“Grazie, se ne avrò bisogno la chiamerò”. Liquidato il personale di sicurezza richiuse la porta e si guardò intorno.
L’ambiente gli sembrò più che spazioso. La grande scrivania e l’ampia vetrata alle spalle davano all’ufficio un’aria di lussuosa efficienza, e notò con piacere che al centro della sala, posato sul tavolo di un piccolo salotto, qualcuno aveva già provveduto a recapitare il contenitore dei suoi effetti personali.
Come un bambino curioso andò subito a sedersi sulla comoda poltrona. Un odore di legno nuovo e di vernice impregnava ogni cosa. Era soddisfatto.
Una piccola spinta e la sedia ruotò su se stessa. Un Sole rosso, solcato da sottili nubi, si stava alzando all’orizzonte promettendo una giornata stupenda, e per qualche minuto stette ad osservarlo rincorrendo pensieri disordinati. Una luce dorata gli colorava leggermente il viso affilato e scuro.
Dopo un po’ si scosse, e raggiunto il contenitore cominciò a tirarne fuori piccoli oggetti che poi andava riponendo nei molti cassetti della scrivania. Sentiva che la breve euforia per l’incarico prestigioso a cui era stato chiamato andava già spegnendosi, e gli venne subito in mente il problema dell’antenna nord, con il test programmato da mesi che stava per essere annullato.
La cassa era ormai quasi vuota, quando trovò il binocolo.
Lo posò sulla scrivania con cura, arretrò di qualche passo, lo riprese in mano, guardò alla finestra e si sedette nella poltrona.
Con un fazzoletto pulì con cura le lenti residue – soltanto tre, perché era sempre mancato l’oculare di sinistra – e con una piccola spinta volse la poltrona verso l’ampia finestra. Puntò lo strumento verso l’orizzonte, naturalmente con l’occhio sinistro chiuso, e tra mille riflessi causati dalla fioritura della resina nei doppietti intravide la grande parabola dell’istituto di radioastronomia, che confinava con la piana dell’interferometro.
Dopo alcuni minuti posò il binocolo sulla scrivania, chiuse ambedue gli occhi e vide.
Vide un bimbo sorridente che usciva di corsa da una montagna di spazzatura fumante.
Aveva appena trovato il binocolo. Era felice.
Con la maglietta pulì le lenti, lo avvicinò agli occhi e si accorse che funzionava. È vero che mancava un oculare, ma funzionava!
Corse a perdifiato verso la baraccopoli di Pune, nel riparo dove viveva con i genitori, nascose il tesoro sotto il letto e tornò con gli amici sulla collina ricoperta di rifiuti, dove la mattinata terminò con altri recuperi di poco conto. Il suo pomeriggio, come per tanti altri bimbi, sarebbe stato dedicato alla “vendita” degli oggetti in mercatini improvvisati nei sobborghi meno poveri della città.
Tornato a casa, dedicò molto tempo alla pulizia di quella cosa meravigliosa, che considerava “sua” e che mai avrebbe messo in vendita. Tentò anche di aprirlo, ma senza successo.
Poi venne sera e lo puntò verso il cielo nero, l’unica cosa pulita di quel suo mondo disperato (e che però a lui sembrava bellissimo e rassicurante). E questo accadde per molte e molte serate a seguire. E tante erano le domande che andava facendo a tutti sul significato di quelle cose che vedeva in cielo, che un giorno suo padre rinunciò a mezza rupia, una giornata di paga, per comprargli un libretto dove si parlava di stelle, pianeti, e dove per la prima volta vide scritta la parola “astronomia”.
Poi vennero altri libri, e il ragazzo – come nelle storie più belle – un giorno prese il treno. Una grossa borsa conteneva tutte le sue povere cose. Voleva continuare a studiare. Voleva sapere.
Un linguaggio nuovo aprì la sua mente. Lo trovò divertente. Ed il ragazzo, fattosi uomo, imparò anche a raccontare, nella forma logico-matematica utilizzata dal mondo, le sue teorie, le sue soluzioni, i suoi pensieri.
E ogni volta che c’era da superare un ostacolo non mancava di prendere in mano quel suo vecchio binocolo, che non lasciava mai e che gli ricordava come tutto può nascere da una casualità, e come tutto può ricadere su se stesso se non si colgono i segnali che la vita continuamente ci manda. Spesso i suoi pensieri tornavano alla sua casa, ai suoi amici, ai suoi genitori. Quante volte era tentato di tornare alla sua montagna di spazzatura…
Tornò a guardare nel presente, sorvolando con il binocolo lo sterminato campo sotto il quale correvano i condotti di Fabry- Perot. Lì sotto stava la speranza di riuscire, un giorno non lontano, a rilevare la presenza di minuscoli segnali in concomitanza con l’esplosione di qualche supernova. O, meglio ancora, di segnalare al mondo, “in tempo reale”, l’avvenuta esplosione e la zona di provenienza.
Sono anni ormai che lavora a questo progetto. È necessario non lasciare nulla al caso, ed è sicuro che la sua creatura non lo tradirà. Sarà certamente in grado di rilevare le onde gravitazionali, da tanto tempo previste e mai rilevate con la necessaria certezza.
Quel piccolo binocolo, testimone e viatico del suo passato lontano, ancora una volta gli darà la forza per giungere alla meta.
Il Binocolo
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