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di Massimo Orgiazzi – Astronautinews.it
Qualche giorno fa, un astronomo dilettante alla ricerca del satellite segreto Zuma, sulla cui sorte sono state espresse dichiarazioni diverse e inconcludenti, si è con ogni probabilità imbattuto in IMAGE, un satellite NASA per l’osservazione della magnetopausa, perso da 12 anni e inaspettatamente attivo.
Il cielo è un gran pasticcio. Questa è una conclusione alla quale si può giungere se si leggono i report in merito alla “spazzatura spaziale” nell’orbita bassa terrestre. Il volume di detriti spaziali è cresciuto a livelli così elevati che gli oggetti in orbita vengono spesso in collisione e un giorno non troppo lontano, se non ci saranno azioni coordinate di razionalizzazione, il problema diventerà così complesso da porre pesanti ipoteche sull’esplorazione spaziale stessa. In un contesto di questo genere, può sembrare quasi normale che un’agenzia spaziale perda un satellite, lo dichiari inoperativo e a distanza di più di un decennio sia un radio astronomo dilettante a ritrovarlo attivo, ma si tratta in realtà di un’interessante storia di passione e di serendipità. È infatti quello che è successo a Scott Tilley, che si dedica alla ricerca amatoriale di satelliti per lo più segreti. La sua è una passione condivisa da molti astronomi dilettanti che scrutano il cielo “nascosto” nel quale, se si dispone dell’attrezzatura adatta, è possibile localizzare ed identificare satelliti di ogni tipo, persino quelli segreti. Molti di questi appassionati tengono blog e siti sui quali pubblicano i risultati delle loro ricerche, specialmente quando coronate dal successo. Nella maggior parte dei casi la loro attività si concentra su oggetti classificati, dato che l’entusiasmo e lo stimolo maggiore deriva per il dilettante dalla sfida del ritrovamento della posizione o del segnale di satelliti spia, i cui dati non sono resi pubblici dagli operatori e dalle agenzie. Un appassionato estremamente attivo è Marco Langbroek, che cura il blog SatTrackCam Leiden e che ha attivamente cercato di dare un esito alla missione Zuma, senza dubbio tra le più elusive, lanciata di recente da SpaceX e sulla cui sorte si sono intervallate numerose versioni, tutte per lo più inconcludenti.
Alla ricerca di Zuma si stava dedicando anche Scott Tilley, che la settimana scorsa ha divulgato i risultati della sua ricerca sul suo blog (nel quale si trovano tutti i dettagli e le immagini), riferendo di aver trovato evidenza che una missione NASA ritenuta ormai terminata da 12 anni, è in realtà ancora attiva. IMAGE (Imager for Magnetopause-to-Aurora Global Exploration) era stato lanciata il 25 marzo del 2000 e aveva iniziato il suo lavoro di osservazione della magnetosfera restituendo immagini globali del plasma presenti nella magnetopausa. Tra le scoperte più rilevanti di IMAGE c’è quella dei varchi esistenti nella magnetosfera e nella plasmasfera, all’origine del passaggio dei flussi protonici provenienti dal Sole e collegati alle aurore protoniche altamente energetiche presenti nelle osservazioni del satellite. A partire dal 18 dicembre 2005, dopo quasi sei anni di operatività, sono stati persi i dati telemetrici della sonda e la missione è stata dichiarata terminata: la NASA ha rilasciato una relazione definitiva il 19 settembre 2006. La missione è stata chiusa sulla scorta del guasto rilevato al controller che alimentava il transponder e la relazione ha escluso ogni altra possibile causa.
