L’ultimo uomo sulla Luna

L’astronauta Gene Cernan e la corsa allo spazio degli Stati Uniti

Cernan è scomparso il 16 gennaio 2017 a 82 anni, ma ha lasciato una grande eredità. Il libro, scritto a quattro mani con il giornalista Don Davis, con un linguaggio chiaro e diretto, racconta il punto di vista del comandante dell’ultima missione umana sulla luna: Apollo 17.

Diversi anni fa, a Cape Canaveral (con me anche Paolo Attivissimo), avevamo parlato del progetto a Gene Cernan, proprio nei giorni in cui giravano il documentario sulla sua incredibile vita. Ci disse: «parlatene con il mio editore, io sarò felice che anche gli italiani possano leggerlo». Il lavoro appariva improbo, ma qualche anno dopo un editore coraggioso ha deciso di raccogliere la sfida.

Nel momento in cui ci apprestiamo a celebrare il 50° anniversario dell’uomo sulla Luna, una piccola casa editrice di Bologna, Cartabianca Publishing, con lodevole iniziativa ha deciso di pubblicare l’edizione italiana del libro di Cernan e Davis, sia in versione cartacea – acquistabile solo direttamente presso il sito www.cartabianca.com – che in formato ebook. Dallo scorso 13 dicembre è infatti disponibile anche in Italia “L’ultimo uomo sulla Luna”: il poderoso (384 pagine!) e avvincente racconto di Eugene Cernan, uno spaccato di quegli anni straordinari che hanno esteso non solo metaforicamente i confini fisici e mentali dell’umanità.

L’ultimo uomo sulla Luna

L’astronauta Gene Cernan e la corsa allo spazio degli Stati Uniti

di Eugene Cernan e Don Davis
Cartabianca editore, dicembre 2018

Formato cartaceo: (384 pagine – € 17,90) disponibile solo presso lo store online della casa editrice.
Prezzo: € 17,90

Formato Ebook: Kindle, Apple iPad e in formato “universale” ePub (presso il sito della casa editrice e tutti i maggiori rivenditori online).
La versione ebook contiene un’estesa galleria fotografica di immagini appositamente restaurate, molte delle quali inedite e provenienti dagli archivi della famiglia Cernan.
Prezzo: € 17,90

Anteprima ebook in pdf

Cos’ha di speciale questo libro da renderlo diverso dai pochissimi altri scritti da astronauti di quell’epoca e disponibili in italiano? Innanzitutto lo stile di Cernan, sicuramente “limato” da un giornalista esperto qual è Davis: è assolutamente discorsivo, raramente magniloquente e con un impiego di terminologia tecnica e gergale limitata strettamente alla funzionalità della narrazione. Come lo stesso celeberrimo regista di Apollo 13, Ron Howard, ebbe a dichiarare: «Niente fisica avanzata, niente paroloni scientifici, solo le memorie assolutamente affascinanti del ruolo cruciale avuto da Cernan nella conquista dello spazio». Ciò non significa però che il testo sia esageratamente semplificato, né che il suo linguaggio sia edulcorato. Si tratta semplicemente di un testo da leggere tutto d’un fiato, dal quale traspare chiarissimo, fin dai primi paragrafi, l’altro pregio de “L’ultimo uomo sulla Luna”: la sua schiettezza e immediatezza.

Molti libri scritti da astronauti d’oltreoceano tendono a “premere l’acceleratore” sull’aspetto epico di quelle imprese, alimentando ego sicuramente un po’ ingombranti che talvolta prendono il sopravvento sulla narrazione stessa, risultando in testi stucchevoli e sempre un po’ sopra le righe, con quel carattere da eroe USA senza macchia e senza paura che poco ha a che fare con la realtà dei fatti. Il libro di Cernan è quasi l’opposto: è vero che si tratta di un libro scritto da un astronauta a stelle e strisce ma, a differenza dei suoi colleghi, il comandante dell’Apollo 17 preferisce non nascondere il lato umano delle proprie vicende personali, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con i propri familiari, amici e colleghi.
Forse non sarà poetico come Michael Collins, ma nemmeno spaccone come Buzz Aldrin, né troppo controllato come Neil Armstrong. Quindi molto spazio all’uomo, e poco al superuomo, nelle righe di questo libro in cui vengono portate alla luce l’ambizione e la paura, la gioia e lo stress, la meraviglia per il creato e lo sconforto per le tragedie umane.

