E’ probabile che, su un tema così controverso come quello che riguarda il meteorite marziano più famoso di tutti, a qualche lettore sarebbe piaciuto sentire il parere autorevole degli addetti ai lavori.

Il rischio, reso davvero concreto dalle polemiche che hanno costellato questi 15 anni di diatribe su ALH84001, era però quello di trovarci risposte talmente tecniche e dettagliate da risultare indigeste e – magari – finire col disorientare ancor di più i nostri affezionati lettori.

Abbiamo pertanto optato per una strategia alternativa. Contattati dunque alcuni tra gli “esperti” che in passato hanno validamente collaborato con Coelum sui più disparati temi astronomici (planetologia, GRB, galassie, Sole, supernovae, cosmologia…), ben consapevoli che li stavamo stuzzicando su un tema non proprio inerente alla loro ricerca, abbiamo voluto sentire quale opinione si fossero fatti sulla faccenda ALH84001.

Inevitabile mettere in conto possibili risposte lapidarie e anche che qualcuno si chiamasse fuori dal gioco dichiarandosi “inesperto”, ma valeva la pena di correre il rischio. In fin dei conti – era questa l’idea di fondo del nostro progetto – i nostri interlocutori sono scienziati ben addentro ai delicati meccanismi della ricerca scientifica e l’argomento ben si presta anche a considerazioni sul metodo scientifico e sul significato di fare scienza.

Nel presentare le risposte ottenute ci piace sottolineare che, secondo noi, il bilancio di questa anomala intervista/referendum è assolutamente positivo. Confidiamo ovviamente che anche i nostri lettori condividano sia il metodo adottato sia il nostro giudizio finale.

Rinnoviamo il nostro grazie sincero agli intervistati che si sono lasciati coraggiosamente coinvolgere.

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CoelumQuale idea si è fatta della lunga diatriba sulle presunte tracce biologiche nel meteorite marziano ALH84001? E’ solo uno sterile cavillare oppure al fondo vi è qualcosa di importante?

Barbon – Ci tengo a sottolineare che non sono un esperto del campo (e, a dire il vero, non ho dato credito alla vicenda), dunque le mie risposte saranno necessariamente brevi e poco articolate. Venendo alla prima domanda, io sono scettico anche sul fatto che il frammento provenga da Marte. La probabilità che, a seguito di un impatto su Marte, un sasso arrivi sulla Terra mi sembra molto bassa. Se così non fosse, come mai non si sono trovati altri reperti, possibilmente in luoghi più accessibili?

Bedogni – Sicuramente ALH84001 fa storia a sé tra i rari meteoriti marziani. Ed è intrigante osservare delle strutture che sono state ragionevolmente identificate provenienti da un’area di impatto della superficie di Marte.

Berrilli – Le più antiche rocce terrestri sono vecchie di 4,28 miliardi di anni. L’età del meteorite marziano ALH84001 è stata valutata in 4,091 miliardi di anni. Si tratta quindi di una delle rocce del nostro Sistema solare più antiche a noi note. Personalmente credo che sia di estremo interesse la ricerca di tracce biologiche in meteoriti come ALH84001 perché l’epoca di formazione coincide con l’epoca in cui sulla Terra appaiono le prime cellule più semplici, i procarioti. Infatti, pur non essendo nota nel dettaglio la storia climatica di Marte, sia per l’incertezza sulla composizione chimica dell’antica atmosfera marziana che per gli effetti di un sole molto più debole di come lo conosciamo oggi (Paradosso del Sole debole), non c’è alcun dubbio che su Marte si siano verificate inondazioni catastrofiche, probabilmente prodotte da riserve di acqua ghiacciata presenti nel sottosuolo del pianeta. Questa presenza di acqua sarebbe compatibile con le strutture tubolari di carbonati osservati nel meteorite ALH84001, carbonati che si sarebbero formati in un ambiente acquoso vicino alla superficie e a una temperatura di circa 18 °C.

Bonoli – Non sono sufficientemente esperto nel settore per poter esprimere un’idea “seria”. Non credo comunque che si tratti di uno sterile cavillare, ma che sia una ricerca che vada approfondita, come sta avvenendo.

