MoebiusAutosimilarità

Nell’articolo di Moebius del numero 186 di Coelum ho parlato di autosimilarità, o, se preferite, di autosomiglianza: il fenomeno che si verifica quando un oggetto è simile a una sua parte. Prendete la copertina di Ummagumma, celebre doppio album dei Pink Floyd uscito nel 1969: in primo piano si vede il chitarrista David Gilmour, seduto, mentre gli altri tre componenti del gruppo sono dietro di lui, ognuno in un punto specifico. Appesa al muro si nota una fotografia incorniciata, che riproduce in versione rimpicciolita la scena complessiva, con i quattro musicisti negli stessi posti, ma “ruotati” di una posizione rispetto al primo livello.

Anche nell’immagine appesa si osserva una fotografia, che di nuovo ripropone la solita scena globale, qui ancora più piccola e con l’unica differenza della ulteriore rotazione delle posizioni delle persone. E così via, fino ad arrivare al quarto livello nella prima edizione del disco, o addirittura virtualmente all’infinito nelle edizioni più recenti.

Quando vidi per la prima volta questa copertina, ne rimasi talmente affascinato che, qualche anno dopo, scrissi sull’argomento un articolo: questo post è tuttora il più letto di sempre del mio blog, e ha rappresentato l’embrione del mio e-book La matematica dei Pink Floyd, pubblicato nel gennaio 2014 dalla casa editrice 40K.

La copertina di Ummagumma è un ottimo esempio di immagine autosimile, ma non è certo l’unico. Un’altra famosa raffigurazione autosimile è quella della confezione di primo Novecento del cacao Droste, in cui una donna regge un mano un vassoio sul quale si trova una confezione identica, e così via all’infinito. Il caso del cacao olandese ha fornito anche un nome alternativo al fenomeno dell’autosimilarità: “effetto Droste”.

Esempi, per così dire, più matematici, sono offerti dagli oggetti dalla geometria frattale. Le linee costiere sono autosimili perché mostrano strutture molto simili se osservate a diverse scale d’ingrandimento: come dire che le curve dei litorali che troviamo su una carta geografica dell’Europa assomigliano molto alla linea di separazione tra l’acqua e la terraferma che possiamo osservare passeggiando d’estate sul bagnasciuga. Gli oggetti che presentano questa caratteristica si dicono frattali: in natura si trovano molti esempi, tra cui le nuvole, gli alberi, il profilo delle montagne, i cristalli di ghiaccio, certe foglie e fiori, alcuni ortaggi, come il broccolo romanesco. La geometria frattale ha rappresentato la frontiera più affascinante della geometria del Novecento, e uno dei suoi pionieri più importanti è stato il matematico polacco Benoit Mandelbrot.

Anche nell’arte figurativa si possono trovare esempi di opere autosimili: nel polittico Stefaneschi di Giotto, infatti, si osserva (nella figura qui a destra) il committente dell’opera che regge in mano un modellino del polittico stesso.

Ricorsione

La ricorsione, o ricorsività, è un po’ la formulazione matematica e informatica del fenomeno dell’autosimilarità. Nell’articolo di Moebius ho citato il fattoriale come esempio di funzione ricorsiva. Nell’informatica teorica la teoria delle funzioni ricorsive rappresenta un ambito di studio di grande importanza, anche perché si dimostra che le funzioni che in un qualche senso intuitivo possono essere considerate “calcolabili” lo sono sulla base di procedimenti ricorsivi.

D’altra parte le procedure ricorsive non sono bizzarrie da accademici dell’informatica teorica, ma algoritmi presenti in moltissimi programmi di utilizzo comune: per esempio, quando sul vostro smartphone scorrete la rubrica dei vostri contatti, dietro le quinte ha agito molto probabilmente un algoritmo ricorsivo che ha ordinato alfabeticamente la lista di nomi.

Nell’articolo di Moebius citavo la canzone Abate cruento di Elio e le Storie Tese, che parla di un “sogno strutturato a matrioska”.

Questa notte ho fatto un sogno strutturato a matrioska:
io sognavo di sognare che un abate un po’ cruento
dopo avermi esaminato mi ordinava di svegliarmi.
Io ubbidiente gli ubbidivo, cioè sognavo di svegliarmi
e me lo ritrovavo accanto con quel fare suo cruento,
lui che mi riesaminava, io che gli chiedevo affranto:
“Dimmi, abate, perché insisti nell’esaminarmi attento?
Ho commesso forse un atto che fu inviso all’abbazia?”
Egli, colto alla sprovvista, non sapendo fare meglio,
mi ordinò seduta stante di procedere a un risveglio.

