La Ocean Spirit, il nostro battello, viaggia veloce saltando sulle onde di un mare forza 5, abbiamo appena lasciato il porto di Cairns nel nord del Queensland in Australia, per percorrere i 27 km che ci separano da Green Island, la nostra meta per l’osservazione dell’eclisse totale australiana. Il cielo è nero, pesantemente coperto e ogni tanto siamo bersagliati da scrosci di pioggia che certo non inducono all’ottimismo, nonostante le previsioni meteo confortanti controllate anche la sera prima dall’hotel. Al largo di Cairns, infatti ci sono più probabilità di sereno che sulla costa, in cui la condensazione dell’umidità dell’oceano crea frequenti annuvolamenti e piovaschi, situazione che si è verificata con regolarità negli ultimi 3 giorni, costituendo un vero incubo per i numerosissimi astrofili accorsi da tutto il mondo per assistere all’ evento.
Barcollo in precario equilibrio cercando di consumare la colazione e osservo i 14 compagni di avventura avvolti nelle giacche a vento e oltremodo assonnati, sono le 4 del mattino del 14 Novembre 2012, fra poco capiremo se la scelta di osservare l’eclisse da Green Island è stata azzeccata, ormai ci siamo, non si può più tornare indietro. Guardando la schiuma bianca delle onde che si infrangono contro la prua, riavvolgo il nastro dei ricordi di questi ultimi intensissimi 13 giorni in terra australiana e rivedo uno a uno gli splendidi panorami, le città e le tappe di questo incredibile viaggio organizzato ancora una volta con la rivista Coelum in collaborazione con Coop Camelot, CTM Robintur e Sait Puglia.
Tutto inizia l’1 Novembre quando ci ritroviamo in 12 all’aeroporto di Malpensa per la lunga odissea, oltre al sottoscritto e al collega Ferruccio Zanotti, il gradito ritorno di Davide Andreani, con noi in Austria, Norvegia, Cile ed Egitto e di Vanna Civolani ( Marocco, Algeria e Armenia ), poi tutta gente nuova, Sara Vatrella, Stefania Montaldo, Adelina Friedmann, Elisabetta Ionna, Mirco Girotti, Maurizio Ferri, Maura Dodi e Maria Giovanna Martelletta. Come in tutti i viaggi astronomici che si rispettino, arriva il momento di affrontare l’addetto al check in, sperando che chiuda un occhio sugli eccessi di peso e sul mio bagaglio supplementare contenente il Dobson, ma questa volta al banco della British Airwais troviamo un personaggio inflessibile, che non vuole assolutamente saperne di conteggiare un bagaglio cumulativo suddividendo il peso totale del nostro gruppo, in modo da compensare le eccedenze di chi ha più peso.
Niente da fare, dovrò sobbarcarmi 100 euro di extra baggage… Voglio sperare che quelli della Quantas siano più comprensivi ( abbiamo 13 voli! ) e mestamente mi preparo per affrontare un altro classico aeroportuale, ovvero il passaggio sotto il metal detector dei bagagli a mano contenenti telescopi e quant’altro e conseguenti e approfonditi controlli degli addetti alla sicurezza con infinite domande sulla natura della strana strumentazione che ci portiamo appresso. A Londra traslochiamo sull’immenso Airbus 380 della Quantas che dopo 12 ore ci deposita a Singapore per uno scalo tecnico, solo un’ora di pausa, prima di procedere con altre 8 ore di volo e arrivare a Sydney, un viaggio infinito all’altro capo del mondo!
Al nostro arrivo, il 3 Novembre, sono passati 2 giorni dalla partenza, anche a causa delle 10 ore in più di fuso orario e all’aeroporto troviamo un’addetta della Naar World Wide Tours, tour operator che ci seguirà in Australia e un pullman che ci conduce al nostro Grace Hotel in centro città, il cielo è molto nuvoloso e tira un vento freddo. Un po’ stralunati andiamo a fare un’ottima colazione e ci riposiamo qualche ora prima di fare nel pomeriggio un giro per la città con una sosta all’Acquario, che si trova nella zona portuale di Darling Harbour, ricca di locali e ristoranti.
Qui abbiamo il primo impatto con la straordinaria fauna ittica australiana, con pesci multicolori della barriera corallina, squali, granchi giganti e addirittura strani mammiferi come dugonghi e ornitorinchi, poi, con una camminata di una mezzoretta ci trasferiamo al quartiere detto The Rocks, il quartiere più antico, in stile Vittoriano, in cui visitiamo l’osservatorio astronomico di Sydney, eretto nel 1850 e oggi adibito a museo. Conserva alcuni tra i primi strumenti astronomici portati in Australia, come un antico rifrattore del 1874 ancora in uso per scolaresche e visitatori, che ci viene mostrato dall’astronoma Katrina Sealey, coadiuvata da Davide nell’apertura e chiusura a manovella della cupola.
Passeggiamo un po’ tra le pittoresche vie dei Rocks, con le sue birrerie con musica dal vivo e mercatini con spezie profumate e quindi ritorniamo di nuovo per la cena a Darling Harbour, con una breve sosta in hotel in cui facciamo conoscenza con gli ultimi componenti della nostra spedizione, Enzo Pincini, Gaetano Mensitieri e Dora Lodi di Ancona, partiti prima di noi per visitare anche Melbourn e la Great Ocean Road con i faraglioni chiamati “12 apostoli”, di cui ci riportano entusiastici commenti.
Sydney è una città di 4 milioni di abitanti, una città cosmopolita e multirazziale, ricca sopratutto di giovani asiatici, che vediamo perfettamente integrati con i coetanei europei e americani nella passeggiata serale a Darling Harbour.
Il giorno dopo, 4 Novembre, esce finalmente il sole e facciamo conoscenza con Willya la nostra allegra e simpatica guida che ci accompagnerà alla scoperta di Sydney. La prima tappa la facciamo nelle vicinanze del gigantesco Harbour Bridge, capolavoro d’ingegneria ultimato nel 1932, da cui scorgiamo in lontananza l’inconfondibile sagoma dell’Opera House, che avremo modo di apprezzare anche dopo aver attraversato il Giardino Botanico, alla Woolloomollo bay e al Lady Macquaire Point, con una magnifica vista sulla baia. Poi attraversiamo la periferia orientale della città, con le sue esclusive abitazioni, da King Kross a Vaucluse, ammirando le splendide Walsh Bay e Double Bay, il Municipio, il Queen Victoria Building, la Sydney Tower, la cattedrale cattolica di St Mary, fino alla famosa spiaggia di Bondy Beach e alla storica Paddington ricca di villette con caratteristiche ringhiere in ferro e giardini con alberi lilla di Jacaranda, Ficus giganteschi e cespugli di Gelsomino.
Poi è il momento di salire sulla nave, la Magistic Cruises, dal porto di King Street Wharf, per la mini crociera nella baia di Sydney con incluso ottimo pranzo, devo dire il modo migliore per vedere Sydney e la sua skyline di moderni grattacieli e l’occasione per festeggiare a dovere i compleanni di Maurizio e Davide con tanto di torta con candeline preparata dallo staff.
Passiamo vicino all’Opera House, ammirando il suo avveniristico design da diverse angolazioni e stupendoci di un’opera concepita nel lontano 1956 dall’architaetto danese Jorn Utzon e ancora oggi attuale, anzi futuristica, con le sue enormi conchiglie bianche che racchiudono imponenti e spettacolari sale da concerto che visiteremo nel pomeriggio, dopo una breve passeggiata a Circular Quay, il luogo di nascita di Sydney.
