Mai così vicino: appena 6 km. Così vicino da essere più una carezza che un flyby. E visto che per una carezza non c’è giorno più appropriato di San Valentino, l’ESA ha scelto proprio il 14 febbraio per portare la sonda Rosetta alla minima distanza dalla cometa 67P. Il punto di avvicinamento massimo è stato raggiunto alle 13:41 ora italiana, mentre Rosetta sorvolava la regione battezzata Imhotep, sul lobo principale.
La foto che vedete qui sopra – non ritoccata in alcun modo, sottolineano giustamente orgogliosi dal centro di controllo della missione – raffigura un’area di 1.37 km di lato, ed è stata scattata dalla Navigation Camera di bordo circa un’ora e mezza più tardi, alle 15:15, quando la distanza era ancora alquanto ridotta: 8.9 km. Sufficiente a garantire un’immagine di ottima qualità, con una risoluzione di 0.76 metri per pixel.
L’immagine mostra in modo evidente la grande varietà del terreno cometario. Si notano formazioni affioranti in netto contrasto con le distese di suolo liscio, coperto di polvere. In alcune zone, per esempio al centro e lievemente sulla sinistra, si riconoscono rilievi quasi perfettamente circolari e piatti in superficie. Sparsi qua e là, massi che vanno da qualche metro a qualche decina di metri, il più grande dei quali, battezzato Cheops, si erge maestoso in alto al centro.
Rosetta si trova oggi a 345 milioni chilometri dal Sole. Il punto di minima distanza dal Sole, il perielio, sarà raggiunto il prossimo 13 agosto, quando la cometa viaggerà tra le orbite della Terra e di Marte a circa 186 milioni dalla nostra stella.
Terzo passaggio di questa rubrica tra le galassie dell’Orsa Maggiore, costellazione che come è noto si trova nelle vicinanze del Polo Galattico ed è quindi praticamente priva di oggetti nebulari. Guardando nella sua direzione è come gettare uno sguardo verso lo spazio intergalattico piuttosto che nel polveroso giardino stellare di casa nostra, e in particolare, tutta la figura del “Dipper” è disseminata da ammassi di galassie grandi e piccole. Uno di questi è il cosiddetto M109 Group, di cui fa parte ovviamente la galassia omonima, ma anche un oggetto sorprendentemente simile che è una vera e propria controfigura con una storia tutta particolare…
Lo scambio nella culla – Qualcuno la chiama anche M109B, con una sigla che è però ancora priva di qualsiasi ufficialità. Stiamo parlando di NGC 3953, una galassia che fino alle medie risoluzioni appare nei telescopi come una copia conforme della più famosa M109. Tra i due oggetti c’è però un legame ancora più profondo, dovuto a una vicenda che sembra rimettere in gioco il diritto dell’attuale M109 a far parte del Catalogo Messier. Per capirci qualcosa bisogna però partire da lontano…
Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici, le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 48 diCoelum n. 189
Il mese di febbraio nel nostro paese è quello che in inverno delude meno degli altri le aspettative degli osservatori, siano essi appassionati di alta risoluzione che di cielo profondo. Le notti serene, infatti, sono discretamente numerose, e si presentano tendenzialmente molto stabili anche sotto il profilo del seeing. Sarà così anche quest’anno?
Per quanto riguarda l’aspetto del cielo, nella prima parte della notte predomineranno ancora le costellazioni invernali; verso le 20:30 saranno infatti in meridiano il Cane maggiore e Orione, con l’Auriga allo zenit. A ovest staranno invece già tramontando Pegaso e la Balena, mentre a est il cielo sarà già occupato dagli asterismi primaverili, tra cui saranno facilmente riconoscibili il Leone e le prime propaggini della Vergine. Più tardi sorgerà anche la brillante Arturo nel Boote, mentre a ovest comincerà ad essere evidente il declino di Orione verso l’orizzonte. Molto più in alto, quasi immobile a nord, il Grande Carro sembrerà in procinto di rovesciarsi.
Giove tra Leone e Cancro, e nel crepuscolo del tramonto Venere e Marte, saranno i pianeti osservabili con più facilità, mentre per vedere Saturno nello Scorpione bisognerà attendere la seconda parte della notte.
Fate attenzione a una simpatica coppia di asteroidi che sto seguendo da dicembre. Si tratta di (625) Xenia, di magnitudine media +14,5, e di (166) Rhodope (+14,3).
La loro peculiarità è che da gennaio questi due puntini se ne stanno andando in giro praticamente affiancati, distanti tra di loro non più di 15’/20’… e lo faranno fino a maggio! Praticamente la loro traccia somiglia a un binario ferroviario!
