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L’inizio della Fine del Mondo
Dopo un’affannosa ricerca durata un paio di mesi, la cometa fu fotografata per la prima volta da Max Wolf (dall’osservatorio di Heidelberg con il riflettore da 72 cm) la notte dell’11 settembre 1909, quando si trovava nelle vicinanze della stella gamma Geminorum e a 508 milioni di chilometri di distanza.
Il 6 dicembre la distanza era scesa a 360 milioni di chilometri, e il 6 marzo a soli 165, poco più della distanza Sole-Terra. Da metà marzo a metà aprile entrò in congiunzione eliaca e quando riapparve nel cielo della sera era ormai visibile ad occhio nudo, mostrandosi di mag. +2,5 e con una coda lunga una decina di gradi.
Una cometa che addirittura poteva passare inosservata nel cielo delle più grandi città europee, dove l’industrializzazione aveva acuito la presenza di nebbie e fumi, e l’illuminazione elettrica già cominciava a fare danni… ma che tuttavia tornò all’improvviso a far paura, come quando – più giovane e molto più luminosa – appariva nei cieli scurissimi del medioevo.
Avvenne infatti che, ricalcolando l’orbita, ci si accorse che la cometa sarebbe dovuta passare per il nodo discendente la notte tra il 18 e il 19 maggio, verso le ore 2:00, proprio nel momento in cui la Terra si sarebbe venuta a trovare sulla congiungente tra il Sole e la testa della cometa. Se la coda della Halley fosse quindi stata più lunga dei 26 milioni di chilometri che separavano il suo nucleo dalla Terra, allora i suoi gas avrebbero potuto investire il nostro pianeta.
La notizia, che fino a quel momento era solo una curiosità tecnica limitata all’ambiente astronomico, arrivò al grande pubblico grazie a un articolo di Camille Flammarion, pubblicato nel gennaio 2010 sul bollettino della Società Astronomica di Francia. Il divulgatore francese, in realtà, si era limitato a esporre il pericolo dell’attraversamento della coda cometaria come del tutto ipotetico, descrivendo – questo è vero – i vari processi chimici che avrebbero potuto portare all’estinzione del genere umano.
Fin dal 1908, quando gli astronomi dello Yerkes Observatory erano riusciti per la prima volta a riprendere uno spettro della cometa Morehouse, si sapeva infatti che nella coda delle comete erano presenti velenosi composti di carbonio e azoto detti cianogeni. E malgrado Flammarion chiarisse nel suo scritto come difficilmente tali gas, molto rarefatti, avrebbero potuto interferire con la densa atmosfera terrestre, la grande Stampa s’impadronì del caso fino al punto di ingigantirne a dismisura i pericoli e minimizzando le impossibilità espresse dall’astronomo francese, cosa che ovviamente ebbe l’effetto di allarmare larghi strati della popolazione mondiale.
E come se ciò non bastasse, ad aumentare a dismisura l’eccitazione, in gennaio ci fu l’apparizione davvero inaspettata di una seconda cometa, addirittura visibile in pieno giorno, molto più brillante della stessa Halley. Molti la confusero con quest’ultima e sentirono venirsi addosso la fine del mondo ancora prima del previsto; in parecchi paesi del mondo si segnalarono manifestazioni di panico collettivo, tanto che Flammarion, preoccupato per la piega che aveva preso la situazione, si sentì in dovere di scrivere un altro articolo, dove alla fine dichiarò esplicitamente, scrivendolo in grassetto:
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La fine del mondo non arriverà il prossimo 19 maggio!
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Cosa che naturalmente non servì a nulla dato che i media diedero scarsa risonanza alla replica, preferendo invece continuare a cavalcare il lato più redditizio e spettacolare dell’intera vicenda; aiutati in questo anche da fatti casuali come la morte del Re d’Inghilterra Edoardo VIII, avvenuta il 6 maggio 1910.
Affabile, gioviale e buon diplomatico, il monarca era immensamente popolare e l’evento non sembrò dunque che la conferma di quanto si sapeva sulla tradizionale fama delle comete come annunciatrici di sventura, cambi dinastici e morti di sovrani.
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