Per alcuni studiosi moderni Leonardo si appassionò all’astronomia in età giovanile, quando l’artista si avvicinò a scienziati come Paolo del Pozzo Toscanelli (1397-1482) e Lorenzo Bonincontri (1409-1492 ca).
Toscanelli è famoso sia come astronomo sia per i suoi fondamentali contributi cartografici. Osservò sei comete apparse tra il 1433 ed il 1472, annotando le loro posizioni con tanta precisione da consentire agli astronomi successivi di calcolarne le orbite.
Il nome di Toscanelli appare in un appunto giovanile del 1482 insieme a numerosi altri; un elenco di studiosi che si occuparono di astronomia, astrologia e di tecnologie astronomiche (foglio 12, verso a, del Codice Atlantico). L’appunto sembra appoggiare l’ipotesi di relazioni che il giovane artista andava allacciando con uomini di scienza particolarmente famosi.
Anche il Bonincontri era molto noto a quei tempi: intorno al 1475 erano celebri le sue lezioni allo studio fiorentino che avevano per oggetto il poema mitico di Manilio, l’Astronomicon e alle quali pare abbia assistito lo stesso Leonardo.
Lorenzo della Golpaja (1446-1512) fu un altro personaggio di spicco con il quale l’artista intrattenne amichevoli rapporti personali e professionali e dal quale acquisì conoscenze preziose nell’ambito della meccanica di precisione.
Della Golpaja era infatti un orologiaio provetto, straordinariamente esperto nella riproduzione meccanica dei moti dei pianeti. Il suo nome è legato ad un celebre planetario che realizzò in ben vent’anni di lavoro, un capolavoro che fu molto ammirato da uno dei massimi scultori del tempo, Benvenuto Cellini: “mirabile uomo, […]mostrò tanto bene i segreti dei cieli che pareva che egli fusse lungamente vissuto nei cieli”.
E’ certo poi che Leonardo lesse con attenzione il trattato latino di astronomia del forlivese Guido Bonatti, uno dei migliori testi del tempo, edito per la prima volta nel 1491 e tradotto in italiano da Francesco Sirigatti negli anni successivi.
Sirigatti è citato nel Codice Arundel (foglio 190v) con questa annotazione: “mostra al Sirigatto il libro e fatti dare la regola dell’orologio anello”.
Cioè, a Sirigatti Leonardo doveva chiedere i principi di costruzione di un piccolo orologio solare portatile.
Tra i suoi amici ricordiamo il grande matematico Luca Pacioli (1445-1517), che sembra avesse insegnato a Bologna al tempo della permanenza di Copernico in quella università. E’ anche stata avanzata l’ipotesi che una sorta di legame, oggi invisibile e purtroppo senza prove documentali dirette, possa aver unito Copernico a Pacioli e quest’ultimo a Leonardo, e che ciò abbia avuto un ruolo non trascurabile nella formulazione delle idee proto-eliocentriche del sommo vinciano.
Non dimentichiamo poi che l’artista, durante il suo soggiorno milanese, illustrò il trattato di geometria di Pacioli (certamente uno dei più noti del Rinascimento), il De divina proporzione (1509), con ben 60 splendide tavole.
Un altro personaggio spesso citato nei Codici è il giureconsulto Fazio Cardano (1444-1524), padre di Girolamo, un uomo, come si diceva allora, di vasta dottrina, con il quale Leonardo ebbe un buon rapporto personale e dal quale pare abbia appreso nozioni di prospettiva e geometria. Nel Codice Atlantico (foglio 225r b) troviamo questa nota: “fatti mostrare da Messer Fazio de proporzione [di Pacioli] […] le proporzioni d’Alchino colle considerazioni di Marliano da Messer Fazio”.
“EL SOL NO SI MOVE”: DIMENSIONE E CENTRALITÀ DEL SOLE, TEORIA ELIOCENTRICA IN LEONARDO
Gli scritti di Leonardo riguardanti l’astronomia rivestono un profondo significato culturale perché si innestano a pieno titolo nella scienza e nella filosofia rinascimentale.