Seguiteli, perché ne vale la pena. Si muoveranno tra la Vergine e la coda del Leone e a metà marzo saranno a pochi primi di Denebola. Sarà anche un avvicinamento fisico perché il 23 aprile i due oggetti si avvicineranno fino a una distanza reciproca di 150000 km!
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 66 di Coelum n.189
Origine dell’universo, energia oscura, gravità quantistica, relatività generale… tutto in quattro paginette dal titolo a effetto – “Cosmology from quantum potential” – pubblicate per di più su una rivista di quelle serie, Physics Letters B.
Quattro paginette che provano a smontare una delle convinzioni più diffuse e accettate, dagli scienziati quanto dalle persone comuni: che tutto sia iniziato con il Big Bang. Invece no, scrivono Ahmed Farag Ali del Center for Theoretical Physics di Giza, in Egitto, e Saurya Das, della University of Lethbridge, in Canada: il loro modello non solo sembra poter fare benissimo a meno di quella singolarità iniziale innanzi alla quale la fisica come la conosciamo è costretta a issare bandiera bianca, ma addirittura prevede che l’universo abbia un’età infinita.
Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie, ammoniva Carl Sagan, ed era dunque facile prevedere che in rete si sarebbero immediatamente sollevate critiche e obiezioni, anche parecchio tranchant – a partire da quelle che possiamo leggere su the reference frame, dove a onor del vero Luboš Motl se la prende soprattutto (ma non solo) per il modo in cui i media hanno ripreso l’articolo. Ma sono davvero così straordinarie, le conclusioni di Ali e Das? Media INAF lo ha chiesto a Carlo Burigana, cosmologo all’INAF IASF di Bologna.
Come si discosta il modello di Ali e Das da quello standard della cosmologia?
«Il modello degli autori, basato su un approccio che combina concetti quantistici e di relatività generale, propone un’interpretazione dell’accelerazione recente dell’universo – descritta usualmente in termini di costante cosmologica, di energia oscura, o di modifiche alle teorie sulla gravità – e “rimuove” la singolarità iniziale sintetizzata nel termine big bang. Ora, in realtà, ciò che è osservativamente “standard” è l’espansione dell’universo (accelerata nelle epoche recenti, decelerata nel passato e verosimilmente accelerata nel trapassato remoto, come negli scenari inflazionari) e la fase primordiale calda (da cui il termine hot big bang), e non mi pare che questo lavoro sia in opposizione a ciò».
Ma il loro l’articolo sembra proporre uno scenario senza istante iniziale. Non è incompatibile, questo, con l’idea di big bang alla quale siamo abituati?
«Il termine big bang, ovvero “la grande esplosione” a ridosso della singolarità da considerarsi come una sorta di “inizio” dell’universo (o, per alcuni, la “creazione” dello stesso), è sempre stato, a rigore, una semplificazione, una sorta di gergo per indicare una fase primordiale estremamente calda e densa con condizioni fisiche adeguate a spiegare alcuni fatti osservativi in un quadro in cui l’universo primordiale si è poi evoluto espandendosi e raffreddandosi».
«L’eventuale singolarità rappresenta una questione affascinante appunto perché richiede una fisica ancora non nota che possa fornire un quadro soddisfacente in condizioni fisiche così estreme. Ma, con un’analogia di immediata comprensione, basta usare al posto del tempo il logaritmo del tempo (come forse non così inappropriato quando ciò che conta è l’ordine di grandezza di una quantità), affinché l’istante zero vada automaticamente a meno infinito, ovvero la questione “dell’inizio” scompare, mentre rimane invece la questione, secondo me più interessante, delle proprietà fisiche di un sistema in condizioni “estreme”. Il lavoro mi pare si inquadri in quest’ottica. Se poi la soluzione proposta sopravvivrà o meno ad analisi più approfondite e, in particolare, se passerà i test sulla spiegazione della genesi dei semi iniziali e dell’evoluzione delle strutture cosmiche, “fotografati” nel fondo cosmico e nella distribuzione delle galassie, lo si vedrà, come del resto accennano gli autori».
In attesa di vedere se l’impianto teorico del loro lavoro regge, i due autori continuano a sfornare paper ad alzo zero. Ahmed Farag Ali ne ha caricato in rete uno, ancora non pubblicato, che mette in discussione l’esistenza d’un’altra singolarità, quella dei buchi neri. E Saurya Das non è certo da meno: l’ultimo lavoro che ha condiviso, firmato insieme a Rajat K. Bhaduri, prevede che alla fine, di tutto ciò che chiamiamo universo, non rimarrà altro che un condensato di Bose-Einstein. Fra tutti gli esiti possibili… quasi quasi era meglio il Big Crunch.
