Nel cielo boreale di gennaio è caratterizzato dalle costellazioni invernali che si stagliano sulla volta celeste già dalla prima parte della serata: da est nelle prime ore della notte fanno capolino Cancro e Leone, a sud-est il protagonista è ancora Orione insieme a Cane Maggiore e Minore e la stella più luminosa dell’inverno, Sirio; nel punto più alto della sfera celeste (Zenit) brilla Perseo accompagnato dall’Auriga e, poco più in basso, Gemelli, Toro e Pleiadi accendono le serate invernali.

Volgendo lo sguardo a Nord troviamo come sempre le costellazioni circumpolari, Orsa Maggiorn, Orsa Minore, Drago, Cefeo, Cassiopea, Giraffa e Lince.

LA COSTELLAZIONE DEL TORO DOMINA IL CIELO BOREALE

Tra le costellazioni osservabili nel cielo boreale invernale quella del Toro occupa un posto da protagonista.

Si tratta di una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli, facilmente riconoscibile per la sua forma a V e per la sua stella principale Aldebaran, una gigante arancione grande 40 volte il Sole e che con la sua magnitudine +0,98 è la quattordicesima stella più luminose del cielo notturno.

Alpha Tauri, l’occhio del Toro, è piacevole da osservare per il suo scintillio di colore arancio.

Le stelle Elnath e Alheka caratterizzano le corna dell’animale che si estendono verso est, mentre Beta Tauri (Elnath) è una stella stranamente condivisa, appartiene infatti anche alla costellazione dell’Auriga, di cui è uno dei vertici del pentagono celeste.

La costellazione del Toro si espande a est/sud-est dove un brillante ammasso aperto (a 150 anni luce da noi) conosciuto con il nome di Iadi, delinea la testa dell’animale.

M45: UN AMMASSO APERTO NEL CUORE DELL’INVERNO

Ma alla costellazione del Toro è inevitabilmente associato un altro oggetto, uno dei più interessanti e conosciuti, quello delle Pleiadi o, dal catalogo Messier, M45.

Si tratta di un ammasso stellare aperto distante 440 anni luce da noi, collocato nella spalla del Toro.

Senza l’ausilio di telescopi sono ben visibili, lontani da cieli urbani e troppo luminosi, già sette fra le stelle più luminose dell’ammasso, assumendo una forma che rimanda al piccolo carro. Aiutandosi invece con un binocolo o con un telescopio si scopre che l’ammasso è molto più esteso, sono centinaia le stelle, in prevalenza giganti blu e bianche che compongono l’ammasso.  Stelle che sono legate da un’origine comune e da reciproche forze gravitazionali.

Nelle fotografie a lunghe esposizioni o all’oculare di un telescopio di apertura considerevole, non è difficile notare dei piccoli aloni a circondare i singoli oggetti luminosi. Sono nubi di polvere, dette nebulose a riflessione, illuminate dalle stelle.

M45 prende parte alla sfilata degli oggetti più belli e suggestivi del cielo invernale, attirando sempre molta curiosità negli amanti del cielo, poiché l’ammasso è spesso protagonista di congiunzioni con la Luna o pianeti come Marte e Venere.

LE PLEIADI NELLA MITOLOGIA

Interessanti dal punto di vista astronomico, la Pleiadi sono anche circondate da numerosi riferimenti mitologici. Chiamate sovente le “sette sorelle”, sono rappresentate come ninfe della montagna, figlie di Atlante e l’oceanina Pleione: Alcione, Asterope, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Taigeta.

Il nome dell’ammasso Pleiadi, sembra avere diverse etimologie. La più nota associa il termine al verbo navigare “plain”, giacché l’apparizione dell’ammasso nel cielo rappresentava, per i marinai dell’antichità, un preciso e favorevole punto di riferimento.

Un’altra interpretazione lega il nome Pleiadi al sostantivo colombe in cui le sette sorelle si trasformarono per sfuggire all’inseguimento del cacciatore Orione. Ma qui la storia si complica! Un altro mito infatti attribuisce la trasformazione in colombe delle Pleiadi non tanto al tentativo di sottrarsi dalle attenzioni del valoroso cacciatore, ma più alla disperazione delle sorelle dovuta alla punizione inflitta da Zeus al loro padre, Atlante, condannato a portare sulle sue spalle il peso del mondo. 

