Venere è il secondo pianeta del Sistema Solare in quanto a distanza dal Sole ed ha quasi le stesse dimensioni e massa della Terra.
Il pianeta Venere, assieme a Marte, è stato teatro delle più bizzarre teorie sulla presenza di vita nel secolo scorso. Le analisi successive, tuttavia, hanno limitato queste ipotesi, anche in favore delle avverse condizioni che il pianeta offre.
Si pensa infatti che il pianeta abbia subito un evento di rimodellamento quasi globale della superficie circa 300-600 milioni di anni fa e che l’attività vulcanica sia andata successivamente scemando. Per ora, la crosta di Venere è ferma e non c’è nulla che possa degradare i crateri, dal momento che questo pianeta non ha una tettonica a placche attiva come la Terra, che mantiene la crosta terrestre in costante movimento, rimodellando la sua superficie.
Il processo di rimodellamento della superficie parte da piccole instabilità che degenerano verso grandi creste e che spiegano l’abbondanza di corone negli altopiani e la loro scarsità nelle pianure di Venere. Durante un evento di questo tipo avvengono variazioni su larga scala nella topografia del pianeta.
Anche le abbondanze di elementi radioattivi sono simili al nostro pianeta e tali elementi rilasciano calore che potrebbe guidare l’attività vulcanica.
L’analisi dei crateri di Venere mostra morfologie che sembrano però essere state modificate da processi vulcanici e questo potrebbe significare che l’età media della superficie è solo di decine di milioni di anni, comparabile ai bacini oceanici della Terra.
Il problema è che, come detto, Venere non ha la tettonica a placche attuale e la stragrande maggioranza del vulcanismo terrestre è associato alla formazione di crosta nelle dorsali medio-oceaniche o negli archi vulcanici sopra le zone di subduzione.
Su Venere ci sono diverse dozzine di vulcani con dimensioni ragguardevoli e indizi di attività con temperature più calde dei vulcani più attivi sulla Terra come la Big Island delle Hawaii.
Si stima che in un giorno siderale venusiano, pari a 243 giorni terrestri, potrebbero aver luogo diverse eruzioni basaltiche, comprendendo diverse decine di chilometri attorno al punto di eruzione.
Una recente ricerca condotta esaminando le immagini radar della superficie di Venere raccolte dalla sonda Magellan della NASA tra il 1990 e il 1992 relativamente all’area contenente due dei più grandi vulcani di Venere, Ozza e Maat Mons, paragonabili in volume ai più grandi vulcani della Terra, ha mostrato un cambiamento nella morfologia e dimensioni delle bocche, specialmente nella bocca sul lato nord di un vulcano a scudo a cupola che fa parte del vulcano Maat Mons.
E’ stato evidenziato che la bocca era cresciuta da una formazione circolare di 2, km^2 ad una forma irregolare di circa 4 km^2.
I ricercatori ipotizzano che si sia formato un lago di lava nella bocca durante gli otto mesi intercorse tra le immagini. Secondo lo studio, un collasso non vulcanico, ma innescato da un crollo delle pareti della bocca potrebbe aver causato l’espansione. Ma crolli di queste dimensioni sui vulcani terrestri sono sempre stati accompagnati da eruzioni vulcaniche nelle vicinanze.
Ovviamente, dal momento che la superficie di Venere è geologicamente giovane, soprattutto rispetto a tutti gli altri corpi rocciosi tranne la Terra e la luna di Giove Io, si stima che potrebbero verificarsi su Venere eruzioni che vanno da diversi grandi eventi all’anno a una ogni diversi o addirittura decine di anni.
Per approfondire:
Robert R. Herrick & Scott Hensley. Surface changes observed on a Venusian volcano during the Magellan mission. Science, published online March 15, 2023; doi: 10.1126/science.abm7735