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Sull’argomento:
Prima del Big Bang – un’inchiesta tra i cosmologi per conoscere la loro personale visione di ciò che poteva esserci prima dell’inizio del tempo.
A cura di Filippo Bonaventura e pubblicata in tre parti su Coelum n.185, Coelum n.186e Coelum n.187 con gli interventi di (in ordine di arrivo e pubblicazione): Sean M. Carroll, Amedeo Balbi, Michele Maggiore, Roger Penrose, Sabrina Masiero,Alberto Cappi,Angelo Tartaglia, Carlo Rovelli, Maurizio Gasperini, Antonio Walter Riotto, Salvatore Capozziello, Francesca Perrotta, Alexander Dolgov, Fabio Finelli, Stefano Foffa, Paolo Salucci, Sabino Matarrese, Paola Battaglia.
E alla fine il gran giorno è giunto, dopo il rinvio dello scorso novembre dovuto a cause tecniche. Il mini shuttle europeo, l’IXV, frutto in gran parte di tecnologia italiana con il coinvolgimento del Centro italiano di ricerca aerospaziale (CIRA) e di Thales Alenia Space ha compiuto il suo primo volo di prova. 140 minuti che lo hanno visto rientrare nell’atmosfera terrestre da una quota di 450 chilometri di altezza dove lo ha condotto il lanciatore dell’ESA Vega, anche questo frutto in gran parte della scienza e della tecnologia italiana.
Vega però non ha negato qualche momento di suspense quando problemi alla telemetria hanno interrotto il conto alla rovescia a quattro minuti dal lancio e fatto ipotizzare il rinvio del lancio stesso. Per fortuna, allarme rientrato, e dopo mezz’ora di sosta le procedure per l’accensione dei motori e il via definitivo alla prova di volo IXV potevano riprendere. A seguire e monitorare continuamente il volo il centro di controllo Altec a Torino, dove si è svolta la diretta italiana del lancio, avvenuto della base europea Kourou nella Guyana francese, e da dove si è collegato il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana Roberto Battiston.
«Dopo aver fatto per 50 anni lanci di strumenti e dopo lo sviluppo di un Vega che funziona in modo impeccabile, l’Europa, grazie all’Italia, col progetto IXV sta iniziando a imparare come si riportano a Terra strumenti, e un giorno in prospettiva persone, che sono stati nello Spazio» ha dichiarato Battiston. «E’ un passaggio determinante per il successo di futuri ambiziosi progetti spaziali in cui l’Europa, e quindi l’Italia, è coinvolta».
Altrettanto soddisfatta Stefania Giannini, Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, che ha partecipato all’evento di Torino insieme al suo omologo francese, Najat Vallaud-Belkacem: «L’Italia è la grande protagonista del lancio del dimostratore europeo di rientro atmosferico IXV sviluppato da Thales Alenia Space per conto dell’Esa, con l’apporto tecnico-scientifico dell’Asi, del Cira e delle Università italiane – ha commentato il ministro Giannini – e sono orgogliosa di questo nuovo passo dell’avventura italiana nello spazio che dimostra l’eccellenza italiana in questo settore».
I fratelli Murray e Bernard Spain che lo resero celebre utilizzandolo in una campagna pubblicitaria per vendere oggetti da bigiotteria – bottoni, tazze per il caffè, t-shirt, etichette adesive e spillette – di certo non immaginavano che avrebbero creato un fenomeno destinato a sopravvivere ben oltre i ben pur gloriosi anni Ottanta.
Lo smile è l’emoticon per eccellenza della messaggistica istantanea degli anni Dieci in questo nuovo millennio ma l’icona sorridente è anche di più: un ammasso di galassie, dall’impronunciabile sigla SDDSS J1038+4849, fotografato da Hubble Space Telescope.
Due grandi occhi dal colore ambrato, una sorta di bottone bianco al posto del naso e un largo sorriso di luce. Questo si vede chiaramente nell’immagine raccolta dal telescopio spaziale gestito da Nasa e Agenzia Spaziale Europea (ESA). A disegnare lo smile cosmico è un effetto ottico ben noto in astrofisica, una lente gravitazionale (di cui spesso abbiamo scritto su MediaINAF) che in questo caso deforma due galassie molto luminose a formare una scia colorata nel cielo lontano fotografato dall’ottica di Hubble.
Gli ammassi di galassie sono fra le strutture più massicce dell’Universo ed esercitano una potente attrazione gravitazionale capace di deformare lo spazio-tempo e agire come un dispositivo ottico che ingrandisce, distorce e piega la luce dietro di esse. Un fenomeno, quello delle lenti gravitazionali, cruciale per molte delle scoperte fatte dal telescopio spaziale Hubble e che può essere facilmente spiegato con la teoria della relatività generale di Einstein.
