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Nell’era dell’esplorazione spaziale è sempre più decisivo il miglioramento della tecnologia in grado di catturare più indizi utili possibili per comporre il vastissimo puzzle dell’universo.
In particolare, la ricerca e la caratterizzazione degli esopianeti è di vitale importanza per aiutarci a rispondere agli interrogativi più ambiziosi: Quanti e quali tipi di esopianeti esistono? Quello che sappiamo dei pianeti è corretto? Siamo soli nell’universo?
Fortunatamente, parafrasando Richard Feynmann, la cassetta degli attrezzi a disposizione degli astronomi è abbastanza fornita. Secondo lo schema disegnato da Perryman esistono tre macro- gruppi di ricerca.
Il primo (dynamical effect) utilizza gli effetti dinamici come ad esempio l’effetto doppler della luce generato dal moto radiale della stella a causa della presenza di un pianeta che gli orbita attorno.
Il secondo (microlensing) sfrutta la deformazione del percorso rettilineo della luce quando attraversa un campo gravitazionale importante. Il terzo gruppo (photometry) usa la fotometria, ovvero l’analisi della luce. Appartengono a questa categoria il metodo dei transiti ed il direct imaging.
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Il metodo del direct imaging è decisamente molto promettente, tuttavia per poterlo implementare è necessario possedere una altissima risoluzione angolare e grande flusso di luce.
Questo si traduce in una enorme area collettrice dei telescopi e strumenti sempre più sofisticati.
Si pensi che per poter osservare un pianeta come la Terra alla distanza di 30 pc riducendolo ad un singolo pixel sarebbe necessario avere un telescopio con una apertura utile di 90 km! L’uso di interferometri parimenti richiederebbe tempi di integrazione estremamente lunghi, centinaia di milioni di anni, per ottenere un segnale accettabile.
L’Articolo completo è disponibile su COELUM ASTRONOMIA N° 254 FEBBRAIO MARZO 2022.
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