Capria – Non è assolutamente uno sterile cavillare, se non altro perché le implicazioni della dimostrazione dell’esistenza di vita, anche fossile, su Marte sarebbero enormi. Si tratta in ogni caso di una meteorite di enorme interesse, perché si è formata in un ambiente umido a temperature per noi “ragionevoli”. Se ancora ce ne fosse stato bisogno, dimostra che un ambiente di questo tipo su Marte è esistito.

Covino – Importante di sicuro! Ma la sensazione che ho sviluppato è che non sia realmente agevole arrivare ad una risposta univoca. Anche sulla Terra l’identificazione di tracce fossili è un processo che coinvolge l’analisi dei reperti, ma anche dell’ambiente presumibile in cui il reperto si è trovato e della sua storia. Tutto questo su Marte, evidentemente, è piuttosto complesso.

D’Ercole – Sono personalmente convinto (è un mio pregiudizio) che non c’è motivo di credere che la vita si appannaggio della sola Terra. Dunque se veramente le tracce biologiche fossero veritiere sarei colpito, ma non particolarmente sorpreso. Esse sarebbero una prova straordinaria, ma di un fatto per me statisticamente assai probabile (mi riferisco alla vita extraterrestre, non necessariamente marziana).

De Paolis – Ritengo che questi studi siano delicati ed importanti e che, indipendentemente dal fatto che ALH84001 contenga veramente fossili di forme di vita marziane o meno, questo tipo di indagine possa insegnare molto.

Malesani – Nessuna diatriba scientifica è un “cavillo”, e al contrario la discussione, lo scrutinio, il dibattito, sono la linfa vitale che permette il progresso scientifico e che alla fine permette di raggiungere conclusioni con un certo grado di sicurezza. Se per di più consideriamo l’importanza dell’argomento, unita alle difficoltà oggettive del processo di misura e di analisi, si capisce come ogni discussione che non fosse approfondita sarebbe una grave mancanza di rigore. Non è poi detto che la chiave di lettura delle osservazioni ci sia sfuggita, ma che magari sia proprio dietro l’angolo e con la prossima diatriba ci si avvicini un po’ ad una comprensione più profonda.

D’altro canto, devo dire che risulta sempre difficile, dal punto di vista umano, fare ricerca su temi che ricevono così tanta visibilità mediatica, in seguito alla quale il grande pubblico si aspetta risposte nette e precise (c’è o non c’è la vita su Marte?) quando spesso la scienza procede a piccoli, se pur fondamentali, passi. Sotto l’occhio dei riflettori, ogni affermazione assume un significato molto più vasto dell’originale contenuto scientifico, favorendo naturalmente le prese di posizioni più estreme. E noi stessi, come scienziati, non siamo immuni al fascino della popolarità, che ci può mettere pressione nelle modalità in cui comunichiamo ciò che abbiamo scoperto.

Mitri – La presentazione da parte di alcuni ricercatori della NASA nel 1996 dei risultati dello studio del meteorite marziano ALH84001 ha fatto chiaramente sperare di aver trovato forme di vita su un altro pianeta. Le piccole strutture osservate all’interno del meteorite sembrano piccoli batteri che troviamo sulla Terra e questo sicuramente ha aumentato l’interesse ma anche l’immaginazione dell’opinione pubblica; ma le prove che queste strutture siano effettivamente dei fossili marziani si sono rilevate, con il tempo, deboli.

Vitagliano – Caratterialmente, non ho mai gradito avventurarmi nelle sabbie mobili delle congetture e delle speculazioni, preferendo di gran lunga il terreno più solido delle ipotesi confermabili o falsificabili con pochi esperimenti mirati. La risposta alla domanda di fondo “Marte ha ospitato la vita?” può essere solo binaria: sì o no. Il “forse” non mi pare molto costruttivo, perché rappresenta già la base da cui si parte… Di conseguenza o una prova è incontrovertibile, e in questo caso nessuno potrà confutarla, o non è una prova, e in questo caso, in un verso o nell’altro, rimarrà il dubbio.

CoelumEntrando nel merito, qual è la sua opinione? Propende per l’ipotesi biologica oppure per la spiegazione chimica/geologica?