E ancora Einstein dà il nome a questo particolare tipo di lente gravitazionale, conosciuto come anello di Einstein e prodotto da una sorgente luminosa in un anello attraverso l’effetto lente gravitazionale sulla luce della sorgente dovuta a un oggetto con una massa estremamente grande (come un’altra galassia o un buco nero). Un fenomeno raro che si verifica quando la sorgente, la lente e l’osservatore sono perfettamente allineati.
Il primo anello di Einstein completo – B1938+666 – venne scoperto nel 1998. Da allora Hubble ha fornito agli astronomi ben più di una volta strumenti nuovi e sorprendenti per sondare l’Universo primordiale.
Abbandonato da Venere, con cui aveva dato luogo alla bella congiunzione di gennaio, Mercurio continuerà verso la metà di febbraio a frequentare la regione del Capricorno nei pressi delle stelle alfa e beta. E qui, la mattina del 17, il piccolo pianeta sarà osservabile in congiunzione con un’esilissima falce di Luna calante, situata 2,6° più a nord (nel riferimento altazimutale).
L’ascensore che si blocca può essere una situazione spiacevole. Ma se ci stai viaggiando verso la Luna, non puoi nemmeno chiamare il tecnico. Al massimo puoi dire “Houston, abbiamo un problema“. Quanto sono difficili e pericolosi i viaggi spaziali? Che succede se si rompe qualcosa? Come abbiamo fatto a raggiungere la Luna con la tecnologia di cinquant’anni fa? Ma poi, l’abbiamo raggiunta veramente?
Il CICAP Veneto ti invita ad una serata eccezionale.
Prima della visione dello spettacolare film “Apollo 13“, che racconta proprio di quella storica chiamata di emergenza, con Paolo Attivissimo, giornalista scientifico, esamineremo, chiarendoli, i dubbi più frequenti sulle missioni Apollo che portarono l’uomo sulla Luna fra il 1969 e il 1972. Sarà anche l’occasione per raccontare, con immagini rare e filmati restaurati, gli aspetti meno conosciuti della corsa allo spazio, dai disastri sfiorati alle foto di Playboy sulla Luna.
Forse non basta a diventare astronauta, ma prenderai l’ascensore senza più timori.
Attenzione: i biglietti (posto unico non prenotabile) sono acquistabili solo in prevendita dal sito del CICAP. Non sarà possibile acquistarli presso le casse del cinema. La serata durerà circa fino a mezzanotte.
La sfida è tra Manchester e Padova. Ma non stiamo parlando di una partita di calcio o di rugby, ma della disfida tra Italia e Inghilterra per chi ospiterà il quartier generale del progetto SkA, Square Kilometer Array, uno dei progetti più importanti dei prossimi anni.
Lo Square Kilometer Array, infatti, con le sue migliaia di chilometri quadrati di estensione, tra Australia e Sud Africa, e le sue migliaia di antenne nelle diverse lunghezze d’onda della radioastronomia, è uno dei più ambiziosi progetti mai pensati dall’uomo, sia dal punto di vista tecnologico, per la sfida che rappresenta, sia dal punto di vista scientifico per i traguardi che potrebbe far raggiungere.
L’Italia con l’INAF ha avanzato la sua candidatura forte dell’investimento di decine di milioni di euro e una storia di eccellenza nell’ambito della radioastronomia che molti ci invidiano. La sede proposta è l’intera area sud del Castello Carraresi, antico stabile limitrodo all’Osservatorio Astronomico di Padova dell’INAF e che il comune patavino ha concesso gratuitamente in cambio della sua ristrutturazione.
A decidere sarà un comitato composto da Brian Boyle, Direttore dell’Australian Telescope Ska Facility Commonwealth scientific and industrial research organization – CSIRO; Patrizia Vogel, Netherlands organisation for scientific research NWO
Coordinator Research Institute at NWO; Laura Comendador ESO – European Southern Observatory, Head of Cabinet, Legal and international affairs; Bernie Fanaroff, Director of Ska South Africa, con alle spalle numerosi incarichi governativi durante il periodo Mandela.
Il comitato ha visitato lunedì Manchester e il giorno dopo ha incontrato il ministro della Ricerca inglese. Mercoledì saranno a Padova e poi a Roma dove li attende un doppio incontro: alle 11.30 al ministero dell’Istruzione per incontrare il ministro Stefania Giannini e il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova. Successivamente, alle 14.30, incontro al ministero per lo Sviluppo Economico con il sottosegretario SimonaVicari e il sottosegretario del Tesoro, Pier Paolo Baretta.
