DALLE COSTELLAZIONI ALLE PROFONDITÀ DEL COSMO

MONOCEROS – 1a parte

livello di difficoltà 🔴⭕⭕⭕⭕ abbastanza semplice

Il panorama del cielo invernale è senz’altro uno dei più spettacolari che la visione della volta celeste possa offrire; la Via Lattea, non certo preponderante come quella estiva o quella autunnale, passa attraverso un campo popolato da una moltitudine di stelle luminose, di prima e seconda grandezza, che delineano alcune tra le più note e meglio visibili costellazioni ed asterismi. Tra questi ultimi, il più rilevante è senz’altro il grande triangolo equilatero (15° ogni lato!) ai cui vertici risplendono le luminose Procyon (Alpha Canis Minoris), Betelgeuse (Alpha Orionis) e Sirius (Alpha Canis Majoris), che segna il vertice meridionale: è questo il famoso triangolo invernale, asterismo all’interno del quale giace una costellazione che certamente sfigura in stelle se mesa a confronto con i “portenti” da cui è circondata ma che riserva una quantità di oggetti del profondo cielo, stelle variabili e sistemi stellari multipli da non far invidia a ciò che vi è attorno: parliamo di Monoceros, ricca di storie e segreti che nascondono numerose soprese che ora ci accingiamo a conoscere.

NELLA STORIA

A differenza delle costellazioni da cui è circondata, presenti tra le 48 originarie elencate da Tolomeo nell’Almagesto, Monoceros risale a tempi – si fa per dire – più recenti. Sembra sia stato il cartografo olandese Petrus Plancius il primo a riportare su un globo celeste (molto in voga all’epoca) pubblicato nel 1612 o, forse, un anno più tardi, questa nuova figura; successivamente, l’astronomo tedesco (nonché genero di Keplero) Jakob Bartsch, in una mappa celeste pubblicata nel 1624, ne cambiò il nome in Unicorn, riferendosi al mitologico cavallo dotato di un corno sulla fronte. E così, da lì in poi, apparve rappresentata sulle mappe celesti.

Molti non sanno però che il termine Monoceros si riferisce, in realtà, ad una fantastica chimera: un animale con corpo di cavallo, testa di cervo, zampe di elefante e coda di cinghiale, sulla cui fronte fa bella mostra di se un corno nero sagomato in anelli o spirali; stando ai racconti, tale creatura, che era in grado di emettere potenti e discordanti muggiti, non amava essere circondato da consimili, vivendo quasi sempre da solitario tranne che per accoppiarsi. Questo animale leggendario sembra sia stato nominato per la prima volta dallo storico e medico greco Ctesia di Cnido, che rimase per diciassette anni alla corte di Dario II in Persia descrivendo un mondo molto lontano e diverso da quello conosciuto in occidente. Nellasua opera Indikà descrisse – con un’accuratezza proporzionale alla fantasia ivi utilizzata – la flora e la fauna del mondo indiano; tra le numerose storie e personaggi paradossali descritti come tigri con volti umani ed esseri umani con una sola gamba, descrisse la presenza di asini grandi come cavalli, dal corpo bianco ma dal capo rosso e con un lungo corno multicolore posizionato sulla fronte; non solo: la loro velocità era talmente straordinaria che nessun altro animale poteva eguagliarla.

Il racconto fantasioso potrebbe aver avuto ispirazione (anche se non si capisce come) dal rinoceronte indiano, dotato di un corno che dalle opache tonalità rossastre e nerastre, e dall’asino selvatico, che esibisce una colorazione rossiccia sul dorso e grigia nel resto del corpo. A creare confusione sembra si fosse aggiunto anche Megastene, diplomatico macedone vissuto nel IV secolo a.C. che venne inviato dal sovrano macedone Seleuco quale ambasciatore, guarda caso, in India. Anche il grande naturalista Plinio il Vecchio citò questo monoceros nella sua Historia Naturalis; e così fece anche Strabone, fornendo miseri dettagli su di esso. Successivamente, lo scrittore Claudio Eliano, vissuto tra il II e III secolo, fornì invece un riassunto molto più completo su questo essere, riferendo che chi beveva dal suo corno veniva preservato da malattie e veleni. Ad ogni modo, dopo che gli europei stabilirono contatti più stretti con l’India, nessuno fu in grado di verificare le fantastiche creature descritte da questi autori, tra le quali lo stesso monoceros. Ad alimentare ancora tali credenze fu il sacerdote francescano Girolamo Merolla, il quale riportò la testimonianza di un missionario, a sua volta appresa dai cinesi, secondo la quale questi monoceri viventi in Asia passarono a miglior vita lo stesso giorno in cui Gesù Cristo fu crocifisso! Il mito del monoceros venne ancora alimentata nel XVII secolo dall’autore olandese Arnoldus Montanus, il quale riferì di una creatura che questsa volta viveva nelle desolate foreste canadesi la quale, a quanto sembra, assomigliava molto al monoceros.

