvero le galassie M94, NGC 4244 e NGC 4214. La costellazione si individua con facilità, trovandosi poco a sud della coda dell’Orsa Maggiore (il “timone” del Grande Carro); contiene alcune stelle di quarta magnitudine, ma per il resto è molto debole e la sua estensione è piuttosto ridotta. Nella sua direzione sono però osservabili molte galassie brillanti e ben note.

Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici, le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 50 di Coelum n. 190

Asteroidi – GIUNONE, NIOBE E GIULIA sotto l’occhio di Giove

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Questo mese portiamo la nostra attenzione nella regione celeste occupata dalla costellazione del Cancro, dove avremo l’opportunità di poter seguire con comodo un terzetto di asteroidi che si muoverà all’interno di un campo binoculare. Il più importante e luminoso dei tre sarà (3) Juno, reduce dall’opposizione del mese scorso e ancora bello vivo in movimento verso nord.

EFFEMERIDI

Gli altri due, Niobe e Julia, di magnitudine intorno alla +11, si muoveranno di moto retrogrado, in procinto di attraversare il piano dell’eclittica andando invece verso sud. A pochi gradi di distanza, proprio sul bordo del campo in alto a sinistra, ci sarà anche il grande occhio di Giove a tenere compagnia all’osservatore.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 66 di Coelum n.190

Associazione Astrofili Bassano del Grappa

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03.05ore 18:00: “Nascita e morte del Sole” di Rita Bizzotto.
Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
www.astrofilibassano.it
Per info sulla Specola: tel. 0423.934111
ufficio@centrodonchiavacci.it
www.specolachiavacci.it

Sunset selfie per Curiosity

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Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

La mania dei selfie non ha invaso solo la Terra, ma anche lo spazio. E Marte non è da meno. L’immagine che vede qui sopra è un collage di foto scattate nel mese di gennaio dalla Mars Hand Lens Imager (MAHLI) camera montata sul braccio robotico del rover della NASA Curiosity, arrivato sul Pianeta rosso nell’agosto del 2012. Il veicolo a sei ruote attualmente si trova nel sito denominato “Mojave”, dove Curiosity ha “assaggiato” (per meglio dire analizzato) un campione di polvere marziana del Monte Sharp (vedi Media INAF) raccolto nel corso della sua seconda trivellazione.

Sullo sfondo è possibile notare l’affioramento collinare di “Pahrump Hills” e la parte superiore del Mount Sharp. Sulla destra potete vedere una porzione di terra più scura, mentre in basso a sinistra la superficie sabbiosa mossa dal vento marziano.

Eppure è un selfie inusuale, perché nell’immagine non si vede il braccio robotico su cui c’è la fotocamera. Il tutto è stato reso possibile da complessi movimenti delle “articolazioni” e rotazioni di MAHLI che hanno permesso di acquisire gli scatti che compongono il mosaico lasciando il braccio fuori dall’inquadratura o comunque in porzioni di immagini che non sono state utilizzate. Un procedimento che che era già stato utilizzato in precedenza dai “fotografi” della NASA nei siti “Rocknest”, “John Klein” e “Windjana”.

Kathryn Stack, del  Jet Propulsion Laboratory (California) della NASA, ha spiegato: «Rispetto agli altri selfie di Curiosity, questa volta abbiamo aggiunto delle immagini in più in modo da poter vedere pienamente i punti della campagna Pahrump Hills» e per capire i punti salienti della missione negli ultimi 5 mesi.

Nello specifico, gli scatti del rover sono stati presi durante il giorno marziano (sol) 868, cioè lo scorso 14 gennaio (oggi è il sol 908). Le altre immagini del terreno sono state aggiunte il 29 gennaio e quella dei fori di campionamento il 31 gennaio. Per comprendere meglio le dimensioni basti pensare che le ruote di Curiosity hanno un diametro di 50 centimetri e i fori praticati durante l’ultima trivellazione hanno un diametro di 1,6 centimetri.

