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ABSTRACT

L’articolo intitolato “Verità e altre umili amenità” esplora il concetto di verità partendo dall’idea che siamo animali con bisogni concreti e storici, pertanto anche la verità assume una dimensione storica. L’autore confronta due principali scuole filosofiche: il realismo, che considera la verità un assoluto, e il nominalismo, che invece nega il significato del termine. La scienza, fortemente radicata nel realismo, cerca di tradurre la complessità del mondo in modelli comprensibili attraverso la matematica. Tuttavia, l’assolutismo della verità può portare a pericoli morali e sociali, come dimostrato nella storia.

Il nominalismo, pur negando la verità assoluta, è visto come un antidoto contro l’arroganza intellettuale e politica. L’autore conclude che la verità è uno strumento utile per comprendere la realtà e comunicare tra di noi, pur riconoscendo che essa è incompleta e storicamente determinata. La ricerca della verità, dunque, non riguarda l’assoluto, ma procedure che ci avvicinano ad essa, come accade nella scienza, la quale evolve nel tempo migliorando le sue approssimazioni della realtà.

La Verità

Siamo animali. Questo è vero; questo è un fatto; dimenticarlo quindi è un errore. O meglio, ragionare senza tenere in considerazione questo fatto (vero) è un errore…

Questa evidente – ma non ovvia – considerazione sarà la guida del ragionamento che tenteremo di svolgere da qui in poi.

Per il fatto che siamo animali, che abbiamo esigenze, bisogni di ordine squisitamente pratico, concreto e proprio per questo persino (anche se non solamente) la “verità” è per noi un qualcosa di profondamente storico. Radicato per così dire nella nostra coscienza; a mezza via tra abitudine e memoria, tra istinto e apprendimento.

Tale giudizio circa la storicità della verità, farebbe rabbrividire una buona parte dei – cosiddetti – filosofi. Che in buona sostanza si dividono, volendo semplificare una diatriba millenaria, in due grandi scuole: quelli che pensano alla verità come ad un assoluto, che la scrivono con la “V” rigorosamente maiuscola e che – nel corso della storia di cui sopra – ne hanno fatto anche uno dei nomi del Dio del monoteismo; possiamo ricondurre questa visione teoretica sotto l’etichetta di realismo. Sull’altro fronte, quelli che irridono la verità e negano quasi il senso stesso del termine, che per loro non designa alcunché. Addirittura sostengono che nemmeno possa attribuirsi a questa o a quella cosa, poiché le cose sono solo cose e non possono essere né vere né false; e le parole, sono come le altre cose, e niente altro, in fondo, che aria della bocca; questa seconda visione può rientrare sotto la qualifica di nominalismo.

Con la prima prospettiva il rischio è quello di ignorare la realtà; di fare della teoria, delle idee, cose più sostanziose, cose più vere del supporto fisico su cui state leggendo che avete proprio ora davanti agli occhi. Ma come tutte le medaglie ha anche un’altra faccia, e questa è fertile per la scienza; in particolare l’animo della matematica è profondamente radicato in questa visione realista del mondo. Lo si potrebbe definire – almeno a giudizio di chi vi scrive – un gioco così magnifico e capace di così raffinata bellezza, che avrebbe valore anche se non fosse di altra utilità. Eppure di utilità ne ha e non poca. Ci permette, in buona sintesi, di tradurre la complessità infinita della natura che siamo e nella quale siamo immersi, entro approssimazioni, non perfette (come il matematico sogna) ma utili a sufficienza da comunicare a distanza di spazio e di tempo. Dall’agrimensura degli antichi sumeri, alla triangolazione GPS gentilmente offerta dalla relatività generale di Einstein, è difficile trovare un angolo di mondo che non leggiamo grazie alla scienza della quantità: la matematica. Il Vero le sfugge, ma la sua indefessa ostinazione nel cercarlo, nel sognarlo appena oltre l’orizzonte, ci ha offerto buona parte di quel che oggi chiamiamo “progresso”.

Nel farlo siamo passati per le crociate, l’inquisizione e tutte le forme di dispotismo che ancora oggi ammorbano questo puntino blu a spasso nel cosmo. Non certo la matematica in sé, ma quell’idea secondo la quale esiste “La Verità”; e conseguentemente che qualcuno che la conosce, quasi fosse un suo possesso, è legittimato nelle sue azioni più di chi, a suo dire, non la conosce. Se esiste un Vero esiste un Falso. Il Vero assoluto è una discriminante impietosa. Un confine. Nella pratica, cioè in un ambito che non ha più a che fare con il pensiero ma con le azioni; su un fronte che non è più teoretico ma morale e quindi sociale e politico, si traduce in Bene e Male. Ma anche questi, scritti come nomi propri, non esistono nella realtà; non esiste un fatto che è Il Bene o uno che è Il Male; esistono però cose buone o cose cattive, che sono nei fatti niente altro di ciò che per noi – che siamo animali – è desiderabile o indesiderabile.

Un salto abbastanza lungo all’apparenza. Dal sogno del Vero che spinge un antico matematico a cercare il rapporto tra il diametro e la circonferenza, alla scelta di un gruppo umano di eleggere a proprio valore un certo precetto o di adottare di principio un determinato comportamento.

A questo punto ecco che può tornare in scena la scuola nominalista. Perché se irridendo la verità e negandole ogni possibilità non si fa molta scienza e si rischia di vivere in un mondo di casualità; di eventi singoli ed irrelati tra loro. Un mondo di accidenti senza regole, la negazione è anche un formidabile antidoto ad ogni presunzione – pratica, quindi sociale e politica – di poter distinguere senza il minimo indugio tra il bene ed il male. Dice un moderno nominalista – chissà se avrebbe accettato l’epiteto – come Oscar Wilde: “preferisco le persone ai principi, e le persone senza principi a tutto il resto.”.

