A meno di sorprese dell’ultimo momento, sono ormai 410 anni che una supernova non appare nella porzione della Galassia a noi visibile.
Con i moderni sensori applicati ai grandi telescopi, di stelle che muoiono esplodendo ne vengono scoperte tante, ormai quasi quotidianamente, ma sempre in deboli e lontane galassie. È pur vero che dalle statistiche eseguite su tali ricerche, almeno nelle galassie a spirale come la nostra, un evento di questo tipo dovrebbe manifestarsi una volta ogni trentacinque anni circa: stando così le cose quindi, dall’ultima supernova osservata nel 1604, almeno una decina di eventi di questo tipo sarebbero dovuti apparire alle “porte di casa”.
Sfortunatamente, tutte le supernovae galattiche di cui si hanno documentazioni storiche si resero visibili prima dell’invenzione del telescopio. Prima, infatti, poco o nulla si sapeva di queste stelle nuove – come allora venivano chiamate – che di tanto in tanto comparivano nei cieli; certo, era nota la storia raccontata da Plinio il Vecchio relativa a quella avvistata da Ipparco diversi secoli prima, ma poiché questa non venne neanche considerata dal grande astronomo Tolomeo, venne quindi ritenuta alla stregua di un racconto.
In quel periodo, tra l’altro, era allora fortemente in voga la concezione aristotelica dell’immutabilità dei cieli e le nuove stelle che di tanto in tanto apparivano nella volta celeste, così come le comete, venivano descritti come fenomeni connessi all’atmosfera terrestre. Non solo: eventi del tutto naturali come i cieli coperti per lungo periodo da nuvole, o altri di diversa natura come guerre e carestie, o la voluta interpretazione di tali apparizioni, da parte dalle autorità religiose del tempo, come un cattivi presagi furono probabile causa del loro depennamento dai resoconti storici ufficiali. Fu solo in estremo oriente, ovvero in Cina, Corea e Giappone, che la comparsa di queste nuove stelle indusse gli astrologi delle corti di quei Paesi a registrarne l’apparizione nei loro annali, documenti che però restarono sempre del tutto sconosciuti in occidente.
Ad ogni modo, dopo l’ultima supernova osservata in oriente, quella del 1181, passarono ben quattro secoli perché un evento di questo tipo tornasse ad essere visto in Europa. Fortunatamente, in quel lasso di tempo, la situazione culturale nel vecchio continente era in corso di cambiamento: gli astronomi orientali restavano ancora abili osservatori come in passato ma la rinascita intellettuale esplosa in occidente portò la scienza europea a farla da padrone, soprattutto dopo che Copernico dette quel tremendo scossone alla visione antropocentrica dell’Universo con la pubblicazione del suo innovativo libro. Fortunatamente, la luce della supernova raggiunse il nostro pianeta allorché un certo Tycho Brahe si applicò ad osservarla con scrupolo diventando, proprio con gli studi su di essa condotti, il più grande astronomo dall’epoca di Tolomeo.
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11 NOVEMBRE 1572: STELLA NOVA IN CASSIOPEIA
Tycho nacque nel 1546, in quella parte di Svezia che all’epoca era parte del regno di Danimarca, esattamente tre anni dopo la pubblicazione del “De revolutionibus orbium celestium”. Appartenendo a una famiglia aristocratica, venne dai genitori indotto allo studio del diritto, pur riservando da subito un grande interesse per le scienze, passione indotta soprattutto dallo zio chimico o, usando la terminologia in voga all’epoca, alchimista. A soli 14 anni, ebbe l’occasione di osservare un’eclissi solare, evento che fece nascere in sé l’interesse per l’Astronomia, che si concretizzo appieno allorché, ventiseienne, assistette con grande stupore alla ricomparsa di una supernova.
La sera dell’11 novembre 1572, infatti, uscendo dal laboratorio chimico dello zio, Tycho notò una luminosissima stella che non aveva mai visto prima, non lontana dalla luminosa Gamma Cassiopeiae, la stella centrale della famosa costellazione caratteristica per la forma a W. In pieno autunno e alle latitudini danesi, Cassiopea appariva altissima sull’orizzonte, e quell’intruso, che appariva luminoso quanto Venere, non poteva passare inosservato all’astronomo danese che conosceva molto bene la volta celeste! Incuriosito di sapere da quanto quella nuova stella fosse li, ma anche demoralizzato dal fatto di non aver potuto osservare il cielo nelle nottate precedenti a causa di altri impegni, Tycho interpellò da subito passanti e conoscenti chiedendo loro se la nuova stella da lui notata fosse stata vista da qualcuno anche nelle serate precedenti, ma grande fu la sua delusione nel non ricevere alcuna risposta. Certamente tutti la vedevano in quel preciso momento, ma nessuno sapeva dire da quanto tempo era lì.