La stessa immagine ma con annotazioni. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Per saperne di più:

Cerere e il mistero della doppia macchia bianca

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Cerere osservata da Dawn il 19 Febbraio, da una distanza di circa 46,000 chilometri. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Cerere osservata da Dawn il 19 Febbraio, da una distanza di circa 46,000 chilometri. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

L’INSERIMENTO IN ORBITA PREVISTO IL 6 MARZO

Ecco l'immagine, sempre presa il 19 febbraio da circa 46 mila km di distanza, che mostra che la brillante macchia bianca ha in realtà una compagnapiù piccola all'interno dello stesso bacino. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Mentre la sonda Dawn è a pochissimi giorni (poco più di una settimana) dall’inserimento in orbita intorno al pianeta nano, le immagini in arrivo da Cerere continuano a sorprendere gli scienziati. Le ultime fotografie della camera, scattate da una distanza di circa 46,000 chilometri, rivelano che l’ormai famosa Macchia Bianca, la misteriosa zona che già dalle prime immagini di Hubble si stagliava chiara sulla superficie dell’asteroide, non è sola. Vicino a lei, sarebbe già identificabile una seconda macchia altrettanto chiara, visibile. E misteriosa.

Lo scatto in questione, pubblicato oggi dalla NASA, è stato realizzato il 19 Febbraio scorso e fa parte delle osservazioni compiute dalla sonda in un lasso di tempo di ben 9 ore, a coprire una rotazione completa del pianeta nano. Dall’animazione di Cerere così ottenuta, modificata rispetto agli scatti originali solo aumentando la luminosità delle immagini stesse, prende vita in modo sempre più definito una superficie costellata di crateri, zone più o meno piatte e macchie di diverso colore.

«La Macchia Bianca di Cerere sembra avere un compagna, molto simile anche se meno chiara» annuncia ai media Chris Russell, dell’Università della California, PI della missione. Anche lo strumento italiano VIR si è acceso nella stessa campagna di osservazione, inviando a Terra dati interessanti ancora in fase di studio. Conferma Maria Cristina De Sanctis, INAF-IAPS, responsabile dello strumento: «anche VIR  ha messo in evidenza la Macchia Bianca, distribuita su un paio di pixels. Sebbene tale area più chiara non sia ancora risolta, le osservazioni (e in particolare la distribuzione di albedo osservata) fanno pensare a due macchie chiare molto vicine tra loro».

Se la presenza di una o più macchie bianche sulla superficie di Cerere sembra essere appurata già da queste prime fasi di avvicinamento della missione, molto poco si può ancora dire sulla loro misteriosa natura. Chris Russell, osservando le prime immagini a disposizione, azzarda una tra le ipotesi possibili: «La vicinanza delle due zone Bianche osservate in queste nuove immagini potrebbe essere spiegata da una origina vulcanica. Ma ovviamente sarà necessario avere immagini ad una risoluzione migliore, per essere in grado di fare ipotesi geologiche».

Non bisognerà aspettare molto perché ciò accada: usando il suo motore a ioni, Dawn entrerà il 6 Marzo in orbita intorno a Cerere e comincerà a inviare a Terra immagini e dati molto piu dettagliati, che permetteranno di interpretare la natura della strana macchia e delle altre caratteristiche di questo nuovo mondo.  Dice Andreas Nathues, ricercatore del Max Planck Institute for Solar System Research, Germania, a capo del team della camera: «Al momento la Macchia Bianca è troppo piccola per poter essere risolta, ma è molto più chiara di qualsiasi altra cosa visibile sul pianeta nano Cerere. E questo è un mistero che intendiamo assolutamente risolvere».