Ecco sono le due sponde tra cui si vuole quella verità, che non accetta di non esistere, ma che rifiuta la presunzione di potersi firmare con la lettera maiuscola. Che accetta la sua minorità, la sua parzialità; in un certo senso, se l’argomento vi ha in qualche modo coinvolti, che accetta, riconosce e persino ricerca la sua storicità. La verità della scienza, quella che non cerca “Il Vero” ma le cose vere, quella che cerca i fatti. Ecco un altro elemento che accomuna tutte le scienze alla storia, scienza a sua volta anche se non siamo abituati a pensarla come tale.

Chiarito – almeno chi vi scrive lo spera – cosa si possa molto sommariamente intendere con la parola che suona “verità” e quali sfide porti con se il semplice pronunciarla, a noi umani, quando serve? Si è azzardato poco sopra a sostenere che sia una faccenda storica e pratica in quanto noi umani come animali abbiamo bisogni storici e pratici. Se ciò è vero… allora la verità deve avere una qualche utilità. E quale potrebbe essere?

L’intendersi. Vero è ciò che ci permette di approdare alla stessa baia seguendo le medesime indicazioni; di ottenere la stessa torta applicando una comune ricetta. Ma come sanno tutti coloro che hanno tentato il secondo esperimento rispolverando il vecchio quaderno della nonna… non viene mai come ce la ricordavamo. Perché le nonne hanno sempre un qualche ingrediente segreto, un piccolo trucco che non scrivono, spesso anche soltanto perché lo danno per scontato, al punto che non vale la pena perdere tempo ad annotarlo. In fisica Einstein ha chiamato “l’ingrediente segreto” della natura variabili nascoste. Sulla scorta di Laplace, altro grande scienziato ed altro grande realista, l’idea alla base di questa concezione è che, dietro le verità alla nostra portata, quelle minuscole, ne esista una maiuscola: La Verità, e che sia ciò che ricerchiamo, ciò di cui lo scienziato è incessantemente al seguito. Un segreto celato a cui sia possibile togliere il velo.

Ci serve per fidarci dei nostri reciproci discorsi. Per così dire, torna utile per perdonarci i piccoli errori che – come sentiamo – puntano in una medesima direzione. E’ l’orizzonte che unifica i nostri tentativi di intenderci. Invisibile ed evanescente, nondimeno funge da pietra angolare di ogni studio e ricerca, e ci porta a costruire, nella storia, modelli di interpretazione della realtà sempre meno approssimativi; capaci di previsioni sempre più soddisfacenti. Dall’oroscopo di Galileo al suo telescopio al James Webb; dalla teoria degli umori di Galeno alla mappatura del genoma. Gli esempi sono innumerevoli, ma tutti radicalmente lontani dallo scorgere l’assoluto oltre, l’orizzonte.

Eppure, e questo non può essere dimenticato, tra l’oroscopo ed il James Webb la differenza c’è ed è radicale. Non tanto quanto quella tra questi due e il sogno dell’assoluto, nondimeno radicale.

La verità ci serve quando ci poniamo una domanda come metro della fiducia che è desiderabile riporre nelle possibili risposte. Da questo si può chiarire la sua stretta parentela con il metodo della scienza: le verità delle scienze non sono “cose”, non sono inamovibili monoliti e meno che mai dogmi, bensì procedure per giungere il più vicini possibile all’orizzonte. Algoritmi, ovvero ricette – un po’ come quelle delle nonne – che ci permettono di avvicinarci a quel risultato ideale, che la memoria di profumi e sentimenti d’infanzia forse renderanno irraggiungibile nella maturità, e che tuttavia avranno comunque la forza di consegnare il testimone a chi proseguirà la storia accanto e dopo di noi.

Una procedura che non si limita a dire il cosa, ma tenta di condividere i come ed i perché; che non sono scientifici in senso proprio, ed appartengono forse più alla sfera delle – impropriamente dette – scienze umane, ma che innegabilmente sono il contesto in cui la ricerca muove i suoi passi. Per questo non possono non farne parte ed occorrono alle generazioni che verranno per capire noi e le nostre umili verità, così come a noi servono i contesti dei grandi del passato per capire le loro.

La verità diventa così quel comune anello mancante ad ogni epoca, ad ogni stirpe, ad ogni singolo essere umano capitato all’esistenza, indipendentemente da quando egli accadrà. E proprio in questa mancanza comune diviene un comune denominatore dell’esperienza e parte integrante di quel legame che ci permette quella “social catena” che è il viaggio della conoscenza.

FILIPPO ONORANTI E MOLISELLA LATTANZI Direttrice Editoriale di Coelum VI ASPETTANO IL 13 OTTOBRE AL CICAP FEST DI PADOVA

Appuntamento alle 14:30 presso il Palazzo Santo Stefano (dietro il Palazzo del Bo) per il dialogo sul tema della Verità e come introdurre questi argomenti anche in ambiente scolastico.

L’evento non ha bisogno di prenotazione ma per partecipare al Cicap Fest è indispensabile registrarsi QUI

L’articolo è pubblicato in COELUM 270 VERSIONE CARTACEA

FILIPPO ONORANTI E MOLISELLA LATTANZI Direttrice Editoriale di Coelum VI ASPETTANO IL 13 OTTOBRE AL CICAP FEST DI PADOVA.