In realtà, ben lontano da lui, il tedesco W. Schurler e l’italiano F. Maurolico, due astronomi, l’avevano già notata qualche giorno prima, precisamente il 6 novembre: la nuova stella di Cassiopea, quindi, splendeva già nel cielo almeno cinque giorni prima che fosse avvistata da Tycho ma, purtroppo per lui, egli non seppe mai di queste due osservazioni. In ogni caso, da attento osservatore qual’era, decise di fare una cosa che nessun’altro astronomo aveva mai fatto prima: seguire costantemente la nuova stella notte dopo notte, con l’ausilio di un ottima strumentazione astronomica di suo possesso.
Come detto, il telescopio non era stato ancora inventato, tuttavia Tycho aveva costruito un ottimo sestante che impiegò da subito per delineare con precisione la posizione della nuova stella. Di questa, infatti, riuscì a misurarne la distanza angolare dalle altre stelle di Cassiopea, tenendo conto tra l’altro della rifrazione della luce da parte dell’atmosfera: uno scrupoloso lavoro di astrometria quindi, il primo nella storia, riportandone con scrupolo la variazione di luminosità in un accurato diario.
Al contrario di quanto si possa pensare, Tycho era un fervido sostenitore della teoria aristotelica, e credeva che le stelle fossero buchi presenti sulla più esterna di “sfere” orbitanti attorno alla Terra; a questa teoria, qualche anno dopo, apportò anche una sostanziale modifica, ponendo i cinque pianeti in orbita attorno al Sole, pur mantenendolo ancora in orbita attorno alla Terra in quello che è chiamato sistema tychonico. Ad ogni modo, proprio le sue osservazioni sulla stella apparsa in Cassiopea furono il punto di partenza per l’Astronomia moderna, forse ancor più della stessa teoria copernicana!
Essendo Cassiopea una costellazione circumpolare, la nuova stella rimaneva sempre visibile durante tutta la notte, ruotando attorno al Polo Nord celeste non lontana dalla stella Polare: particolarità che consentì a Tycho, talmente luminosa che era, di individuarla anche in pieno giorno alla luce del Sole! Così si presentò, almeno, nelle settimane seguenti la scoperta; dopodiché, la nuova stella iniziò a calare vistosamente di luminosità, divenendo, notte dopo notte, sempre meno appariscente. Nel dicembre 1572, infatti, la sua luminosità era pari a quella di Giove per rendersi, nel febbraio seguente, addirittura appena visibile ad occhio nudo, scomparendo per sempre alla vista il mese successivo: Tycho poté quindi seguirla per un totale per 485 giorni, roba da far invidia ai più accaniti tra gli osservatori moderni di stelle variabili!
Si poneva quindi il problema della natura di quella nuova stella, che tanto stupore aveva destato tra gli astronomi europei dell’epoca e a Tycho in particolare. Era forse un fenomeno atmosferico secondo aristotelica concezione? Oltre ogni buon senso, anche lo stesso astronomo danese credeva poco alla favola che un fenomeno atmosferico potesse verificarsi per così lungo tempo restando fisso sempre nella stessa posizione!
Ciò che infatti risultava dalle sue accurate osservazioni era che la luminosa stella non aveva mostrato il benché minimo spostamento rispetto alle altre stelle di fondo; osservandone infatti la posizione da luoghi diversi, Tycho tentò di misurarne un eventuale spostamento rispetto alle stelle di Cassiopea, da lui inizialmente ritenute ben più distanti. Così facendo, Tycho voleva misurarne l’angolo di parallasse per determinarne la distanza: metodo che, come ben noto, è utile per determinare la distanza delle stelle, almeno quelle entro 300 anni-luce di distanza. Proprio grazie all’angolo di parallasse mostrato da nostro satellite naturale, fin dai tempi di Ipparco si sapeva che la distanza della Luna equivaleva a circa 30 volte il diametro della Terra, valore non lontano dalla realtà; quindi, qualsiasi corpo celeste che avesse mostrato una parallasse inferiore a quella della Luna doveva per forza di cose essere molto più distante di essa: in altre parole, stando al modello aristotelico, doveva far parte della “sfera celeste”.