Al Sole dedica un ampio studio, certamente attratto sia dalle implicazioni cosmologiche concernenti il suo moto apparente sia dalla misteriosa origine del suo calore.
In primo luogo, Leonardo pensa che il Sole sia sicuramente molto più grande della Terra e giunge a questa conclusione dopo che, sulla parete di in una camera oscura, aveva proiettato il suo luminosissimo disco. Nel manoscritto A, foglio 20v, riporta le seguenti istruzioni per eseguire le misure (precedute dall’intestazione: “Modo di sapere quanto è grande il Sole” si veda la figura qui sotto): “fa che ab sia braccia 100, e fa il buso, donde passano i razi solari, sia 1/16 di braccia e nota quanto il razo è cresciuto nella percussione”.
Sono notevoli anche i suoi metodi di osservazione diretta dell’astro: “Il modo di vedere il Sole eclissato sanza passione dell’occhio” si può fare guardando attraverso un foglio di carta spessa forata con un ago, “tolli una charta, e falle busi chon [una] agucchia, e per essi busi riguarda il Sole” (Codice Trivulziano, foglio 6v).
Affascinato dal problema del calore solare, Leonardo formula le seguenti considerazioni: il Sole ci riscalda pur non essendo del colore del fuoco, bensì tanto più bianco e “chiaro”. Osserva poi che durante la fusione del bronzo, quando il metallo raggiunge la massima temperatura, esso appare più simile al colore del Sole e quando invece comincia a raffreddarsi assume il colore del fuoco. Leonardo intuisce lucidamente che la luce è tanto più bianca quanto è più caldo il corpo che la emette, anticipando così gli studi (successivi di diversi secoli) che porteranno alla formulazione delle leggi che regolano l’emissione dell’energia raggiante nel “corpo nero”.
Con queste premesse è facile comprendere perché nelle pagine dei Codici emerge con insistenza la “lauda al Sole” (“il moto delli elementi nasce dal Sole; il lume e il caldo dell’universo è generato dal Sole; […] i pianeti pure hanno lume dal Sole”) e la centralità cosmologica dell’astro del giorno, in modo del tutto analogo alle concezioni neoplatoniche propugnate dalla filosofia neo-pagana del suo contemporaneo Marsilio Ficino (1433-1499), autore del fondamentale trattato De Sole.
Non fa eccezione neppure il Libro di pittura (ca. 1500-1505), nel quale Leonardo inneggia al Sole, “luce di tutto il mondo”, lo stesso Sole che “à corpo, figura, moto splendore, calore e virtù generativa, le quali cose parte tutte da se, sanza sua diminuzione” (Codice Atlantico, foglio 270v b).
Ma è nel manoscritto W.L. (foglio 132r) che si legge la famosa frase, che rompe drasticamente con la tradizione tolemaica: “El sol no si move”, facendo pensare che, alcuni decenni prima del De Revolutionibus di Copernico, egli abbia elaborato una primitiva idea eliocentrica che si discosta alquanto dalle sue prime riflessioni, risalenti al periodo 1482-1500, contenute nei Codici Atlantico, Arundel, Leicester ed F, che apparivano ancora di chiarissima matrice aristotelico-tolemaica (Codice Atlantico, f. 30v: “il Sole che scalda tanto mondo quant’è vede, e che in 24 ore fa si gran corso”).
La sua felice intuizione, che rinnega la centralità della Terra, è rafforzata dal seguente brano: “Come la Terra non è nel mezzo del cerchio del Sole, né nel mezzo del mondo, ma è ben nel mezzo de’ suoi elementi, compagni e uniti con lei, e chi stesse nella Luna, quand’ella insieme col Sole è sotto a noi, questa nostra Terra coll’elemento dell’acqua parrebbe e farebbe ofizio tal qual fa la Luna a noi” (Codice F, foglio 41v).
molto interessante!!!!!!