L’intervista
Dal settimanale “L’Europeo” (1961).

Un giovanissimo Gagarin, agli inizi della sua carriera di pilota.
Un giovanissimo Gagarin, agli inizi della sua carriera di pilota.

«Stavo facendo l’addestramento sui Mig quando sapemmo che era stato lanciato il primo Sputnik… ne ascoltavamo i segnali, e quella “voce” che veniva dallo spazio mi stordiva. Pensavo che un giorno anche gli uomini sarebbero arrivati all’altezza dove adesso c’era quella cosa pesante 75 chili. Pensavo anche che certamente ci sarebbero voluti dei giovani per quel volo. Io, forse, sarei diventato troppo vecchio. Ma l’arruolamento per le imprese spaziali cominciò presto; mi feci avanti. Prima di tutto dovevo dimostrare d’avere molta salute. C’era da passare una visita medica severissima. Non chiedetemi che cosa guardano più attentamente i medici in quelle visite, se il cuore, i polmoni, il sistema nervoso. Io so che mi hanno tenuto in osservazione per giorni e giorni. Mi dissero finalmente che la mia salute era perfetta; la preparazione sarebbe cominciata subito. »

Gagarin in un ritratto a fianco della bella moglie Valya.
Gagarin in un ritratto a fianco della bella moglie Valya.

«La prima regola durante la preparazione stessa è quella di non perdere mai gli orari. Bisogna andare a letto ad una certa ora, né prima, né dopo; bisogna svegliarsi e mettersi in movimento dopo aver dormito bene ed a sufficienza. Alla mattina si fa molta ginnastica; durante l’inverno si scia, nella buona stagione si corre. Poi si fanno dei tuffi da grandi altezze, un poco come nell’allenamento dei paracadutisti: tutti i piloti spaziali debbono avere il brevetto di paracadutista. Questo, per la vita all’aperto. In laboratorio si abitua invece l’organismo a sopportare sia lunghi movimenti rotatori, sia l’azione delle forze centrifughe. Poi, si studiano molte cose: biologia, astrofisica, radiotelegrafia. I limiti d’età sono molto rigorosi, non meno di vent’anni, non più di trenta. No, non ha importanza né in un senso, né nell’altro, essere sposati o scapoli. Chi è sposato ha una certa libertà, può tornare a casa abbastanza spesso: naturalmente sta alla coscienza di ciascuno rispettare anche fuori del campo d’addestramento una regola di vita seria. Prima io fumavo e bevevo qualche volta un bicchiere di vodka o di cognac. Ho smesso di colpo, appena arruolato.»

Il gruppo storico dei cosmonauti selezionati per il programma spaziale russo. Al centro è riconoscibile Valentina Tereskova.
Il gruppo storico dei cosmonauti selezionati per il programma spaziale russo. Al centro è riconoscibile Valentina Tereskova.

« Non potevo sapere nemmeno io, fino all’ultimo momento, se avrei fatto il volo. Eravamo stati scelti in 15. Uno di noi sarebbe stato lanciato, gli altri sarebbero rimasti a terra. Tutto sarebbe dipeso dal nostro stato di salute. La sera dell’11 aprile, il comandante ci fece chiamare. “Domani è la giornata”, disse. “Uno di voi partirà. Ancora non posso dirvi chi. Vedremo domattina. Adesso dovete fare una sola cosa: andare a dormire e cercare di riposare, riposare molto e bene.” All’improvviso mi sentii calmo, calmissimo. Era come se la cosa non mi riguardasse, anche se avrei dato tutto, pur di essere io a fare il volo. Andai a letto assai presto. Sono sicuro d’aver dormito dieci ore. No, il sonno non mi si è rotto neppure per un istante; credo d’essermi svegliato nella stessa, precisa posizione nella quale mi ero assopito. Anzi, se non ci fossero stati dei rumori, forse avrei continuato a dormire. Quando aprii gli occhi, vidi che i miei compagni erano in movimento già da un pezzo. Mi sentivo bene, molto bene. Ero fresco, allegro come se avessi dovuto andare a pescare e non fare quella cosa, quella corsa nel cosmodromo.»

« Contava quello che avrebbero detto i medici. Fummo visitati uno per uno. I medici sapevano quanto era grave il giudizio che dovevano dare, erano molto preoccupati. Vidi entrare qualcuno dei miei compagni nel laboratori, poi toccò a me. Fu una visita assai più severa di tutte le altre che avevo passate negli ultimi tempi. “Basta”, disse il capo dei medici, ad un certo punto. “Puoi andare.” Le stesse parole erano state dette a quelli visitati prima di me, le stesse furono ripetute a quelli che vennero dopo. Alla fine vennero fatti 5 nomi; fra questi c’era anche il mio. Il comandante disse: “Il volo verrà compiuto da uno di voi cinque. Andate a prepararvi: equipaggiamento completo, come se doveste partire tutti”.»

La soddisfazione di Yuri Gagarin e Sergej Korolev.
La soddisfazione di Yuri Gagarin e Sergej Korolev.

«Ci trovammo davanti alla Vostok dopo un quarto d’ora. Era una bella mattina, limpida, tirava soltanto un filo leggero di vento. Il Vostok era a pochi passi. Ormai lo conoscevo a memoria, di fuori e di dentro, ma mi parve come nuovo. Attorno alla macchina c’erano uomini che andavano e venivano. Voi sapete quante cose si fanno per la partenza d’un aeroplano, immaginate quello che può accadere per il lancio di un’astronave. Continuavo ad essere calmo… vedemmo di nuovo i medici, e di nuovo ci visitarono. Dopo la visita ci separarono: tre di qua, io e un altro di là. Capii che il problema si riduceva a scegliere uno di noi due. “Mettetevi il casco”, disse il comandante. “Avanti, Yuri Alekseyevich, sali.”»

La Vostok 1 ora conservata al Museo della Scienza e dell’Aeronautica a Mosca.
La Vostok 1 ora conservata al Museo della Scienza e dell’Aeronautica a Mosca.

« Avete visto com’è fatta la parte più bassa della macchina già pronta sulla rampa. Per salire c’è una scala di quindici gradini, di ghisa. La scala ha una doppia ringhiera: io, però, non mi appoggiai.

In cima alla scala, lo specialista delle tute spaziali guardò il mio equipaggiamento, sistemò due cinghie che non erano abbastanza tirate, poi mi fece cenno che tutto andava bene. Mi voltai a salutare ed entrai nell’ascensore che porta alla cabina. L’ascensore si mosse, avanzò lentamente verso l’alto, sentivo il cigolare delle corde che lo tiravano. Qualche istante, ed ero davanti alla cabina, aperta. Entrai e subito sentii il comandante che diceva: “Scendi, Yuri Alekseyevich. Adesso voglio vedere il tuo compagno.”»

« Era stata una prova, l’ultima. Il mio compagno salì come avevo fatto io, tornò indietro, poi salimmo e scendemmo altre volte, ed alla fine il comandante ci consegnò ancora ai medici. Il mio compagno ed io, dopo una nuova visita, aspettammo. Ci eravamo tolti il casco, ma né lui, né io parlavamo. Il comandante si avvicinò ai medici: discutevano, ma a bassa voce, non afferrai nemmeno il senso di quello che dicevano. Passarono così cinque o sei minuti, poi il comandante venne verso di noi. “Yuri Alekseyevich “, disse, “parti: sei stato scelto tu.” Se mai ero stato in ansia, in quel momento tutto finì. Era come se avessi saputo da sempre che sarei stato io il primo a volare nello spazio…»