Presente ad entrambi gli incontri il Presidente dell’INAF, Giovanni Bignami: «Sarà un sfida difficile: abbiamo dalla nostra la concretezza degli investimenti fatti e una storia di eccellenza scientifica in radioastronomia di gran classe». «Dall’altra – continua Bignami – gli Inglesi hanno dalla loro un annunciato significativo investimento economico e un’affinità culturale e linguistica con i paesi che ospiteranno SKA, oltre ovviamente a grande qualità scientifica. Ma ce la giocheremo fino in fondo sicuri di guadagnare punti importanti».
13.02: “«A san March e a san Grigoeu se dà l’oeuv ai bovaroeu, la marenda ai campagnoeu»: i lavori primaverili, il raccolto estivo e la vendemmia” di Elio Antonello.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it
13.02: Ciclo “Astronomia, meteorologia e agricoltura nel mondo antico”: “«A san March e a san Grigoeu se dà l’oeuv ai bovaroeu, la marenda ai campagnoeu»: i lavori primaverili, il raccolto estivo e la vendemmia” di Elio Antonello.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it
Grazie alla trasparenza dell’aria tipica di questo periodo dell’anno sarà possibile osservare questa bassa congiunzione tra Luna e Saturno. A partire dalle 3:30 del mattino il giorno 13 ci saranno le condizioni per poter seguire sull’orizzonte di sudest una corposa falce di Luna calante stazionare 2,3° a est di Saturno.
L’evento più spettacolare di febbraio sarà l’incontro tra Venere (mag. –3,9) e Marte (mag. da +1,2 a +1,3), che sarà osservabile a partire dalla seconda decade del mese verso le 18:30 sull’orizzonte ovest-sudovest. primo, quello del giorno 11, vede Marte e Venere ancora separati da una distanza angolare di quasi 5°. Il secondo, del 15, mostra i due oggetti già decisamente più vicini (3°), mentre in quello del 19 la distanza è scesa a un valore già molto interessante di appena 1,2°. Il giorno 20 la congiunzione (arrivata a una separazione di 50′) apparirà impreziosita dall’arrivo di una debole falce di Luna crescente che si porterà 4,8° a sudovest di Venere. Il 22, finalmente, si avrà il raggiungimento della separazione minima, pari a circa 30′.
Lo scorso 21 gennaio Juno è arrivato ad una distanza dalla Terra di 1,324 UA, mostrandosi con una magnitudine di +8,2. In febbraio, Juno continuerà a muoversi poco a ovest della testa dell’Idra (una decina di gradi a est di Procione, stella alfa del Cane Minore), variando la sua luminosità dalla +8,2 alla +8,8: è quindi un oggetto alla portata di qualsiasi binocolo.
Inoltre il 4 febbraio sarà possibile osservare l’asteroide Hamburga. Hamburga si avvicinerà alla Terra fino a una distanza di 1,124 UA che è il più profondo avvicinamento fatto registrare da questo asteroide nel periodo 1900-2115.
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 66 di Coelum n.189
06.02: “Per esplorare il Sistema Solare basta Newton o ci vuole Einstein?” di Pietro Planezio.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it
06.02: “I 10 anni del satellite Swift, il Rondone che sonda l’Universo violento” di Paolo Davanzo (a seguire osservazione degli oggetti del cielo con i telescopi del gruppo).
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it
06.02: “Per esplorare il Sistema Solare basta Newton o ci vuole Einstein?” di Pietro Planezio.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
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06.02: Conferenza (a seguire osservazione degli oggetti del cielo con i telescopi del gruppo): “I 10 anni del satellite Swift, il Rondone che sonda l’Universo violento” di Paolo Davanzo.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it
06.02: “C’era una volta… un polimero” di ELEONORA POLO.
Per informazioni: Tel. 0532/97.42.11
E-mail: venerdiuniverso@fe.infn.it
www.fe.infn.it
www.unife.it/dipartimento/fisica
Dal momento in cui Philae – il piccolo lander sganciato dalla sonda Rosetta sulla superficie della cometa 67/P lo scorso 12 novembre – ha toccato il suolo e si è spostato rispetto al luogo previsto per l’atterraggio rimbalzando quattro volte e facendo perdere le sue tracce, è cominciata una ‘caccia al lander’ per immagini che non ha precedenti.
Mentre lo strumento CONSERT ha contribuito a restringere la ‘pista di atterraggio’ ad un’area sul lobo più piccolo della cometa, la ricerca per immagini fatta grazie agli scatti di OSIRIS non è stata finora in grado di confermare quale sia l’effettiva posizione finale del piccolo lander.