Più attuale e dei nostri giorni invece il verso di Pascoli che decantava: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle” nel Gelsomino Notturno. Anche il poeta quindi volle dare la sua personale interpretazione a quel gruppetto di luminosi astri, paragonandolo a una chioccia che si trascina dietro una covata di pulcini intenti a pigolare. Immagine curiosa ma d’effetto, in una bella notte stellata infatti può sembrare di udir riecheggiarne il suono.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO: LA NEBULOSA GRANCHIO

In direzione della stella Tauri del Toro, ovvero Alheka, si trova uno degli oggetti più importanti in campo astronomico e nell’astronomia a raggi x: è persino il primo oggetto del Catalogo Messier, M1, meglio nota con il nome Nebulosa del Granchio (approfondimento nel n. 254 con uscita a gennaio).

L’oggetto, dalla forma ad anello, si trova a circa 6500 anni luce dal Sistema Solare ed è ciò che resta dell’esplosione di una Supernova. Materiali ferrosi e gas espulsi dalla stella, Supernova 1054, durante la fase finale della sua vita, un’esplosione in grado di proiettare tutti i propri frammenti a lontanissimo, ancora oggi a velocità che sfiorano i circa 1500 km/s. Oggi il centro della nebulosa ospita ciò che resta della stella esplora, una potente stella di neutroni che ruotando su sé stessa crea l’effetto pulsar.

L’esplosione della supernova 1054 non rimase inosservata. Il 4 luglio del 1054 gli astronomi cinesi furono i primi ad accorgersi del nuovo astro apparso in cielo ed ebbero la fortuna di assistere al bagliore prodotto dall’esplosione per lungo tempo. Visibile persino di giorno grazie ad una magnitudine dell’oggetto compresa tra −7 e −4,5 (per contro Sirio, la stella più luminosa del nostro cielo ha una magnitudine apparante di solo -1.4).

Con così tanti dati a disposizione su questa nebulosa, la Nebulosa Granchio è spesso impiegata dagli astronomi come elemento di calibrazione nell’astronomia a raggi X e negli studi dell’universo alle altissime energie.

M1 può essere individuata facilmente già con un binocolo, o ancor meglio con un telescopio anche amatoriale, dove apparirà come una macchia debole e chiara, ma caratterizzata da una luminosità poco omogenea.

LA COSTELLAZIONE DEL TORO NELLA MITOLOGIA

Il Toro è una delle costellazioni più antiche di cui si trovi traccia. Ben 5.000 anni fa infatti il punto Gamma che indica l’equinozio di primavera, si trovava proprio in questa costellazione, nei pressi della stella Aldebaran.

Citazioni si trovano negli scritti dei Sumeri ove la figura zodiacale che assumeva connotazioni mitologiche e si rendeva protagonista di storie d’amore conflittuali. Per gli antichi egiziani invece i tori erano figure mitologiche da venerare.

Nell’antica Grecia il mito del Toro fu associato al Minotauro, frutto del tradimento consumato da Pasifae con il sacro Toro di Creta alle spalle del marito Minosse.

Ma la storia è molto più avvincente. Sembra infatti che Zeus si fosse innamorato della principessa fenicia Europa, decidendo di sedurla a tutti i costi persino tendendole una trappola.

Così, mentre Europa si trovava sulla spiaggia ingenua e spensierata in compagnia delle sue ancelle, vide arrivare un bellissimo toro bianco, animale in cui Zeus nel frattempo si era trasformato per non destare sospetto nella principessa. La fanciulla ignara sulla vera natura dell’animale vi salì in groppa e si fece trasportare vittima quindi inconsapevole di un rapimento. Il toro attraverso i mari galoppando fino a raggiungere l’isola di Creta e solo una volta giunti a destinazione Zeus si manifestò nelle sue sembianze ed abusò di Europa. Unione infelice da cui nacquero: Minosse, Radamanto e Sarpedonte.