Qui nel lontano 1778 sbarcò il capitano James Cook, con un carico di deportati, soldati e ufficiali, proclamando la nascita della colonia britannica del Nuovo Galles del Sud e qui un gruppo di aborigeni, quasi a rivendicare la legittima proprietà di questa terra, si esibisce in balli tribali al suono lugubre del Didgeridoo.
A cena siamo di nuovo nelle vicinanze dell’Opera House e cominciamo ad imbatterci nelle stranezze della cucina australiana, io in particolare mi confronterò nel corso del viaggio con piatti veramente discutibili, a cominciare da questa sera con un improbabile pollo al crème caramel! All’uscita, qualche squarcio nelle nubi ci permette di dare se pur in mezzo alle luci,la prima occhiata al cielo australe con Fomalhaut del Pesce Australe allo zenit, e Achernar dell’Eridano altissima, a precedere il sorgere di Canopo, Sirio ed Orione.
5 Novembre, Willya ci conduce all’aeroporto al primo dei numerosi voli interni, la destinazione è Adelaide, questa volta il Dobson passa senza problemi, sarà così anche per tutti i voli successivi, meno male! Una volta ad Adelaide, incontriamo Paolo, un compassato siciliano non troppo entusiasta di essere emigrato in Australia, dove, ci dice, tutto è efficiente, ma dove si cena alle 18.30 e dove molti giovani sono preda dell’alcool.
Fra una lamentela e l’altra ci conduce con il pullman ad una visita veloce della città, con le sue aree residenziali, il Festival Centre e i Giardini Botanici in cui un forte vento e qualche pioggerella ci consigliano di tornare rapidamente all’aeroporto per il successivo volo per Kangaroo Island. Paolo ci aiuta nel trasferimento dello stretto necessario dal bagaglio principale a quello a mano, per ragioni di spazio, sul piccolo aereo bimotore per Kangaroo, ricordandoci di ricuperare i bagagli più voluminosi al nostro ritorno ad Adelaide.
Una volta sull’aereo assisteremo sorridendo ai ripetuti rimproveri della severa hostess nei confronti di Ferruccio seduto di fianco all’uscita di sicurezza e non del tutto pronto in caso di emergenza, fuori il vento sta crescendo e si teme uno Storm, una tempesta. Fortunatamente, a parte qualche scossone e qualche vuoto d’aria, arriviamo sani e salvi dopo una mezz’ora di volo a Kangaroo Island, la terza isola per dimensioni d’Australia ( 155km X 55 ).
All’aeroporto di Kingscote ad accoglierci troviamo un’altra guida, Lio, che vestito da ranger, ci fa immediatamente salire su un mezzo tecnico adatto a tutti i tipi di strade, guidato dall’esperto Mark, per la prima tappa sull’isola: Pennington bay.
Il mare azzurro- verde smeraldo dell’oceano contrasta incredibilmente con i nuvoloni grigi e bianchi di una perturbazione che ci sta seguendo dalla terraferma e l’isola rivela il suo lato più selvaggio con grosse onde che si infrangono sulla spiaggia. Poco dopo avviene il nostro primo incontro con l’animale simbolo dell’Australia, il canguro, in un’area protetta chiamata Conservation park. All’inizio ne vediamo alcuni dietro i cespugli, poi in una radura questi animali spuntano come funghi a decine, ci sono anche famigliole con i piccoli e alcuni si lasciano avvicinare fino a breve distanza. Siamo fortunati, ci dice Lio, la temperatura fresca li ha fatti uscire, di solito stanno al riparo della vegetazione.
Ammiriamo così in tutto il loro splendore questi famosi marsupiali, il loro strano modo di camminare a quattro zampe e i loro incredibili lunghi balzi, quando dopo l’ennesima foto e ripresa cominciamo a diventare troppo invadenti. Riprendiamo il pullmino mentre sopra di noi svolazzano svariati cacatua dal petto rosa e arriviamo alla foce dell’ American River in cui se ne stanno tranquillamente a mollo svariate specie di uccelli, come spatole, egrette, pellicani, cigni neri e ibis, qui Mark ci prepara un buon te’ al riparo di una tettoia in legno, fuori infatti sta iniziando a piovere.
Nel viaggio di ritorno verso Kingscote, si scatena un temporale con potenti fulmini che, ci dice Lio, sono frequentissimi in Australia e la principale causa di incendi sull’isola. Arriviamo al nostro Aurora Ozone hotel, un vecchio edificio in stile coloniale in cui a causa del temporale manca per qualche ora la corrente.
Poco dopo andiamo a cena di fronte, dall’altra parte della strada nel buon ristorante dell’hotel. Fuori il cielo sta un po’ migliorando e uno strano tramonto crea una luminosità rosata sull’oceano al di là della bella vetrata panoramica. Cominciamo a pensare all’eclisse, certo l’Australia è grande, ma queste perturbazioni ci mettono un po’ di apprensione, speriamo…Dopo cena siamo stanchi e nessuno di noi compie l’escursione notturna alla ricerca dei timidi pinguini minori blu, solo Adelina e Stefania li vedranno la mattina dopo nella zona del porto. Usciamo comunque a fare due passi, la cittadina è buia e deserta, il cielo cupo, il vento freddo che fa cigolare le porte di isolati capannoni, ci ricordano i film dell’orrore di John Carpenter. Meglio andare a dormire.
L’indomani , 6 Novembre, la situazione meteo è migliorata, il cielo è variabile e a folate gelide si alterna un sole caldo, qui in Australia sta infatti iniziando l’estate. Il nostro mezzo ci porta verso sud alla Seal bay, famosa per ospitare numerose colonie di Leoni marini, che vediamo placidamente distesi a prendere il sole sulla riva, i maschi più grossi si stiracchiano, guardando in cagnesco i loro rivali, mentre svariate femmine sono intente ad allattare i propri piccoli.
Tra i cespugli notiamo anche un Wallaby, un piccolo canguro. Poi, passando per la splendida Vivonne bay, entriamo in un’altra riserva naturale ricca questa volta di Koala, buffi e sonnolenti marsupiali aggrappati ai numerosi alberi di Eucalipto e ghiotti delle loro foglie.
Dopo il pranzo, preparatoci direttamente nella foresta di eucalipti e casuarina, arriviamo a Cape de Couedic, sulla punta sud est dell’isola, altra zona in cui è possibile avvistare le otarie. Si tratta questa volta di otarie Orsine della Nuova Zelanda, che ammiriamo dall’alto promontorio, prima di scendere al suggestivo Admirals Arch, un arco di roccia scavato dalle onde nel corso dei millenni ai piedi di un faro costruito nel 1909.
Da qui l’Antartide dista poco più di 4000 km e i suoi venti gelidi spazzano la costa indisturbati non trovando ostacoli nel loro percorso. Ne abbiamo una prova anche alle Remarkable Rocks, nel grande Fliders Chase National Park ,un affioramento roccioso di granito molto simile all’”Orso” di Palau in Sardegna, costituito da rocce arrotondate dall’erosione del vento in bilico su una scogliera a 75 m dall’oceano.
Successivamente, mentre ci rechiamo al Kelly Hill Conservation Park, un velenosissimo serpente black tiger ci attraversa la strada, ricordandoci che in Australia sono presenti tantissime specie di rettili ed insetti velenosi, tra cui ben 2000 specie di ragni. La riserva ricorda molto un parco africano e ci gustiamo il tè con dolcetti preparato come al solito da Mark, sul far del tramonto, in totale relax, tra i colori vividi della vegetazione in cui pascolano svariati canguri. Magnifico!