Non deve stupire che Stefano Belisari, in arte Elio, si serva della ricorsione come materiale per il testo di un brano pop: l’autore della canzone è infatti laureato in ingegneria elettronica, e sicuramente gli algoritmi ricorsivi devono avere occupato a lungo i pensieri di Elio durante i suoi studi. La procedura “sogno” viene qui invocata due volte: la prima volta dal “programma” principale, e la seconda dalla procedura stessa, in modo ricorsivo. In entrambi i casi l’esecuzione della procedura viene interrotta dall’intervento dell’abate cruento, che ordina al sognatore di risvegliarsi. Alla seconda uscita il protagonista viene quindi riportato allo stato normale di veglia.

Autoreferenza

Quando l’autosimilarità riguarda frasi anziché oggetti, ecco che facciamo meglio a parlare di autoreferenza, o autoreferenzialità. Una frase autoreferente è una frase che parla di se stessa.

I filosofi parlano di autoreferenza per indicare il processo attraverso il quale l’individuo diventa in grado di riferirsi a se stesso usando il pronome io.

L’uroboro, il drago immaginario illustrato in figura qui a destra, è un simbolo dell’autoreferenza perché è sempre raffigurato mentre morde la propria coda. Qualcosa di simile alle Mani che disegnano del grafico olandese Maurits Cornelis Escher, celebre per le sue geometrie impossibili e per i suoi disegni vertiginosi (immagine in alto in apertura di articolo).

Il bellissimo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino ha un geniale incipit autoreferenziale, in cui il libro cita se stesso:

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto…

Anche le Mille e una notte, l’Amleto di Shakespeare, il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, nascondono in sé elementi di autoreferenzialità.

Occorre fare molta attenzione quando si maneggiano frasi autoreferenziali, perché si rischia facilmente di cadere nel paradosso.

Per esempio, una frase autoreferente come:

Questa frase è falsa

implica che la frase afferma appunto il falso, e quindi è vera: ma se è vera dobbiamo credere al suo assunto iniziale, e cioè al fatto che sia falsa, e così via. Continuiamo a oscillare tra la verità e la falsità della frase, senza poter decidere tra una e l’altra.

Questo famoso paradosso è noto come paradosso del mentitore. Il filosofo francese Jean Buridan, italianizzato in Giovanni Buridano, formulò una versione alternativa di questo paradosso, spezzando la frase in due affermazioni:

Socrate dice “Platone dice il falso”

Platone dice “Socrate dice il vero”

Se ipotizziamo che Socrate sia sincero, allora dobbiamo concludere che Platone mente; ma allora dobbiamo credere che Socrate non dice il vero. Questo è in contrasto con la nostra ipotesi iniziale: e di nuovo cadiamo in una catena infinito di contraddizioni.

Un’altra versione del paradosso del mentitore è rappresentato dalla frase

Tutti i cretesi sono bugiardi

che di per sé non è paradossale, ma lo diventa immediatamente se pronunciata da un cretese!

Il problema di novembre e la soluzione

L’enigma di novembre proponeva una frase autoreferenziale incompleta, e richiedeva di riempirne i buchi con cifre numeriche singole, mantenendo la coerenza logica della frase:

In questa frase, la cifra 0 è presente _ volta/e, la cifra 1 è presente _ volta/e, la cifra 2 è presente _ volta/e, la cifra 3 è presente _ volta/e, la cifra 4 è presente _ volta/e, la cifra 5 è presente _ volta/e, la cifra 6 è presente _ volta/e, la cifra 7 è presente _ volta/e, la cifra 8 è presente _ volta/e, e la cifra 9 è presente _ volta/e.

Ebbene, la soluzione prevedeva di riempire gli spazi vuoti rispettivamente con queste cifre:

1, 7, 3, 2, 1, 1, 1, 2, 1, 1. La frase diventa così la seguente:

In questa frase, la cifra 0 è presente 1 volta, la cifra 1 è presente 7 volte, la cifra 2 è presente 3 volte, la cifra 3 è presente 2 volte, la cifra 4 è presente 1 volta, la cifra 5 è presente 1 volta, la cifra 6 è presente 1 volta, la cifra 7 è presente 2 volte, la cifra 8 è presente 1 volta, e la cifra 9 è presente 1 volta.

Se controllate, la frase così sistemata è perfettamente coerente e veritiera.

I vincitori

La lettrice che per prima ha inviato la soluzione del problema è stata Patricia Lepri, che quindi ha vinto l’abbonamento semestrale.

Altri lettori che hanno inviato risposte corrette sono stati Andrea Alessandrini, Giovanni Casati, Francesco Mascherpa, Fabio Marioni, Franco Piani, Luca Baletti e Dario Broggi. I nostri più sentiti complimenti a tutti loro!