Eppure, nonostante tutti i suoi sforzi e i ripetuti tentativi condotti nelle sue osservazioni, Tycho non fu mai in grado di misurare alcun minimo spostamento della nuova stella di Cassiopea. La parallasse praticamente nulla portò quindi Tycho a ritenerla non un fenomeno atmosferico terrestre, non un oggetto vicino quanto la Luna o i pianeti, ma una stella: esattamente come tutte le altre presenti sulla sfera celeste più lontana!
Questo fatto era così importante che l’astronomo, dopo notevoli esitazioni, decise di scrivere un libro sull’argomento. Tycho era pur sempre un aristocratico, gente che a quell’epoca certamente non si abbassava spiegare le cose al popolino, tuttavia la rilevanza della sua scoperta era tale che si decise a farlo, pubblicando nel 1573 un libro che aveva un titolo piuttosto lungo ma che viene generalmente ricordato nella sua forma abbreviata: il “De nova stella” (sulla nuova stella). In esso, egli descrisse il declino luminoso della nuova stella riportando anche le misurazioni della sua posizione, tracciando quest’ultima in un disegno assieme stelle di Cassiopea che facevano da riferimento; ma soprattutto, Tycho spiegò esaurientemente nel libro come la sua parallasse, che risultava al di fuori di ogni possibile misura, denotava la sua appartenenza alla lontana – e fino a quel momento considerata immutevole – sfera celeste. Con un piccolo particolare, però, rispetto fino a quanto allora creduto: il cielo aveva chiaramente subito un cambiamento, con la conseguenza che ogni concetto di stabilità e di perfezione doveva essere abbandonato, per sempre!
A dare ulteriore prova a tali affermazioni ci pensò una luminosa cometa che solcò i cieli qualche anno più tardi, nel 1577; anche di questa, Tycho cercò di misurare da subito la parallasse rispetto alle stelle di fondo ma, esattamente per quanto accaduto qualche anno prima per la nuova stella apparsa in Cassiopea, anche la nuova cometa non mostrò alcuno spostamento osservata da luoghi differenti. Come detto, le comete erano ritenuti qualcosa di simile a vapori incendiati nell’atmosfera, ben più vicini, quindi, della sfera lunare; ma Tycho demolì questa teoria, dimostrando che l’assenza di parallasse esibita dalla cometa era indice che la sua distanza era ben maggiore di quella della Luna, provando, tra l’altro, che l’orbita stessa della cometa era ellittica, figura ben diversa dalla perfezione circolare aristotelica!
La maggior parte degli astronomi del tempo erano in realtà ferventi credenti dell’astrologia; non di meno lo stesso Tycho, che nella sua opera descrisse si la nuova stella ma sotto un punto di vista prettamente astrologico, pieno di significati campati in aria e non per la sua reale natura sulla quale, purtroppo, nulla poteva ancora sapere.
Ad ogni modo, il termine nova da lui inventato divenne di uso comune per designare anche tutte le successive stelle nuove che da lì in poi sarebbero apparse nei cieli: da quel giorno, infatti, ogni nuova stella apparsa in cielo sarebbe infatti stata chiamata “nova”. Per lo meno, fino fino agli anni ’30 del secolo scorso, quando a seguito dell’apparizione della nuova stella dalla eccezionale luminosità assoluta apparsa nella galassia di Andromeda nel 1885, e di altre di uguale portata in seguito scoperte in altre galassie vicine, gli astronomi W. Baade e F. Zwicky coniarono il termine supernove.
LA REALE NATURA DELLE SUPERNOVAE
Oggi è ben noto come le supernovae, tra gli eventi più energetici in assoluto di quelli rilevati nel cosmo, siano in realtà vere e proprie esplosioni stellari, vagiti mortali descritti da modelli astrofisici sempre più accurati e costruiti con l’ausilio di migliaia di osservazioni.