Per ulteriori informazioni sulla missione:

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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27.02: “Il firmamento dei Dioscuri: gli spettacolari astri del tardo inverno” di Roberto Ratti.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Circolo Culturale Astrofili Trieste

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24.11: “Problematiche e difficoltà per una seria
ricerca in ufologia” di Paolo Nordio.
Per info: Cell: 329.2787572 – Email: ccat@liberi.it
www.astrofilitrieste.it

Congiunzione stretta tra la Luna ed Aldebaran

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Come già annunciato nei numeri precedenti, a partire dal prossimo 24 marzo la Luna tornerà a nascondere periodicamente Aldebaran, dando il via a un ciclo di occultazioni che si verificheranno nei prossimi tre anni. Il 26 febbraio – verso le 00:30 – sarà osservabile una congiunzione tra la stella alfa del Toro e il primo quarto di Luna.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di febbraio

Leopoldo Benacchio a Udine: l’origine e il significato dei termini astronomici usati nel linguaggio comune

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Martedì 24 febbraio alle 17, a palazzo Garzolini – di Toppo Wassermann

LE PAROLE DEL CIELO: CONFERENZA DELL’ASTRONOMO LEOPOLDO BENACCHIO

Nell’ambito della rassegna “Aperture. Idee, scienza e cultura”, la rassegna di Ateneo e Comune di Udine e Fondazione Crup

Nuovo appuntamento con “Aperture. Idee, scienza e cultura”, la rassegna ideata da Università e Comune di Udine, in collaborazione con la Fondazione Crup, per offrire, attraverso incontri e confronti pubblici, occasioni di riflessione sui molteplici aspetti della contemporaneità. Martedì 24 febbraio, alle 17, a palazzo Garzolini – di Toppo Wassermann a Udine (via Gemona 92) l’Ateneo friulano ospiterà la conferenza “Le parole del cielo” con l’astronomo Leopoldo Benacchio. Lo scienziato dell’Osservatorio astronomico di Padova parlerà dell’origine e del significato dei termini astronomici che utilizziamo nel linguaggio quotidiano.

Dopo i saluti delle autorità, l’incontro sarà presentato e introdotto dal delegato dell’ateneo alla cultura, Angelo Vianello. «“Le parole del cielo” – spiega Vianello – è un viaggio fra immagini e testi che ci svela, suscitando stupore e curiosità, il significato profondo e arcano di parole come, ad esempio, cielo, luna, sole, Venere, capaci di raccontarci il legame millenario dell’uomo al cielo, fatto di quotidianità, utilità e spiritualità».

Leopoldo Benacchio è ordinario dell’Istituto nazionale di astrofisica all’Osservatorio astronomico di Padova oltre a insegnare all’ateneo patavino. Ha sviluppato numerosi progetti di ricerca italiani e internazionali nel campo delle reti e del calcolo applicato. Già consigliere per il Ministro della Ricerca, accanto all’attività scientifica si dedica anche alla comunicazione della scienza. Ha pubblicato diversi libri di astronomia, tradotti in più lingue, tra cui uno per la scuola in scrittura Braille. Dal 1998 ha sviluppato oltre trenta progetti su web. Per queste sue attività ha ricevuto premi nazionali e internazionali. Collabora inoltre con il quotidiano “Il Sole 24 ore”.

Spuntano le piccole lune di Plutone

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Animazione di sette fotogrammi in cui si riconoscono le lune di Plutone Hydra (nel quadrato giallo) e Nix (arancione). Ogni fotogramma è una combinazione di cinque immagini da 10 secondi, scattate con lo strumento Long-Range Reconnaissance Imager (LORRI) utilizzando una modalità speciale che combina i pixel per aumentare la sensibilità a spese della risoluzione. Il set di immagini a destra è stato appositamente elaborato per rendere le piccole lune più facili da distinguere. Crediti: NASA/Johns Hopkins APL/Southwest Research Institute

Animazione di sette fotogrammi in cui si riconoscono le lune di Plutone Hydra (nel quadrato giallo) e Nix (arancione). Ogni fotogramma è una combinazione di cinque immagini da 10 secondi, scattate con lo strumento Long-Range Reconnaissance Imager (LORRI) utilizzando una modalità speciale che combina i pixel per aumentare la sensibilità a spese della risoluzione. Il set di immagini a destra è stato appositamente elaborato per rendere le piccole lune più facili da distinguere. Crediti: NASA/Johns Hopkins APL/Southwest Research Institute

Clyde Tombaugh (Wikipedia)

Era il 18 febbraio 1930 quando, attraverso il confronto di lastre fotografiche impressionate pochi giorni prima, il giovane astrofilo Clyde Tombaugh scoprì Plutone all’Osservatorio Lowell di Flagstaff, in Arizona, dove era stato assunto per la sua precoce perizia astronomica. Ottantacinque anni dopo, è un veicolo spaziale a puntare Plutone, la sonda NASA New Horizons, che ci ha regalato le sue prime immagini delle piccole lune in orbita attorno al pianeta nano ghiacciato.