Concludiamo il quadro storico, come sempre, con l’atlante Coelum Stellatum Christianum dell’abate Julius Schiller, pubblicato nel 1627 ad Augusta: nel tentativo di cristianizzare il cielo stellato, convertendo le costellazioni storiche in figure che facevano riferimento alla tradizione cristiana, ecco che le stelle di Monoceros vennero utilizzate per – è proprio il caso di dirlo – fabbricare gli attrezzi di falegnameria di San Giuseppe, quest’ultimo rappresentato nelle attigue stelle di Orione. Possiamo dire che questo fu l’unico evento che mise sottosopra le stelle di Monoceros; da allora, questo curioso essere – che, a differenza della pura creatura presente nelle favole potremmo relegare al mondo dei mostri e delle chimere – passa tranquilla il suo tempo fornendo agli studiosi spunti di estremo interesse.

ASPETTO E VISIBILITA’

Essendo quasi interamente compresa nel triangolo invernale, Monoceros transita al meridiano subito dopo la mezzanotte…di Capodanno: in pieno inverno, quindi. Torneremo a menzionare questa particolarità più avanti trattando, in particolare, una precisa stella di questa costellazione. L’area occupata da Monoceros giace esattamente lungo l’equatore celeste e si estende su 482° quadrati, posizionando tale figura al 35° posto in ordine di estensione tra tutte le 88 costellazioni. Sono in tutto 36 le stelle visibili con luminosità inferiore alla magnitudine 5,5 presenti i questo campo che ha la forma grossolana di una T rovesciata; purtroppo, anche se attraversata dalla Via Lattea, Monoceros presenta solo due astri appena più luminosi della quarta grandezza. Tuttavia, osservando il grande triangolo invernale, non sarà difficile notare come le stelle di Monoceros diano, e senza neanche tanta fantasia, l’idea della figura di un animale intento a correre, a zampe spiegate, verso occidente.

LUNGO IL CORNO

La porzione di cielo in questione è quella rintracciabile a circa 1/3 del segmento che unisce Betelgeuse a Procyon, è un’area talmente ricca di meraviglie celesti tanto da poter essere definita “il campo dei miracoli di Monoceros”, che non sfigura davanti al ben più famoso presente in Sagittarius. L’astro più luminoso di questa zona è ε Monocerotis, che è anche la prima stella che andiamo qui a visitare. Quinta stella in ordine di luminosità della costellazione, splende di magnitudine 4,39 da una distanza pari a 122 anni-luce. La luminosità di questa stella è in realtà somma di quella emessa da due astri legati dalla mutua attrazione gravitazionale in un periodo orbitale lungo circa 331 giorni. La componente principale è una subgigante bianca di tipo A5 IV (7.900 K) e dalla massa doppia di quella solare; con un diametro 2,5 volte maggiore, ε Monocerotis A irradia 25 volte più del Sole. La componente secondaria splende di magnitudine apparente di 6,72 ed è separata da essa da 12,3″, valore che permette alla coppia di essere alla portata di risoluzione di telescopi di modesto diametro, dove il colore della componente primaria appare decisamente di un azzurrino-grigio acciaio mentre la secondaria decisamente giallognola.

Nelle pagine della rivista gli approfondimenti sulla Nebulosa Variabile di Hubble

L’articolo completo con tutti gli oggetti DEEP-SKY osservabili nella costellazione del Monoceros è pubblicato su Coelum Astronomia n°259 di dicembre 2022/2023

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