E’ ben noto come una stella nana e relativamente poco massiccia come il Sole muoia in modo più o meno “tranquillo”. Infatti, dopo essersi espansa diventando una gigante rossa, essa spazza via l’intero involucro gassoso esterno al suo nucleo, formando un enorme guscio di gas che si espande lentamente nello spazio esterno alla stella. Il denso nucleo, tramutato in una nana bianca dalla temperatura superficiale di circa 10000 K, emette soprattutto nell’ultravioletto: l’involucro gassoso in espansione viene quindi riscaldato ed eccitato da questa intensa radiazione, che lo porta ad emettere sia luce visibile che onde radio, a differenza della polvere che, al contrario, emette solo nell’infrarosso. Stando alla teoria e alla quantità di combustibile presente nel suo nucleo, il Sole subirà questo processo tra circa 5 miliardi di anni.
Le cose cambiano drasticamente per stelle dalla massa almeno 8 volte quella del Sole, alla cui vita, ricca di eventi, segue una morte ancor più spettacolare. Raggiunta in questo caso la fase di supergigante rossa, il loro nucleo diventa sufficientemente caldo da trasformare l’elio in una varietà di elementi via via sempre più pesanti. All’interno del nucleo, infatti, gli atomi di elio si combinano tra loro formando dapprima atomi di carbonio e ossigeno che, a loro volta, si fondono in elementi più pesanti come il silicio: la temperatura e la pressione nel nucleo di silicio sono sufficienti a convertire nuovamente tali atomi in ferro. La struttura della stella diviene simile a quella di una cipolla, con gusci concentrici di differente composizione a partire da quello più esterno, costituito principalmente da idrogeno, passando attraverso gli strati intermedi di elio, carbonio, ossigeno e silicio, per finire al nucleo di ferro. Come noto, le reazioni di fusione nucleare che hanno luogo nei nuclei stellari forniscono l’energia necessaria per sostenere il nucleo contro la forza di pressione dovuta al peso degli strati superiori.
A questo punto c’è un però; mentre tutte le reazioni di fusione che portano alla formazione del ferro producono energia, il ferro è talmente pesante da fondere in altri elementi più pesanti che, affinché ciò avvenga, è richiesta energia dall’esterno perché non si tratterebbe di un tipo di reazione che avviene spontaneamente. Detto questo, in brevissimo tempo la temperatura del nucleo passa da 10 miliardi di gradi a 100 milioni di gradi circa, con una conseguenza letteralmente catastrofica: mancando la pressione di radiazione che tiene su l’intera stella, essa cade in balia della gravità. Tutta la parte di stella esterna all’inerme nucleo ferroso collassa velocemente su di esso, in non più di una decina di secondi: per la stella, non vi è più la possibilità di espandersi gradualmente dissipando calore, come era già avvenuto in passato. L’impatto è talmente devastante che la temperatura, nel giro di una frazione di secondo, sale a miliardi di gradi sprigionando un’energia inimmaginabile, talmente immensa da far diventare la stella una vera bomba cosmica che scaglia gli strati esterni al nucleo fuori nello spazio alla tremenda velocità di circa 7000 km/s. L’esplosione si tramuta in un lampo accecante, che rilascia nel giro di pochi secondi la stessa quantità di energia prodotta dalla stella appena esplosa nell’intera sua vita, divenendo luminosa come mezzo miliardo di Soli e rendendosi visibile fino a diversi miliardi di anni-luce. Nasce così una supernova di tipo II.
Ma esiste anche un’altra modalità affinché una stella esploda come supernova; anzi, le supernovae di tipo I, così come queste vengono chiamate per distinguerle dalle altre, sono ancor più violente, divenendo non solo più luminose ma proiettando nello spazio i gas della stella – in questo caso interamente disintegrata! – all’ancora più incredibile velocità di circa 11.000 km/s!
E il bello di tutto questo è che in questo caso ad esplodere non è una stella colossale bensì una minuta nana bianca!