Lio ci saluta e ci ricorda l’appuntamento di domani all’alba con il pullman, mentre ci conduce al nostro lodge in mezzo alla natura, il Kangaroo Island Wilderness Retreat, assolutamente isolato l’ideale per osservazioni astronomiche se non fosse che il cielo si è di nuovo coperto e che il Dobson è rimasto ad Adelaide. Dopo una cena sempre prematura, proviamo comunque a osservare qualcosa ed in mezzo alle nubi scorgiamo Achernar e un’inedita e altissima Grande Nube di Magellano ( ci troviamo a -36° di latitudine! ), mai vista così alta, è infatti la prima volta che vedo il cielo australe in questo periodo e alcuni del gruppo, come Sara, vedono queta galassia per la prima volta in assoluto, entusiasmandosi. Ma è solo un piccolo aperitivo rispetto a quello che ci attenderà più avanti nel viaggio, quando saremo nel deserto!
All’alba del 7 Novembre siamo svegliati dai versi di numerosi uccelli e da un piccolo Wallaby che famigliarizza con il nostro gruppo. A est Venere e a Ovest Giove salutano l’arrivo di un nuovo autista che ci porta a Kingstone ove riprendiamo il piccolo bimotore per Adelaide per ricuperare i nostri bagagli in attesa del volo successivo per Alice Springs, cittadina del cosiddetto Red Center, il Centro Rosso australiano.
Quando l’aereo sta per decollare avviene però un imprevisto, uno dei due motori si ferma e costringe il pilota a farci scendere in attesa di risolvere il guasto. Caspita! Davide segue con attenzione il movimento dei tecnici affaccendati alla turbina dal finestrone del gate e quando vede tornare i piloti e le hostess tira un sospiro di sollievo. “L’hanno riparato!”. Questa volta ci siamo, l’aereo decolla senza problemi e per far perdonare il disagio ai passeggeri, le hostess si prodigano a portare snack e bevande. Decido di concedermi un Muffin, ho voglia di qualcosa di dolce. Addento il presunto dolcetto ma con orrore mi accorgo che me ne hanno servito uno al peperone! No comment.
Dopo 3 ore di volo circa siamo ad Alice Springs e veniamo accolti dalla nostra nuova guida Marcel, di origine svizzera, con forte accento tedesco. Il clima è molto caldo e umido, ieri ha piovuto abbondantemente ci dice Marcel, erano mesi che non pioveva, un bene per questa zona, un male per le osservazioni astronomiche, il cielo è infatti ancora una volta coperto.
Marcel ci porta a visitare il Royal Flying Doctors Service, i cosiddetti medici volanti, realizzato dal reverendo John Flynn con un servizio continuativamente attivo, dalla fine degli anni ’20, per raggiungere persone in difficoltà e risolvere emergenze mediche nelle aree più remote dell’Australia, mediante l’utilizzo di comunicazioni radio e aerei. Qui assistiamo ad’una proiezione video sul lavoro svolto dai medici e visitiamo l’annesso museo con la radio a pedali e uno dei primi aerei impiegati.
Poi è la volta dell’Alice Springs Desert Park, con esibizioni di uccelli rapaci organizzata dai rangers e con diversi punti in cui osservare esemplari di fauna di questa parte di Australia, in particolare molto bella risulterà la sezione dedicata ai rettili e agli animali notturni.
Al termine della visita veniamo depositati al nostro Hotel Lasseters con annesso Casinò in cui sperimentiamo un curioso modo di ordinare la cena, con un dischetto in plastica che viene consegnato ai clienti e che si illumina quando il piatto è pronto per il take away, questa volta sperimenteremo il canguro, una carne rossa non male. Ancora una volta sfumano però per maltempo le osservazioni notturne e ne approfittiamo allora per riposare e dosare le forze per le prossime serate.
L’8 Novembre ci svegliamo con il caratteristico fischio delle gazze australiane simile alla suoneria di un cellulare e dopo una colazione sotto un cielo nuvoloso, il meteo finalmente ci viene incontro e un deciso vento sgombra la coltre di nubi rivelando un cielo blu limpidissimo. La terra rossa ora risalta prepotentemente tra la rada vegetazione arbustiva: il nostro pullman ci sta portando nel cuore dell’Outback australiano e quando ci fermiamo per una sosta pranzo notiamo che il sole a picco rivela un’ombra quasi inesistente attorno alle persone, siamo infatti quasi esattamente al Tropico del Capricorno.
La nostra meta è il Kings Canyon, che raggiungiamo nel primo pomeriggio e che esploriamo in un’impegnativa escursione, sotto la guida dell’agile Marcel, che zompetta sicuro sul ripido sentiero. Ci troviamo nel parco nazionale di Watarrka, un luogo sorprendente per i panorami spettacolari che ci offre, gole, crepacci e pareti di arenaria alte più di 300 m di un colore ocra intenso, il tutto incorniciato da un cielo blu, solcato da cumuletti bianchi.
Arriviamo in cima al cosiddetto Giardino dell’Eden, un’oasi sfumata di felci, acacie, eucalipti e antiche palme da cui abbiamo una vista spettacolare sul canyon.
Ma il cammino è ancora lungo e seguiamo Marcel in canaloni, passaggi impegnativi e pianure di sabbia, passando tra pinnacoli di roccia ( la cosiddetta lost city), pozze d’acqua e tracce fossili di increspature di un antico mare, molti, ci dice Marcel, sono i luoghi che hanno un forte significato spirituale per gli aborigeni locali.
Il sole è basso all’orizzonte quando torniamo al pullman, che ci conduce poco dopo al nostro bellissimo Kings Canyon Resort in cui sistemiamo i bagagli. Ci si ritrova poco dopo per ammirare un giallo tramonto da una collinetta in un bel punto panoramico, che dovremo purtroppo scartare per le osservazioni notturne: troppo lontano logisticamente dal nostro bungalow per il trasporto a mano della strumentazione e troppo vicino alla parte più illuminata del Resort.
Il nostro alloggio si trova invece alla periferia del complesso, e possiede un bel giardino con ampia visibilità verso sud, ci posizioneremo lì dopo cena, così è deciso. Andiamo intanto a mangiare qualcosa. Dobbiamo camminare parecchio per raggiungere il ristorante e qui mi imbatto in un nuovo bizzarro piatto australiano, la pizza con carne di dromedario, condita con tartufo e ketchup!
Sono il primo ad essere servito e consumo velocemente lo strano pasto per correre a montare il Dobson, gli altri mi raggiungeranno.
Si è fatto buio e valuto le condizioni del cielo sul retro del nostro bungalow e non appena i miei occhi si abituano all’oscurità, mi appare una visione incantevole: da ovest si alza una vistosa luce zodiacale che si incrocia con la Via Lattea, che sta tramontando parallela all’orizzonte, assieme a Sagittario, Scorpione, Croce del Sud e ad Alfa e Beta Centauri, ad est sono invece già alte le due Nubi di Magellano, evidentissime. Ma anche il resto del cielo è uno spettacolo, uno dei più bui mai visti, a riprova di ciò alcune nubi che transitano velocemente e si frappongono alla volta stellata appaiono nerissime, vellutate, era dal viaggio in Mongolia che non assistevo ad uno spettacolo simile.
