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Intervista ad Andràs Dan (Gemini Telescope Design)
Quando è nata la tua azienda?
La Gemini Telescope Design è nata nel 1996 per iniziativa mia e di un altro astrofilo che aveva già un’azienda commerciale. E’ stato questo mio ex-socio che mi ha dato la spinta per iniziare questa attività.
Avevate delle macchine per la produzione?
No, io mi occupavo di progettazione e cercavo aziende meccaniche – soprattutto in Ungheria – che realizzassero quello che progettavo. Io e il mio socio poi ci occupavamo dell’assemblaggio dei prodotti finiti.
Eri soddisfatto della qualità delle lavorazioni?
Di solito no, ho girato per anni alla ricerca di aziende affidabili, e non ti dico quante volte mi hanno fregato. All’inizio è stato un disastro; solo con la gioventù e la perseveranza sono riuscito a superare questi difficili momenti iniziali.
Quali sono i primi prodotti che avete costruito?
A quell’epoca non c’erano ancora (almeno da noi in Ungheria) le montature cinesi, e il nostro primo prodotto è stato una piccola montatura equatoriale, che abbiamo chiamato G10 e che poteva portare fino a 10-12 Kg di strumentazione. La G10 aveva le corone dentate in bronzo non troppo curate perché in un primo momento la montatura non era destinata alla fotografia astronomica ma solo all’uso visuale, e i clienti – soprattutto scuole – ci montavano piccoli rifrattori fino a 10 cm. Dopo due anni ho iniziato anche a collaborare con l’azienda tedesca APM di Markus Ludes, con cui ho ancora ottimi rapporti, sia commerciali che di amicizia.
Da dove viene il nome della tua azienda, ovvero “Gemini”?
Il nome deriva dal fatto che io e il mio ex-socio siamo buoni amici da lungo tempo, e ci consideriamo quindi come “gemelli”. Questo nome però mi ha creato parecchi problemi a causa del fatto che un noto sistema antifurto si chiamava nello stesso modo e ricevevo parecchie telefonate da parte di clienti di questi antifurti che chiedevano assistenza tecnica.
Seccante… e quanto è durata la montatura G10?
E’ durata vari anni, ed ha avuto un buon successo sia in Ungheria che in Germania, tramite il rivenditore APM. Proprio il titolare della APM, Markus Ludes, mi suggerì di costruire una montatura in grado di sostenere carichi maggiori – ovvero circa 40 kg – per poter montare gli strumenti ottici che lui stava costruendo. A seguito di questo suggerimento, è nata la G40 che utilizzava uno schema meccanico tradizionale, cioè con corone elicoidali e viti senza fine, ma che aveva una novità importante, la trasmissione diretta tra motore passo-passo e vite senza fine, senza usare riduttori. Infatti i motori passo-passo non sono adatti per funzionare ad alti regimi di rotazione ma vanno invece benissimo a basse velocità.
Quello che mi mancava era però il computer di puntamento. All’inizio ho fatto esperimenti con il sistema tedesco FS-2, ma ho quasi subito notato che il sistema di correzione dell’errore periodico (PEC) incorporato nell’FS-2 non funzionava con il mio sistema senza riduttori. Ho pertanto richiesto al progettista dell’FS-2 una modifica che potesse risolvere il problema, ma dopo avere aspettato inutilmente per oltre 18 mesi senza ottenere questa modifica, ho deciso di sviluppare un nuovo computer di puntamento.
Nel frattempo avevo anche sperimentato il controller MCMT dell’azienda francese Valmeca (che a quanto sembra non è più in attività), e da questo sistema ho preso il concetto del magnete di riferimento per la correzione “permanente” dell’errore di inseguimento.
Volevo poi superare una caratteristica dell’interfaccia dell’FS-2 che ti costringe a scorrere tutti gli oggetti del database per raggiungere quello che vuoi puntare. Quindi, basandomi su questi due prodotti, ho cominciato a sviluppare un’idea per il mio computer di puntamento, che ho chiamato Pulsar. Ora è in commercio anche la versione più evoluta, il Pulsar 2.
Quindi hai sviluppato un computer palmare “proprietario” e dedicato alle tue montature. Cosa pensi però del futuro dei sistemi di controllo dei telescopi, che stanno sempre di più diventando delle applicazioni per tablet e smartphone?
E’ necessario precisare che il computer Pulsar 2, pur essendo proprietario, è configurabile a piacere dall’utente e quindi può essere montato anche su altre montature di altre marche.
Quanto al controllo remoto tramite dispositivi portatili, anche noi di Gemini crediamo in questo futuro e infatti abbiamo già sviluppato un’applicazione di questo tipo: è per Android, la trovi su Google Play, si chiama “Pulsar2 hand controller” ed è una pulsantiera virtuale con cui controlli le montature Gemini. Basta impostare l’indirizzo IP del Pulsar 2 e sei pronto per cominciare.
(Questa è una notizia che merita di essere comunicata nella pagina delle novità di Telescope Doctor!)
Quanti esemplari della Gemini 40 hai venduto?