Le lune Nix e Hydra sono infatti visibili in una serie di immagini scattate da New Horizons dal 27 gennaio all’8 febbraio scorso, a distanze che variano da circa 201 a 186 milioni chilometri da Plutone. Assemblate in un piccolo filmato, le nuove immagini costituiscono la prima lunga occhiata della sonda a Hydra (identificata da un quadrato giallo) e il suo primo sguardo in assoluto su Nix (quadrato arancione).

Il set di immagini è stato appositamente elaborato per rendere le piccole lune più facile da scorgere. «E’ emozionante vedere emergere i dettagli del sistema di Plutone mano a mano che ci avviciniamo alla fatidica data del 14 luglio, quando il veicolo spaziale raggiungerà la sua meta», dice John Spencer del Southwest Research Institute, membro del team scientifico di New Horizons. «Questa buona prima visione di Nix e Hydra segna un altro importante traguardo, e un modo perfetto per celebrare l’anniversario della scoperta di Plutone».

Nix e Hydra sono stati scoperte dai membri del team di New Horizons in immagini riprese nel 2005 dell’Hubble Space Telescope. Hydra, la luna più esterna del sistema di Plutone, orbita intorno al pianeta nano ogni 38 giorni a una distanza di circa 64.700 chilometri, mentre Nix fa un giro completo in 25 giorni da 48.700 km. Ogni luna è probabilmente tra 40 e 150 km di diametro, ma gli scienziati conosceranno le loro dimensioni in modo più preciso solo quando New Horizons, tra pochi mesi, otterrà foto ravvicinate di entrambe. Altre due lune di Plutone, Styx e Kerberos, sono ancora più piccole e ancora troppo deboli per potere essere viste da New Horizons alla sua attuale distanza da Plutone.

Non resta che attendere, mentre New Horizons prosegue spedita il suo cammino. La sonda trasporta, tra l’altro, una parte delle ceneri di Clyde Tombaugh, come omaggio alla sua scoperta. Scoperta che Alan Stern del Southwest Research Institute, responsabile scientifico di New Horizons, afferma essere stata «molto avanti rispetto al suo tempo, preannunciando la scoperta della fascia di Kuiper e di una nuova classe di pianeti».

Un’altra supernova in M101? No, ma controllate i vostri archivi!

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Un’elaborazione ottenuta da Marco Burali utilizzando un’immagine a colori d’archivio fatta con il Takahashi RC 300 e camera ccd FLI 1001e dall’Osservatorio Mtm di Pistoia e sommandola con l’immagine attuale ottenuta il 20 gennaio da Koichi Itagaki.

Un’elaborazione ottenuta da Marco Burali utilizzando un’immagine a colori d’archivio fatta con il Takahashi RC 300 e camera ccd FLI 1001e dall’Osservatorio Mtm di Pistoia e sommandola con l’immagine attuale ottenuta il 20 gennaio da Koichi Itagaki.

Quando venerdì (6 febbraio) abbiamo letto nel TOCP “Transient Objects Confirmation Page” la notizia della scoperta di una PSN “Possibile SuperNova” nella stupenda galassia Messier 101, abbiamo pensato subito ad un’altra supernova da “copertina”. È infatti ancora vivo il ricordo della famosa SN2011fe esplosa nell’agosto 2011 proprio in questa galassia che raggiunse la notevole mag.+10.

In realtà questa volta non è stato proprio così.

Un dettaglio dell’oggetto sommando 5 esposizioni da 60 secondi ottenuta da Paolo Campaner il 16 febbraio con il telescopio riflettore da 400mm F.5,5 (cliccare sull'immagine per ingrandire).