D’altronde oggi abbiamo attraversato centinaia di km senza trovare traccia di insediamenti urbani, a testimonianza che l’Australia, pur essendo un continente enorme, grande due volte l’Europa, ha la densità di popolazione più bassa al mondo, 2 abitanti per kmq! In lontananza dalle rocce del Canyon inizia a sorgere Orione ribaltato a testa in giù. Mi devo affrettare, l’operazione di montaggio del Dobson è sempre lunga e laboriosa, devo cercare di fare presto. Vite dopo vite, le varie placche di legno e i lunghi sostegni in alluminio prendono forma, posiziono il prezioso specchio principale, il secondario, il cannocchiale di puntamento e ancora una volta mi stupisco della robustezza del vecchio Dobson, sottoposto da ormai 15 anni a sballotamenti e sforzi ai 4 angoli del globo: dai salti sulle jeep in Cile e Mongolia, all’ascesa a dorso di mulo sul Tassili algerino, dalla sabbia del deserto libico, alla salsedine del mare delle Maldive…E ora l’Australia! Mentre procedo con la delicata collimazione entrano in stanza Ferruccio e Davide, vittime al ristorante di incredibili lungaggini nella consegna del pasto, quasi un matrimonio! Pure loro iniziano a preparare la strumentazione visuale e fotografica.
Siamo raggiunti nel nostro giardino anche da Gaetano, Adelina, Sara e Giovanna, che subito sbigottiscono di fronte alla visione di un cielo super.
Decido tanto per incominciare di puntare col Dobson l’ammasso globulare 47 Tucanae, di fianco alla Piccola Nube, un’ esplosione di stelle con un centro densissimo. Lo mostro soddisfatto al resto del gruppo e subito iniziano le urla di meraviglia. Poi passo alla Grande Nube e alla nebulosa Tarantola, un vero e proprio ragno cosmico che risalta quasi tridimensionale su una quantità inverosimile di piccoli ammassi e nebulose in questa galassia satellite della Via Lattea. A proposito di ragni ogni tanto controllo il terreno, non si sa mai, tra l’altro siamo posizionati tra cespugli di piante spinose che spesso si impigliano nei vestiti e negli strumenti. Proseguiamo con l’ammasso aperto nella Carena IC 2602 ( le Pleiadi Australi ), visibile anche ad occhio nudo, così come le più famose colleghe boreali, basse a nord ovest e naturalmente rovesciate.
E’ sorta anche la nebulosa di Orione, perchè non darle un’occhiata? Sara, che fino ad allora si era mostrata scettica sulle potenzialità del Dobson si deve ricredere, dichiarando di non aver mai visto M 42 così bene in Italia, anche con strumenti più grossi. In efetti con l’oculare da 40 mm sembra una foto in bianco e nero, con tenui e delicate nebulosità che si estendono ben oltre i confini della nebulosa principale coinvolgendo anche le altre stelle della “spada”. A quel punto la stanchezza prende il sopravvento sulla stragrande maggioranza del gruppo osservativo, le fatiche della scarpinata pomeridiana con Marcel si fanno sentire, pure Ferruccio si ritira nelle sue stanze, rimaniamo solo io e Davide. Decido allora di andare a caccia di oggetti elusivi e mai visti in precedenza come un gruppetto di galassie nella costellazione del Dorado a nord della stella alfa.
Trattasi nella fattispecie di NGC 1553-1549-1566-1533 e 1617. La prima è una spirale di magnitudine 9,6 e dimensioni 3′X2′, appare piccola e leggermente allungata, la seconda è invece più debole e tondeggiante ( mag. 10,2 e dimensioni analoghe alla precedente. Poi la NGC 1566 decisamente più bella delle compagne, le dimensioni sono infatti di 8′ e la luminosità è di 9,6, appare decisamente allungata e sfumata ai bordi. Fra un’osservazione e l’altra mi metto a contemplare il cielo, qualche luminosa Tauride si fa strada dal nostro Toro fino alle strane e inedite costellazioni australi come il Pittore o la Mensa, oggi infatti è il giorno del massimo di questo sciame di meteore.
A quel punto la nostra attenzione viene attirata da una strana luce azzurrina che filtra dalla grande vetrata del nostro bungalow. E’ Ferruccio, che in quel momento decide di fare un bagno nella vasca con idromassaggio che si affaccia direttamente sul nostro giardino, indossando purtroppo solo una torcia legata attorno alla testa. La visione del nostro compare rischia di rovinare la poesia di questa incredibile notte osservativa, ma fortunatamente egli ha il buon gusto di spegnere la torcia e di proseguire il bagno nel buio più assoluto(NDR:illuminato solo dalla luce della spettacolare via lattea australe e di fronte al sorgere della nebulosa Eta Carinae visibile ad occhio, un idromassaggio astronomico non capita tutti i giorni ).
Riprendo le osservazioni mostrando anche a Davide le tenui galassiette, che proseguono con la NGC 1533, allungata, sottile e con qualche chiaroscuro e la 1617, proprio sopra la Alfa, la più debole della serata, ( mag.11,5) piccola e ovale. Sorge Eta Carinae, è ormai l’una e trenta, ma è ancora troppo bassa per puntarla col telescopio, Davide , che si è cimentato con svariate foto a grande campo getta la spugna, comincia a far freddo, lo seguo pure io a malincuore aiutandolo a riporre la strumentazione sul balcone della stanza, proseguiremo domani. In lontananza si odono i dingo. Le stelle brillano luminosissime quando entriamo nella nostra camera tripla dove troviamo Ferruccio in pigiama ancora entusiasta dell’idromassaggio con lo sfondo del cielo stellato.
9 Novembre, facciamo una buona colazione prima di caricare di nuovo sul pullman i nostri bagagli e il Dobson che ripongo in piedi tra i sedili posteriori, la nostra prossima tappa è una comoda passeggiata chiamata Kings Kreek walk , nei pressi dell’omonimo ruscello. Seguiamo Marcel, che ci porta in una nuova zona sacra agli aborigeni ed inizia a raccontarci alcune leggende relative al “Tjukurpa”, la creazione del mondo. Le storie del “Tempo dei Sogni” narrano di grandi spiriti che, assumendo forme animali ed umane, modellarono con il loro passaggio e con l’uso dei “canti” la Terra allora sterile.
Montagne, fiumi, pozze d’acqua, esseri animali e vegetali, deriverebbero dai viaggi nel tempo del sogno di queste esseri creatori. Ci fermiamo davanti ad un oscuro laghetto alimentato da una sorgente, un luogo particolarmente sacro agli aborigeni ,qui secondo la leggenda dimora il Serpente Arcobaleno, che lega il cielo con la terra. Esseri ancestrali, ci dice Marcel, hanno indicato la legge secondo cui l’universo è stato creato, il serpente arcobaleno lega lo spirito con la materia, rappresenta la discesa dello spirito in quest’ultima, da quel momento uno non può esistere senza l’altra. Con un po’ di azzardo e di fantasia trovo un’analogia con il bosone di Higgs, prima del suo intervento la materia non esisteva…Adelina annuisce, state dicendo la stessa cosa con parole diverse…Maurizio invece è perplesso.
Torniamo sui nostri passi riflettendo sulla saggezza degli antichi aborigeni, che ancora oggi non si definiscono padroni, ma custodi di questa terra che è stata affidata loro dagli antenati per essere preservata.
Una volta sul pullman, puntiamo dritti verso il mitico Ayers Rock! La vegetazione ora si fa più rada, il sole è cocente ma l’aria non troppo calda, sui 28 -30 gradi, il cielo anche oggi limpidissimo. In lontananza notiamo numerosi dust devils, turbini di sabbia, Marcel ci racconta che poco tempo fa in questa zona si è formato un turbine proprio sopra un incendio generando il rarissimo fenomeno del tornado di fuoco, che è durato svariati minuti e che è stato ripreso dalle tv di tutto il mondo.