Barbon – Dovrebbero essere gli esperti a darci la risposta se sono batteri o altro. E non so se lo abbiano fatto.

Bedogni – Le dimensioni delle strutture candidate ad essere resti di vita biologica sono troppo piccole per poter loro attribuire un’origine biologica.

Berrilli – Nel lavoro di ricerca propendo sempre verso la spiegazione più semplice. In questo caso, dovendo scommettere, direi che ci troviamo in presenza di strutture di carbonati prodotte dall’evaporazione dell’acqua che era presente negli interstizi della roccia marziana. Quindi nessuna impronta biologica.

Bonoli – Vale quanto ho detto prima: non sono né un biologo né un chimico né un geologo per poter avanzare opinioni scientifiche corrette. Attualmente ci sono numerosi gruppi di ricerca interdisciplinari che si stanno occupando del problema. Anche in questo caso, nella scienza non contano le opinioni personali, ma i fatti, cioè le osservazioni, le ipotesi e le loro verifiche: le sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni! Prima di pensare agli “omini verdi”, lasciamo che gli scienziati portino avanti le loro ricerche in un settore molto delicato.

Capria – Non posso dare un parere da esperta perché l’esobiologia non è il mio campo. Mi pare, però, che l’ipotesi che le tracce siano di origine biologica non sia stata affatto spazzata via, e resista assai bene.

Covino – Tenderei per l’ipotesi chimica/geologica. Se non altro perché mi aspetto che sia molto improbabile, su Marte, trovare reperti con segni di attività biologica tenendo conto di quando poco della superficie abbiamo potuto studiare. A meno, naturalmente, di pensare a una contaminazione biologica del pianeta su larga scala di tipo terrestre, almeno nel passato. Immagino questo non sia impossibile, ma mi sembra che al momento non abbiamo evidenze di questo genere.

D’Ercole – Non mi pronuncio sull’aspetto tecnico delle presunte tracce biologiche perché non è il mio campo e non sono in grado di giudicare.

De Paolis – Nel caso di ALH84001 ritengo che sia più probabile la spiegazione chimico/geologica, ma naturalmente è importante continuare le ricerche di altri meteoriti che potrebbero contenere segni più convincenti della presenza di vita su Marte. Da questo punto di vista penso che lo studio dei meteoriti sulla Luna, in cui non dovrebbe essere presente il problema della contaminazione, potrebbe essere molto importante e potrebbe essere svolto in loco da veicoli opportunamente studiati da mandare sulla Luna.

Malesani – Mi sento davvero non qualificato per avere un’opinione. Posso solo tentare dei paralleli con altre scoperte e col metodo scientifico in generale. Per prima cosa, per affermazioni di importanza così straordinaria, sono richieste prove altrettanto straordinarie. E’ chiaro che lo scrutinio diventa molto più severo quando si tratta di una scoperta così fondamentale. Non dobbiamo poi dimenticare come la natura abbia mille e mille modi per realizzare i fenomeni che osserviamo, sempre di più di quelli che vengono in mente alla nostra immaginazione. Anche se il fenomeno osservato sul meteorite marziano mostra le tracce di un’opera biologica, come possiamo escludere che non esista un altro processo, non biologico, cui al momento non abbiamo ancora pensato, magari per la mancanza di un fenomeno simile sul nostro pianeta? Insomma, da quel poco che capisco dell’argomento, non mi sento di concludere (o, forse, credere) che le prove presentate siano conclusive. Devo dire che in questo sono influenzato, pericolosamente, dall’opinione della comunità scientifica in cui sono immerso. Dopo tanti anni, penso che se la scoperta avesse un fondamento robusto e oltre ogni dubbio, si sarebbe raggiunto un consenso al di là delle opinioni e rivalità personali degli scienziati del campo. Al contrario, non mi sembra di percepire questo consenso, il che mi lascia dubbioso sulla validità “oltre ogni ragionevole dubbio” della scoperta. Naturalmente, è ben possibile che il risultato sia esatto, ma semplicemente non credo che sia stato provato con la necessaria sicurezza.

