di Massimo Orgiazzi – Astronautinews.it
Sebbene si sia trattato di un test con l’uso di un finto detrito spaziale, il video diffuso questa settimana dall’Università del Surrey, ha destato un certo stupore per la semplicità con cui il satellite RemoveDEBRIS ha catturato un cubesat nientemeno che con una rete lanciata nello spazio.
Siamo certamente abituati da molti anni ad assistere a compiti anche molto complessi portati a termine nello spazio: camminate spaziali, attracchi, assemblaggi di componenti, ma il lancio di una rete per la cattura di un detrito spaziale faceva ancora parte delle svariate simulazioni legate a progetti per lo smaltimento della vasta popolazione fatta di spazzatura orbitante attorno alla Terra. Il satellite RemoveDEBRIS è stato costruito dall’Università del Surrey ed è stato lanciato sulla Stazione Spaziale Internazionale con la missione di rifornimento lanciata nell’aprile scorso con la capsula Dragon. In giugno la NASA ha rilasciato il satellite, dal peso di 100 chilogrammi e domenica scorsa, il task della missione è stato completato con successo. Il satellite target non era un effettivo detrito spaziale, ma un cubesat dalle modeste dimensioni (10 x 10 x 20 centimetri), rilasciato proprio dallo stesso satellite RemoveDEBRIS poco prima del test di recupero. Il direttore del Surrey Space Centre presso l’Università del Surrey, Guglielmo Aglietti, 52 anni, laureato in ingegneria presso il Politecnico di Milano, si è detto soddisfatto per un test che è andato come previsto. La rete si è aperta come previsto e la cattura, come si vede dal video, è avvenuta senza alcun intoppo. Ora il download e l’analisi dei dati raccolti richiederà qualche settimana di elaborazione, ma i risultati sembrano positivi già dall’esito del test.
RemoveDEBRIS è un satellite dalle dimensioni su per giù di un frigorifero costruito dalla SSTL (Surrey Satellite Technology), che è parte di un consorzio creato dall’Università del Surrey, da Airbus e da altre aziende europee. Il satellite, progettato per testare la cattura di detriti spaziali in orbita, dispone, oltre alla rete, anche di un metodo alternativo di “abbordaggio”, costituito da un piccolo arpione dalle dimensione di una penna, che sarà testato facendo fuoco verso una piastra solidale estesa nello spazio a breve distanza dallo stesso satellite.
Il test condotto domenica scorsa ha coinvolto distanze minime: il cubesat, che ha aumentato le sue dimensioni gonfiandosi fino a circa un metro di diametro, si è allontanato dal RemoveDEBRIS di circa 6 metri. Dopo di che, la rete è stata lanciata con un meccanismo a molla e il processo di cattura, che nel video impiega circa 20 secondi, ha richiesto in realtà 2-3 minuti. Ma sebbene la simulazione abbia usato dimensioni e distanze in scala rispetto ai futuri e possibili casi reali, si è trattato di un successo che darà notevoli spunti per la prosecuzione del progetto, che ha richiesto ben sei anni di test in voli parabolici, torri di caduta e camere a vuoto per poter consentire agli ingegneri di sviluppare una sufficiente confidenza per provare la tecnologia nello spazio.
La rete utilizzata è costruita in polietilene Dyneema, comunemente usato per la produzione di cavi e corde per l’alpinismo. L’uso di sei masse affisse alla rete ha permesso l’apertura della stessa alla sua massima estensione di 5 metri. Le masse sono in realtà sei motori usati per chiudere la rete intorno ai detriti. Nella configurazione operativa, la rete sarà connessa al satellite da un cavo che, dopo la cattura provocherà la caduta del detrito, trascinato fuori dall’orbita dal satellite stesso ed eliminato mediante rientro distruttivo nell’atmosfera.
Nei primi mesi del 2019, RemoveDEBRIS testerà anche l’arpione e la campagna di test si chiuderà a marzo, quando il satellite aprirà una vela progettata per aumentare la resistenza aerodinamica nella tenue atmosfera presente a quella quota, di modo da iniziare il rientro distruttivo e sancire il termine della missione.
L’interesse per una tecnologia che consenta di rimuovere i detriti spaziali dall’orbita terrestre è aumentato negli ultimi anni sulla base della sempre maggior consapevolezza del numero di oggetti che si trova a fluttuare sopra le nostre teste. Si stima che la popolazione di detriti spaziali possa comprendere fino a 30.000 oggetti disposti su varie orbite e una valutazione della JAXA ha definito la necessità di rimuoverne ad un tasso di almeno cinque l’anno per prevenire la cosiddetta sindrome di Kessler, un’inarrestabile effetto a catena che potrebbe avviarsi con una cascata di collisioni tale da rendere l’effetto finale critico per il volo spaziale, come teorizzato dallo scienziato NASA Donald Kessler negli anni ’70.
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