Grazie alle osservazioni di SOFIA, lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy della NASA, si è potuto confermare, per la prima volta, la persenza di acqua sulle superfici della Luna illuminate dal Sole. Fin’ora infatti si pensava si trovasse solo in quelle che vengono chiamate “trappole per il ghiaccio”, zone all’interno di crateri perennemente in ombra, dove le molecoe d’acqua non riescono a sfuggire per le basse e costanti temperature. Questa scoperta indica quindi che l’acqua può essere distribuita sulla superficie lunare e non limitata a pochi e freddi e ombreggiati luoghi. I risultati sono stati pubblicati nell’ultimo numero di Nature Astronomy.
SOFIA è l’Osservatorio volante della NASA. Viaggia a bordo di un Boeing 747SP modificato dal 2010, osservando il cielo da un punto di vista diverso sia degli Osservatori a Terra che dei Telescopi Spaziali. SOFIA ha potuto così rilevare molecole d’acqua (H2O) nel Cratere Clavius, uno dei più grandi crateri visibili dalla Terra, situato nell’emisfero meridionale della Luna, in prossimità del polo sud.
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In precedenza era stata rilevata una qualche forma di idrogeno, ma non era stato possibile distinguere tra l’acqua e un suo parente chimico stretto, l’idrossile (OH).
«Avevamo indizi sul fatto che la molecola H2O – la familiare formula dell’acqua che conosciamo – potesse essere presente sulle zone soleggiate della Luna», spiega Paul Hertz, direttore della Divisione Astrofisica della Direzione della Missione Scientifica presso la sede della NASA a Washington. «Ora sappiamo che c’è. Questa scoperta mette alla prova la nostra comprensione della superficie lunare e solleva interrogativi intriganti su risorse rilevanti per l’esplorazione dello spazio profondo».
I dati provenienti da questo cratere rivelano una presenza di acqua in concentrazioni comprese tra 100 e 412 parti per milione – più o meno equivalenti a una bottiglia d’acqua da 35 cl –intrappolata in un metro cubo di terreno sparso sulla superficie lunare. A confronto, il deserto del Sahara ha una quantità d’acqua 100 volte superiore a quella rilevata da SOFIA nel suolo lunare, ma nonostante questo ci si chiede come venga creata e come possa persistere sull’arida superficie lunare, priva di un’atmosfera.
Resta però da determinare se quest’acqua sia facilmente accessibile per essere utilizzata come risorsa. dato di fondamentale importanza per tutti i programmi di colonozizzazione della Luna, e ovviamente in particolare per il programma Artemis della NASA.
Le osservazioni di SOFIA, e i suoi risultati, poggiano su anni di ricerche che hanno esaminato la presenza di acqua sulla Luna.
Quando gli astronauti dell’Apollo tornarono per la prima volta dalla Luna nel 1969, si pensava che fosse completamente asciutta. Le missioni orbitali e di impatto negli ultimi 20 anni, hanno confermato la presenza di ghiaccio nei crateri in ombra perenne attorno ai poli della Luna. Nel frattempo, diverse sonde – tra cui le missioni Cassini e Deep Impact, nonché la missione Chandrayaan-1 dell’Indian Space Research Organisation e la struttura di telescopi a infrarossi della NASA a terra – hanno esaminato ampiamente la superficie lunare trovando prove di idratazione nelle regioni più soleggiate. Eppure quelle missioni non erano in grado di distinguere, in forma definitiva, la molecola in cui l’idrogeno era presente, se H2O o OH. Come dice Casey Honniball, l’autrice principale dello studio, la sua tesi di laurea presso l’Università delle Hawaii a Mānoa a Honolulu: «Non sapevamo quante, se ce ne fossero, se fossero effettivamente molecole d’acqua – come quella che beviamo ogni giorno – o se fossero qualcosa di più simile a un prodotto sturalavandini».
SOFIA, con questa scoperta, ha fornito agli scienziati un nuovo modo per studiare la Luna. Volando ad altitudini fino a quasi 14 chilometri, il telescopio di 106 pollici di diametro si trova oltre al 99% del vapore acqueo dell’atmosfera terrestre, potendo così avere visione più chiara dell’universo a infrarossi.