Eugene Cernan nella foto di rito. Crediti: NASA

Uno dei punti di forza de “L’ultimo uomo sulla Luna” è proprio il rapporto intenso e per certi versi complesso e sfaccettato tra Cernan e la sua famiglia. Come la sua prima moglie Barbara sintetizzò mirabilmente in una frase passata alla storia: «Se credete che andare sulla Luna sia difficile, pensate a com’è per coloro che invece restano sulla Terra». E lo stesso profondo e intenso legame familiare fece sì che lo stesso Cernan lasciasse un segno indelebile sulla Luna, dedicato alla propria figlioletta Tracy, o a dedicare le ultime parole del libro alla propria nipotina Ashley.
E proprio la figlia e la nipote di Cernan hanno scritto appositamente per l’edizione italiana del libro – su richiesta della casa editrice Cartabianca – due toccanti postfazioni, in cui si riassume tutto ciò che il loro padre, e nonno, ha fatto dal 1999 al giorno della sua scomparsa.

Eugene Cernan è uno dei personaggi che più di altri, persino più del primo uomo a mettere piede sulla Luna, incarna l’ideale dell’epoca d’oro dell’astronautica. Questo personaggio non celeberrimo, con i piedi ben piantati a terra – come testimoniano le sue umili origini da figlio di immigrati cechi e slovacchi – ma con lo sguardo rivolto alle stelle, è quanto di più autentico si possa desiderare da chi ha letteralmente compiuto passi che sono entrati nella storia. Oltre ad avere partecipato alle missioni spaziali Gemini 9 e Apollo 10 (nelle quali ha orbitato rispettivamente, attorno alla Terra e alla Luna), Eugene Cernan è stato il comandante della missione Apollo conclusiva, la numero 17, ed è stato l’ultimo essere umano ad avere calpestato la superficie della Luna. Il 14 dicembre 1972, Gene Cernan, Comandante di Apollo 17, risaliva la scaletta del modulo lunare e decollava dalla valle lunare di Taurus-Littrow. Si concludeva così l’ultima esplorazione umana sulla luna.

Se si deve muovere qualche critica a “L’ultimo uomo sulla Luna”, si può dire che – pur avendo posto grande attenzione alle proprie vicende personali – Cernan è stato un po’ sbrigativo nel descrivere il resto della sua vita, dopo l’ultima storica missione spaziale, così come piuttosto soft è la trattazione di alcuni momenti di tensione, come ad esempio i rapporti piuttosto problematici con alcuni suoi colleghi o qualche reticenza nella descrizione di un suo noto incidente con un elicottero mentre volava radente sul mare. Ma questo è nel suo stile: lasciare da parte il gossip per concentrarsi su ciò che reputava veramente importante.
E gli si può perdonare anche il suo indulgere in qualche preferenza politica o nel descrivere qualcuno di quei piccoli privilegi che un uomo comune poteva solo sognarsi. Nel libro racconta dei grandi sacrifici che tutti gli astronauti e le loro famiglie dovettero affrontare e della consapevolezza degli enormi rischi a cui si esponevano. Ancora una volta, Cernan non ci parla solamente del lato eroico e affascinante della vita di un astronauta, ma anche delle paure, dei fallimenti e delle frustrazioni che dovettero sopportare per raggiungere l’obiettivo che appariva ai più impossibile.

Luigi Pizzimenti, autore della recensione, con Cernan. Copyright: Luigi Pizzimenti

Il mio rapporto personale con il Capitano era davvero unico. È stato fra i primi astronauti del programma Apollo che ho incontrato e da allora non ci siamo mai persi di vista. Era un uomo con una grande personalità, affabile e naturalmente orgoglioso della sua carriera astronautica.

Ogni volta che incontravi il comandante Cernan, sapeva coinvolgerti con la sua voce bassa e profonda che ti trasportava con lui sulla Luna e ti faceva rivivere le sue emozioni:
Cernan: «Una delle cose che ho osservato è che quasi nessuna delle domande che ricevo riguardano la tecnologia che abbiamo utilizzato. Le persone non chiedono quanto velocemente andavamo mentre orbitavamo intorno alla luna, le domande che le persone fanno sono sull’umanità di questa esperienza: che cosa sentivate? Come dormivate? Eravate spaventati? Vogliono sapere dell’esperienza del fare il primo passo sulla Luna. Rispondo che è stato importante per me e nessuno me lo può portare via. Per me i passi memorabili sono stati gli ultimi».