Il nuovo oggetto è stato scoperto nella notte del 10 febbraio dal rumeno Ciprian Dumitru Vintdevara (del Planetarium and Astronomical Observatory of the Museum Vasile Parvan a Barlad, Romania), quando brillava di mag.+16,5. L’immagine di conferma è stata ottenuta il 13 febbraio in remoto dalla Spagna dal neozelandese Stu Parker. L’attesa era per un repentino aumento della luminosità e invece nei giorni seguenti la magnitudine scende sotto la diciassettesima.

Il giapponese Koichi Itagaki si accorge che l’oggetto era presente in tre sue precedenti immagini ottenute il 9 febbraio, il 20 gennaio e addirittura in una del 13 novembre 2014. In tutte e tre le immagini la luminosità variava dalla mag.+16,5 alla mag.+17,5. Anche l’ASAS-SN l’aveva immortalato il 10 febbraio a mag.+16,5. Il transiente era perciò lì da circa tre mesi e stranamente nessuno l’aveva notato.

I primi a riprenderne lo spettro sono stati gli astronomi americani del Intermediate Palomar Transient Factory utilizzando lo storico telescopio Hale da 5 metri. Analizzando le immagini del telescopio spaziale a infrarossi Spitzer della NASA e quelle del Large Binocular Telescope con i suoi due occhi giganti da 8,4 metri, è stata individuata la stella progenitrice: una stellina che già a metà del 2012 variava tra la mag.+20 e la mag.+21.

Sulla natura di questo oggetto i professionisti sono propensi verso due ipotesi: si potrebbe trattare di un LBV Luminous Blue Variable detti anche Supernova Impostor, oppure potremmo essere di fronte a un LRN Luminous Red Nova, un oggetto simile a V838 Monocerotis. Potrebbe trattarsi cioè di esplosioni catastrofiche causate dalla fusione di un sistema di stelle binarie o da un corpo planetario che precipita sulla propria stella.

Fondamentale a questo punto è capire l’evoluzione che ha subito il transiente negli anni precedenti. Se saltasse fuori nel passato un altro outburst, spazzerebbe via l’ipotesi del LRN a favore del LBV.

Visto che M101 è uno degli oggetti più fotogenici e bersagliati dell’emisfero boreale, vi chiediamo quindi di controllare i vostri archivi. Se avete un’immagine ripresa da novembre 2014 a oggi sicuramente l’oggetto sarà presente, ma è molto importante analizzare anche immagini di anni addietro per capire se in passato si fosse verificato un precedente outburst. Eventuali immagini positive possono essere inviate alla seguente mail: fabiobriganti@libero.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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20.02: Conferenza (a seguire osservazione degli oggetti del cielo con i telescopi del gruppo): “Battaglia contro la gravità: la storia e le prospettive della propulsione spaziale” di Monica Valli.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Venerdì dell’Universo 2015 – Incontri e seminari su Astronomia, Fisica e Scienze

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20.02: “A caccia di comete. La Missione Rosetta” di AMALIA ERCOLE FINZI.
Per informazioni: Tel. 0532/97.42.11
E-mail: venerdiuniverso@fe.infn.it
www.fe.infn.it
www.unife.it/dipartimento/fisica

Marte solo andata: Mars One prosegue

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Il post.it ha pubblicato oggi una infografica che illustra le tappe fondamentali che il progetto Mars One sta percorrendo, con l’obiettivo ultimo di impiantare la prima colonia umana su Marte entro il 2025, ma con un solo dettaglio, nessuno dei futuri coloni potrà tornare sulla Terra.

Il progetto che aveva fatto scalpore quando nacque sembra stia procedendo, anche se i passaggi fondamentali (e costosi) sono ancora abbastanza lontani.

All’impresa, anche se non è ancora chiaro con quale titolo, sembra essere coinvolta anche SpaceX, sia per la capsula che per i lanciatori.

Per maggiori informazioni: http://www.mars-one.com
Fonte: ilpost.it+

Copyright immagine: Mars One Foundation

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