Mitri – Come dicevo, le evidenze presentate per sostenere l’ipotesi di fossili nel meteorite marziano ALH84001, come ad esempio la presenza di idrocarburi policiclici aromatici o la presenza di piccoli cristalli di magnetite, possono essere in realtà spiegate come dovute ad origine non biologica. Inoltre c’è la seria possibilità che l’interno del meteorite sia stato contaminato una volta arrivato sulla Terra. In sostanza non abbiamo alcuna prova forte e convincente, ma solo una serie di indizi che le strutture osservate all’interno del meteorite ALH84001 siano veramente dei fossili marziani.

Vitagliano – Se dovessi scommettere, propenderei per la spiegazione chimica/geologica.

CoelumRecenti scoperte dell’esistenza sul nostro pianeta di forme di vita che prosperano in condizioni estremamente proibitive (l’ultima in ordine di tempo è quella di colonie di batteri a due metri di profondità nell’aridissimo deserto cileno di Atacama) stimolano la fantasia. E’ lecito appoggiarsi a queste scoperte per ipotizzare forme di vita su Marte?

Barbon – Dato che, come si ricorda nella domanda, si sono trovate forme di vita in ambienti estremamente diversi, proprio non mi sorprenderebbe che un giorno se ne trovassero anche su Marte.

Bedogni – Quest’argomento apre in effetti nuove prospettive sulle caratteristiche del “brodo primordiale” da cui è sorta la vita sulla Terra e di conseguenza sugli altri corpi del Sistema solare. Su Marte nell’era primordiale del “Noachiano” era presente un’atmosfera densa che manteneva acqua in superficie allo stato liquido. In seguito l’attività geologica si è manifestata con eruzioni vulcaniche di cui l’Olympus Mons è l’esempio più eclatante. In questa fase le condizioni per la formazione degli “estremofili” potrebbero essersi realizzate.

Berrilli – Certamente si. Il crescente numero di organismi cosiddetti “estremofili”, cioè adatti alla vita in condizioni tanto estreme da essere mortali per la maggior parte degli organismi viventi, ci insegna che la “vita” può apparire e conservarsi in condizioni estremamente difficili. Va anche sottolineato che sono state recentemente ipotizzate forme di vita molto più esotiche sulla superficie di una delle lune di Saturno: Titano. Nel caso di Titano si tratterebbe di forme di vita basate sul metano e non sul carbonio, come avviene per le forme biologiche terrestri o per quelle ipotizzate nel meteorite marziano.

Bonoli – Tutte queste recenti scoperte confermano che la vita è in grado di adattarsi a condizioni molto più estreme di quanto si pensava fino a non molti anni fa. Di conseguenza lasciano aperta la possibilità (e sottolineo la “possibilità”) che la vita si possa essere formata o possa essere in qualche modo sopravvissuta anche in condizioni quali quelle che si trovano/trovavano su Marte.

Capria – Sicuramente è lecito fare riferimento alla recenti scoperte su forme di vita terrestri in ambienti giudicati impossibili per ipotizzare forme di vita su Marte (e simili). Aggiungerei anche che, quando ragioniamo su forme di vita extraterrestre, noi continuiamo a pensare a forme di vita in qualche modo simili a quelle che conosciamo. Questo potrebbe rivelarsi sbagliato!

Covino – Direi di sì, ma senza farsi fuorviare. Le forme di vita a cui si accenna sono solo in apparenza “distaccate” dall’ecosistema terrestre. E non è affatto banale pensare a fenomeni analoghi in contesti diversi. Quello però che queste scoperte ci indicano è di non essere troppo vincolati agli ecosistemi che ci sono familiari perché, ribaltando un noto modo di dire, la natura è più fantasiosa dei nostri teorici.

D’Ercole – Anche qui non sono in grado di dare un giudizio tecnico. Sono convinto che vi sono più cose in cielo che nella nostra filosofia. Penso che la vita ha forme di adattamento assolutamente imprevedibili “a tavolino” (a maggior ragione per un’ipotetica vita non basata sul carbonio). Dunque la mia risposta è si.

De Paolis – E’ ormai chiaro che la vita può svilupparsi nelle condizioni più varie e proibitive e ciò legittimamente spinge a pensare che non sia così improbabile che la vita si sia potuta sviluppare anche su Marte. Questo, ovviamente non costituisce però una prova che la vita si sia effettivamente sviluppata su Marte o su altri pianeti.