Subito dopo la discesa ed i primi rimbalzi, documentati in modo molto chiaro dalla camera a stretto campo di OSIRIS, il team di controllo pensava di aver identificato Philae sul margine di una vasta depressione che prende il nome di Hatmehit, sul lobo minore della cometa. Successivamente i dati inviati dallo stesso Philae hanno permesso di stabilire che si trovasse nella zona denominata Abydos, e sono stati usati per ricostruire la traiettoria del lander e stabilirne la posizione finale.
Tra novembre e dicembre si è cercato grazie alla camera di OSIRIS di fare una serrata campagna di rilevamento immagini, sfruttando l’ora e mezza di attivazione quotidiana di Philae, ma la posizione del Sole rispetto a Rosetta ha reso infruttuoso questo tentativo di localizzazione visiva. Rispetto ai momenti subito successivi allo sgancio, Rosetta si sta anche allontanando di orbita dalla cometa e la ricerca di Philae sembra farsi sempre più difficile.
Per comprendere quanto sia improbo il compito di individuare il lander sulla superficie della cometa basta pensare che, rispetto alle immagini usate per la sua ricerca (composte da un mosaico di foto, come quella qui a destra), Philae occupa circa tre pixel delle stesse, essendo grande nella realtà più o meno come una lavatrice. Un’impresa davvero difficoltosa, considerando che nell’area esaminata sono numerosissimi i set da tre pixel che i ricercatori si sono trovati ad esaminare.
Il 14 febbraio Rosetta ha in programma un flyby ravvicinato a 6 chilometri dalla superficie della cometa, che sarà sfruttato per raccogliere ulteriori immagini ad altissima definizione delle aree sorvolate e continuare nella ricerca di Philae. Sarà una sorta di ultima chance, visto che poi la sonda si allontanerà dalla cometa e non sarà possibile effettuare un’altra campagna visiva ravvicinata di ricerca, forse fino al prossimo anno.
Chi ha seguito le fasi del risveglio di Rosetta sa che tale processo non è immediato e anche per Philae sarà lo stesso, anzi, occorre tenere presente che mentre nel sito individuato per lo sbarco si prevedeva che il lander avrebbe potuto contare su un’illuminazione di 6,5 ore, rispetto alle 12,4 che dura un giorno sulla cometa per ricaricare le batterie, il periodo di illuminazione nella zona dove si presume sia andato a cacciarsi il lander è di appena 1,3 ore al giorno.
Anche nel peggiore dei casi, ovvero se Philae non dovesse svegliarsi, rimangono importantissimi i dati inviati successivamente all’atterraggio, e da una pluralità di posizioni (a causa dei rimbalzi) rispetto alla sola dove era previsto si fermasse.
Da maggio, la posizione del Sole rispetto alla presunta posizione del lander sarà tale da irraggiare dall’alto la zona di atterraggio, anche se l’orientamento di Philae è tale che non sarà in grado di sfruttare appieno l’illuminazione offerta. Sarà cruciale quindi – come dice Stephan Ulamec, Project manager del Lander Control Centre di Colonia – il ruolo dell’illuminazione solare extra che potrà essere sfruttata man mano che la cometa si avvicinerà al Sole.
Sarà probabilmente a maggio o giugno, che la radiazione della nostra stella sarà sufficiente a rendere utilizzabile il trasmettitore di Philae e ristabilire un collegamento di comunicazione con Rosetta – il lander ha bisogno di circa 17 Watt per svegliarsi. Sperando che Rosetta si trovi in una posizione adeguata rispetto al sito di atterraggio per “sentire” il piccolo Philae che la chiama.
Un’altra discreta congiunzione tra Luna e Giove, dopo quelle dei mesi passati, avrà luogo la sera del 3 febbraio e sarà osservabile all’incirca a partire dalle 19:00. I due oggetti sorgeranno dall’orizzonte est separati di circa 7,6°, mostrandosi proprio davanti alla testa del Leone.
La Luna sarà però prossima al plenilunio, tanto da apparire decisamente invasiva con il suo chiarore, ma anche così gli astrofotografi più bravi riusciranno senz’altro a ricavare suggestivi accostamenti tra il cielo e gli elementi del paesaggio.
Verso le 19:15 i due oggetti saranno infatti alti sull’orizzonte est solo +11°.
N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del dischetto lunare,
in questa e nelle altre illustrazioni, è due o tre volte superiore alla scala corretta.
