New Horizons ha individuato una seconda catena montuosa sulle propaggini di Tombaugh Regio, l’ormai celebre struttura a cuore sulla superficie di Plutone. Le immagini mostrano rilievi alti in media 1-1.5 chilometri situati a 110 chilometri dai Norgay Montes, la catena visibile già nelle primissime foto trasmesse dalla sonda.
A destra delle montagne è visibile un lembo di Sputnik Planum, una pianura glaciale caratterizzata dalla presenza di poligoni irregolari lunghi circa 20 chilometri delimitati da solchi poco profondi, interrotti qua e là da materiale scuro e da rilievi – chiari indizi di intense attività di sublimazione ed erosione.
Dalla parte opposta, a sinistra della catena montuosa, si trova invece una regione scura punteggiata di crateri. Mentre Sputnik Planum ha un’età geologica stimata intorno ai 100 milioni di anni, questa regione più scura risale probabilmente a miliardi di anni fa, come sembrerebbe suggerire l’elevata presenza di crateri da impatto.
L’aspetto scuro della regione a ovest dei rilievi è probabilmente dovuta alla presenza di toline, molecole di idrocarburi originate dall’interazione tra i ghiacci già presenti, tra cui il metano, con le radiazioni ultraviolette del Sole e i raggi cosmici provenienti dallo spazio profondo.
“La transizione tra le giovani pianure ghiacciate a est e il terreno scuro e costellato di crateri a ovest è molto pronunciata,” spiega Jeff Moore del team di New Horizons. “L’interazione tra i materiali scuri e quelli chiari è molto complessa e ancora oggetto di grande studio.”
Gli scienziati sospettano che le montagne avvistate finora sulla superficie di Plutone siano composte in larga parte da acqua allo stato solido. Nessun altro dei ghiacci individuati finora sul pianeta nano, infatti, sarebbe in grado di supportare strutture così massicce.
La presenza di una seconda catena montuosa, seppur meno pronunciata dei Norgay Montes (alti in media 3.5 chilometri), assieme all’aspetto completamente privo di crateri di Sputnik Planum, sembra suggerire che Plutone sia un mondo ancora molto attivo dal punto di visto geologico, o almeno che lo sia stato in tempi recenti. Il mistero è quale sia la sorgente dell’energia necessaria ad alimentare tali attività: l’unica conosciuta su Plutone è il calore generato dal decadimento radioattivo di elementi quali torio e uranio, ma secondo i nostri modelli attuali non dovrebbe essere sufficiente ad alimentare una simile “vivacità” geologica.
Secondo alcuni scienziati, la natura di questa elusiva sorgente energetica sarebbe da ricercarsi nella relazione sincrona che lega Plutone a Caronte e viceversa: anche il semplice ciclo stagionale che vede i ghiacci di metano, azoto e monossido di carbonio sublimare dalla superficie di Plutone e poi depositarsi in regioni più fredde potrebbe causare una redistribuzione asimmetrica della massa sufficiente a causare a sua volta un’alterazione nell’assetto della relazione tra Plutone e Caronte e quindi portare a uno sbilanciamento nell’equilibrio del sistema. Spingendoci ancora più in là, si potrebbe speculare che le perturbazioni che si verrebbero a creare nel sistema potrebbero addirittura sfociare in un feedback positivo che porterebbe a un ulteriore aumento nelle attività geologiche dei due corpi.