Le interviste

⭐ Dall’idea iniziale fino allo spazio: tutte le sfide del JWST

Siamo nel 1989. I pianeti conosciuti sono ancora nove e ruotano tutti attorno al Sole. L’espansione dell’universo è nota ormai da sessant’anni, ma non è ancora stata scoperta la sua accelerazione.

Tre anni prima, il disastro dello Shuttle Challenger aveva bloccato temporaneamente il programma spaziale degli Stati Uniti: gli astronauti hanno ripreso da poco le loro attività e si preparano a portare in orbita un osservatorio destinato a diventare leggenda.

È l’inizio di una nuova era per l’astronomia, ma si sta già pianificando la successiva. Ne parliamo con Massimo Stiavelli, astronomo dello Space Telescope Science Institute (STSCI) a Baltimora dove è mission head di JWST.

Di seguito la parte finale dell’intervista pubblicata sul n. 255 di Coelum

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Quante persone sono coinvolte?

Si stima che, negli anni, diecimila persone abbiano lavorato alla costruzione di JWST. Qui a STSCI, circa 300 persone sono responsabili di mandare comandi al telescopio e ricevere i dati, chiedere idee alla comunità scientifica e aiutare la comunità a implementarle per fare osservazioni. Non tutti fortunatamente però fanno turni anche la notte!

Nel frattempo sono nate anche nuove linee di ricerca, penso per esempio agli esopianeti… Avete dovuto fare molti cambi per adeguare il progetto a nuovi obiettivi?

Non tanto. Fin dall’inizio gli obiettivi scelti sono sempre stati ambiziosi. Non ci aspettavamo forse di arrivare così lunghi con i tempi ma sapevamo che stavamo parlando di decenni. Se avessimo puntato a risultati alla portata di un telescopio da Terra avremmo corso il rischio di essere superati. Così, quando sono stati individuati gli esopianeti, in realtà noi non abbiamo dovuto fare niente, c’è una piccola feature di uno degli strumenti è bastato modificare quella per essere pronti.

In quali altri campi JWST darà grandi contributi?

Mi aspetto che sia rivoluzionario in tanti ambiti dell’astronomia, dagli esopianeti ad un determinato tipo di misure cosmologiche come la costante di Hubble, per esempio, su cui oggi missioni diverse sembrano offrire risultati in contraddizione. A tal fine ci sono già dei proposal approvati nel primo anno di operatività del telescopio. Qualche anno fa, l’asteroide interstellare Oumuamua aveva destato interesse, con le spiegazioni più stravaganti sulla sua natura: c’è un proposal anche su questo genere di oggetti.

Pensate già al dopo JWST?

Certo! Siamo già ad un’idea e mezzo: una è già in sviluppo, il Roman Space Telescope, un telescopio come Hubble col grandangolo. Se si vuole avere un’immagine completa di M31, la galassia di Andromeda, con Hubble servono centinaia di diverse immagini per coprire tutta la galassia: con Roman sono sufficienti due osservazioni. E poi c’è un altro progetto per rispondere alla domanda “Siamo soli?” che JWST può solo iniziare ad affrontare. JWST infatti è adatto allo studio di pianeti intorno a stelle nane rosse, ma non intorno a nane gialle, come il Sole. A questo sarà dedicata Luvoir, missione ultravioletta-ottica-infrarossa, una specie di super-Hubble, più grande di 6 metri ma per il lancio si parla del 2045.

Hubble e JWST, generazioni a confronto

La prima volta che si sentì parlare del James Webb Space Telescope (JWST) era il 1989 e il telescopio spaziale Hubble doveva ancora entrare in funzione, sarebbe stato lanciato infatti appena l’anno dopo e ben presto si iniziò a definirlo come “il successore di Hubble”.

Che l’Hubble sarebbe rimasto in funzione così a lungo, e così a lungo avrebbe contribuito ad alcune fra le più importanti scoperte astronomiche degli ultimi trent’anni, nessuno poteva pensarlo, così come nessuno avrebbe potuto immaginare che ci sarebbe voluto così tanto tempo per realizzare il JWST. Trentatré anni from concept to reality, per la precisione. Ma possiamo davvero continuare a pensare che l’osservatorio spaziale dallo specchio dorato sia semplicemente il successore del telescopio spaziale che ha fatto la storia?

L’intervista completa ad Antonella Nota, astronoma del STSCI a Baltimora e project scientist di Hubble e JWST per l’ESA, è disponibile sul n. 255 di Coelum.

Il confronto tra l’HUBBLE e il WEBB deep field

Hubble eXtreme Deep Field (XDF). Credit:
NASA, ESA, G. Illingworth, D. Magee, and P. Oesch (University of California, Santa Cruz), R. Bouwens (Leiden University), and the HUDF09 Team
Billions and billions! A simulation of JWST’s field of view shows galaxies with unprecedented clarity.