Nonostante la materia oscura rappresenti la maggior parte della massa dell’universo, continua ancora oggi a essere sfuggente. A seconda delle sue proprietà, potrebbe trovarsi densamente concentrata al centro delle galassie o distribuita in modo regolare su scale più grandi. Confrontando la distribuzione della materia oscura nelle galassie con quella prevista da modelli dettagliati, i ricercatori sono in grado di confermare o escludere i vari possibili candidati della materia oscura. In questo contesto, un team di ricercatori dell’Università del Surrey e dell’Università di Edimburgo – guidato dall’astrofisico Filippo Contenta, originario di Frascati – hanno sviluppato un nuovo metodo per misurare la quantità di materia oscura al centro di piccole galassie nane. I risultati sono stati pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
I vincoli più restrittivi sulla materia oscura provengono dalle galassie più piccole dell’universo, le galassie nane. La più piccola di queste galassie contiene solo poche migliaia o decine di migliaia di stelle, rientrando nella categoria delle cosiddette nane “ultra-deboli”. Queste minuscole galassie, trovate in orbita vicino alla Via Lattea, sono costituite quasi interamente da materia oscura. La mappatura della distribuzione della materia oscura in queste minuscole galassie potrebbe fornire nuove ed eccitanti informazioni sulla sua natura. Tuttavia, essendo completamente prive di gas e avendo pochissime stelle, fino a poco tempo fa non esisteva un metodo praticabile per effettuare questa misurazione.
La chiave del metodo sviluppato all’Università del Surrey per calcolare la densità della materia oscura all’interno delle galassie nane – comprese quelle che non hanno gas e sono costituite da pochissime stelle – consiste nell’utilizzare uno o più densi ammassi stellari in orbita vicino al centro della galassia stessa.
Gli ammassi stellari sono gruppi di stelle gravitazionalmente legate che orbitano all’interno delle galassie. A differenza delle galassie, gli ammassi stellari sono così densi che le loro stelle si sparpagliano a causa dell’attrazione gravitazionale reciproca, e questa dispersione porta ad una lenta espansione dell’ammasso stesso. I ricercatori coinvolti nello studio pubblicato su Mnras si sono resi conto che la velocità di questa espansione dipende dal campo gravitazionale in cui orbita l’ammasso stellare e quindi dalla distribuzione della materia oscura nella galassia ospite. Il gruppo di ricerca si è servito di diverse simulazioni al computer per mostrare come la struttura degli ammassi stellari sia sensibile al fatto che la materia oscura sia densamente concentrata al centro delle galassie o distribuita più uniformemente. Successivamente, ha applicato il proprio metodo alla galassia nana “ultra-debole” scoperta di recente, Eridanus II, trovando molta meno materia oscura nel suo centro di quanto molti modelli avrebbero previsto.
Per capire meglio i risultati presentati nello studio e le loro implicazioni, abbiamo intervistato il primo autore, Filippo Contenta, dell’Università del Surrey.
Il metodo che avete sviluppato consiste nell’utilizzare gli ammassi stellari in orbita attorno al centro delle galassie nane per mappare la materia oscura presente nelle galassie stesse. In che modo riuscite a farlo?
«Abbiamo utilizzato più di 200 simulazioni di ammassi stellari e abbiamo visto se queste simulazioni potessero riprodurre l’ammasso osservato. Dalle osservazioni è possibile derivare la massa totale della galassia Eridanus II e da qui abbiamo assunto il profilo di densità della materia oscura, ossia come è distribuita la materia oscura all’interno della galassia. Dalle simulazioni di galassie è possibile vedere come la materia oscura è distribuita nelle galassie, tuttavia dalle osservazioni risulta che nel centro di alcune, o molte, galassie c’è meno materia oscura di quanto aspettato. Quindi noi, nelle nostre simulazioni, abbiamo usato due galassie: una con la materia oscura distribuita come previsto dalle simulazioni e l’altra con meno materia oscura al centro. Provando diverse condizioni iniziali per l’ammasso di stelle abbiamo visto quale degli ammassi simulati riusciva a riprodurre quello osservato, arrivando alla conclusione che era possibile riprodurre l’ammasso osservato avendo meno materia oscura al centro della galassia».
Come è nata l’intuizione di servirsi degli ammassi stellari in questo modo?
«Hénon nel 1961, studiando gli ammassi stellari, aveva notato che questi sistemi raggiungono una fase di “equilibrio” dove la dimensione dell’ammasso dipende da quanto è forte il campo mareale della galassia. In particolare, Hénon trovò che il rapporto tra il raggio entro il quale è racchiusa metà massa (raggio di metà messa) dell’ammasso e il raggio mareale dell’ammasso è all’incirca costante. Il raggio mareale dell’ammasso è quel raggio entro il quale una stella dell’ammasso è influenzata maggiormente dalla forza gravitazione delle stelle nell’ammasso; appena la stella esce da questo raggio/volume allora il suo moto sarà dominato dalla forza gravitazionale della galassia. Il raggio mareale dell’ammasso dipende sia dall’ammasso che dalla galassia. Per esempio, se studiamo lo stesso ammasso in due galassie diverse, questi ammassi avranno un raggio mareale diverso. Il raggio mareale dipende da quanto è massiccia la galassia e da come è distribuita la massa all’interno della galassia stessa. Da questo si può capire che se abbiamo lo stesso ammasso nel centro di due galassie con diverse quantità di materia (in questo caso materia oscura) otterremo un campo mareale diverso. Quindi, se il rapporto tra il raggio di metà massa e il raggio mareale deve rimanere costante allora avremo un diverso raggio di metà massa.
