di Federico Zarini
Una delle esperienze che si affrontano da astrofili itineranti scegliendo un posto nuovo, magari remoto e in aperta campagna, è arrivare a metà sessione fotografica o osservativa e non vedere più nulla, al massimo una nebbiolina sfocata che rende tutto opaco: è la rugiada. In realtà è semplice umidità che si liquefà su tutti gli oggetti presenti, prato, sedie, computer e ottiche, con un determinato rapporto di saturazione dell’aria e della temperatura ambientale.
Se si verificano le condizioni giuste tutto diventa bagnato e le nostre ottiche si appannano. L’importante è capire che asciugare le lenti o gli specchi non risolve il problema perché la rugiada ricompare in pochi secondi.
Per comprendere il fenomeno alcuni studiosi compilarono delle tabelle annotando i dati di temperatura e umidità relativa in cui gli oggetti si appannavano. Dal successivo studio ne emerse una relazione matematica chiamata punto di rugiada o Dew-Point in inglese. Con tale espressione è possibile prevedere la presenza delle condizioni perché si formi la “condensa”.
Scendendo nella pratica per evitare il fastidioso inconveniente sarebbe sufficiente mantenere la temperatura della strumentazione leggermente sopra al valore previsto, grazie all’uso della relazione di rugiada. Si tratta perciò di scaldare in qualche maniera i nostri telescopi, le ottiche e le astrocamere. Per assolvere a una simile funzione sono state inventate ad esempio delle fasce, di lunghezza variabile e alimentate con i classici 12 volt delle batterie, che si scaldano fino a 35°C. e che vanno avvolte sul tubo in maniera da riscaldare l’ottica quel tanto da superare la soglia di formazione della condensa, ma la soluzione non è ottimale. Se è vero infatti che da un lato la condensa non si formerà più, dall’altro si manifesteranno complicazioni come il consumo di energia e le stesse temperature eccessive delle ottiche. Se facciamo uscite lunghe, anche di 3 o 4 ore, il consumo extra finirà per esaurire presto la nostra batteria, preziosa alla vera attività astronomica, mentre se le ottiche restano per molte ore riscaldate, oltre a varie dilatazioni che possono compromettere la resa degli strumenti, anche l’aria che sta attorno si riscalderà causando turbolenze sempre fastidiose. È noto a tutti gli astrofili osservatori e astrofotografi che il tubo deve acclimatarsi quanto più possibile proprio per evitare che eventuali turbolenze generino fenomeni ottici apparenti, causarlo di proposito sarebbe assolutamente controproducente.
Oggi le fasce sono vendute con un piccolo accessorio che ne consente la regolazione della potenza tuttavia esse restano difficili da gestire in maniera intuitiva. Si rende necessario un supporto automatizzato in grado di analizzare l’ambiente e decidere se attivare o meno il riscaldamento del telescopio.
In commercio oggi si trovano molti controller per fasce anticondensa o Dewpoint controller di marchi noti come la stessa Celestron che ha sviluppato un modello che per esigenze particolari può essere un ottimo prodotto con innumerevoli features, le quali però spesso risultano eccessive o costose per chi dell’astronomia fa un hobby o effettua singole sessioni portandosi dietro un singolo tubo.
La soluzione tecnica che segue è dedicata proprio a coloro che si identificano in tali modalità di approccio alla passione.
Passiamo quindi a descrivere i passaggi per realizzare fai-da-te un controller per fasce anticondensa.
Il progetto è basato su Arduino, microcontroller ben voluto dagli astrofili sia per il basso costo che per la semplicità di programmazione. I sensori associabili inoltre sono facilmente reperibili in formato a modulo già saldati e con le connessioni disponibili anche per il montaggio rapido e per fare qualche test a banco.
Il progetto si presenta abbastanza completo e funzionale, esso è composto da un microprocessore che analizza e governa due sensori di temperatura e uno di umidità, calcola il dew-point e regola il segnale PWM in uscita sulla fascia. L’alimentazione è a 12 volt. Può essere collegato ad un pc (opzionale) e ricevere i dati direttamente via seriale. L’aggiunta di uno schermo Oled a 4 righe consente di seguire le operazioni.
COMPOSIZIONE DEL CORE
Il core è composto da:
• ATmega32u4 (Arduino Leonardo)
• Step-down 12v->5V
• Sensore 18b20
• Sensore HTU21
• Modulo optoisolato Mosfet D4184
• Oled 0,91” 128×32 pixel SSD1306
Le scelte sono ricadute sulle schede in elenco perché sono semplici da controllare ma soprattutto offrono dimensioni minime indispensabili allo scopo.
Come accessori extra potremo optare per:
• Connettore jack RCA per la fascia
• Connettore alimentazione Femmina 5,5 mm x 2,1 mm ingresso 12V
• Cavi e piattine a necessità
• 1 scatolina 80x40x15 mm (minimo)
• Nastro Kapton
• Guaina termo-restringente
I COMPONENTI IN DETTAGLIO
Il microprocessore è un Arduino Leonardo nella declinazione ATMEGA32u4, ce ne sono davvero molte anche Mini o Micro e in generale vanno tutte bene essendo il programma universale, tuttavia la versione ATMEGA32u4 offre le dimensioni minime di soli 2x2cm (fig.1).
Il sensore ibrido di temperatura e umidità relativa HTU21, che lavora in I2C, richiede solo 2 fili per lo scambio dati mentre possiede un intervallo notevole di funzionamento: da -40°C a +125°C e 0-100% RH Relative Humidity (fig. 2).
Il secondo sensore è di sola temperatura, il 18b20, ma è digitale e di precisione. È usato praticamente ovunque, anche nei termostati casalinghi, e dialoga con un solo filo (fig.3).
Il display è di tipo oled in bianco e nero, il più usato ed economico sul mercato, consente di creare contemporaneamente 4 righe di testo comandandolo con soli 2 fili sempre in I2C (fig.4).
Resta il problema di fornire la corretta alimentazione ad Arduino e ai sensori dato che tutti lavorano a 5 volt come standard. Per trasformare l’alimentazione astronomica standard di 12 volt in 5 volt abbiamo introdotto la piccola scheda step-down di 2x1cm, tra le più piccole sul mercato (fig.5).
Infine, per il corpo centrale non ci resta altro che aggiungere un componente per controllare la potenza della nostra fascia con una piccola scheda a Mosfet obbligatoria se si vuole comandare un carico con il segnale PWM (fig.6).
Sono inoltre necessari due connettori adatti a ricevere la tensione 12 volt in ingresso ed a cederla alla fascia in uscita (fig.7).
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L’articolo è pubblicato in COELUM 271 VERSIONE CARTACEA