Verso l’ora di pranzo prendiamo possesso delle nostre stanze al gigantesco Desert Gardens Hotel, con tanto di piscina, centro commerciale e ristoranti vari. Dalla nostra stanza abbiamo il primo impatto con l’Ayers Rock o Uluru, che nella lingua aborigena significa “strano”, il gigantesco monolito simbolo dell’Australia è visibile in lontananza dietro una fila di alberi. Siamo ancora una volta nella parte periferica del Resort, speriamo che le luci anche questa sera non disturbino le osservazioni.
Nel pomeriggio ci avviciniamo all’impressionante monolito e ci fermiamo per una breve sosta al centro Culturale Aborigeno, in cui svariati pannelli e filmati introducono il visitatore sulle leggi, la religione , la filosofia, l’arte ed il modo di vita locali. E’ assolutamente vietato fare foto. Poi ecco uno dei momenti più emozionanti del viaggio: siamo condotti alla base di Uluru, il monolito di arenaria rossa ( Arkose) più grande del mondo che si staglia sulla pianura desertica, è lungo 3,6 km , largo 2,4 e alto 348 m , ha un diametro di 8 km, e si estende addirittura per 5km sotto la superficie.
La cosa che più impressiona sono gli strati di sedimentazione verticali, disposizione che hanno assunto 100 milioni di anni fa dopo violente scosse sismiche contrapposte, che ne hanno causato la fuoriuscita in verticale dal terreno. Avvicinandoci all’immensa roccia si notano scanalature, concavità gole e grotte che visitiamo assieme a Marcel, alla scoperta di altre leggende tramandate dagli Anangu, gli aborigeni locali, che gestiscono l’accesso ad Uluru e al resto del parco nazionale che comprende anche i monti Olgas.
Secondo gli Anangu a Uluru è nata la donna- serpente Kuniya, la cui impronta si può notare in una scanalatura scura della roccia e qui ha avuto luogo una feroce battaglia fra Kuniya e l’uomo- serpente Liru, reo di averne ucciso il nipote, testimoniata da fenditure e spaccature nelle rocce dovute alla violenza dello scontro.
Al di sotto di una roccia che rappresenta Kuniya arrotolata su se stessa, mentre guarda Liru appena ucciso, si apre una cavità sulle cui pareti gli aborigeni hanno inciso petroglifi e dipinto pitture rupestri, che raccontano antiche storie e racconti interpretabili però solo dagli anziani Anangu, molto infatti è tenuto segreto ai non iniziati.
Chiedo a Marcel a quel punto il rapporto degli aborigeni con l’universo ed eventuali storie legate alle costellazioni ed egli risponde che come in tutte le antiche culture il cielo notturno era molto importante per gli aborigeni, al punto che lo stesso Serpente Arcobaleno, doveva la sua nascita ad un’altra entità molto più grande rappresentata dalla lunga nube scura di polveri che taglia a metà la Via Lattea. Marcel racconta poi una leggenda curiosa che riguarda le Pleiadi ( Makara), incredibilmente simile a quella tramandata dalla mitologia greca: anche per gli aborigeni erano sette sorelle che scappavano dalle mire di un personaggio ( Kidili o uomo della Luna ), identificabile con la costellazione di Orione! Icredibile!
Proseguiamo quindi la nostra escursione tra anfratti e caverne, accompagnati dal racconto di altre leggende come quelle dei Mala ( piccoli wallaby) o dei Panpanpalala, nome con cui vengono chiamati gli uccelli Campanari crestati, dal caratteristico verso e particolarmente suggestiva risulterà una grande roccia a forma di onda.
Siamo quasi al tramonto, è giunto il momento di recarci in un punto panoramico per ammirare Uluru ed i suoi cambiamenti cromatici al calar del sole. Qui vi troviamo una folla in attesa, sembra quasi il Kennedy Space Center il giorno del lancio dello Shuttle, gente di tutte le nazionalità che armeggia con cavalletti e macchine fotografiche, per immortalare al meglio il fantastico monolito che sta già assumendo un colore rosso acceso.
Guardandolo da qui , Uluru incute un senso di timore e rispetto, dovuto forse al suo troneggiare antico sulla pianura, ci ricorda come tutta l’Australia sia un territorio geologicamente molto antico, un luogo in cui si trovano le rocce più antiche del pianeta 3,8 miliardi di anni fa ed anche i fossili dei primi esseri viventi, le stromatoliti, alghe azzurre risalenti a 3 miliardi di anni fa.
Ci viene offerto un aperitivo con stuzzichini presso alcuni tavoli imbanditi e mentre il colore del monolito dal rosso scuro vira al violetto sento una pacca sulla spalla accompagnata da una voce familiare: è Deni, nostro vecchio compagno di viaggio in compagnia della mitica Esther in piedi su un tavolo con un bicchire di prosecco in mano.
Ci si saluta affettuosamente e si festeggia l’avvenuto incontro, loro mi dice Esther fanno un giro un po’ più lungo del nostro osservando infine l’eclisse dalla terraferma vicino a Cairns. Ci facciamo reciprocamente gli in bocca al lupo e visto che anche loro si fermeranno due sere presso l’Ayers Rock, in un Resort vicino al nostro, li invito alle osservazioni col Dobson presso la nostra stanza.
Verremo domani sera promette Deni.
Dopo cena, Sara ci raggiunge sul retro della stanza e ci aiuta a rendere innocui alcuni faretti di cortesia, in modo da poter disporre alla fine un cielo analogo a quello della sera precdente e poter quindi iniziare le osservazioni.
Questa volta prendo di mira l’anonima costellazione del Reticolo, in cui individuo la galassia irregolare NGC 1313, piuttosto evidente e dalla forma a stella con 4 punte, le dimensioni sono 3′ e la mag 9,5 e sempre nella stessa costellazione, la debole galassia NGC 1543 tondeggiante e di undicesima. Torno nel Dorado, dove mi era rimasta una galassia in sospeso, la NGC 1672 ( mag 10,7 dim 4′), un ovale pronunciato con i bordi frastagliati e mi sposto infine nell’Orologio, con il bel globulare NGC 1261 di ottava magnitudine, piccolo ma ben risaltabile sul fondo del cielo nerissimo e ricco di stelle.
Ferruccio e Davide si sono cimentati in diverse foto spettacolari e saremmo rimasti volentieri tutta notte sotto questo cielo meraviglioso, ma Sara ci ricorda la sveglia delle 4.30, ovvero fra poche ore visto che andremo a vedere l’alba sui monti Olgas, con successiva scarpinata. Il nostro è un programma veramente densissimo, un’ultima occhiata alla nebulosa Eta Carinae, sempre bellissima e poi dormiamo quelle poche ore che ci separano dalla partenza.
!0 Novembre, come degli zombie arriviamo nella hall in cui si sono radunati già gli altri compagni di viaggio, raccogliamo il cestino con la colazione che consumeremo più tardi e saliamo sul pullman salutando un Marcel già fresco e vispo.
I monti Olgas o Kata Tjuta, nome che in aborigeno significa molte teste, sono 36 cupole rocciose situate a 45 km a Ovest di Uluru, sono anche queste un luogo sacro, qui in passato erano ammessi solo gli uomini anziani, una specie di senato in cui venivano prese importanti decisioni per i clan.