Tali eventi accadono allorché tali residui di stelle nane come il Sole si trovano in sistemi binari laddove è presente una stella compagna evoluta ed espansa dalla quale, essendo quasi a contatto, ne risucchiano la propria atmosfera gassosa grazie alla loro incredibile forza gravitazionale. Accade quindi che, allorché il materiale ricevuto dalla nana bianca ne aumenta la massa superando il valore limite di 1,44 masse solari (il ben noto limite di Chandrasekhar), la pressione di degenerazione che tiene ancora in vita queste stelle non è più sufficiente a contrastare l’enorme peso nel frattempo acquisito. Da quel preciso momento, essa inizia a collassare incontrollatamente, crollando su se stessa così rapidamente che i suoi nuclei di carbonio ossigeno entrano in violenta collisione tra loro; tale processo genera una violentissima fusione nucleare, generando in pochissimo tempo così tanta energia che il risultato è una vasta esplosione dell’intera stella: in poche settimane, la supernova irradia l’equivalente dell’energia prodotta dal Sole nella sua vita lunga diversi miliardi di anni! In breve, il collasso della nana bianca generano una supernova di tipo Ia. L’esplosione cui viene sottoposta la nana bianca è talmente immane che l’intera stella viene totalmente disintegrata: essa non lascia dietro di sé alcunché di consistente: nessuna nana bianca, o stella di neutroni, ma solo una turbolenta nube di gas e polveri in velocissima espansione nello spazio.
I RESTI DI SUPERNOVAE
Nulla si crea e nulla si distrugge, regola che si applica fedelmente anche a tali immani esplosioni cosmiche, laddove si parla dei resti di supernovae. Nel corso dell’esplosione di una supernova di tipo II, infatti, il nucleo resta si in vita ma tramutato in un oggetto ancora più esotico e spaventoso come una stella di neutroni o un buco nero. In ogni caso, il resto del materiale di cui la massiccia stella era una volta costituita resta comunque sotto forma di residuo nebulare in espansione e lo stesso accade per le nane bianche interamente distrutte nel corso di un evento supernova di tipo I. Tali nebulose potrebbero essere intese come nebulose planetarie “estreme” perché non sono fatti solo degli strati più esterni della stella coinvolta ma della totalità di essa. Tali resti di supernovae, una volta creati a seguito dell’esplosione, hanno la forma di gusci più o meno sferici che vanno dilatandosi nel cosmo a causa della forza impressa dell’esplosione; anch’essi però, come le nebulose planetarie, vanno incontro ad una diluizione nel materiale interstellare, che li porta quindi a diventare in realtà oggetti effimeri, della durata di poche migliaia di anni.
ESPLOSIONI COSMICHE NELLE CRONACHE STORICHE
L’elenco di supernove esplose nella nostra galassia e osservate in tempi storici purtroppo è assai breve. Negli ultimi due millenni sono solamente sei quelle esplose nella nostra galassia, tutte, come detto, apparse in epoca pre-telescopica; esattamente come le comete, anche le apparizioni di queste supernovae vennero intese dagli astrologi dell’epoca come segni premonitori di guerre e carestie.
Ce ne fu una nel 185 d.C. nella costellazione del centauro, registrata da astronomi cinesi; rimase visibile nel cielo notturno per otto mesi. La supernova del 1006 fu probabilmente la più vistosa in assoluto. Osservata dagli astronomi del sud Europa, del Nord Africa, del medio oriente, della Cina e del Giappone, viene descritta come rivaleggia in luminosità con la Luna al primo quarto, ovvero di magnitudine -9. Per un certo tempo fu infatti così brillante che di notte gli oggetti esposti alla sua luce gettano un’ombra. Immaginiamo che spettacolo: la super Nova, passa tra il Lupo e il Centauro, era così brillante rendersi visibile con il Sole ben alto sopra dell’orizzonte! La nube di detriti espansione creata da quella violenta esplosione si trova la costellazione del Lupo ed è stato osservato nei raggi X s’, in ottico, e nelle onde radio. Il resto nebulosa della super Nova del 1006 misura circa 60 a.l. di diametro ed è tutto ciò che rimane di una nana bianca distrutta seguito dell’esplosione termonucleare. Anche quella del 1054 fu molto brillante. Fu osservato da Medioriente, Cina e Giappone; alcuni pittogrammi incisi su rocce da tribù indiane del nuovo Messico sono stati interpretati come indicativi di ciò che potrebbe essere stato osservato di quell’evento anche dal Nord America. È però abbastanza sorprendente che non esistano registrazioni della sua comparsa da parte di astronomi europei.
