Sono i quartieri periferici del sistema solare. Quelli meno frequentati, dove si avventura solo ogni tanto una coraggiosa sonda, e da cui è molto difficile avere notizie certe. Urano e Nettuno, i due pianeti più esterni del sistema solare (da quando Plutone è stato declassato), sono ancora per molti versi misteriosi, in particolare per quanto riguarda la dinamica della loro atmosfera. I pochi dati affidabili che abbiamo ce li ha mandati la sonda Voyager 2 negli anni Ottanta, incontrando prima Urano nell’86 e poi Nettuno nell’89.
In quell’occasione, le immagini raccolte dalla sonda mostravano nubi di metano e ammoniaca, percorse da venti diretti da est verso ovest e con velocità fino a 450 metri al secondo, contro i 30-100 metri al secondo che si misurano sulla Terra. Insomma, nonostante la loro distanza dal Sole, i due “giganti di ghiaccio” hanno venti tra i più forti di tutto il del Sistema solare. Da dove venga l’energia che li muove, non è chiaro: se sia comunque il calore del Sole, o calore proveniente dall’interno del pianeta. Per capirlo, sarebbe importante sapere se i venti riguardano solo gli strati esterni dell’atmosfera o ci sono anche più in profondità.
Ora un nuovo studio condotto da Yohai Kaspi del Weizmann Institute in Israele, e pubblicato sull’ultimo numero di Nature, propone un nuovo metodo per capirlo. I ricercatori hanno incrociato le immagini raccolte da Voyager con i dati sulle piccole accelerazioni e decelerazioni subite dalla sonda mentre passava vicino ai pianeti, legate al campo gravitazionale dei pianeti stessi. Quest’ultimo doveva essere influenzato dai movimenti di materia provocati dai venti, e un complesso modello matematico permette quindi di mettere in relazione lo spessore della parte di atmosfera coinvolta nel movimento dei venti con l’attrazione gravitazionale avvertita da Voyager nelle varie fasi del transito.
Secondo i calcoli dei ricercatori, i movimenti dell’atmosfera in entrambi i pianeti sono piuttosto superficiali, non andando oltre i 1000 km di profondità. Che possono sembrare tanti per noi sulla Terra, dove tutta l’atmosfera misura circa 100 km, ma tanto su Urano quanto su Nettuno corrispondono sì e no allo 0,2 per cento della massa totale del pianeta. Se i venti fossero più profondi, gli effetti gravitazionali sentiti da Voyager avrebbero dovuto essere ben più apprezzabili.
Il motivo per cui il risultato è tanto interessante è che lo stesso metodo potrebbe essere utilizzato anche per Giove e Saturno, una volta che nuove missioni come Juno (o la stessa Cassini, quando a fine carriera verrà “accompagnata” verso un’orbita molto più bassa di quella attuale su Saturno) renderanno disponibili dati abbastanza accurati sulla gravità dei due giganti gassosi (finora le sonde che li hanno visitati sono rimase su orbite troppo alte).