Un centinaio, soprattutto in Germania. In Italia ho cominciato a vendere i miei prodotti quando è uscito il modello Gemini G41 (poi seguita dalla G42), che è una macchina molto precisa e affidabile e che infatti è ancora in uso presso vari Osservatori e astroimager italiani.
Nel frattempo hai acquistato le macchine per la produzione in proprio oppure lavori sempre in outsorcing?
Lavoro sempre con officine meccaniche esterne. Questo mi dà la possibilità di passare rapidamente a nuove tecnologie che vengono di volta in volta sviluppate. Però va detto che, quando fai piccoli numeri, come è nel mio caso, di solito le officine meccaniche non lavorano volentieri per te ed è sempre necessario far leva sull’amicizia e su qualche fattore “emotivo” – come la passione comune per l’astronomia – per ottenere una produzione in piccola serie a prezzi ragionevoli e con uno standard di qualità adeguato.
Come hai costruito la tua attuale rete commerciale in Europa?
L’ho costruita con i contatti personali, con il passa-parola e tenendo i prezzi il più possibile concorrenziali.
Come pensi di reagire al prossimo arrivo della SkyWatcher EQ8, che a parere di tutti è identica alla tua G42?
Ho scritto al presidente della Synta per ringranziarlo di avere preso a modello la mia montatura in modo così accurato (sorriso ironico dell’ingegner Dan. NdR).
N.B.: dopo questa intervista, l’Ing. Dan mi ha informato di aver raggiunto un accordo con la Synta per i diritti d’uso del disegno meccanico ed estetico della G42 e del treppiede Gemini GHS MkII.
Perchè hai deciso, quando hai progettato la G53F, di cambiare tecnologia di trasmissione dei movimenti?
Ho progettato la trasmissione a rulli frizionati sia per ridurre significativamente l’errore periodico che per il piacere di fare qualcosa di nuovo. Ma anche per il piacere della ricerca tecnologica, che mi ha impegnato per oltre un anno per trovare i materiali più adatti e per definire il concetto nel migliore dei modi. E’ necessario dire che la lavorazione dei dischi che trasmettono il movimento nella G53F è un processo molto più scorrevole: infatti rettificare alla perfezione un disco con una tolleranza di 1/100 di mm è relativamente facile rispetto alla costruzione di una corona dentata veramente buona. Inoltre una corona tradizionale in bronzo, che parte da uno sbozzo di fusione, dà spesso problemi causati dai fori di ritiro che possono finire nei posti più impensati, compresi i denti, con risultati disastrosi anche dal punto di vista economico. Inoltre la forma dei denti di una corona a denti elicoidali è molto complessa e genera spesso problemi di variazione del diametro primitivo, che è la vera origine dell’errore periodico.
Però è possibile impiegare gli encoder assoluti, come fanno i tuoi principali concorrenti, per risolvere alla base il problema dell’errore periodico.
E’ vero, ma gli encoder assoluti e i relativi interpolatori sono molto costosi e richiedono una taratura molto fine. Il mio sistema dei dischi frizionati risolve invece, in gran parte, il problema dell’errore periodico in modo molto più economico e senza problemi di taratura fine. Oltre a questo, il sistema impiegato nella G53F è dotato di una fluidità dei movimenti che mi è subito piaciuta molto. Oltretutto l’avanzamento ha una rumorosità molto ridotta, una caratteristica apprezzabile per un astrofilo che spesso usa la strumentazione in ambienti condominiali. Anche le vibrazioni sono ridotte al minimo, anche quando i motori girano ad alta velocità.
I dischi frizionati sono soggetti a usura?
Molto meno di un sistema tradizionale a vite e corona. Ho infatti risolto, impiegando materiali particolari, il problema della laminazione, che può causare usura nei sistemi che impiegano rulli metallici premuti con forza l’uno contro l’altro.
Leggendo le caratteristiche tecniche, si capisce che anche la G53F impiega encoder, ma non sono di tipo assoluto, bensì incrementale. Confermi?
Colgo l’occasione per correggere quanto si è affermato su Internet, dove si sosteneva erroneamente a causa di un equivoco, che la Gemini G53F utilizzava encoder assoluti. Impiega invece encoder incrementali, che servono per non perdere la posizione quando si aprono le frizioni o in caso di slittamento dovuto a sbilanciamenti del sistema o a manovre accidentali dell’utilizzatore. L’equivoco è dovuto al fatto che gli encoder della G53F hanno un punto di riferimento assoluto, una posizione “home”, che può essere impostata dall’utente.
Qual’è l’errore di inseguimento tipico della G53F?
L’ordine di grandezza è di 4 arcosecondi su un tempo di 30 minuti. Questo permette di fare riprese non guidate con strumenti di corta focale, sempre che lo stazionamento polare della montatura sia stato eseguito in modo preciso. Vorrei sottolineare che la G53F è una montatura che va bilanciata in modo molto accurato perché quando si aprono le frizioni gli assi sono completamente “liberi”.
Ringraziamo l’Ingegner Andràs Dan per la gentile collaborazione.