C’è da dire che oltre all’ipotesi di cieli nuvolosi all’epoca, la stella apparve proprio nell’anno del grande scisma tra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’oriente. Questa coincidenza temporale potrebbe essere stata interpretata dalle autorità religiose del tempo come un cattivo presagio e forse perciò l’evento venne depennato dai resoconti storici ufficiali. In ogni caso la super Nova giunse al picco di luce nei primi giorni del luglio 1054 attorno alla magnitudine -6, divenendo quindi più brillante di rendere al massimo delle migliori condizioni di visibilità. Essa comparve vicino alla stella zeta che segna il corno destro del Toro. Si rese visibile in pieno giorno per oltre tre settimane di notte per oltre 21 mesi dopo la sua scoperta. La nube di detriti espansione risultante da questa super Nova costituisce quella che è e la famosa Nebulosa del Granchio al centro della quale presenta una stella di neutroni rapidamente rotante, una pulsar, che è il resto super denso del nucleo della massiccia stella esplosa. Una stranezza è data dai residui osservabili espulsi nei vari casi. Quelli della Nebulosa del Granchio ad esempio sono molto spettacolari ma altrettanto non si può certo dire per le super nove galattiche successive, soprattutto quelle del 1572 e del 1604, che hanno lasciato tracce appena percettibili.
Nella Via Lattea sono presenti diverse decine di tali resti di supernove; alcuni, come la Nebulosa del Granchio, sono ben evidenti sia nell’ottico che a tutte le lunghezze d’onda; alcuni di vecchia data, come quello delle Vele o il Velo del Cigno, si sono espansi a tal punto da assumere forme quasi irregolari; altri, sopratutto quelli più giovani, appaiono invece molto regolari, simili ad anelli: ed proprio questo il caso relativo alla supernova del 1572 avvistata e seguita da Tycho Brahe.
IL RESTO DELLA SUPERNOVA TYCHONICA
Nonostante l’astronomo danese avesse riportato nel suo libro precise indicazioni sulla posizione della stella da lui seguita – il sestante di grandi dimensioni da lui utilizzato riduceva di molto l’errore angolare – vani risultarono gli sforzi degli astronomi che, soprattutto a partire dal XIX secolo, cercarono con i telescopi le tracce dell’evento accaduto qualche secolo addietro; l’area nella quale risultava essere esplosa la supernova, scandagliata scrupolosamente nel visuale e in fotografia, non mostrava la benché minima traccia di essa. Fu solo con lo sviluppo della radioastronomia che, nel 1952 all’osservatori di Jordell Bank (UK) venne rilevata per la prima volta un’intensa emissione radio alla frequenza di 158.5 MHz proprio nella posizione indicata da Tycho. Questa venne inclusa nel secondo catalogo di sorgenti radio compilato a Cambridge con la sigla 2C34 e successivamente, nel 1959, nella terza edizione dello stesso come 3C10, sigla con la quale è oggi più comunemente nota; un’altra denominazione è Cassiopea B, in riferimento a quella che è la più intensa sorgente radio del cielo per frequenze superiori a 1GHz, guarda caso un altro resto di una supernova esplosa nel XVII secolo, presente nella stessa costellazione e noto come Cassiopea A. Per la prima volta, il resto della supernova di Tycho si rendeva visibile, seppure nelle onde radio, prodotte da elettroni energetici che spiraleggiano nel campo magnetico intrappolati nell’apparato nebulare che denotava estremamente nitidi e contrastati: essi infatti segnano il fronte d’urto dove il materiale gassoso in espansione entra a contatto con il mezzo interstellare, aumentando di densità.
Passò ancora un altro decennio prima che nelle lastre fotografiche riprese a Monte Palomar comparissero le tracce debolissime tracce, discontinue ed appena percettibili, del residuo nebulare; la controparte visuale della sorgente radio era stata finalmente rilevata anche nel visuale. La prima immagine di un certo dettaglio ripresa nell’ottico fu catturata appena nel 1980, nuovamente al telescopio Hale di Monte Palomar, quello da cinque metri di diametro; le tecniche di ripresa dell’epoca non erano certamente innovative come quelle odierne, tanto che pur con due ore di posa gli anelli di gas apparirono ancora estremamente tenui. I resti di supernova giovani assumono solitamente forme circolari che col tempo si espandono, diventando sempre più vasti e deboli; tenendo conto che quello di Tycho ha solo 442 anni – in termini temporali astronomici, è senz’altro giovane – è senz’altro strano come esso appaia estremamente debole alle lunghezze d’onda ottiche.