<strong>Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il </strong><strong><a href=”https://www.coelum.com/appuntamenti/cielo-del-mese/il-cielo-di-gennaio” target=”_blank”>Cielo di gennaio</a></strong>
Lasciato finalmente Mercurio, la sera delprimo febbraio sarà Venere ad avvicinarsi a Nettuno. Come si può vedere dalla figura, la distanza angolare minima osservabile sarà di 47′, e quindi superiore a quella raggiunta da Marte il 19 gennaio. Alle 18:00 i due pianeti saranno alti circa +14° sull’orizzonte di ovestsudovest.
30.01: “Gli strumenti per l’osservazione del cielo: binocoli e telescopi” di Roberto Mancuso.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it
30.01: “La galleria delle meraviglie: i 25 anni di Hubble” di Martino Fossati (a seguire osservazione degli oggetti del cielo con i telescopi del gruppo).
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it
30.01: “Il Pianeta Terra visto dallo spazio”. Al telescopio: La Luna crescente, Il pianeta Giove e i suoi satelliti, la nebulosa di Orione e le Pleiadi.
Per informazioni: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it
Sorpresa! Ci aspettavamo un single, ed è arrivata una coppia. E che coppia: 325 metri lui, 70 metri lei, non sono certo passati inosservati innanzi all’occhiuta concierge, l’antenna radar di Goldstone, in California. È accaduto ieri pomeriggio, all’appuntamento con l’asteroide 2004 BL86. Puntualissimo, addirittura un minuto in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Ma inaspettatamente accompagnato. Da una luna.
Ora la NASA spiega che non è una rarità, tutt’altro. E che anzi, potevano pure presentarsi in tre! Fra gli asteroidi che ci ronzano attorno, quelli con dimensioni superiori ai 200 metri una volta su sei sono in realtà asteroidi binari – se non addirittura triplette, appunto. Ovvero, una coppia o un trio danzante, due o tre corpi avvinghiati gravitazionalmente, l’uno in orbita attorno all’altro. Uno di solito è signicativamente maggiore, come in questo caso, con quello che avevamo battezzato scherzosamente “Mr Big” grande circa cinque volte la compagna.
Non è una rarità, dunque, ma certamente è l’ennesimo spettacolo inatteso che ci offre il nostro Sistema solare. A immortalare con una ragguardevole risoluzione di quattro metri per pixel la remota coppia danzante – nell’istante di massimo avvicinamento, val la pena ricordarlo, si trovava a 1.2 milioni di km da noi, oltre tre volte la distanza che ci separa dalla Luna – è stata la parabola radio del Deep Space Network di Goldstone, una sorta d’immenso radar. Prossimo appuntamento fra duecento anni. Chissà se BL86 e signora saranno ancora insieme…
Panorama di Marte ripreso sul bordo del cratere Endeavour dalla Pancam del rover Curiosity. I colori sono stati calibrati in modo da essere il più posibile vicini a quello che vedremmo se fossimo li, sulla superficie del pianeta rosso. Cliccare l’immagine per ingrandire. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Cornell Univ./Arizona State Univ.
Dall’ alto di ‘Cape Tribulation’, un’area del bordo del cratere Endeavour, ecco questa spettacolare vista panoramica di Marte, inviata dal rover Opportunity della NASA, che da quasi undici anni ormai ‘scorrazza’ sulla superficie del Pianeta rosso. Proprio come facciamo qui sulla Terra con le fotocamere digitali o, più semplicemente, anche con uno smartphone, la foto a così ampio campo di vista (ben 245 gradi) è un collage di riprese più strette, poi montante insieme, tutte ottenute il 6 gennaio scorso dalla panoramic camera (Pancam) che equipaggia il robottino.
Il punto da dove è stata presa questa vista d’insieme è il più alto raggiunto da Opportunity dopo aver lasciato la zona del cratere Victoria nel 2008 ed aver intrapreso un viaggio durato tre anni che lo ha portato fino al cratere Endeavour, una struttura dal diametro di ben 22 chilometri.
L’immagine è stata trattata in modo che i suoi colori fossero il più possibile fedeli a quelli che potremmo osservare con i nostri occhi se ci trovassimo sul Pianeta rosso, ed è stata ottenuta combinando le riprese della Pancam scattate con tre differenti filtri: uno centrato attorno alla lunghezza d’onda di 753 nanometri (che cade nel vicino infrarosso), uno attorno ai 535 nanometri (luce verde) e l’ultimo a 432 nanometri (violetto).
29.01 Il giorno giovedì 29 gennaio 2015 ore 18:30 ci sarà una Conferenza di presentazione del Corso. Ulteriori e più dettagliate informazioni verranno pubblicate sul nostro sito.