Arriviamo ad un punto panoramico per ammirare l’alba che tinge di rosa questi rilievi, immersi nell’ombra della Terra, mentre un limpido sole sorge accanto all’inconfondibile sagoma di Uluru. Rimaniamo un po’ in questo incantevole luogo mentre consumiamo la nostra colazione per poi seguire Marcel nella successiva e impegnativa escursione sui monti Olgas, alla “Valle dei venti”. A dir la verità ci dividiamo in due gruppi, al primo e più tosto trekking parteciperanno oltre al sottoscritto, Ferruccio, Davide, Sara, Adelina, Stefania, Giovanna, Vanna ed Enzo mentre i rimanenti percorreranno un altro sentiero meno faticoso chiamato ” Gola dei Venti”.
Saliamo e scendiamo per più di 3 ore i giganteschi macigni, in un percorso spettacolare, ma rigorosamente stabilito dagli aborigeni per i visitatori. Il vento fresco soffia impetuoso tra queste gole mentre ci arrampichiamo sulle rocce rosse di conglomerato, che presenta strati di sedimentazione orizzontali, la vegetazione è scarsa, notevoli alcuni alberi del “legno di ferro”, da cui si ricava come dice il nome un legno dalla consistenza incredibilmente dura e compatta.
Scarpinando Marcel pone ancora una volta l’accento sulla filosofia e lo stile di vita aborigeno. L’aborigeno dice, ritiene se stesso, la natura e la terra come qualcosa di inscindibile, è grazie a questa concezione di unità che ha raggiunto un perfetto equilibrio con l’ambiente, cosa purtoppo ben lontana a noi occidentali.
Scendiamo su un sentiero pianeggiante e Marcel si adombra, ha visto una serie di montagnole di sassi fatte dai turisti e inizia a demolirle con decisione. Questo è un atto di offesa verso gli aborigeni, che danno tutt’altro significato ai cumuli di sassi, lo dirò ai ranger! Prontamente lo aiutiamo nella sua opera di demolizione chiedendogli come mai non si vedono aborigeni in giro.
Ci risponde che sono una comunità molto chiusa e non hanno molto piacere di condividere la vita dei loro clan con gli stranieri, alcuni dei loro riti sono severamente vietati agli occidentali.
Proseuiamo il giro e rivediamo qualche canguro che si nasconde nel folto del bush.
Ci ricongiungiamo quindi col resto del gruppo che era stato guidato dal nostro barbuto autista e torniamo al Resort salutando Marcel e ringraziandolo per tutto quello che ci ha raccontato su questa incredibile terra e sul suo popolo.
Oggi pomeriggio e domattina avremo tempo libero per rilassarci, con la possibilità di fare un tuffo in piscina o di dedicarci all’acquisto di souvenir negli appositi market, molto gettonati risulteranno i boomerang in legno dipinto e i gioielli di opale, la pietra preziosa più diffusa in Australia dal caratteristico colore verde-azzurro.
Al tramonto, mentre consulto lo Sky Atlas sul nostro balcone sgranocchiando qualche biscotto e un po’ di frutta come cena, Ferruccio imbraccia cavalletto e montatura e si dirige a piedi verso l’Ayers Rock, vuole provare qualche foto coreografica del cielo che ritragga anche il monolito.
Io con il peso del Dobson non posso purtroppo seguirlo e attendo che faccia buio e che il cielo stellato esploda come nelle due sere precedenti rivelando i suoi fulgidi tesori australi.
Appena la Grande Nube diventa evidente, mi perdo letteralmente girovagando con il Dobson al suo interno fra le decine di condensazioni stellari e nebulari.
Poi riordino le idee e punto la nebulosa planetaria NGC 1360 nella Fornace, quasi allo zenit, anche questo un oggetto che vedo per la prima volta. E’ molto vasta, addirittura 6′ e luminosa, appare di forma ovale e vi si possono notare due cerchi concentrici dai bordi più luminosi e la stella centrale, che diventa visibile con l’oculare da 16mm.
Arriva Davide a cui mostro l’oggetto e di seguito, una nutrita delegazione del nostro gruppo, Adelina, Stefania, Vanna, Maurizio, Maura e Sara, tutti desiderosi di mettere l’occhio all’oculare. Poco dopo sento bussare alla porta : sono Deni ed Esther, che hanno mantenuto la parola, entrano scavalcando le valigie e il perenne disordine della nostra stanza e si mettono pure loro in coda allo strumento.
Torna Ferruccio, attirato dall’atmosfera di festa e dagli schiamazzi e inizia a mostrare un po’ di costellazioni con il laser. Ci racconta che dal luogo in cui era stato a fare foto, si vedeva nettamente la luce zodiacale ed il Gegenshein, la contro luce zodiacale, collegata alla precedente dalla sottile e debolissima fascia zodiacale attraverso tutto il cielo. Ha pure fatto una foto al Gegenshein.
Guardo il cielo e pur essendo le 23, c’è ancora traccia di quanto ha detto il collega. Si sentono altre voci in avvicinamento in cui emerge quella inconfondibile di Elisabetta, è appena stata assieme al marito Mirco e gli altri compagni Gaetano, Dora ed Enzo al Sound of Silence Experience, la cena nel deserto, prenotata già dall’Italia a cui la maggior parte del gruppo ha rinunciato, ritenendola una cosa un po’ troppo turistica. Ci racconta ridendo la loro lotta con numerosi insetti che svolazzavano sul cibo attirati dalle luci e i brindisi sonori di un gruppo di allegri astrofili veneti.
Quando sto per mostrare anche a loro qualcosa col Dobson si accende la luce del bungalow di fianco al nostro che si riempie di ragazzi inglesi ben forniti di birre e decisi a far baldoria fino a tardi. Fine delle osservazioni. Tutto il gruppo alla spicciolata prende la via delle proprie stanze salutandoci e ringraziandoci per le spiegazioni, ma non Sara che poco prima si è allontanata dal villaggio in un punto osservativo eccezionale, occorre però camminare per 20 minuti per raggiungerlo. Io Ferruccio e Davide decidiamo di seguirla, loro con la strumentazione, io no per ovvi motivi. Non appena siamo sufficientemente lontani dal villaggio imboccando una strada laterale il cielo diventa stupefacente, ci eravamo “accontentati”del cielo accanto al bungalow, ben al di sopra degli standard italiani, ma qui il discorso si fa impressionante.
La volta celeste sembra pioverti addosso tanto le stelle sono luminose e vicine e salendo su una collinetta, lì di fronte a noi, ci appare la sagoma inconfondibile ed inquietante di Uluru, con appoggiata sopra Eta Carinae!
Rimaniamo diversi minuti in silenzio in contemplazione, come per imprimerci bene nella memoria un cielo che chissà quando rivedremo. Nuove Tauridi si fanno strada tra le costellazioni, ma…è un’impressione o attorno a noi si vede l’Airglow? Chiedo conferma ai compari che sottoscrivono questa difficilissima osservazione che nessuno di noi aveva mai fatto prima. Ci appare come una debole fascia lattea parallela a tutto l’orizzonte, in pratica un breve tratto in cui il cielo diventa più luminoso, prima di scurirsi di nuovo, dovuto alla ricombinazione degli atomi di ossigeno con quelli di azoto della nostra atmosfera, processo che produce monossido di azoto e fotoni, in pratica l’inquinamento luminoso naturale del cielo!