Malesani – E’ naturale che si parta da quello che abbiamo sotto i nostri occhi e che possiamo studiare in dettaglio per esplorare territori vergini, dove abbiamo molta meno informazione. Le scoperte dei batteri in condizioni estreme e diverse da quelle dove prospera più comunemente la vita portano senz’altro ad essere ottimisti e ad espandere lo spettro delle possibilità in cui la vita può manifestarsi. Riutilizzando in senso positivo un’affermazione che ho fatto sopra, la natura ha mille modi di esprimersi e di creare possibilità, e questo include anche la generazione delle specie viventi nelle condizioni più disparate. Dal punto di vista scientifico, sappiamo che se una certa modalità della vita si è realizzata sulla Terra, abbiamo una prova del concetto che si possa sviluppare anche altrove e ciò permette di aprire la nostra mente a soluzioni ancora più ardite. Se posso dire una mia opinione, del tutto personale, sospetto fortemente che la vita non sia una caratteristica unica del nostro pianeta, a maggior ragione limitandoci alle forme più semplici come i batteri. Sarei molto sorpreso del contrario, e bisogna lasciare ampio spazio all’ottimismo. Detto questo, però, rimane sempre la necessità di raggiungere prove obiettive ed inoppugnabili per poter concludere l’esistenza di batteri extraterrestri e, purtroppo, tutto l’ottimismo del mondo non ha alcun valore come dimostrazione!

Mitri – Sappiamo che la vita, anche nelle forme più complesse, si può adattare ad ambienti ostili. Quello che ancora non sappiamo è se la vita riesca a sostenersi in ecosistemi ristretti ed isolati. Su Marte abbiamo chiare evidenze della presenza di antichi fiumi e laghi ormai disseccati, luoghi che in passato potrebbero aver favorito lo sviluppo di forme di vita. Se mai fosse esistita vita su Marte, potrebbe ora essere isolata in limitati ecosistemi-oasi. Quindi dobbiamo prendere in considerazione anche la possibile presenza di vita su altri corpi del Sistema Solare come Europa, il satellite di Giove, con il suo oceano sotto-superficiale e Titano, il satellite di Saturno, con i suoi laghi di idrocarburi nelle regioni polari. A tale proposito lo studio del lago Vostok in Antartide è di straordinaria importanza per capire se piccoli ecosistemi-oasi rimasti isolati per milioni di anni possano mantenere nel tempo forme di vita.

Vitagliano – A mio parere è lecito appoggiarsi a queste scoperte per ipotizzare la possibilità di forme di vita su Marte, magari in un passato nel quale le condizioni non fossero così estreme come oggi. Tuttavia il fatto che qualcosa sia possibile non significa che sia anche probabile…

CoelumQuali conseguenze potrebbe portare, secondo lei, la scoperta di una prova decisiva dell’esistenza di forme di vita (anche solo in un remoto passato e per un periodo limitato) sul Pianeta rosso?

Barbon – Avrebbe la stessa conseguenza della scoperta di vita negli oceani di Europa o nell’atmosfera di Titano. Mi spiego meglio: le condizioni fisico-chimiche del nostro Universo sono abbastanza favorevoli all’esistenza di forme SEMPLICI, monocellulari, di vita. Per quanto riguarda l’esistenza di forme più complesse – parlo di specie che hanno sviluppato cognizione e intelligenza, come quella umana – io rispondo con il paradosso di Fermi:

“Dove sono tutti quanti?”.

Bedogni – Comprendere le condizioni in cui si è formata la vita ma più in particolare le strutture caratteristiche materiale genetico, proteine e come si sono aggregate in RNA e DNA è fondamentale per comprendere l’insorgere della via sulla Terra. L’altro elemento è legato ad un eventuale contribuito, secondo me poco probabile, proveniente dalla spazio secondo l’ipotesi della panspermia.

