Onde gravitazionali
e prime luci dell’Universo
Nel 1916 Einstein predisse l’esistenza delle onde gravitazionali nella teoria della relatività generale come naturale, matematica conseguenza del moto orbitale di oggetti stellari molto massivi l’uno attorno all’altro. Il progressivo e sempre più rapido avvicinamento di tali oggetti doveva essere tale da provocare la deformazione dello spazio-tempo circostante mediante delle “increspature” rivolte dalla sorgente verso l’esterno: le onde gravitazionali. Esse si dovevano inoltre propagare in maniera isotropa, ovvero senza direzione preferenziale, e alla velocità della luce, allungando e accorciando alternativamente la distanza fra i corpi celesti che incontravano lungo il cammino. La conferma ufficiale dell’esattezza dell’ipotesi di Einstein giunse però soltanto nel 2016, quando fu annunciato che l’associazione di rivelatori LIGO-Virgo-KAGRA era riuscita a misurare le onde gravitazionali originate dalla fusione di due buchi neri di circa 30M⊙(i.e., masse solari) ciascuno, costituenti un sistema binario (evento GW150914). Da allora la rete LIGO-Virgo-KAGRA, ormai giunta alla sua terza campagna osservativa, ha identificato circa 90 simili eventi, tutti probabilmente derivanti dalla coalescenza di buchi neri di grande massa in sistemi binari compatti.
Per comprenderne l’origine è necessario risalire ai progenitori delle binarie di buchi neri, partendo quindi dall’analisi dei relativi canali di formazione. Esistono due principali canali di formazione per le binarie di buchi neri: il canale di formazione “di campo” e il canale di formazione “dinamico”. Il primo coinvolge le stelle di campo (i.e., non appartenenti ad ammassi stellari), che nascono in sistemi binari ed evolvono imperturbate fino a diventare buchi neri coalescenti, mentre il secondo comprende sistemi binari influenzati o addirittura modificati dalle ripetute interazioni con le stelle vicine, di modo che l’evoluzione in binarie di buchi neri coalescenti risulta non spontanea, ma indotta. Ambienti ideali per la formazione di binarie di buchi neri dinamiche sono allora gli ammassi globulari (globular clusters, GCs), per via della loro elevata densità stellare. Più variegato è, invece, il campione di progenitori delle binarie di buchi neri di campo: se i più probabili progenitori sono le stelle di campo di popolazione I (Pop I), giovani e ricche di metalli, e di popolazione II (Pop II), vecchie e povere di metalli, recentemente un gruppo di scienziati giapponesi ha proposto di introdurre anche le stelle di popolazione III (Pop III), le cosiddette prime luci dell’Universo. Infatti, le stelle di Pop III, nate nell’Universo primordiale ancora privo di metalli poiché rilasciati in seguito dalle esplosioni di supernova, tendono ad avere masse molto maggiori rispetto alle stelle di Pop I/II e ad evolvere in giganti blu quando si trovano in un sistema binario, motivo per cui esperiscono un trasporto di massa stabile. Ciò accade per un semplice motivo: minore è il contenuto di metalli di una stella, e più efficace è la soppressione dei venti stellari che intervengono a strapparle massa nella fase evolutiva di gigante. Di conseguenza, le stelle binarie di Pop I/II, composte da materiale già processato dalle esplosioni di supernova, evolvono in giganti rosse e sono caratterizzate da un trasporto di massa instabile a causa della presenza di venti stellari, fatto che impedisce loro di ritenere una considerevole quantità di massa. Le stelle di Pop III dovrebbero allora per costituzione dare luogo a buchi neri con massa pari o superiore ai valori misurati dai rivelatori LIGO-Virgo-KAGRA, contenuti nel catalogo GWTC-3.
D’altro canto, il trasporto di massa instabile comporta il restringimento della distanza tra le stelle membro di un sistema binario, favorendo l’avvio della fase di coalescenza che porta alla loro fusione. Sembra pertanto ragionevole includere entrambi i gruppi di stelle di campo, quelle di Pop I/II e quelle di Pop III, tra i possibili progenitori delle binarie di buchi neri.
Il team di ricerca giapponese si è avvalso del metodo bayesiano gerarchico per determinare il contributo di ciascun canale al numero di eventi di onde gravitazionali osservati, includendo le stelle di Pop III nell’analisi. Nella statistica bayesiana prima si assegna una probabilità (i.e., un grado di plausibilità) a ciascun evento osservato e poi si effettua un esperimento per verificare se l’ipotesi iniziale era o meno corretta: dato il condizionamento nel risultato dovuto a tale ipotesi, formulata a priori, si parla dunque di probabilità condizionata. In termini pratici, i modelli costruiti con il metodo bayesiano forniscono delle stime di probabilità a partire da una conoscenza pregressa, cui viene associato un errore a valle del confronto con i dati sperimentali per valutarne la bontà e l’affidabilità. In particolare, nel metodo bayesiano gerarchico si utilizzano più “sotto-modelli” per creare un modello finale complessivo: nel caso in questione, i sotto-modelli utilizzati inseriscono i contributi delle stelle di Pop I/II, delle stelle di Pop III e dei GCs in diversa misura, così da poter creare diverse combinazioni. Secondo i ricercatori giapponesi la combinazione vincente è data dal modello Pop I/II+Pop III+GCs, con rapporti di diramazione (i.e., frazioni di stelle che formano binarie di buchi neri seguendo le tre strade, Pop I/II, Pop III o GCs) di 0.86+0.11+0.02. Ora, i rapporti di diramazione mostrano che il contributo delle stelle di campo di Pop I/II prevale su quello delle stelle di campo di Pop III e quello dei GCs: ciò significa che la maggior parte delle binarie di buchi neri coalescenti del catalogo GWTC-3 ha come progenitori stelle di campo di Pop I/II e che i progenitori generati nei GCs sono, in proporzione, molto pochi. Al contrario, le stelle di Pop III, benché tendenzialmente escluse dal canale di formazione di campo in quanto mai direttamente osservate, hanno un peso non trascurabile sul modello bayesiano finale.
Il modello “best-fit”, ovvero maggiormente performante nella riproduzione dei dati del catalogo GWTC-3, ottenuto sembra in grado di coprire il range di massa dei buchi neri coalescenti schedati, ma fallisce nell’indicare il valore di 30 M⊙ come più frequente al suo interno (i.e., come picco della distribuzione di massa). Futuri sviluppi di questo lavoro di ricerca prevedono quindi variare i parametri del modello, includerne di nuovi e diversificare la trattazione teorica per ciascun gruppo di progenitori preso in esame, pur mantenendo il focus sulle stelle di Pop III.
Fonte: arxiv.org