Per un attimo mi viene l’insana idea di andare a prendere il Dobson, ma me la faccio subito passare pensando al peso da trasportare e ai diversi viaggi per portare tutto il materiale, e poi rifare tutto il procedimento al contrario al termine delle osservazioni. No meglio di no, penso imprecando un po’. Chissà, forse gli inglesi si sono decisi ad andare a dormire e posso proseguire con qualche altro oggetto deep sky. Abbandono i tre temerari che rimarranno lì mi dicono fino a quando le forze lo consentiranno e mi avvio solitario sulla strada del ritorno, una situzione in cui un non astrofilo si sentirebbe a disagio, probabilmente impaurito. Ma gli astrofili non hanno paura del buio, anzi, lo cercano. Trovo conforto e compagnia del cielo stellato, della Via Lattea e delle splendenti Nubi di Magellano, che in questa landa desolata illuminano i miei passi, non ho nemmeno bisogno di usare la torcia, tanto le pupille sono dilatate e perfettamente adattate al buio.
Urla sguaiate rompono l’incantesimo, sono ormai nei pressi del nostro bungalow e gli inglesi non hanno nessuna intenzione di concedermi un ultima decente osservazione. Mi ritiro in camera, sopraffatto dalla stanchezza. Sentirò come in un sogno il ritorno degli altri che mi racconteranno di aver visto un luminosissimo bolide verde-azzurro e di aver fatto foto memorabili fin quasi all’alba, fino al sorgere della Croce del Sud sopra al monolito!
11 Novembre, una mattina sonnolenta precede la nostra partenza nel pomeriggio dall’aeroporto di Ayers Rock con destinazione Cairns, sulla costa nord occidentale, l’ultima importante tappa della nostra epopea in terra australiana. Arriviamo a Cairns al tramonto e dall’aria secca del deserto dobbiamo confrontarci col caldo umido di queste zone, siamo più a nord e quindi più vicini all’equatore e la differenza climatica si sente. Un pullman ci preleva e ci porta al nostro Novotel Cairns Oasis Resort sul quale svolazzano una quantità incredibile di volpi volanti, enormi pipistrelli che si cibano di insetti, ma fortunatamente di zanzare neanche l’ombra.
Facciamo conoscenza con il simpatico Sergio la nostra ultima guida, un italiano da 15 anni in Australia e ben integrato, che ci aiuta nella prenotazione delle escursioni facoltative dei prossimi due giorni, una nella foresta pluviale ed una alla famosa barriera corallina, la Great Barrier Reef.
Nella notte piove abbondantemente e al mattino il cielo è grigiastro, con una decisa cappa di umidità; arriva Sergio che preleva una parte del nostro gruppo, oltre me e Ferruccio, Sara, Vanna, Adelina e Stefania,( gli altri faranno altre escursioni ), per condurci al Wooroonooran National Park, in cui ci immergeremo nella natura selvaggia del Queensland.
La prima tappa è la foresta di Eubenangee Swamp, che attraversiamo lungo un sentiero che si fa strada tra liane, palme, felci e rampicanti di tutti i tipi, sotto la guida di Sergio che ci spiega di volta in volta il tipo di piante incontrate e i loro strani frutti, sempre molto tossici. Ci fa osservare una fila di formiche verdi che transitano su un ramo, ne prende una e la assaggia ” Sono buone, dice, sanno di limone! Ne volete una?” Ferruccio si ferma ad annusare il profumo di limone ma non cede alla tentazione di assaggiarle, così faranno anche gli altri. Usciamo dalla foresta in un’ampia radura costellata di specchi d’acqua, l’habitat ideale per i coccodrilli ci dice Sergio, ma purtroppo non ne vedremo nemmeno uno, solo qualche uccello acquatico come spatole, cormorani e Martin Pescatori.
Abbandoniamo la zona e arriva il momento sicuramente più emozionante della giornata, il bagno nel ruscello delle Josephine Falls, nel bel mezzo della foresta, un’esperienza mai provata. Una volta in costume Sergio ci spiega come affrontare i macigni scivolosi, come mettere i piedi e dove passare per affrontare la forte corrente del ruscello, che davanti a noi spumeggia dopo due salti fragorosi giu’ dalle rocce levigate.
Osserviamo Sergio, si dà una decisa spinta e con poche bracciate arriva sull’altra sponda, ma lui ha il fisico e chissà quante volte ha fatto questa operazione. Parto io, l’acqua gelida mi sveglia rapidamente ed inizio a nuotare come ha detto Sergio senza mai fermarmi, altrimenti la corrente potrebbe prendere il sopravvento e trascinarmi a valle, operazione riuscita.
Seguono Ferruccio e Stefania chi più chi meno con stile, le altre 3 non ci pensano minimamente a seguirci. “Ora, dice Sergio, non ci resta che scendere a mo’ di scivolo da questa alta roccia, proprio sotto alla cascata e mi raccomando quando arrivate in acqua non date una capocciata sulle rocce sottostanti, iniziate a nuotare e non fermatevi fino all’altra riva, un gioco da ragazzi!”
Sergio si lascia andare sulla roccia levigata, prende velocità e atterra sull’acqua col sedere facendo due rimbalzi prima di nuotare in bello stile fino alla salvezza. Mah, sono un po’ perplesso. Vinco gli indugi e mi lascio scivolare aprendo le braccia come suggerito per mantenere l’equilibrio e non rotolare rovinosamente e penosamente contro le rocce. Vado sott’acqua, annaspo qualche attimo vinto dalla corrente, poi mi concentro e trovo la mano di Sergio che mi issa al sicuro sulla riva. Anche Ferruccio e Stefania vengono tratti in salvo.
Sulla strada del ritorno Sergio ed Adelina sono oggetto dell’attenzione di sanguisughe, tenacemente ancorate alle dita dei piedi. “Può succedere dice Sergio, siamo nella foresta!” Tolte le sanguisughe veniamo condotti per il pranzo in un ottimo ristorante italiano, il Roscoe’s Restaurant, in cui ci ritempriamo dal nostro primo impatto con la foresta tropicale, prima di proseguire verso l’estuario del fiume Johnstone e verso una zona pianeggiante ricca di bananeti in cui avvistiamo un Casuario, un raro uccello simile allo struzzo con una vistosa cresta azzurra.
Poi è la volta delle Millaa Millaa falls, cascate più imponenenti delle precedenti, in cui però decidiamo di non tuffarci e infine arriviamo sulla sommità delle Tablelands , in un’area in cui crescono giganteschi alberi ( qui non arrivano i cicloni a demolirli ), tra cui Pini millenari e una vera e propria meraviglia della natura, un gigantesco Fico, ricoperto di radici, liane e felci arboree, con una circonferenza di 60 m ed un’altezza analoga, che pare abbia ispirato James Cameron, per il ciclopico albero del film Avatar sul pianeta Pandora. Trascorriamo un bel po’ di tempo presso questa vera e propria cattedrale vegetale, arrampicandoci anche tra le sue impressionanti radici aeree.
Il tour termina e ringraziamo Sergio per averci fatto trascorrere una splendida giornata e ci ritroviamo con gli altri per la cena, alcuni hanno già sperimentato con grande soddisfazione la barriera corallina, altri hanno visitato il giardino botanico di Cairns. A cena assaggeremo un tris di carni tipiche: canguro, Emù e Coccodrillo!
Si ragiona un po’ sul meteo, al largo sulla barriera il clima era sereno al contrario di Cairns e anche dell’interno in cui ci trovavamo noi, caratterizzato da molte nuvole e da qualche pioggerella, le previsioni via internet indicano un aumento dell’alta pressione, sarà sufficiente per consentirci tra due giorni di vedere l’eclisse?