Berrilli – Abbiamo detto di come la vita si sia sviluppata sulla Terra non appena le condizioni fisico-chimiche del pianeta lo abbiano permesso. Se avessimo la prova dell’esistenza di forme di vita, anche passata, su Marte avremmo la conferma che il processo che porta allo sviluppo della vita è un processo altamente probabile. Le conseguenze a questo punto sarebbero molto rilevanti per la concezione che noi abbiamo dell’uomo nell’universo. Non dimentichiamo infatti che, a dispetto del grande numero di esopianeti scoperti, al momento conosciamo un solo luogo nell’universo in cui la vita si sia sviluppata e sia possibile: si tratta del pianeta Terra orbitante attorno alla stella Sole.

Bonoli – Che la Terra non è l’unico luogo nell’universo nel quale la vita si è potuta formare e/o si è potuta evolvere, portando un’ulteriore prova al cosiddetto “principio copernicano”, secondo il quale la Terra non presenta particolari privilegi né rispetto alla posizione nell’universo né rispetto alla sua struttura complessiva, vita compresa.

Capria – Le conseguenze sarebbero enormi sotto tutti i punti di vista, non solo legati alla scienza. Avremmo la prova che davvero la vita si sviluppa rapidamente come e dove può, e che quindi, da qualche parte, lo stadio dei batteri deve essere stato oltrepassato. Cosa che, considerando quanto sono numerosi i pianeti extrasolari e ragionando da un punto di vista statistico, a me sembra certo.

Covino – Qui il tema è più sociologico che scientifico. Di solito si assume che tutto questo, anche nel caso minimale di forme di vita molto semplici, potrebbe avere conseguenze dirompenti sul nostro modo di pensare e di posizionarsi rispetto all’universo. Ritengo in realtà che questa sia un posizione per certi versi figlia di alcuni stereotipi. Non c’è dubbio che si tratterebbe di una delle scoperte più importanti in assoluto della storia dell’umanità. Ma non immagino alcuno scenario millenaristico. Sarebbe più che altro la conferma di quanto già ampiamente divulgato in varie forme, ovvero che ci si aspetta che il “fenomeno vita” sia una conseguenza logica delle leggi della fisica laddove le condizioni lo permettano. Affascinante senza dubbio, ma non rivoluzionario. Nemmeno, mi pare, se affrontato dal punto di vista religioso o filosofico.

D’Ercole – Penso che al pari del famoso marziano di Flaiano a spasso per Roma, la stragrande maggioranza dell’umanità, dopo un iniziale interesse, tornerebbe alle sue beghe esattamente come prima. Si solleverebbe forse un interessante quesito teologico (almeno per i cattolici): se veramente, come si sostiene, Dio si è incarnato una sola volta qui sulla Terra, come fanno a salvarsi eventuali forme di vita intelligente sviluppate altrove?

De Paolis – Il ritrovamento di organismi viventi o di tracce fossili attribuibili con certezza ad organismi viventi non terrestri

rappresenterebbe un evento di straordinaria importanza non solo scientifica ma psicologica e filosofica perché dimostrerebbe – cosa di cui la maggior parte degli scienziati è convinta, ma non vi sono prove dirette – che la vita su altri pianeti è possibile.

Malesani – La scoperta di forme di vita marziane o extraterrestri avrebbe secondo me un’importanza intellettuale e scientifica enorme. Ovviamente siamo tutti interessati a capire come la vita si sia venuta a formare, non mi stupirei se questo fosse la prima curiosità di ogni essere vivente cosciente. La vita extraterrestre ci permetterebbe di capire da un’altra angolazione il processo che ha portato alla nostra formazione. Dal punto di vista concettuale, sarebbe un passo per rimuovere questa “singolarità”, in cui siamo limitati ad osservare la vita solo sul nostro pianeta. Di principio, pensiamo che il resto dell’Universo, della nostra galassia, le altre stelle siano, pur con la loro individualità, fondamentalmente simili al nostro sistema solare. Ci sono miliardi di stelle, come mai la nostra sarebbe così unica e diversa da poter ospitare la vita? Ovviamente questa nostra incertezza è dovuta alla mancanza di osservazioni e strumenti sufficientemente sensibili per verificare (o refutare) la presenza di vita su altri oggetti celesti. La scoperta di vita marziana sarebbe quindi un primo passo, piccolo ma estremamente significativo, per porre l’umanità in un contesto più universale. Magari c’è chi ci rimarrebbe male a scoprire che non siamo gli unici, ma alla fine credo che sapere sia sempre meglio che non sapere.