Contatti: Fabio Anzellini 339.7900809
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La cometa 67/P Churyumov Gerasimenko è scurissima, povera di ghiaccio d’acqua sulla sua superficie, ma ricca di composti organici presenti negli amminoacidi, i ‘mattoni della vita’. Questi in estrema sintesi i primi risultati sulle proprietà della superficie del nucleo della cometa 67/P, pubblicati in un articolo sull’ultimo numero della rivista Science. Risultati ottenuti grazie ai dati raccolti tra agosto e dicembre 2014 dallo spettrometro a immagini italiano VIRTIS (Visual, Infra-Red and Thermal Imaging Spectrometer) a bordo della sonda Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea, ESA. Lo strumento è stato realizzato da un consorzio internazionale italo-franco-tedesco sotto la responsabilità dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF e con il contributo italiano finanziato dall’ASI, Agenzia Spaziale Italiana.
La prima sorpresa che emerge dallo studio arriva dalla misura dell’albedo della cometa, ossia la quantità di luce solare riflessa dalla superficie del nucleo, che è solo del 6%. Per confronto il nostro satellite naturale, la Luna, possiede un albedo circa doppio. Il valore che possiede 67/P ci fa capire che la cometa è uno degli oggetti più scuri del Sistema solare. Un potere riflettente cosi basso indica che sulla superficie della cometa sono presenti minerali opachi alla radiazione (come ad esempio solfuri ferrosi), ma anche composti contenenti carbonio. Ci dice inoltre che la presenza di ghiaccio d’acqua negli strati più superficiali del nucleo è estremamente limitata o assente. «Questo ovviamente non significa che la cometa non sia ricca d’acqua, ma soltanto che i primi strati (all’incirca di un millimetro o poco più di spessore) non contengono ghiaccio» commenta Fabrizio Capaccioni, ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma, Principal Investigator di VIRTIS e primo autore dell’articolo su Science. «Ciò è legato alla storia evolutiva recente della cometa. I ripetuti passaggi nelle vicinanze del Sole determinano la sublimazione del ghiaccio dalla superficie».
La scoperta più rilevante è collegata poi all’individuazione di segnali nella banda dell’infrarosso legati alla presenza di composti organici macromolecolari, osservati sulla totalità della superficie del nucleo di 67/P. Alcuni di questi composti sono assimilabili ad acidi carbossilici, o piuttosto a polimeri di acidi carbossilici, presenti negli amminoacidi. Amminoacidi sono stati osservati già in materiali cometari e in meteoriti primitive, ma questa è la prima volta che simili composti sono stati osservati direttamente sulla superficie di un nucleo cometario. Inoltre, la copertura globale della superficie lascia supporre che tali composti fossero presenti in abbondanti quantità nel materiale che è stato assemblato a formare il nucleo cometario.
«La formazione di tali composti richiede la presenza di ghiacci di elementi molto volatili, come ad esempio metanolo, metano o monossido di carbonio, che solidificano solo a basse temperature» spiega Capaccioni. «La loro regione di formazione doveva trovarsi quindi a grandi distanze dal Sole nelle prime fasi di formazione del Sistema solare. Ciò fa quindi supporre che ci troviamo effettivamente in presenza di una cometa che contiene al suo interno tracce dei composti primordiali o addirittura precedenti alla formazione del nostro Sistema solare».
Nel team internazionale di ricercatori che ha condotto lo studio su Science, oltre Fabrizio Capaccioni, fanno parte anche i colleghi dell’INAF Gianrico Filacchione, Maria Cristina De Sanctis, Maria Teresa Capria, Federico Tosi, Priscilla Cerroni, Andrea Raponi, Mauro Ciarniello, Ernesto Palomba, Eleonora Ammannito, Giancarlo Bellucci, Gianfranco Magni, Giuseppe Piccioni, Alessandro Frigeri, Davide Grassi, Andrea Longobardo, Marco Cartacci, Andrea Cicchetti, Stefano Giuppi, Raffaella Noschese e Romolo Politi (tutti dell’INAF-IAPS di Roma), Vito Mennella (INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte), Gian Paolo Tozzi (INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri) e Roberto Orosei (INAF-IRA Bologna).
Il 29 gennaio verso le 18:00, l’ammasso delle Iadi sarà alto più di cinquanta gradi sull’orizzonte di est-sudest. La scena sarà ingentilita e illuminata dalla presenza di un Primo Quarto di Luna che a quell’ora andrà a posizionarsi 44′ a nordest (in altazimutale) della rossa Aldebaran, stella alfa del Toro.
Un avvicinamento che darà il via alla stagione delle occultazioni di Aldebaran da parte della Luna, che mancavano ormai dal 1999.
23.01: “Astronautica da ridere: gli episodi più divertenti nella storia dell’esplorazione spaziale” di Paolo Attivissimo (a seguire osservazione degli oggetti del cielo con i telescopi del gruppo).
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