Il 13 Novembre, la vigilia dell’eclisse partiamo sotto un cielo piovoso e con un mare decisamente mosso diretti alla barriera corallina, siamo solo io Ferruccio e Sara, gli altri ancora una volta si sono divisi su vari tour. La Grande barriera corallina australiana è la più grande del mondo, oltre 2300 km, l’unico elemento vivente visibile dallo spazio, c’è grande attesa per andare ad esplorare le meraviglie sottomarine, lo staff della nave fornisce infatti, maschere con boccaglio e pinne per lo snorkeling e attrezzatura subacquea per i più esperti.
Dopo un’oretta dalla partenza ci fermiamo ed il cielo inizia ad aprirsi, facendo uscire un sole che và ad illuminare i magnifici colori della barriera.
Sara si tuffa, seguita a ruota da Ferruccio e dal sottoscritto, ma il mare è mosso ed è complicato nuotare, ciò non ci impedisce comunque di avvistare tantissimi pesci colorati, un barracuda con sguardo inquietante, enormi coralli blu e una conchiglia Tridacna gigante.
Torniamo nel tardo pomeriggio a Cairns rimasta sotto le nuvole e bersaglio di frequenti acquazzoni, convincendoci se ce ne fosse ancora bisogno, che Green Island, al largo, lontano dalla costa, sia la meta ideale per l’osservazione dell’importante fenomeno celeste.
La speranza e l’apprensione si mescolano, manca solo l’ultimo tassello, la ciliegina sulla torta per rendere questo viaggio memorabile.
Andiamo a letto presto, anche perchè ci aspetta un’alzataccia, alle 2.45 e in quell’orario disumano scendiamo nella hall dove ci aspetta Glenn Sweet, il corrispondente della Naar, che ci fa salire su un pullmann assieme a svariati americani e ci conduce al porto ad attendere la nostra nave, la Ocean Freedom. Piove.
Ci riagganciamo a questo punto al racconto iniziale, ovvero al momento in cui stiamo navigando al largo di Cairns, basculando sul mare agitato e con mille dubbi meteorologici.
La sorte sta però per volgere a nostro favore…
Sara scende la scaletta del ponte superiore in cui sfidando le intemperie ha monitorato il cielo e ci porta la notizia di svariati squarci: si vedono le stelle, ci dice e anche Venere basso a est! Pure i numerosi americani presenti sul nostro battello si sono accorti del miglioramento climatico e un velato ottimismo comincia a farsi strada, i volti diventano più sorridenti e fiduciosi. Albeggia quando attracchiamo al pontile di Green Island, recuperiamo telescopi e attrezzatura fotografica e di corsa cerchiamo una spiaggia che faccia al caso nostro, abbiamo mezz’ora prima che inizi l’eclisse, ci guardiamo attorno, il cielo è miracolosamente quasi tutto sgombro, rimane una densa nuvolaglia verso ovest in direzione di Cairns e qualche piccola nuvoletta che transita veloce sull’orizzonte est, dai che ce la facciamo!
Troviamo un posto incantevole lontano dalla calca del popolo astrofilo, Davide e Ferruccio montano velocissimi la strumentazione ( un rifrattore da 105 mm F 500 mm e un 200 mm con duplicatore ) e io, dopo aver montato il fedele Tansutzu ( 114/1000) vado a ricuperare il resto del gruppo, che si era aggregato agli americani e ai giapponesi.
Sono le 5.25 ora locale, il sole sorge a Green Island, fra poco più di un’ora ci sarà la totalità, speriamo che in quei due importantissimi minuti che valgono un viaggio, una delle innocue nuvolette non decida di piazzarsi proprio sopra il sole.
La tensione è alta quando alle 5.44 abbiamo il primo contatto parzialmente nascosto da una di queste nuvole, ma è solo un attimo e osserviamo l’avanzare del disco lunare sopra le numerose macchie solari senza troppi patemi. Il nostro gruppo si alterna agli strumenti osservando con sempre maggior entusiasmo lo spicchio di sole che via via si assottiglia ed ecco che puntualmente i colori del paesaggio iniziano a cambiare, un fenomeno che si ripete regolarmente ad ogni eclisse, ma che coglie sempre di sorpresa. Gli occhi non sono abituati a questa strana luce polarizzata, che ti fa sembrare su un altro pianeta e lo splendore del sole appena sorto lascia di nuovo il posto ad un prematuro crepuscolo.
Ormai manca pochissimo e osserviamo con orrore l’approssimarsi al sole di una delle famigerate nuvolette, tutto il gruppo è in trepidazione… Ma la fortuna è dalla nostra e la nuvoletta, forse per le particolari condizioni climatiche indotte dall’eclisse, rallenta e si sfrangia passando un po’ sopra e un po’ sotto al sole che in un colpo da teatro proprio in quel momento si eclissa totalmente riducendosi ad un puntino luminoso e rivelando infine un enorme disco nero circondato da una corona stellata dal colore leggermente rosato, un incredibile fiore cosmico che si schiude per poco agli occhi di noi miseri mortali . Splendido!
Sono le 6.38 ed il sole è alto 14° sull’orizzonte. Vinco la paralisi che inchioda davanti ad uno spettacolo così sublime e metto l’occhio al Tansutzu: ecco una gran quantità di protuberanze rosse e viola luminosissime e la corona madreperlacea che rivela la sua struttura filamentosa.
foto di Sara Vatrella
Chiamo gli altri che rapidamente si alternano all’oculare. Enzo è commosso, alcuni urlano, altri sono semplicemente senza parole. Vado da Adelina facendole notare la colorazione giallastra che ha assunto l’orizzonte nord, quando ecco che il sole esce di nuovo, illuminando la spiaggia e l’Oceano Pacifico. Ancora una volta è sembrato un attimo, anche se sono passati 2 minuti e 6 secondi.
Ce l’abbiamo fatta! E’ la mia settima eclisse totale e considerate le statistiche meteo del periodo e la criticità del sole basso sull’orizzonte , non era un risultato così scontato, ma ancora una volta Coelum viaggi ha trionfato sul meteo!
Mentre si festeggia l’avvenuta osservazione, solo Davide continua a fare foto completando il fenomeno fino all’uscita del sole dal disco lunare che avviene alle 7.40, con la marea che nel frattempo si è alzata a lambire i nostri cavalletti. Trascorriamo alcune ore sull’isola, chi come Ferruccio, Adelina e Vanna tuffandosi nelle acque azzurre e invitanti (solo in seguito scopriremo essere infestate da velenosissime cubo-meduse ), chi andando alla ricerca di testuggini marine e coccodrilli, chi semplicemente rilassandosi in un caffè all’aperto, ricordando con incredulità i meravigliosi istanti appena vissuti.
Mangiamo qualcosa mentre rapidamente l’adrenalina lascia il posto alla spossatezza di questo lungo ed impegnativo viaggio, condito di lunghissime trasvolate e numerosi voli interni e cominciamo a ragionare sul prossimo obiettivo, l’eclisse totale del 2013 in Uganda. Ma arriva il momento del ritorno e una volta a Cairns l’equipaggio del battello si mette in fila salutandoci rispettosamente uno per uno, il nostro aspetto stanco, i volti in parte bruciati dal sole e coperti di sabbia corallina, i cavalletti in spalla e gli strumenti provati dai numerosi viaggi in giro per il mondo ci fanno assomigliare più a reduci dal fronte che a una spedizione astronomica.
Stringo la mano al capitano, che sorridendo ci congeda: “Lucky Eclipse!” Guardo i compagni di viaggio e le nuvole sopra Cairns. “Yes…Lucky Eclipse!”