Una drammatica battaglia di potere magnetico si combatte sulla superficie del Sole, proprio nel cuore delle eruzioni solari. È quanto emerge da un nuovo studio, pubblicato l’8 febbraio su Nature, su dati provenienti dal Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA, che evidenzia il ruolo della “geografia” magnetica (topografia) nello sviluppo delle eruzioni solari che possono scatenare eventi meteorologici nello spazio attorno alla Terra.
Guidati da Tahar Amari, astrofisico al Centro di Fisica Teorica dell’École Polytechnique di Palaiseau Cedex, in Francia, gli autori dello studio hanno osservato i brillamenti solari, intense esplosioni di radiazione e luce. Molti di questi, quando particolarmente intensi, sono seguiti da un’espulsione di massa coronale, chiamata CME, una massiccia eruzione a forma di bolla di materiale solare e campo magnetico. Ma non a tutti i brillamenti segue una CME… e il motivo non è ancora chiaramente compreso.
Usando i dati dell’SDO, gli scienziati hanno esaminato un gruppo di macchie solari grandi quanto Giove dell’ottobre 2014, in un’area di complessi campi magnetici, spesso sito di attività solare. Si è trattato del più grande gruppo di macchie degli ultimi due cicli solari e di una regione estremamente attiva.
Sebbene le condizioni sembrassero quelle ideali pronte per una nuova eruzione, la regione non ha mai prodotto un’importante CME, ma ha emesso un potente brillamento di classe X, la classe più intensa di questo tipo di fenomeno. Ma allora, cosa manca perché avvenga anche un’espulsione di massa coronale?
Il team ha utilizzato le osservazioni dell’SDO di campi magnetici sulla superficie del Sole, in potenti modelli che calcolano il campo magnetico della corona solare, o dell’alta atmosfera, e hanno osservato come si è evoluto nel tempo poco prima del brillamento. Il modello ha rivelato una lotta tra due strutture magnetiche chiave: una corda di campo (o di flusso) magnetico attorcigliata – già nota per essere associata all’inizio di una CME – e una densa gabbia di campi magnetici che sovrastano la corda.
Quello che si è scoperto è che questa gabbia magnetica impediva fisicamente l’espulsione di massa coronale, ovvero la produzione di una CME. Poche ore prima del brillamento, la rotazione naturale della macchia solare contorceva la corda magnetica che diventava sempre più attorcigliata e instabile. Ma la corda non è mai uscita dalla superficie, non aveva abbastanza energia per rompere la gabbia, pur riuscendo a sferzare una parte della gabbia, innescando il brillamento.
Modificando nel modello le condizioni iniziali della gabbia, gli autori dello studio hanno scoperto che se la gabbia fosse stata più debole in quel momento, il 24 ottobre 2014 avremmo assistito a una potente CME. Il prossimo passo sarà lo studio di questa interazione tra gabbia e corda magnetica in altre eruzioni.
«Siamo stati in grado di seguire l’evoluzione di una regione attiva, prevedere la probabilità di eruzione e calcolare la quantità massima di energia che l’eruzione può rilasciare», ha detto Amari. «Si tratta di un metodo pratico che potrebbe diventare importante, con l’aumento delle capacità computazionali, nella previsione del tempo meteorologico spaziale».
Previsioni importanti, perché questi eventi hanno forte impatto anche per noi, non tanto per noi sulla superficie (che siamo comunque protetti dalla magnetosfera del nostro pianeta), ma per la fitta rete di satelliti dedicati alle comunicazioni ad esempio, o per eventuali future missioni spaziali con esseri umani a bordo.
Per saperne di più sulle conseguenze a Terra di una tempesta solare → intervista a Alessandro Bemporad di Media INAF
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