Eppure, e questo può sembrare davvero incredibile, nonostante il tempo trascorso dall’esplosione la maggior parte dei suoi gas risultano ancora caldissimi per mettere luce visibile; infatti, con temperature dell’ordine dei 40 milioni di Kelvin, essi splendono intensamente nei raggi X, facendo di tale residuo una delle più potenti sorgenti X presenti nella volta celeste! A riprendere per la prima volta la struttura nebulare in questa banda spettrale fu negli anni ’70 del secolo scorso il satellite UHURU, che riuscì ad identificare una sorgente X nella stessa posizione del residuo della supernova ticonica. Non se ne conosce il motivo, ma essa venne presto denominata Cepheus X-1: alquanto stranamente, perché pur essendo di dimensioni contenute e trovandosi lontana dal confine con la costellazione rappresentante il re d’Etiopia e marito di Cassiopea; evidentemente, in fase di catalogazione, ci deve essere sicuramente stata qualche sorta di svista… In ogni caso, fu la High Resolution Image (una camera ad alta risoluzione) del satellite ROSAT, qualche anno più tardi, a riprendere finalmente una decente immagine X del resto nebulare, mostrandone per la prima volta l’intera struttura nella sua completezza e con dettagli mai visti prima: un anello di gas caldo dalla forma quasi circolare esteso per 8′, valore equivalente ad un quarto del diametro angolare della Luna piena, che appare più luminoso bordi in quanto li è presente uno strato maggiore di gas.
Successivamente, il telescopio spaziale Chandra riuscì ad ottenere immagini X dalla risoluzione ancor più straordinaria nelle quali erano presenti alcuni particolari mai osservati prima in altri oggetti simili: strisce radiali poste nella parte esterna dell’anello in espansione, quasi a contatto con suo bordo. Si ritiene che queste siano formate laddove le linee di forza del campo magnetico presente nel onda d’urto del residuo risultano più intricate rispetto alle aree circostanti; qui, elettroni dall’energia almeno 100 volte maggiore di quelle riproducibili al Large Hadron Collider gli elettroni si muoverebbero spiraleggiando proprio intorno tali linee di forza la cui reciproca distanza sarebbe in relazione proprio all’energia del loro moto ricurvo. Il tutto non è certamente di poco conto, visto che tali tracce spiegherebbero una delle modalità con cui si formano i raggi cosmici, quelle particelle ad alta energia che bombardano la Terra provenendo dallo spazio profondo.
Il resto di supernova di Tycho è molto oscuro e non emette a tutte le lunghezze d’onda; considerando la nebulosa del Granchio, probabilmente il più famoso e meglio studiato oggetto di questa categoria, la differenza è ancora più sostanziale poiché la nebulosa prodotta dalla supernova comparsa nel 1054 emette radiazione anche nella parte centrale! Laddove la pulsar del Granchio rifornisce di energia la luce di sincrotrone, ben visibile con il suo colore verde-azzurrino, al centro del resto di supernova di Tycho non c’è alcuna sorgente di radiazione: un’eventuale stella di neutroni sarebbe sufficientemente brillante da essere vista come un punto luminoso nelle immagini X, anche nel caso il suo fascio di radiazione mancasse completamente la Terra ma nessuno oggetto di questo tipo è li presente. Questo resto di supernova ha infatti come sua unica fonte di energia la velocità impressa agli elettroni e ad altre particelle al momento dell’esplosione della supernova stessa.
Ad ogni modo, conoscendo la magnitudine apparente raggiunta da questa supernova, -4 stando ai dati riferiti da Tycho, e spendo che la luminosità intrinseca massima di questi oggetti è ben nota – attorno alla -17 per quelle di tipo II e -19,2 per le Ia – allora è facile dedurre la distanza del resto nebulare. Tenendo conto che lungo quella visuale è presente una grande quantità di polvere interstellare che ne assorbe la luce, di certo non rende facile il calcolo; infatti, per quanto il gas e il pulviscolo presenti nella Via Lattea possano essere rarefatti, allorché la luce percorre distanze dell’ordine di migliaia di anni-luce, il loro effetto si fa sentire sulla luce degli oggetti che ne giacciono dietro. Proprio nel caso delle supernovae extragalattiche, tale effetto influisce a tal punto da renderle a volte più deboli di quanto apparirebbero in assenza di assorbimento interstellare, risultando quindi più lontane. In ogni caso, una volta stabilita l’entità dell’assorbimento per il resto della supernova tychonica (procedimento che qui non stiamo a spiegare) e fatta questa correzione per l’assorbimento interstellare, la distanza della nebulosa in questione risulta essere compresa tra gli 8500 e i 9000 anni-luce; quindi, poiché la nebulosa appare estesa per circa otto primi, nei quattro secoli trascorsi dell’esplosione questo anello gassoso si è realmente esteso fino a raggiungere un diametro di circa una trentina di anni-luce. Vien da se che, anche ammettendo una velocità di espansione costante, ciò implica che la materia è stata proiettata nello spazio circostante con velocità di diverse migliaia di chilometri al secondo nello spazio interstellare!
