In questa immagine, a tre colori nei raggi X (rosso, verde e blu sono usati rispettivamente per rendere raggi X a bassa, media e alta energia), ripresa dal telescopio spaziale Chandra, mostra l'inusuale supernova "camaleonte" SN 2014C. Indicata dal riquadro, è stata scoperta nel 2014 in una galassia a spirale, NGC 7331, a 46 milioni di anni luce di distanza. Credits: NASA/CXC/CIERA/R.Margutti et al

«We’re made of star stuff»
Carl Sagan

“Siamo fatti di materia di stella”, diceva l’astronomo Carl Sagan, di “polvere di stelle”… Intendeva ovviamente letteralmente! Le reazioni nucleari, infatti, che sono avvenute nelle stelle più antiche hanno generato gran parte degli elementi che compongono il nostro Universo, il nostro Sistema Solare, il nostro pianeta e quindi anche noi stessi. Ed è quando stelle massicce muoiono di morte violenta, esplodendo come supernove, che questo materiale viene espulso e disperso nello spazio.

Una supernova in particolare rappresenta ancora una sfida per gli astronomi, i loro modelli non riescono a spiegare del tutto il modo in cui i suoi resti si sono dispersi e il materiale che li compone.

Qui invece un'immagine della galassia opsite nel visibile, dalla survey Sloan Digital Sky, con indicata la posizione di SN 2014C. Credits: X-ray images: NASA/CXC/CIERA/R.Margutti et al; Optical image: SDSS

Si tratta della supernova Camaleonte, SN 2014C, il cui aspetto è cambiato drasticamente nel corso di un anno, al di fuori di qualsiasi classificazione. L’ipotesi principale ad oggi è che la stella che le ha dato origine abbia espulso il suo materiale in modo estremamente massiccio verso la fine della sua vita, prima di esplodere come supernova, andando contro tutti i modelli che spiegano questo tipo di esplosioni. Per spiegare quanto osservato, si dovrebbero però rivedere alcune delle idee ormai consolidate sull’evoluzione della fine vita di stelle di grande massa.

Cos’è una supernova, come nasce, come viene riconosciuta e classificata, QUI su Coelum 208 di febbraio 2017, in formato digitale completamente gratuito.

«La  supernova camaleonte può rappresentare un nuovo meccanismo di come le stelle massicce rilasciano gli elementi creati nei loro nuclei al resto dell’Universo», ci dice Raffaella Margutti – assistente professore di fisica e astronomia presso la Northwestern University di Evanston, Illinois – a capo di uno studio sulla SN 2014C, pubblicato questa settimana su The Astrophysical Journal.

Solitamente (vedi al link indicato sopra) le supernovae vengono classificate di Tipo I o II in base alla quantità di idrogeno trovata nei loro resti (molto poca nelle Tipo I, più rilevante nelle più rare di Tipo II). Ma per SN 2014C questo non è stato sufficiente.

Osservandola da diversi telescopi terrestri, gli astronomi hanno concluso che la camaleonte si è trasformata da una supernova di Tipo I a una di supernova di Tipo II, dopo il collasso del suo nucleo, come riportato in uno studio condotto da Dan Milisavljevic nel 2015 (Harvard- Smithsonian center for Astrophysics di Cambridge, Massachusetts). Nelle osservazioni iniziali, infatti, non è stata vista la classica riga di assorbimento dell’idrogeno, che caratterizza le Tipo II, ma dopo circa un anno, le tracce di idrogeno erano più che evidenti: le onde d’urto che si propagano dall’esplosione stavano colpendo un guscio di materiale dominato dall’idrogeno al di fuori della stella. Da dove è arrivato tutto questo idrogeno?

Nel nuovo studio, il telescopio spaziale della NASA NuSTAR (Nuclear Spectroscopic Telescope Array, per l’osservazione nei raggi X ad alta energia), ha permesso agli scienziati di rilevare come la temperatura degli elettroni, accelerati dall’esplosione della supernova, sia cambiata nel corso del tempo. Usando questa misura hanno stimato la velocità con la supernova si è espansa e quanto del suo materiale si trova ora nel guscio esterno.

Ed è proprio qui, in come ha creato questo suo guscio, che SN 2014C ha fatto qualcosa di veramente misterioso: ha espulso un sacco di materiale – principalmente  idrogeno, ma anche elementi più pesanti – da decenni a secoli prima di esplodere. Ha espulso l’equivalente di una massa solare, cosa che normalmente le stelle non fanno negli ultimi anni di vita.

E anche gli Osservatori Chandra e Swift sono stati utilizzati per dipingere ulteriormente il quadro dell’evoluzione di questa supernova. Grazie alle loro osservazioni è infatti emerso che, a sorpresa, la supernova si era illuminata in raggi X proprio dopo l’esplosione iniziale, indizio in più che doveva già esserci un guscio di materiale colpito dalle onde d’urto dell’esplosione.

Ma perché la stella ha espluso così tanto idrogeno prima di esplodere? È possibile che ci manchi ancora qualche tassello nella comprensione delle reazioni nucleari che avvengono nei nuclei di stelle massicce possibili supernovae. Oppure può essere che la stella non sia morta da sola: una stella compagna in un sistema binario può aver influenzato l’evoluzione e portato a tale insolita morte la progenitrice di SN 2014C. Una teoria, questa, che  si accompagnerebbe al fatto che circa sette stelle massicce su dieci hanno effettivamente una compagna.

A questo punto si dovrà focalizzare ulteriormente lo studio delle fasi finali della vita di queste stelle, con il vantaggio di poter continuare a studiare “in diretta” le conseguenze di questa supernova sconcertante.

«L’idea che una stella possa espellere una così grande quantità di materia in un breve intervallo di tempo è un concetto completamente nuovo», ci spiega Fiona Harrison, NUSTAR pricipal investigator al Caltech di Pasadena. «Mette alla prova i nostri fondamenti sull’evoluzione di stelle massicce, e su come eventualmente esplodono, disperdendo gli elementi chimici necessari alla vita».

Per ulteriori informazioni su NUSTAR, visitare i siti: www.nasa.gov/nustarhttp –  www.nustar.caltech.edu

Per imparare a conoscere meglio queste esplosive stelle, e magari unirsi ai cacciatori di supernovae amatoriali, cliccate qui sotto, Coelum Astronomia di febbraio è già disponibile online, in modo completamente gratuito.

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