Con un segnale radio in mano e non persuaso che si trattasse della traccia di Zuma, Tilley ha confrontato l’orbita associata al segnale con quella di IMAGE e ha trovato corrispondenza. La conferma è arrivata dall’identificazione del segnale sui 2275,905 MHz che ha collegato l’emissione con l’oggetto 2000-017A, 26113, ovvero proprio la missione NASA persa nel 2005. Nel report dell’incidente si menzionava come il guasto al controller dell’alimentazione del transponder di IMAGE fosse un evento per il quale non c’era possibilità di recupero del satellite, per come era stata progettata la missione. Tuttavia l’orbita di IMAGE ha lasciato il satellite ad intervalli regolari nell’ombra della Terra, cosa che teoricamente avrebbe riavviato il suo sistema di alimentazione: il reboot è di fatto avvenuto nel 2007, anno nel quale tutti i tentativi di contattare IMAGE da parte della NASA erano verosimilmente già terminati da qualche tempo.
Avendo trovato IMAGE e convinto che tutto sommato la cosa non fosse così rilevante, dato che un semplice segnale poteva non voler dire alcunché e la NASA poteva anche esserne a conoscenza, Tilley ha messo da parte la sua scoperta per un po’. Tuttavia, mentre passava ad altre frequenze, ha capito che IMAGE stava effettivamente trasmettendo dati in modo attivo. A questo punto ha effettuato altre ricerche e ha scoperto che IMAGE era stato considerato perso proprio a causa del problema con l’alimentazione del transponder. Di conseguenza ha deciso di dare un’occhiata più attenta al segnale e l’esito è stata la conferma che il satellite ruotava ad una velocità compatibile con IMAGE e che il il segnale trasmesso conteneva dati.
Al momento non si ha ancora idea di quale sia la stato diagnostico generale del satellite o della quantità di hardware ancora operativa, ma uno dei co-investigatori originali della missione, Patricia Reiff della Rice University di Houston, ha trovato il post sul blog di Tilley e ha riferito che ci sono strumenti attivi e passivi che potrebbero sicuramente fornire utili dati scientifici utili. E’ di conseguenza entrata in contatto con Scott Tilley per verificare come ottenere le informazioni necessarie per estrarre i dati dal segnale scoperto e attualmente monitorato. Nel frattempo Tilley ha contattato il mission manager della missione, Richard J. Burley e l’incontro ha messo in moto una serie di altre azioni.
Come ulteriore sviluppo, Jeff Hayes, esperto di eliofisica presso il quartier generale della NASA a Washington, ha scritto ad AmericaSpace che non c’è ancora una certezza assoluta che il segnale identificato sia veramente quello di IMAGE, ma la NASA sta ora lavorando per ricontattare le persone informate sulla missione dopo tutto questo tempo nel tentativo di ottenere tutti gli script e il software appropriati, nell’ipotesi che si tratti veramente di IMAGE. In scala cronologica decisamente ridotta, è qualcosa di molto simile a quanto accaduto per la riaccensione dei propulsori della Voyager 1 , per cui è stato necessario riportare in vita software e linguaggi oramai in disuso. Nel frattempo tutta una serie di altri astronomi dilettanti dediti al tracking dei satelliti ha confermato la scoperta di Tilley e il segnale viene ora monitorato da più parti del pianeta.
Il caso di IMAGE non è il solo nell’ambito della riscoperta di satelliti e sonde apparentemente perse nello spazio: basti ricordare il caso del satellite LES-1, la cui operatività era stata cessata nel 1967 ma ritrovato ancora funzionante ben 46 anni dopo, oppure la missione ISEE-3, partita nel 1978 per l’esplorazione del Sole e riconvertita allo studio cometario per poi rimanere silenziosamente accesa dal 1990 al 2014, quando è diventata protagonista di un appassionante tentativo di reboot.
Al momento la NASA ha una missione attiva che sta continuando il lavoro di IMAGE, ovvero MMS (Magnetospheric Multiscale Mission), ma considerando il valore economico di una missione scientifica, il lavoro di Tilley, nato da un entusiasmante filone di indagine dilettantistica al limite con l’archeologia delle missioni spaziali, potrebbe aver dato alla NASA un consistente beneficio collegato al recupero di importanti informazioni scientifiche passate o potenzialmente nuove, nel caso la missione possa avere un inatteso reboot a ben 13 anni di distanza.
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