Siamo pronti a scommettere che all’edicola siate soliti guardare con sussiego gli acquirenti di riviste astrologiche e divinatorie. Non ce la sentiamo di biasimarvi (anzi!), ma sappiate che potreste pentirvene. State un po’ a sentire…
Come ben sapete, qualche secolo fa era invalsa l’usanza di comunicare le scoperte scientifiche ad amici (e ad avversari) in maniera criptica, tramite anagrammi. In tal modo ci si cautelava dalla concorrenza, si poteva sempre dimostrare la “priorità” e si aveva il tempo di cercare con comodo ulteriori prove a sostegno.
Nell’agosto del 1610, Galileo inviò un messaggio segreto all’ambasciatore toscano a Praga, Giuliano de Medici, perché lo consegnasse a Keplero. Il testo, un’incomprensibile sequenza di 37 lettere, anagramma della frase che annunciava la sua ultima scoperta astronomica, era il seguente:
SMAISMRMILMEPOETALEUMIBUNENUGTTAURIAS
Una stringa neppure scritta in latino, che secondo le intenzioni di Galileo doveva essere ricostruita nella frase: ALTISSIMUM PLANETAM TERGEMINUM OBSERVAVI, ovvero: “Ho osservato il pianeta più alto triplicato”: messaggio annunciante al mondo che il pianeta “più alto” (più lontano) allora conosciuto (Saturno) si mostrava al telescopio con qualcosa di strano ai bordi (le due anse degli anelli). Galileo lo aveva visto “triplicato” perché il suo cannocchiale non era abbastanza potente da risolvere l’immagine degli anelli da quella del pianeta, con il risultato che talvolta Saturno gli appariva come fosse fatto di tre sfere parzialmente sovrapposte
L’astronomo tedesco non si perse d’animo, e da esperto enigmista – prova e riprova – aveva presto ricondotto la stringa a questo verso latino:
SALVE, UMBISTINEUM GEMINATUM MARTIA PROLES!
che si può grosso modo tradurre con “Salve, furiosi gemelli, prole di Marte”.
Sorpresa! Galileo comunicava una notizia, e Keplero ne ricavava un’altra; anche più reale di quella del pisano, se vogliamo (infatti, Marte possiede davvero due satelliti, mentre il Saturno “tergenimum” di Galileo era solo un’approssimazione sulla strada della verità).
Insomma, Keplero era giunto alla conclusione che Galileo avesse scoperto un paio di satelliti di Marte. Cosa che noi sappiamo essere del tutto impossibile per i telescopi dell’epoca (non per nulla furono trovati solo nel 1877).
Si trattò di un caso o di una premonizione? Sicuramente un caso, penseranno i giustamente razionali lettori di questa rivista. Ma…
C’è un “ma”, perché qualche mese dopo, nel dicembre del 1610, Keplero si vide arrivare un nuovo messaggio di Galileo, così concepito: HAEC IMMATURA A ME IAM FRUSTRA LEGUNTUR OY
Il quale, nelle intenzioni del fisico italiano doveva partecipare al mondo scientifico che CYNTHIAE FIGURAS AEMULATUR MATER AMORUM (La madre dell’amore emula le forme di Cynthia). Ovvero, in termini astronomici, che Venere (la madre dell’amore) mostra delle fasi simili a quelle della Luna (Cynthia per i latini).
L’astronomo tedesco si rimette subito al lavoro (non vi sembra di vederlo, accanto al fuoco di un camino, nel gelido inverno di Praga mentre si agita e smania sul foglio ricoperto di frasi?), e dopo non si sa quanto tempo, se ne esce con questo risultato:
MACULA RUFA IN IOVE EST GYRATUR MATHEM ECC.
ovvero: “C’è su Giove una Macchia Rossa che gira in modo matematico, ecc.”
Cerchiamo di capirci bene: una Macchia rossa su Giove, nel 1610! Inutile ricordare che questa caratteristica gioviana fu osservata (da Giovanni Domenico Cassini, o forse anche dall’inglese Robert Hooke) soltanto a partire dal 1665…
A questo punto i “casi” di premonizione diventano due. Un po’ troppi… e l’ipotesi di un Keplero provvisto di capacità visionarie (aveva o no una madre “strega”?) non fatica a ritagliarsi uno spazio sempre più grande, perfino nelle nostre menti matematiche e assolutamente refrattarie a qualsiasi spiegazione di natura irrazionale. Quante probabilità ci sono, infatti, che da due sequenze di lettere si possa estrarne, tra tutte le combinazioni possibili, due frasi che descrivono in modo pressoché perfetto delle realtà astronomiche del tutto sconosciute al tempo?
Comunque rassicuratevi, questa dotta trattazione non ha certo lo scopo di minare la vostra fiducia nella visione razionale delle cose (niente è come sembra, come vedremo nel prossimo numero), ma soltanto quello di introdurre con un minimo di “atmosfera” la presentazione del “problema del mese”.
Immaginate quindi che un amico (o concorrente) astronomo, vi recapiti (non tramite l’ambasciatore, ma più probabilmente via email) un messaggio di questo tenore:
PIU’ PESO UNENDO TRE STELLE
Ebbene, anagrammando opportunamente, riuscireste a scoprire la scoperta scientifica celata in questa apparente ovvietà?