È inevitabile: i ragazzi che si interessano di scienza leggono fantascienza. Si potrebbe quasi stabilire una legge di natura, in merito, anche se l’innata prudenza dei matematici ci fa rifuggire dalle facili generalizzazioni.
Riconoscendoci come membri (ormai anziani, ahimè) di cotanta schiera, non abbiamo certo intenzione di recriminare sulla cosa, anzi; tanto è vero che non perdiamo occasione per ambientare in contesti fantascientifici i nostri indovinelli.
Vorremmo però approfittare di queste colonne per esortare anche alla lettura di altri generi: esistono infatti maestri della narrazione che sanno regalare emozioni anche se i protagonisti delle loro storie non si chiamano John o Jack. Dino Buzzati è senza dubbio uno di questi, e i suoi racconti e romanzi non hanno nulla da invidiare né alla narrativa di intrattenimento – perché la tensione che le sue pagine generano non è seconda a nessun conflitto galattico – né letteratura più alta e nobile, perché la maestria letteraria dell’autore bellunese non temono confronti sul piano letterario. La forza narrativa del “Deserto dei Tartari”, ad esempio, richiama sia la splendida sintesi del brevissimo “Sentinel” di Fredric Brown, sia il lento procedere di “Aspettando Godot” di Beckett; e non è certo l’unica sua opera notevole. Tra i racconti, quello che ci è più caro è “I Sette Messaggeri”, recentemente riproposto nella bella antologia “Racconti Matematici” curata da Claudio Bartocci. Vi si narra di un Principe che parte dalla Capitale dell’Impero intenzionato a raggiungere i mai visti confini del suo regno. Per non rimanere senza notizie della corte, sceglie tra i cavalieri della sua scorta i sette più fedeli (Alessandro, Bartolomeo, Caio, Domenico, Ettore, Federico e Gregorio) e li incarica di fare da messaggeri; dovranno continuamente tornare indietro alla Capitale recando le sue lettere, qui raccogliere le lettere di risposta, quindi ripartire immediatamente verso il Principe.
La carovana del Principe percorre ogni giorno quaranta leghe; i Messaggeri, più veloci, riescono invece a percorrerne sessanta. Già la mattina del terzo giorno (quando erano state percorse dal gruppo ottanta leghe) il Principe comincia a mandare indietro Alessandro; e nei giorni seguenti, ogni mattina parte verso la capitale un cavaliere. Il tempo e lo spazio cominciano a tessere la loro lunga tela: quando parte anche Gregorio, l’ultimo dei sette, devono ancora passare dei giorni prima che Alessandro ritorni; quanti? L’autore stesso lo dice, e per una volta accetteremo anche che si sfogli il testo alla ricerca della risposta.
Ma il ciclo deve continuare senza interruzioni: Alessandro riparte subito alla volta della Capitale mentre il Principe continua la sua marcia in direzione opposta verso i confini; e come Alessandro tutti i Messaggeri, man mano che ritornano dal Principe, vengono immediatamente inviati nuovamente indietro. Ma il tempo si dilata, e il racconto si conclude con un Principe invecchiato, che ha appena ricevuto Domenico ormai sapendo che non riuscirà a vederlo tornare di nuovo. Visto che il Principe dichiara “erano quasi sette anni che non lo vedevo”, sapreste dire quante volte Domenico è riuscito a ritornare dal Principe?
Proviamo ora, per amore di gioco, a modificare la storia: immaginiamo che l’Impero del Principe si estenda proprio sulla nostra amata Terra (che immagineremo però tutta percorribile a cavallo, con buona pace degli oceani), e immaginiamo anche che, la sera in cui Alessandro torna alla carovana per la seconda volta, il Principe raduni il suo quartier generale pronunciando questo discorso: “È evidente che continuare a scambiare notizie con la Capitale in questo modo è inutile; ho deciso allora che aspetteremo qui, nel preciso punto in cui ci ha raggiunti Alessandro, il secondo ritorno di tutti i Messaggeri. Il giorno successivo al rientro di Gregorio, ripartiremo e manderemo Alessandro in avanscoperta, lasciandogli percorrer una distanza pari a quella percorsa durante il suo primo viaggio (intendendo, con “primo viaggio”, proprio quello di “andata”, partendo dal Principe e giungendo alla Capitale); lì giunto, pianterà una bandiera e tornerà verso di noi. La sera del secondo giorno partirà Bartolomeo, con la stessa missione di procedere per le leghe del suo primo viaggio, per poi tornare indietro. Tutti e sette procederete così, ripartendo poi di nuovo in avanti non appena vi sarete riuniti a me, ma questa volta procedendo per il numero di leghe percorse nel secondo dei vostri iniziali viaggi di andata. Questo nostro pianeta è sferico, e allora prima o poi qualcuno di voi arriverà alla nostra amata Capitale: e lì potrà fermarsi, senza tornare indietro”.
Una variazione del genere toglie molto del pathos alla storia originale, e per emendare aggiungiamo un po’ di magia. Dovete sapere infatti che quando il Principe pronunciò il fatale discorso, il Fato volle che la carovana si trovasse esattamente agli antipodi della Capitale. Ne consegue allora che voi dovreste essere in grado di calcolare la lunghezza della lega buzzatiana; e, naturalmente, dovreste anche essere in grado di scoprire il nome del cavaliere che non torna, cioè di colui che tocca per primo le amate mura della Capitale
Il Cavaliere che non torna
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