Mitri – E’ difficile sapere quali possano essere le conseguenze di una tale scoperta. La mia speranza è che possa chiarire come la vita si sia formata sulla Terra e capire meglio perché un giorno della materia inerme abbia “deciso” di organizzarsi in molecole via via più complesse per dare inizio alla vita.

Vitagliano – Domanda interessante. Attualmente non sappiamo se la vita sulla Terra sia autoctona, ossia da attribuirsi ad una spontanea evoluzione prebiotica in-situ, oppure sia una conseguenza di una “inseminazione” dallo spazio. Anche qui siamo nel campo delle congetture e delle speculazioni, e vi è chi propende per l’una o per l’altra ipotesi. Dal momento che su Marte le condizioni per una (oggi impossibile) evoluzione prebiotica, anche in un lontano passato quasi certamente sono state alquanto meno favorevoli che sulla Terra, nel caso fosse trovata una prova decisiva di vita marziana, ciò dovrebbe far pendere la bilancia delle congetture dal lato della panspermia.

Interviste raccolte da Claudio Elidoro

Hanno partecipato:

Roberto Barbon – Studioso di supernovae, oggetti blu e galassie compatte, dal 1992 al 2008 è stato responsabile dell’Osservatorio astrofisico di Asiago e fino al 2010, anno di messa in quiescenza, ha tenuto corsi istituzionali per la laurea in Astronomia all’Università di Padova.

Roberto Bedogni – Ricercatore astronomo dell’Osservatorio astronomico di Bologna, si occupa di idrodinamica unidimensionale e bidimensionale (simulazione numerica di nebulose planetarie, resti di supernova e turbolenza del mezzo interstellare).

Francesco Berrilli – Docente di Calcolo numerico e Fisica solare presso l’Università di Roma Tor Vergata, da circa quindici anni si occupa di sistemi di acquisizione immagini, variabilità solare e dinamica della fotosfera e cromosfera.

Fabrizio Bonoli – Vicepresidente della Società Astronomica Italiana, è docente di Storia dell’astronomia presso l’Università di Bologna.

Maria Teresa Capria – Ricercatrice presso l’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziali di Roma, si interessa dei corpi minori del Sistema solare. Membro del team dello strumento VIR a bordo della sonda Dawn, è attualmente impegnata nello studio di Vesta.

Stefano Covino – E’ ricercatore astronomo presso l’Osservatorio astronomico di Brera a Milano. Membro del team del satellite Swift, da qualche anno si sta dedicando allo studio e al follow-up dei GRB.

Annibale D’Ercole – E’ astronomo associato presso l’Osservatorio astronomico di Bologna e si occupa di simulazioni numeriche di idrodinamica applicate alle nebulose, ai resti di supernova e al gas interstellare.

Francesco De Paolis – E’ docente di Astrofisica Teorica e ricercatore presso l’Università del Salento. Si occupa principalmente di astrofisica relativistica e di microlensing gravitazionale (compresa la ricerca di pianeti extrasolari con questa tecnica).

Daniele Malesani – Astrofisico, attualmente è post-doc presso il Dark Cosmology Centre (Niels Bohr Institut – Università di Copenhagen). Si occupa principalmente dell’analisi dei GRB (gamma-ray burst) e dello studio delle galassie in cui esplodono.

Giuseppe Mitri – Staff Scientist presso l’University of Arizona, ha in precedenza lavorato presso il NASA/JPL e il California Institute of Technology. I suoi interessi scientifici includono la struttura interna, formazione ed evoluzione di pianeti e satelliti del Sistema Solare. Ultimamente si sta dedicando in modo particolare allo studio di Titano.

Aldo Vitagliano – Docente di Chimica generale e inorganica presso l’Università “Federico II” di Napoli, si occupa di chimica metallorganica. Il suo interesse per l’astronomia lo ha spinto a dedicarsi alla meccanica celeste realizzando Solex, un software di simulazione della dinamica del Sistema solare.