Inoltre, dal 1998 già diversi autori (Hernandez & Gilmore 1998; Goerdt et al. 2006; Sanchez-Salcedo, Reyes-Iturbide & Hernandez 2006) avevano proposto di usare gli ammassi stellari per trovare la distribuzione di materia oscura nel centro delle galassie nane. Questo è stato fatto per la galassia nana della Fornace, per la quale è stato studiato come il moto e la sopravvivenza di questi ammassi stellari dipenda dalla quantità e distribuzione della materia oscura.
Di diverso, rispetto a questi autori, nel nostro caso non solo guardiamo se l’ammasso sopravvive o meno e alla sua posizione, ma studiamo anche le dimensioni (raggio di metà massa) dell’ammasso e come queste sono distribuite all’interno le sue stelle. Queste due ultime proprietà sono molto importanti perché, come trovato da Hénon, dipendono dalla distribuzione di materia oscura».
Dalla mappatura della materia oscura, come riuscite a dedurre informazioni sulla sua natura?
«Attraverso conti teorici e simulazioni cosmologiche (simulazione dell’universo), si è visto che un diverso tipo di materia oscura porta alla formazione di diversi tipi di strutture, dove per strutture si intende diversi tipi di galassie e ammassi di galassie. Abbiamo scelto proprio Eridanus II perché è una delle galassie nane meno massicce mai osservate. Dalle ultime simulazioni cosmologiche (fatte da diversi gruppi) che utilizzano il modello di Cold Dark Matter (Cdm) per la materia oscura, si è visto che tutte le galassie grandi quanto Eridanus II non hanno questa “mancanza” di materia oscura. Quindi la nostra conclusione è che o abbiamo bisogno di un altro modello di materia oscura oppure la nostra idea di formazione ed evoluzione delle galassie non è corretta».
Su quante galassie nane avete usato il vostro nuovo metodo e su quante altre galassie contate di usarlo? Sono tutte galassie vicine alla Via Lattea? Quanto lontano ci si può spingere nell’indagine?
«Al momento questo studio è stato fatto solo per la galassia nana Eridanus II, tuttavia altri ammassi stellari sono stati osservati in prossimità del centro di altre galassie nane. Quindi è possibile applicare questo metodo ad altre galassie. Diciamo che il termine “vicino” è relativo. Ci sono un paio di galassie nane nella galassia di Andromeda (2.5 milioni di anni luce) e la galassia nana irregolare di Pegaso (4 milioni di anni luce) che hanno un ammasso stellare in orbita attorno al centro; ovviamente dipende dal telescopio/satellite che è possibile usare. Negli ultimi anni le osservazioni e la ricerca di galassie nane è aumentata proprio perché queste possono avere un ruolo importante per capire e trovare la natura della materia oscura».
Questo metodo potrebbe essere utilizzato anche in galassie diverse da quelle oggetto dello studio pubblicato, tipo la nostra?
«Questo metodo può essere utilizzato in diverse galassie, tuttavia applicarlo a galassie più grandi come la nostra sarebbe troppo complicato. La nostra galassia è una galassia spirale barrata quindi è estremamente complicata, mentre Eridanus II è una delle galassie nane meno massicce mai osservate, che contiene poco o no gas. Quindi ci sono pochi altri fattori che possono giocare un ruolo importante per l’evoluzione dell’ammasso stellare. Inoltre nelle galassie più massicce ci sono altri metodi per stimare come è distribuita la materia oscura, per esempio si osserva la velocità di rotazione del gas nel disco o dal moto delle stelle nella galassia. Il nostro metodo è particolarmente utile non solo come metodo alternativo per studiare la materia oscura nella galassie, ma anche perché ci sono galassie nane che non hanno gas e/o sono troppe lontane per studiare il moto delle stelle».
Dai risultati ottenuti su Eridanus II, cosa siete riusciti a dedurre sulla natura della dark matter?
«Nel nostro studio abbiamo trovato che c’è meno materia oscura al centro di quanto aspettato dal modello di Cdm, tuttavia questa mancanza può essere spiegata utilizzando altri modelli di materia oscura. Dire quale modello sia corretto è estremamente complicato. Quello che al momento si sta facendo nella comunità scientifica è trovare quale modello possa riprodurre tutte le osservazioni, ma per il momento non si riesce a trovare un modello che funziona sempre; anche perché la nostra conoscenza riguardo l’universo ed anche solo l’evoluzione di galassie è estremamente limitata».
Per saperne di più
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Probing dark matter with star clusters: a dark matter core in the ultra-faint dwarf Eridanus II” di Filippo Contenta, Eduardo Balbinot, James A. Petts , Justin I. Read, Mark Gieles, Michelle L. M. Collins, Jorge Peñarrubia, Maxime Delorme e Alessia Gualandris
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