Venerdì 24 febbraio è stata la sera della “Luna a barchetta”, evento ampiamente divulgato sul web. Per molti, anche non astrofili, è stata l’occasione per levare lo sguardo al cielo e ammirare un fenomeno poco frequente alle latitudini medie della Penisola e reso accattivante dalla presenza di due veri diamanti: i pianeti Venere e Giove. Purtroppo, ho goduto dello spettacolo celeste per pochissimo tempo, dopo le ore 18, approfittando della pausa GR all’interno della mia trasmissione radiofonica. In un cielo terso e blu cobalto, son restato alcuni minuti a scrutare ad occhio nudo quella visione evocante sentimenti ancestrali e la razionale Meccanica Celeste. Quel venerdì è stato anche il primo giorno di cielo sereno, dopo un lunghissimo periodo di maltempo che, giocoforza, ha costretto gli astrofili a riporre i propri strumenti.
Per mia consuetudine, sfrutto i periodi inclementi, per revisioni accurate delle ottiche e delle parti meccaniche, ma anche per la costruzione di cose semplici ed utili, talvolta però, anche più complesse.
Nel recente ho costruito una camera con sensore CMOS raffreddata, modificando una webcam cinese con sensore 1280×960, rivelatasi molto sensibile all’Infrarosso, tanto che pochi secondi di esposizione mi permettono di ottenere immagini molto interessanti deep-sky. La camera è talmente sensibile, da non essere utile per riprese planetarie e solari: pur con guadagno al minimo, restituisce immagini sempre sovraesposte anche con l’impiego di filtri neutri molto densi..
Nel frattempo, sfruttando un fine settimana, ho dotato il mio rifrattore, con doppietto ED di 127mm f/9 imbarcato nel tubo di un Konus 120/1000, di ben 13 diaframmi ricavati con del materiale plastico opacizzato con una vernice nera. Il contrasto è nettamente migliorato, azzerando la luce diffusa (poca in verità) che si percepiva in precedenza. L’intero strumento può, a buon diritto, definirsi autocostruito, almeno in parte.
Altra mia realizzazione è stata quella di assemblare una nuova camera complementare alla prima, sfruttando una vecchia digitale compatta di prima generazione (con sensore a colori 640×480), ormai ampiamente superata e inutilizzata da molto tempo.
L’elettronica di questa camera è enormemente più complessa di una comune webcam e le prove effettuate hanno rivelato un’eccellente risposta a tutti i colori nel visibile, una discreta sensibilità (comunque inferiore alla prima camera costruita) e un perfetto bilanciamento cromatico nativo (assenza di dominanti). Messi alla prova alcuni programmi di gestione e cattura, al fine di trovare quello con cui la camera s’interfacciasse meglio, testando Etron Webcam Videocap 1.0, ho avuto la piacevole sorpresa di scoprire che questo software – e soltanto con questa camera – mi permette di attuare, oltre che i normali controlli di settaggio, anche uno zoom digitale fino a 4x e una sorta di “autoguida al contrario”, sacrificando parte del sensore. Un soggetto, in lento movimento nel campo, viene costantemente riportato al centro dell’inquadratura (presumo sia lo stesso principio utilizzato dalle camere autoguida per comandare l’elettronica dei motori in una montatura equatoriale GoTo), quindi interessante per l’imaging planetario.
Non restava che assemblare lo scafo e attendere per la Prima Luce. La prima giornata utile è stata proprio il 24 febbraio. In mattinata ho catturato alcuni files AVI sul Sole con risultati molto promettenti, ma con seeing scarso e qualità finale appena sufficiente. Dopo il pomeriggio in studio, sono rientrato a casa con il crescente lunare già tramontato ma non ho rinunciato ad una Prima Luce ufficiale della camera con un soggetto importante.
Dopo cena, ho portato fuori la strumentazione stazionandola sotto la veranda. Questa postazione, poco impegnativa e rivolta a Sud, offre diversi vantaggi: è sufficiente posizionare il treppiede in una determinata posizione per avere, con pochi aggiustamenti in azimuth, uno stazionamento equatoriale perfetto. Venere era già troppo basso per una seria prova, Giove nascosto dalla veranda, Marte era invece già abbasatnza alto ed in posizione favorevole. Quindi ne ho ripreso alcuni filmati a varie focali (nativa, con lente di Barlow 3x e anche con lo zoom digitale e/o insieme) ricavandone un’immagine molto piacevole che confortava le mie aspettative. Terminato con Marte ho rivolto il telescopio verso Sirio già oltre il passaggio meridiano.
Non è stato necessario perfezionare il fuoco, quindi ho iniziato a riprendere i filmati AVI di 30 sec a 8 fps (buon compromeso per l’abbattimento seeing e un minimo di sensibilità) con l’intento di ottenere giusto immagini della stella più luminosa del cielo e soltanto per saggiarne la risposta cromatica, pur sapendo che nell’alone si celasse la debole compagna Sirio B, ormai con una separazione angolare interessante, di poco inferiore ai 10″ d’arco. Già con l’inquadratura a monitor, ho notato la presenza di diversi guizzi di luce a varie distanze dalla stella, ma una piuttosto ricorrente si collocava sul bordo dell’immagine di Sirio.
Pensai si trattasse di una ben nota stellina collocata a circa 40″ che sovente inganna chi tenti l’osservazione visuale di Sirio B, però avendola vista più volte, ho escluso tale ipotesi.
Durante le riprese, Sirio è apparsa palpitante e cangiante per via del seeing non ottimale, però a tratti le immagini sono risultate molto buone. La montatura EQ3.2 (revisionata nella meccanica) ha fatto il suo dovere, inseguendo correttamente anche a forte ingrandimento, intanto ho proseguito nelle riprese con vari setup e provando anche la funzione di autotrekking real time, supportata da Webcam Videocap (i rettangoli gialli che si vedono nelle immagini). Le operazioni sono andate avanti senza intoppi in una serata insolitamente mite per il mese di Febbraio, fino a quando, dopo aver inserito la lente di Barlow a 3x, i miei tre gatti astrofili non hanno pensato bene di giocare ad assalti reciproci sotto il telescopio… Chi possiede gatti, non avrà bisogno di molte spiegazioni: nel comportamento felino c’è la ben nota e documentata “pazzia serale” che rende questi animali iperattivi con salti, agguati, ecc. si ritiene sia un retaggio del loro passato selvatico.
Solitamente è una simpatica compagnia, però gli urti al treppiede son bastati ad alterare di pochissimo – tra benevole imprecazioni – lo stazionamento del telescopio e comprometterne il perfetto inseguimento, con una debole deriva, compensata dal sistema di autocentraggio della camera. Ho notato che Sirio restava comunque nel campo del sensore per tutti i 30 secondi di ripresa, quindi ho continuato a riprendere altri due filmati, supponendo che con Registax avrei allineato correttamente.
Rientrato in casa, ho visionato i filmati e mi sono accorto di aver ripreso quella che sembrava essere Sirio B in diversi fotogrammi: tenuto conto dell’Angolo Orario e del PA, tutto rinforzava la possibilità di essere riuscito nell’impresa di catturare l’elusiva nana bianca!