Vi sono molte vaste costellazioni nel cielo di cui solo due lunghissime: ma mentre Eridanus appare nel cielo autunnale, ecco che la costellazione la cui testa e cuore si rendono ora evidenti è solo una.
La più grande di tutte le 88 costellazioni della volta celeste: Hydra.
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Di seguito la parte finale dell’articolo a cura di Stefano Schirinzi pubblicato sul n. 255 di Coelum
Campi di Galassie
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Nella parte Occidentale di Hydra, a circa 2° a sud-est è, presente la bella NGC2642: una spirale larga circa 1’ il cui aspetto ricorda molto quello della nota M83 “girandola”, anch’essa situata in Hydra ma nella parte orientale della costellazione.
NGC2642 è lontana circa 204 milioni di anni luce dalla Via Lattea; a subito a sud di essa è presente un triangolo di stelle di ottava e nona grandezza con le quali la galassia disegna la parte superiore di quello che potrebbe assomigliare ad un “aquilone cosmico”.
Circa 4° ad est di questo gruppo ve ne è un altro, forse il più cospicuo ed interessante della zona, centrato attorno alla stella di settima grandezza HD76334: si tratta del gruppo compatto LGG164, presente nel cosiddetto Lyon-Meudon Extragalactic Database.
Creato nel 1983 dall’osservatorio di Lione e contenente informazioni su oltre 60 parametri di circa 100.000 galassie; la distanza media dalla Via Lattea di tale gruppo si aggira attorno agli 83 milioni di anni luce.
Le componenti più luminose vennero per la prima volta scoperte da William Herschel il 6 gennaio 1785, quindi da Heinrich d’Arrest nel 1862 e, infine, da John Herschel l’11 marzo 1886; sono in tutto una decina le galassie che si possono individuare in un raggio di 15’ dalla stella precedentemente citata anche se solo 6 sono quelle la cui luminosità permette di essere facilmente riprese tramite un’opportuna camera applicata ad un telescopio da almeno 250-300 mm di diametro.
Senz’altro, la più interessante tra queste è NGC2708, è una spirale vista di ¾ che presenta estese regioni di formazione stellare. Data la distanza e le dimensioni apparenti, con l’asse maggiore arriva a poco meno 3’, si stima abbia un diametro di circa 70.000 anni-luce, inferiore a quello della nostra galassia. Immagini a lunga posa permettono di acquisire le braccia ampiamente distorte della galassia, specie nel settore meridionale della stessa, che evidentemente sono state rese tali a seguito di qualche passaggio ravvicinato ad altre galassie vicine, probabilmente con la piccola PGC1075058 che giace 8’, dalla classica forma irregolare quasi sempre dovuta a fenomeni di interazione galattici.
La maggior parte delle altre galassie appartenenti a questo gruppo sono anch’esse spirali, con l’unica eccezione di NGC2699 che è, invece, un’ellittica; proprio questa è stata oggetto di studio condotto, nel 2017, col telescopio spaziale Hubble, secondo il quale tale galassia conterrebbe un buco nero supermassiccio dalla massa enorme, compresa tra un minimo di 147 milioni e 615 milioni di masse solari. Le altre galassie del gruppo sono NGC2697, NGC 2698 e NGC2709.
Esattamente 6° a nord di questo gruppo compatto, segnaliamo due altre interessanti galassie sulle quali merita spendere qualche parola: NGC2713 e NGC2716.
Lontana circa 176 milioni di anni luce dalla nostra galassia, la coppia venne scoperta da Albert Marth nel 1864 utilizzando il telescopio da 1,22 m di diametro di William Lassell, a Malta.
NGC2713 è una spirale barrata di dodicesima grandezza, alquanto inclinata rispetto alla nostra linea visuale; è anche classificata come una radiogalassia, attività tipica di una AGN e quasi sicuramente sviluppata a seguito delle interazioni con la compagna NGC2716. Quest’ultima, a lungo ritenuta un’ellittica o lenticolare, a seguito di recenti osservazioni sembra essere una spirale barrata.
Una terza galassia, IC2426, che è di quindicesima grandezza, è associata alla coppia; le tre costituiscono il gruppo compatto noto come UGZ83. Per riuscire ad intravvedere questa componente è necessario un telescopio da almeno 300 mm di diametro utilizzato ad elevati ingrandimenti per aumentarne il contrasto sullo sfondo oscuro del cielo.
I fortunati possessori di telescopi di diametro ancora maggiore potranno tentare l’osservazione delle componenti, con magnitudini attorno alla diciassettesima grandezza, del vicino ammasso galattico AGC732, situato appena a nord di NGC 2716.
ZETA HYDRAE
Concludiamo questo excursus nella sezione occidentale di Hydra approdando a ζ Hydrae la quale segna l’inizio del collo di Hydra. Al contrario della sesta lettera dell’alfabeto greco attribuitale dal Bayer, questa è in realtà la terza stella più luminosa di Hydra, splendendo di magnitudine 3,11.
Stando al già citato termine derivato da Ulug Beg, alla stella venne attribuito il nome Minazal V; in letteratura, ζ Hydrae è però anche nota col nome Hydrobius il quale, come il precedente, non figura nella lista di nomi propri di stelle deliberata dalla IAU. Non è dato sapere chi attribuì per primo a tale stella questo secondo nome, di chiara origine latina; certa è però la sua stretta connessione con la figura immaginaria del dal momento in cui dovrebbe significare “creatura acquatica”.
Lontana 150 anni-luce dal Sistema Solare, ζ Hydrae è una luminosa stella gigante di tipo G8III (4.900 K) dalla massa superiore a 4 volte quella solare, che irradia 138 volte il Sole. Il raggio derivato da questi parametri, risulta essere ben 18 volte maggiore di quello della nostra stella il che fornisce un potere radiativo superiore di oltre 130 volte la luminosità del Sole; il valore del raggio della stella è stato avvalorato dalla misura diretta del diametro angolare, messo in relazione alla sua distanza.
Con un’età stimata in 400 milioni di anni, la stella (che iniziò la vita come una calda stella nana di tipo B) sta per avviarsi in quella fase evolutiva in cui la mancanza di equilibrio tra gravità e pressione di radiazione porta stelle così poco dense a sviluppare meccanismi di pulsazioni che portano la struttura a contrarsi e ad espandersi in cicli successivi, divenendo così una variabile del tipo Mira.
La pressione di radiazione, ad ogni modo, metterà a nudo il suo nucleo – divenuto nel frattempo una nana bianca formata da gas degenere – producendo una nebulosa planetaria.