Alle ore nove del mattino, ora del Texas, del primo febbraio 2003, lo shuttle Columbia conclude anzitempo, disintegrandosi durante il rientro nell’atmosfera, la sua vita operativa, portandosi via anche quella di sette astronauti. Le immagini della scia luminosa che si frammenta nel cielo fanno il giro del mondo in pochi minuti. Compiutasi a soli sedici minuti dalla fine della missione, un’altra tragedia ci ricorda che i voli spaziali non sono ancora routine. Il Columbia era alla sua ventottesima missione e ricordiamo che questa navetta spaziale aveva fatto storia inaugurando l’era dei veicoli spaziali riutilizzabili il dodici aprile 1981, pilotata dai grandi astronauti John Young e Robert Crippen.
Cosa è successo sulla navetta più storica della NASA? Proviamo a dare una risposta, cercando di riassumere una impressionante quantità di informazioni che grazie a internet sono state via via accumulate nel corso di questi mesi.
Il CAIB, Columbia Accident Investigation Board, la commissione che ha condotto l’inchiesta sulle cause dell’incidente occorso alla navetta Columbia durante il rientro il primo febbraio 2003 quando mancavano solo pochi minuti all’atterraggio, ha pubblicato il 26 agosto del 2003 i risultati delle indagini. Il volume, che sarà seguito da altri lavori ancora più analitici, è stato immediatamente reso disponibile su internet e questo aspetto è una novità assoluta per la storia dell’astronautica.
Non è questa la sede per addebitare colpe e per fornire consigli alla NASA, oggi evidentemente in un momento delicato della sua storia, come è del resto riconosciuto dal CAIB stesso. Scopo di questo lavoro è soprattutto cercare di fornire al lettore un breve riassunto dei fatti che si sono succeduti dal momento dell’inizio della missione a quello della raccolta dei frammenti della navetta e dei dati e della loro minuziosa analisi, un lasso di tempo di quasi sette mesi. Forse, adesso che sono passati alcuni mesi, l’amarezza è meno forte. Tento così di ricostruire la vicenda che ha nuovamente, diciassette anni dopo quella del Challenger, unito il mondo in un profondo senso di cordoglio.
Subito dopo l’incidente, dunque, è stata avviata l’inchiesta e il CAIB (Columbia Accident Investigation Board), una commissione indipendente formata da tredici membri presieduta da Harold W. Gehman, ammiraglio della Marina Usa (ritirato), ha nel corso dei mesi rilasciato una lunghissima serie di aggiornamenti sulle indagini in corso. Nulla è stato tenuto nascosto, anche se la complessità dell’indagine, evidentemente, è qualcosa di incredibile, dato che si lavorava sui dati della telemetria, sui frammenti che sono stati pazientemente e testardamente raccolti da un esercito di funzionari e in qualche caso anche da volontari, su centinaia di interviste estremamente riservate a personale NASA, su una enorme quantità di documenti cartacei ed elettronici (messaggi di posta elettronica scambiati a qualsiasi livello entro la NASA). Circa il quaranta per cento in peso della navetta è stato rinvenuto in numerosissimi frammenti, ognuno dei quali fotografato, numerato, catalogato per posizione e luogo di ritrovamento.
Un colossale data-base informatico costituisce il fondamento dell’inchiesta. Il documento ufficiale rilasciato dal CAIB rappresenta una sorta di pietra miliare nell’astronautica, perché contiene una serie di considerazioni che cercano di dare una risposta a quello che doveva essere un incidente quasi impossibile. E le implicazioni di carattere tecnico, umano ed economico saranno vastissime e segneranno significativamente il futuro della NASA e dell’astronautica mondiale. Nulla sarà più come prima ma, soprattutto, come risulta chiaro fin dalle prime pagine del report, una nuova coscienza dovrà crescere nella nazione americana. Il report del CAIB non è un atto di accusa bensì un’opportunità per fare rinascere un nuovo programma spaziale che metta al centro dell’attenzione l’uomo e il suo futuro nello spazio. Inutile dire che questo modo di intendere il prezioso documento ci trova assolutamente d’accordo. Il volume è dedicato, oltre che ai sette astronauti scomparsi, anche a due tecnici morti nelle operazioni di recupero in un incidente con un elicottero.
La navetta Columbia è decollata per la sua ventottesima missione giovedì 16 gennaio 2003 alle ore 9,39 (ora di Houston). I media italiani hanno trattato in maniera piuttosto superficiale l’evento, dato che si trattava, in fondo, dell’ennesimo lancio. Era inoltre una missione scientifica, che non prevedeva nemmeno l’attracco alla stazione spaziale internazionale, e per questo motivo non risultava molto interessante.
Ma interessante lo diventava, in Italia (e certamente in tutto il mondo), nel primo pomeriggio del primo febbraio, dopo che un’agenzia riportava un “urlo” statunitense che informava che la navetta era stata “persa” sui cieli del Texas durante le fasi finali del rientro. Da quel momento tutto il mondo è stato invaso da un’incredibile serie di messaggi informativi e in pochi minuti è stato chiaro che il Columbia si era disintegrato in volo durante il rientro nell’atmosfera.
Ho continuato incessantemente, nel corso di questi mesi, a leggere report e articoli dei media USA, a raccogliere tutte le immagini che ho potuto, e anche a raffrontare le informazioni che trovavo su diversi siti. Con la speranza di illustrare a tutti gli appassionati di astronautica come me le cause di questa tragedia vi rapporto un pochino dell’ultima missione del Columbia partendo proprio dalla fine, da quel momento a soli sedici minuti dal previsto atterraggio sulla pista del Kennedy Space Center, in Florida, a pochi chilometri da cui era partito due settimane prima.
Commander Rick Husband Pilot William McCool Mission Specialist Kalpana Chawla Mission Specialist David Brown Mission Specialist Michael Anderson Mission Specialist Laurel Clark Payload Specialist Ilan Ramon |
Bellissimo e completissimo articolo! Complimenti.