La sua esperienza è stata solo tecnologica o anche di fede?
«Quello che ho pensato mentre guardavo la Terra dalla Luna, è che era tutto troppo bello per essere accaduto per caso. Guardando la Terra, ho avuto la sensazione che fossi seduto sulla veranda di Dio».

Sulla Luna pensavate ai rischi che stavate correndo?
«Abbiamo trascorso tre giorni di duro lavoro, avevamo una missione da compiere. Ero consapevole che se fossi caduto e la mia tuta si fosse strappata o se il motore non si fosse riacceso potevo morire, ma non vivevo tutto ciò con paura. Siamo stati sempre consapevoli dell’ambiente ostile che ci circondava. Abbiamo scavato trincee e fatto carotaggi, scattato migliaia di foto di quella magnifica desolazione. Jack (Harrison Schmitt, pilota del modulo lunare) ha fatto un ottimo lavoro come geologo. Era sempre molto concentrato nel suo lavoro. Ho dovuto dirgli: Jack, prenditi una pausa, lo devi a te stesso, guarda dove sei».

Come si torna alla vita di tutti i giorni sulla Terra?
«Torni a casa ed è tutto normale. Avevo vissuto sulla luna per 72 ore e poi ero di nuovo nel mondo reale. È talmente incredibile che spesso mi chiedo se ho fatto quello che penso, se è successo davvero. Sono rimasto nel programma spaziale per 13 anni ed è stato come se qualcuno avesse tagliato quegli anni dalla mia vita e mi avesse messo in un mondo diverso – nel caso di Apollo 17 è stato letteralmente così – e poi mi avesse restituito di nuovo al mio mondo originale. È quasi come se avessi vissuto due vite diverse».

Gli astronauti sono delle persone speciali?
«Siamo solo la punta della lancia, Armstrong, Shepard, Lovell e tutti gli altri, abbiamo rappresentato le persone che ci hanno inviato sulla Luna. È importante ricordare che tutti insieme siamo andati sulla luna. Ecco perché fino a quando ci saremo, andremo ancora in giro a raccontare la nostra avventura, perché abbiamo la responsabilità di ispirare le nuove generazioni».

Ciò che conta davvero è che le memorie di Eugene Cernan – con tutti i suoi pregi ma soprattutto tutti i suoi difetti, che lo rendono ancora più umano e forse più grande proprio perché non infallibile – siano ora disponibili anche per i lettori italiani.
E chissà se fra loro, come era solito dire il comandante Cernan, non ci sia già chi in futuro tornerà a lasciare le proprie impronte sul suolo lunare, o su altri mondi ancora più lontani.

Il traduttore del libro, (che ringrazio per i molti spunti) Diego Meozzi scrive: «qualche purista potrà infine obiettare che nel libro alcuni termini tecnici inglesi siano stati tradotti in italiano, scelta peraltro condivisa dall’ottimo revisore tecnico, Paolo Attivissimo, autore di Spazio Magazine e dell’apprezzato “Luna? Sì ci siamo andati!”».

Insomma, un libro che consiglio e che non può mancare sui vostri scaffali, perché leggerlo sarà come essere trasportati sulla luna con il comandante Eugene “Gene” Cernan e l’equipaggio di Apollo 17.

Eugene Cernan ha partecipato a tre missioni spaziali, volando per due volte sulla Luna e atterrandovi con la missione finale Apollo. Pilota della Gemini 9, pilota del modulo lunare dell’Apollo 10 e comandante dell’Apollo 17. Laureato alla Purdue University e alla Scuola Navale Post Laurea di Monterey, ha ricevuto svariate lauree ad honorem e onorificenze militari e civili, che spaziano dalla Hall of Fame spaziale statunitense a un premio Emmy per la televisione. È morto il 17 gennaio 2017.
Don Davis, è stato corrispondente di agenzie e quotidiani negli Stati Uniti e all’estero, con esperienze di guerra in Vietnam, di imprese spaziali a Capo Kennedy e di politica alla Casa Bianca prima di diventare un autore di successo del New York Times con la sua serie di romanzi Kyle Swanson sniper.