E’ del 19 marzo la notizia del rilevamento di sottili strati di ghiaccio formatosi su uno degli strumenti di Euclid. La Task Force è entrata subito all’azione e gli interventi hanno già dato segni di miglioramento.
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La visione di Euclide si annebbia
Alcuni strati di ghiaccio d’acqua – parliamo di uno spessore paragonabile alla larghezza di un filamento di DNA – stanno iniziando a influenzare la visione di Euclide ; un problema comune per i veicoli spaziali nel freddo gelido dello spazio, ma particolarmente invasivo per questa missione tanto sensibile da indagare la natura dell’Universo oscuro. Dopo mesi di ricerca, i team Euclid in tutta Europa entrano in gioco testando una procedura di nuova concezione per sbrinare l’ottica della missione. In caso di successo, come si sta verificando, le operazioni convalideranno il piano delle squadre di missione di mantenere il sistema ottico di Euclid quanto più libero possibile dai ghiacci per il resto della sua vita in orbita.
Negli ultimi mesi, mentre si mettevano a punto e calibravano gli strumenti di Euclid, gli esperti hanno notato una piccola ma progressiva diminuzione della quantità di luce misurata dalle stelle osservate in maniera sistematica dallo strumento visibile (VIS ) .
Si tratta appunto di un problema comune che i veicoli spaziali devono affrontare una volta arrivati nello spazio: l’acqua assorbita dall’aria durante l’assemblaggio sulla Terra viene ora gradualmente rilasciata da alcuni componenti del veicolo spaziale, eliminata dal vuoto dello spazio.
Nel freddo gelido del nuovo ambiente di Euclid però, le molecole d’acqua contenute nell’aria che viene rilasciata tendono ad attaccarsi alla prima superficie su cui atterrano e, e se questa superficie è l’ottica altamente sensibile l’effetto diventa evidente.
“Abbiamo confrontato la luce stellare che entra attraverso lo strumento VIS con la luminosità registrata delle stesse stelle in tempi precedenti, viste sia da Euclid che dalla missione Gaia dell’ESA “, spiega Mischa Schirmer, esperta della calibrazione per il consorzio Euclid e uno dei principali progettisti di il nuovo piano di de-icing.
“Alcune stelle sembrano variare nella loro luminosità, anche se per la maggior parte è stabile per molti milioni di anni. Quindi, quando i nostri strumenti hanno rilevato un debole e graduale declino dei fotoni in arrivo, è stato facile capire che non erano le stelle, ma noi”.
Ci si è sempre aspettati che l’acqua potesse gradualmente accumularsi e contaminare la visione di Euclide, poiché è molto difficile costruire e lanciare un veicolo spaziale dalla Terra senza che parte dell’acqua presente nell’atmosfera del nostro pianeta vi si insinui.
Per questo motivo, subito dopo il lancio si è svolta una “campagna di degassamento” in cui il telescopio è stato riscaldato da riscaldatori di bordo e anche parzialmente esposto al Sole, sublimando la maggior parte delle molecole d’acqua presenti al momento del lancio sulle superfici di Euclid o molto vicine. Una parte considerevole, tuttavia, è sopravvissuta, essendo stata assorbita nell’isolamento multistrato, e ora viene lentamente rilasciata nel vuoto dello spazio.
Dopo un’enorme quantità di ricerche – compresi studi di laboratorio su come minuscoli strati di ghiaccio sulle superfici degli specchi si diffondono e riflettono la luce – e mesi di calibrazioni nello spazio, il team ha stabilito che diversi strati di molecole d’acqua sono probabilmente congelati sugli specchi nell’ottica di Euclide. Si tratta dicevamo di spessori pari all’equivalente della larghezza di un filamento di DNA e certo si tratta anche di un’ulteriore conferma della sensibilità della missione il fatto stesso che rilevi quantità così piccole di ghiaccio.
Mentre le osservazioni e la scienza di Euclid continuano, i team hanno elaborato un piano per capire dove si trova il ghiaccio nel sistema ottico e mitigarne l’impatto ora e in futuro, nel caso continuasse ad accumularsi.
Nuovo piano per decontaminare Euclid da 1,5 milioni di km di distanza
Per rimuovere lo strato di ghiaccio ’opzione più semplice sarebbe quella di utilizzare la procedura di decontaminazione sviluppata ben prima del lancio e riscaldare quindi l’intero veicolo spaziale aumentando lentamente la temperatura da circa –140°C a, in alcune parti della navicella, sino ad un “mite” –3°C.
Ciò pulirebbe l’ottica ma riscalderebbe anche l’intera struttura meccanica del veicolo spaziale. Poiché la maggior parte dei materiali riscaldandosi si espande per poi non necessariamente tornare esattamente allo stesso stato dopo una settimana di raffreddamento, si potrebbe rischiare una differenza potenzialmente sottile nell’allineamento ottico di Euclid. Previsione inaccettabile per una missione così delicata in cui si possono notare effetti sull’ottica da un cambiamento di temperatura anche solo di una frazione di grado, che richiede almeno diverse settimane di ricalibrazione fine.
“La maggior parte delle altre missioni spaziali non hanno requisiti così esigenti in termini di ‘stabilità termo-ottica’ come quelli di Euclid”, spiega Andreas Rudolph, direttore di volo di Euclid presso il controllo missione dell’ESA.
Per limitare gli sbalzi termici, il team inizierà riscaldando individualmente le parti ottiche a basso rischio del veicolo spaziale, situate in aree in cui è improbabile che l’acqua rilasciata contamini altri strumenti o ottiche. Inizieranno con due specchi di Euclide che potranno essere riscaldati indipendentemente. Se la perdita di luce persisterà essi continueranno a riscaldare altri gruppi di specchi di Euclide, controllando di volta in volta la percentuale di fotoni di ritorno.
Piccole quantità di acqua continueranno a essere rilasciate all’interno di Euclid per tutta la durata della missione, quindi sarà sempre necessaria una soluzione a lungo termine per sbrinare regolarmente le sue ottiche senza impiegare troppo tempo prezioso per la missione: ricordiamo che Euclid ha solo sei anni per completare la sua indagine.
Una volta isolata l’area interessata, la speranza è che in futuro si potrà semplicemente riscaldare questa parte isolata della navicella spaziale secondo necessità. Quindi un lavoro molto complesso e dettagliato ma funzionale per risparmiare tempo prezioso in futuro.
Nonostante quanto sia comune questo problema di contaminazione per i veicoli spaziali che operano in condizioni fredde, sorprendentemente sono poche le ricerche pubblicate su come si forma esattamente il ghiaccio sugli specchi ottici e il suo impatto sulle osservazioni. Euclide non solo potrebbe rivelare la natura della materia oscura, ma potrebbe anche far luce su un problema che affligge da tempo i nostri occhi vagabondi nello spazio, che scrutano la Terra e l’Universo.
Come anticipato il nuovo approccio sta già mostrando ottimi risultati, sarà quindi possibile proseguire con le fasi di messa a punto dello strumento senza particolari interruzioni e perdite di tempo prezioso.
Fonte: ESA