Qualche giorno fa, esattamente il 10 maggio, il sito APOD Astronomy Picture of the Day ha scelto come immagine rappresentativa quella dell’autore Amr Abdulwahab, eccola senza le label.
Si tratta, come dichiarato nella didascalia ufficiale https://apod.nasa.gov/apod/ap230510.html di un fotomontaggio complesso che ha richiesto diversi giorni di ripresa, addirittura settimane, dei singoli soggetti dello scatto: l’uomo in abiti tradizionali, il paesaggio desertico ed infine il cielo. Soggetti poi sapientemente scontornati e rimontati in un’unica ammaliante immagine, che, come di consueto accade con le immagini APOD ha fatto velocemente il giro del web ricevendo un numero difficilmente quantificabile di like.
Il sito APOD opera dal 16 giugno 1995 e sin dall’inizio i suoi fondatori hanno scelto di pubblicare non solo scatti reali ma anche immagini artistiche accompagnate da una spiegazione. La pagina principale di APOD è ospitata su sito NASA anche se quest’ultima non è ufficialmente coinvolta nella scelta dei contenuti.
La scelta di pubblicare immagini elaborate quindi non è una novità e neanche un “falso ideologico” ma invece una tradizione consolidata che negli scorsi decenni è stata assolutamente tollerata anche dai tantissimi astrofotografi che al pari di autori più creativi, hanno sempre inviato i propri scatti, il termine “scatto” questa volta è giusto, alla redazione nella speranza di vederla scelta e pubblicata. Insomma aggiudicarsi un APOD è da sempre motivo di vanto, anche per molti astrofotografi italiani.
Sembrerebbe tutto nella norma, eppure questa volta “qualcuno ha protestato”. La scelta del 10 maggio scorso infatti ha suscitato, proprio nel web, e in alcuni social, un dibattito, i cui toni seppur caldi restano civili e colgono l’occasione per sollevare una questione di opportunità o di etica.
Trascorso qualche anno dalla nascita dei social, a tutti, non solo ai professionisti, è balzato agli occhi il proliferare di immagini a tema astronomico, e a molti non è certo sfuggito il notevole successo, espresso in termini di interazioni, che esse sono in grado di suscitare. Un coinvolgimento spontaneo che può aver fatto gola a chi è abbastanza sensibile alla visibilità.
Di seguito un’altra immagine il cui post ha raccolto oltre 10k like.
Insomma la prassi di “ritoccare” gli scatti del deepsky o del Sistema Solare non è assolutamente una pratica inusuale. Ogni appassionato è in grado, con alcuni semplici click su programmi di fotoritocco di “migliorare” l’aspetto di una ripresa. Sono nati addirittura software specifici proprio per sbrigare al meglio questo passaggio e online, come anche nella pagine di Coelum, non sono mancati i tutorial correlati da tanti suggerimenti utili.
C’è da chiedersi allora come mai oggi si sia alzato un rumoroso brusio di fondo.
La sensazione sembrerebbe essere quella di un “overdose” di immagini di effetto. Quasi che il numero delle immagini artistiche fosse divenuto così insostenibilmente enorme da aver eclissato quelle reali. Insomma gli scatti più difficili raccolti con molte ore di fatica rischiano di finire nel dimenticatoio perchè banalmente meno interessanti di grafiche create al pc. E se poi a crearle fosse addirittura l’intelligenza artificiale?
La domanda che volendo ci si potrebbe porre è, tornando al titolo di questo post: esiste un limite all’elaborazione? Un confine in grado di definire uno scatto come accettabile?
In una uggiosa domenica di primavera, ci piacerebbe chiedere ai lettori di Coelum il proprio parere. Per partecipare o contribuire abbiamo messo a disposizione un modulo google disponibile a questo link https://forms.gle/19kiNKnuCGSi3Rch6
La Redazione di Coelum Astronomia