Marte nel 2001, in due immagini raccolte a un mese di distanza l’una dall’altra dal Mars Global Surveyor della NASA: nel riquadro a destra è evidente l’offuscamento completo prodotto dalla tempesta di polvere. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Una previsione vera. Di quelle che vengono annunciate molto tempo in anticipo sull’evento. E con una data precisa: 29 ottobre 2016. No, non occorre che la cerchiate sul calendario, a meno che non abbiate in programma di trascorre l’ultimo week-end del mese in lidi davvero remoti: su Marte. Già, perché l’allerta meteo “diramata” quasi un anno e mezzo fa, il primo maggio 2015, dal planetarista della NASA James Shirleyattraverso la rivista Icarus riguarda proprio il Pianeta rosso.

«Marte raggiungerà il punto centrale dell’attuale stagione delle tempeste di polvere il 29 ottobre di quest’anno. Sulla base del modello storico che abbiamo trovato», spiegava ieri Shirley in un comunicato del Jet Propulsion Laboratory della NASA, «riteniamo molto probabile che una tempesta di sabbia globale avrà inizio nell’arco di poche settimane, o mesi, a partire da questa data».

La parola chiave, in questa previsione, è globale. Di tempeste di polvere locali, infatti, su Marte ce ne sono di frequente. Localizzate in aree delimitate, a volte si estendono o si uniscono a formare sistemiregionali, in particolare durante la primavera e l’estate australi, quando Marte è più vicino al Sole. In rare occasioni, le tempeste regionali sollevano una coltre di polvere che avvolge l’intero pianeta, rendendo indistinguibili i dettagli del suolo (vedi riquadro a destra nell’immagine di apertura). Alcuni di questi eventi possono ingigantirsi fino a diventare vere e proprie tempeste planetarie, come quella che, nel 1971, accolse il primo veicolo spaziale in orbita attorno a Marte, il Mariner 9 della NASA.

Ma c’è uno schema prevedibile, dietro a questi eventi maggiori, e più rari, che coinvolgono l’intero pianeta? Per rispondere, Shirley ha anzitutto ricostruito la serie storica degli eventi globali più recenti: dal 1924 ne sono stati osservati nove, gli ultimi nel 1977, 1982, 1994, 2001 e 2007. Il numero effettivo è però senza dubbio più alto: negli anni in cui non c’erano satelliti in orbita a tenerlo sott’occhio da vicino, Marte era a volte mal posizionato per poter cogliere tempeste di polvere globali con i soli telescopi terrestri.

In questo grafico, l’analogia fra le condizioni di Marte nel 2016 (linea blu) e quelle presenti in cinque anni con tempeste di polvere globali (linee arancioni) rispetto agli anni senza tempeste globali (linee celesti). Crediti: NASA/JPL-Caltech

Ciò che Shirley notò, nel suo lavoro del 2015, fu che, considerando anche gli altri pianeti, emergeva una correlazione fra il verificarsi di tempeste di polvere globali e il moto orbitale di Marte. Altri pianeti hanno infatti un effetto sul momento angolare di Marte nella sua rivoluzione attorno al Sole. Un effetto modulato secondo un ciclo di circa 2.2 anni, dunque superiore al periodo orbitale del pianeta, lungo circa 1.9 anni. La relazione tra questi due cicli varia continuamente. Ebbene, Shirley ha scoperto che le tempeste di polvere globali tendono a verificarsi quando il momento angolare è in aumento durante la prima parte della stagione delle tempeste di polvere. Viceversa, almeno fra quelle conosciute, nessuna delle tempeste di polvere globali si è verificata negli anni in cui, durante la prima parte della stagione delle tempeste di polvere, il momento angolare era in calo.

Ed è grazie a questo modello che Shirley è arrivato a formulare la sua previsione. Per sapere se è corretta, non ci resta che attendere qualche settimana con gli occhi puntati su Marte. Ma a chi potrebbe interessare, se venisse confermata la previsione, sapere in anticipo come sarà il tempo sul Pianeta rosso? Be’, anzitutto a lander e rover, soprattutto se si affidano solo ai pannelli solari, che potrebbero trovarsi a dover prendere contromisure per affrontare un lungo periodo di luce ridotta o di comunicazioni interrotte. E guardando appena un poco più in là, sarà cruciale per programmare i periodi di permanenza dei futuri astronauti.

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