Utilizzando la sua camera a infrarossi per oggetti deboli (FORCAST), SOFIA è stata in grado di rilevare la lunghezza d’onda specifica delle molecole d’acqua, a 6,1 micron, scoprendo così una concentrazione relativamente sorprendente nel soleggiato cratere di Clavius.
«Senza un’atmosfera densa, l’acqua sulla superficie lunare illuminata dal Sole dovrebbe andare persa nello spazio», spiega Honniball, borsista post-dottorato presso il Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland. «Eppure in qualche modo lo stiamo vedendo accadere. Qualcosa sta producendo acqua e qualcosa la sta intrappolando lì».
Le diverse forze in gioco in questo ruisultato potrebbero essere le micrometeoriti che piovono sulla superficie lunare, che trasportano e potrebbero depositare l’acqua sulla superficie lunare al momento dell’impatto, o un processo in due fasi in cui il vento solare fornisce idrogeno alla superficie lunare e provoca una reazione chimica con i minerali portatori di ossigeno nel suolo per creare idrossile. Nel frattempo, le radiazioni del bombardamento di micrometeoriti potrebbero trasformare quell’idrossile in acqua.
Ma come verrebbe poi immagazzinata quest’acqua, impedendole di evaporare? L’acqua potrebbe essere intrappolata in minuscole strutture, a forma di piccole sfere, nel terreno, formate dal calore elevato creato dagli impatti delle micrometeoriti. Un’altra possibilità è che l’acqua possa essere nascosta tra i granelli di terreno lunare e riparata dalla luce solare. questa seconda ipotesi potrebbe renderla potenzialmente più accessibile dell’acqua intrappolata in piccole sfere.
SOFIA generalmente non viene usata per osservare oggetti vicini come la Luna, ma è progettato per studiare oggetti lontani e deboli come buchi neri, ammassi stellari e galassie. La Luna è infatti così vicina e luminosa che riempirebbe l’intero campo visivo della fotocamera guida, con cui il telescopio individua l’oggetto da osservare tramite le stelle vicine. Senza questa guidanon era sicura che riuscisse a “mettere a fuoco” la superficie lunare. Nell’agosto 2018 hanno così deciso di fare una prova che non solo ha funzionato, ma ha anche generato il risultato che conosciamo oggi.
«In effetti, era la prima volta che SOFIA guardava la Luna e non eravamo nemmeno completamente sicuri di ottenere dati affidabili, ma le domande sulla presenza di acqua sulla Luna ci hanno costretti a provarci», rivela Naseem Rangwala, project scientist di SOFIA presso l’Ames Research Center della NASA (in California). «È incredibile come questa scoperta sia nata da quello che era essenzialmente un test, e ora che sappiamo di poterlo fare, stiamo pianificando più voli per fare più osservazioni».
I voli di follow-up di SOFIA cercheranno l’acqua in ulteriori luoghi illuminati dal Sole e durante le diverse fasi lunari, per trovaer maggiori informazioni su come l’acqua viene prodotta, immagazzinata e spostata sulla superficie lunare. I dati si aggiungeranno al lavoro delle future missioni lunari, come il Volatiles Investigating Polar Exploration Rover (VIPER) della NASA , per creare le prime mappe delle risorse idriche della Luna per la futura esplorazione spaziale umana.
Nello stesso numero di Nature Astronomy, gli scienziati hanno pubblicato uno studio su modelli teorici e dati del Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA , ipotizzando come l’acqua invece intrappolata in piccole ombre, dove le temperature rimangono sempre sotto lo zero, potrebbe trovarsi in più luoghi di quanto attualmente previsto.
«L’acqua è una risorsa preziosa, sia per motivi scientifici che per l’utilizzo da parte dei nostri esploratori», ha affermato Jacob Bleacher, chief explorist scientist per lo Human Exploration and Operations Mission Directorate della NASA. «Se possiamo usare risorse sulla Luna, allora possiamo trasportare meno acqua e più attrezzature per consentire nuove scoperte scientifiche».