PROVE ED INCERTEZZE FUTURE
Cosa abbiamo imparato, quindi, da questa supernova che illuminò i cieli a cavallo tra il 1572 e il 1573 sulla quale, fortunatamente, Tycho concentrò il suo interesse? Di certo, il fatto che nella sua posizione non sia stata scoperta alcuna stella di neutroni ma solo nebulosità è indice che essa fu molto probabilmente una supernova di tipo Ia, sviluppata quindi da una nana bianca che è andata totalmente distrutta. Alla fine del 2004, su Nature venne pubblicata una notizia relativa alla scoperta di una stella di tipo spettrale G2, simile al nostro Sole per temperatura ma già evoluta in una subgigante gialla; da subito, questa venne ritenuta essere l’ex stella compagna della nana bianca, quella che la alimentò di gas e massa portandola alla fine in frantumi. Alcuni studi compiuti su questa stella, che venne nominata Tycho G, riportarono che, con ogni probabilità, parte della massa venne letteralmente strappata via dalla violentissima esplosione della compagna, quasi una sorta di lacerazione cosmica. Non solo: la velocità spaziale di questa stella, prossima ai 136 km/s, è talmente elevata rispetto alla media delle velocità di altre stelle presenti nel suo vicinato che tale dato è inteso come prova più evidente del fatto che essa sia stata a tutti gli effetti legata in passato ad una compagna: partendo letteralmente “per la tangente” nel momento in cui la nana bianca cessò di esistere, essa intraprese un viaggio solitario ad alta velocità nel cosmo, proiettandosi lontana dal centro geometrico del resto nebulare.
Certamente, Tycho e il suo allievo Keplero ebbero una grande fortuna: quella di assistere alla comparsa di due supernovae nell’arco di soli 32 anni! Eppure, dopo quella di Keplero, nulla di simile è più stato visto.
Di certo, le nubi di polveri galattiche possono anche filtrare in maniera preponderante la luce di una supernova che dovesse presentarsi nella Via Lattea; senza contare che dalla nostra posizione, interna al disco e nei pressi dell’equatore galattico, non ci è permesso di vedere tutta la Via Lattea nella sua estensione ma solo la parte a noi più vicina; area nella quale, stando sempre alle statistiche, una supernova dovrebbe apparire mediamente ogni 250 anni circa. Una di queste, tra l’altro, dovette manifestarsi attorno al 1670 ma, anche in questo caso, nessuno notò nulla.
D’altra parte, non è possibile prevedere quale stella, o quando, esploderà come supernova, pur sapendo che tale sarà il suo destino in futuro. Sarà forse qualche supergigante come Eta Carinae, Betelgeuse o VY Canis Majoris? O forse IK Pegasi, un sistema binario stretto in cui è presente una massiccia nana bianca, distante – badate – solo 150 anni-luce, classificata come la stella a noi più vicina destinata ad esplodere in una supernova come quella di Tycho? Non lo sappiamo.
Sull’argomento abbiamo pubblicato anche:
- De Stella Nova in Pede Serpentari di Rodolfo Calanca – Coelum 76 (2004)
- FERMATE QUELLA STELLA! di Claudio Elidoro – Coelum 78 (2004)
-
Esistono supernovae vicine pronte a esplodere? di Claudio Elidoro – Coelum 147 (2011)
-
Supernovae: la parola agli esperti interviste a cura di Claudio Elidoro – Coelum 147 (2011)
- La “Supernova di Keplero” sorprende ancora – Coelum 163 (2012)
Grazie Stefano-molto interessante!